di Tommaso Giordano
Verso la fine di giugno del 1929 a Venezia, i rappresentanti
delle biblioteche di 14 paesi, nelle giornate conclusive del Primo
congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, tenevano
a battesimo quella che sarebbe poi diventata la massima organizzazione
bibliotecaria internazionale: l'IFLA. Infatti, durante questo
Congresso (che da Roma, dove si aprì il 15 giugno, proseguì
a Firenze e si concluse a Venezia il 30) il Comitato fondatore,
al termine di una lunga fase di gestazione, culminata due anni
prima a Edimburgo con l'accordo per l'atto costitutivo, diede
alla nuova associazione il nome che porta ancora oggi. Le scarne
ed incerte notizie in nostro possesso - la letteratura professionale
(non solo italiana) è piuttosto avara su questi episodi
- non ci consentono di valutare il ruolo avuto dal nostro paese
in tale circostanza, ma tutto lascia pensare (a Roma nel 1928
si era anche svolta la prima sessione della neonata organizzazione)
che i bibliotecari italiani abbiano in quegli anni mostrato un
notevole attivismo in ambito internazionale, poi affievolitosi
a metà degli anni Trenta a seguito delle ben note e drammatiche
vicende europee. Frammenti di cronaca bibliotecaria che puntualmente
ritornano alla memoria, quando i colleghi stranieri o l'esiguo
gruppetto (quest'anno a Copenaghen per fortuna un po' più
consistente) di bibliotecari italiani che incontriamo tra gli
stand dell'IFLA, ripropongono l'inevitabile domanda: quando si
farà un congresso IFLA in Italia? Come mai così
pochi italiani all'IFLA? Oppure, con malcelato accento di rimprovero:
perché l'AIB non prende finalmente l'iniziativa? Tutte
questioni lasciate in questi anni assopire ai margini del dibattito
e che invece occorrerà una buona volta cominciare ad affrontare.
In realtà i dirigenti dell'AIB che si sono avvicendati
negli ultimi venti anni, hanno chi più chi meno carezzato
l'idea di una Conferenza IFLA in Italia per poi rimetterla nel
cassetto, spingendosi raramente a sondarne la fattibilità
. Probabilmente più che la consapevolezza dello sforzo
organizzativo e operativo che una tale impresa comporta, ha frenato
gli entusiasmi dei più temerari un insieme di fattori (esterni
ed interni al mondo bibliotecario) in apparenza non direttamente
connessi al nostro problema, ma molto influenti già nella
fase delle decisioni preliminari. Si tratta di fattori di carattere
politico culturale, e perciò sfuggenti o non facilmente
identificabili, ma decisivi alla determinazione del contesto adatto
a volgere a buon fine un'operazione di tale portata. Prima di
tutto, l'attitudine, generalmente riconosciuta, di noi italiani
a concentrarci sugli affari interni e ad occuparci poco di ciò
che avviene fuori del nostro paese e ancor meno degli organismi
internazionali, lasciando quest'ultimo terreno all'iniziativa
dei volenterosi e talvolta degli improvvisatori di turno. Attitudine
che possiamo riscontrare in vari settori, spesso, ahimé!,
più decisivi delle biblioteche. Rimanendo al nostro caso
specifico dobbiamo constatare una modesta partecipazione dei bibliotecari
italiani agli organismi internazionali e la pressoché totale
mancanza di raccordo tra quei pochi che riescono a svolgere una
qualche attività a questo livello. Il risultato è
un'immagine estremamente approssimativa, a volte distorta, di
ciò che avviene nel nostro paese e una scarsissima visibilità
della rappresentanza italiana e della sua capacità di incidere
nel dibattito. Gioca in questo senso più la consolidata
propensione per l'autarchia delle differenti amministrazioni che
l'inclinazione all'individualismo dei singoli bibliotecari (che
pure è notevole). La recente elezione a Presidente dell'IFLA
di Christine Deschamps (Bibliothèque universitaire, Paris
V) ha premiato il costante impegno internazionale dei bibliotecari
francesi e mostrato la loro capacità di saper non solo
proporre una personalità di indubbio rilievo internazionale
e provata competenza professionale, ma anche svolgere un'azione
di sensibilizzazione e di raccordo a livello istituzionale (oltreché
individuale) a sostegno della loro candidata.
Un secondo fattore è dovuto all'insufficiente
attenzione che i governi della Repubblica e le amministrazioni
centrali e locali (queste ultime, per fortuna, con alcune lodevoli
eccezioni) hanno dedicato allo sviluppo delle biblioteche ponendole,
nella maggior parte dei casi, in coda alle loro priorità.
I miracoli economici e i torrenti di denaro stanziati per opere
pubbliche di ogni genere, talvolta di dubbia utilità, hanno
solo sfiorato il territorio delle biblioteche. Oltre all'edificio,
di cui purtroppo non possiamo andare orgogliosi, della Nazionale
di Roma, non risulta che ci siano state grandi realizzazioni di
infrastrutture o progetti di più largo respiro, in grado
di attrarre l'attenzione della cultura europea e mondiale o anche
semplicemente degli addetti ai lavori, come ad esempio il Centre
Pompidou, la Bibliothèque de France o la riorganizzazione
e le nuove infrastrutture della British Library. Tutto ciò
viene percepito dall'osservatore esterno come mancanza di progettualità
e di iniziativa professionale e indice di scarsa lungimiranza
da parte di chi governa e amministra il paese.
Un altro problema è dovuto all'obiettiva difficoltà
di individuare l'interlocutore o gli interlocutori politici e
amministrativi in grado di patrocinare e garantire l'impegno che
verrebbe ad assumere l'Associazione di fronte all'IFLA. Un passaggio
questo obbligato e cruciale ai fini dell'accoglimento della candidatura
da parte degli organi dell'IFLA. Ora, tenuto conto che la procedura
di presentazione della candidatura inizia almeno sei anni prima
della data dell'evento, è facile intuire quale poteva essere,
almeno fino a poco tempo fa, la reazione di ministri, sottosegretari
e amministratori di fronte a un progetto da attuare in una data
completamente fuori degli orizzonti dei loro traballanti mandati.
Last but not least,
l'intrinseca debolezza della professione bibliotecaria in Italia
che è, a mio parere, la ragione profonda di quel ritorcersi
su se stessi e della scarsa capacità di realizzazione che
spesso caratterizza l'ambiente della biblioteche. Per quanto i
fattori politici e culturali abbiano potuto contare, dobbiamo
ammettere - anche se ci costa molta fatica - che qui è
la radice principale del problema: non c'è nient'altro
infatti che possa spiegare perché i bibliotecari italiani
non sono riusciti da oltre trent'anni a ospitare un congresso
IFLA in questo paese.
Allora, se le cose stanno davvero così perché
cimentarsi ora in una imprese del genere? Quali elementi nuovi
ci possono indurre a riprendere l'argomento?
Innanzitutto, rispetto a cinque anni fa (data a cui
risale l'ultimo timido approccio al problema da parte dell'AIB)
le condizioni economiche, nonché il ruolo dell'Italia nella
comunità internazionale, presentano segni inequivocabili
di ripresa, anche se permane l'incognita della situazione politica
che sembra ancora lontana dalla auspicata stabilità.
È vero d'altra parte che nel frattempo la
professione bibliotecaria e le biblioteche non hanno registrato
progressi eclatanti, tuttavia emergono chiaramente i segni di
una vitalità raramente riscontrabile in altri aree dei
servizi pubblici. L'Associazione italiana biblioteche che rappresenta
questo settore ha mostrato e mostra tuttora una notevole carica
di rinnovamento e capacità propositiva. Basti pensare alla
riforma (benché a mio parere ancora incompleta) dello statuto,
al rinnovamento degli organi dirigenti (è raro trovare
nel nostro paese altre organizzazioni in grado di assicurare regolarmente
un tale ritmo di avvicendamento dei loro vertici), alla sua funzione
di interlocutore costante e affidabile rispetto alle politiche
e ai progetti comunitari (copyright, INFO2000 ecc.), oppure
ai rapporti di cooperazione instaurati con varie amministrazioni
e in particolare con il MBCA, grazie ai quali le biblioteche italiane
sono state tra le prime nella presentazione dei progetti lanciati
dai programmi tecnologici della Commissione europea. Infine, non
possono passare inosservati i numerosi contatti internazionali,
che sull'onda dei progetti europei, le biblioteche italiane hanno
avviato negli anni più recenti e gli scambi di conoscenze
professionali che stanno maturando in questo ambito.
Ma l'elemento che può essere decisivo per
portare il Congresso IFLA in Italia è un altro. È
il nuovo approccio proposto dall'attuale dirigenza dell'AIB, che
capovolge completamente i termini del problema: aspettare che
i tempi maturino rischia di essere in qualche modo una tattica
dilatoria che non sviluppa alcuna dinamica; invece, il quadro
della situazione può cambiare realmente se siamo in grado
di proporre un progetto corresponsabilizzando i nostri interlocutori.
Si tratta in altre parole di fare della Conferenza IFLA un'occasione
per attrarre l'attenzione più generale, da parte del mondo
politico, intellettuale e imprenditoriale sulla questione delle
biblioteche e dell'accesso all'informazione. Un'attenzione che
deve svilupparsi lungo tutto l'arco temporale che precede e segue
la preparazione dell'evento, affinché questo non si consumi
come un fuoco di paglia, ma sia lo spunto per intessere nuovi
rapporti, per aprirsi ai vari interlocutori, per mostrare la carica
innovativa e le potenzialità sociali, culturali ed economiche
del settore. Il messaggio deve essere molto chiaro: le biblioteche
non riguardano solo i bibliotecari, come le USL non sono un affare
esclusivo dei medici.
Per i bibliotecari deve essere una prova generale
di impegno professionale e un'occasione irrepetibile di sprovincializzazione
e di apertura alle nuove realtà.
Secondo le prime stime sull'ipotesi di un Congresso
IFLA a Roma del 2003, avremo dai 4000 ai 5000 ospiti provenienti
da circa 160 paesi e saranno presenti con i loro stand più
di 100 espositori. Oltre al programma scientifico (articolato
in più sessioni parallele), il congresso prevede una serie
di attività collaterali di rilievo politico-diplomatico,
culturale e turistico che coinvolgeranno uno svariato numero di
soggetti (si pensi ad esempio agli incontri organizzati dalle
ambasciate dei paesi rappresentati, alle riunioni organizzate
dagli sponsor e dagli espositori, ecc.) che mobiliteranno gli
operatori economici della città che li ospita e di altre
città, meta delle escursioni previste, parallelamente e
in coda al nutritissimo calendario del Congresso.
Ma, come dicevamo, il Congresso deve essere un'opportunità
per lanciare progetti che lascino una traccia tangibile dell'evento
e siano di più generale utilità sociale. Un'idea
potrebbe essere quella, ad esempio, di far partire da subito due
o tre grandi progetti ad alto contenuto innovativo che coinvolgano
più istituti, città, regioni e imprese private,
da portare a compimento immediatamente prima della data di questo
evento; oppure di promuovere, con l'aiuto di sponsor, il restauro
di collezioni di speciale valore culturale o di edifici di biblioteche
particolarmente pregevoli.
Il congresso IFLA deve essere infine un'occasione
per rilanciare e ampliare i rapporti tra l'Associazione e i vari
livelli istituzionali e amministrativi, collocandoli in un contesto
di effettiva cooperazione e - al di là delle vecchie ritualità
burocratiche - di sostanziale rispetto dei reciproci ruoli e funzioni.
Con questi orientamenti e queste prospettive l'AIB
chiede in primo luogo ai suoi naturali interlocutori istituzionali,
al mondo della cultura e dell'educazione il sostegno per proporre
Roma come sede del Congresso IFLA 2003.