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Spunti per una discussione sulle commissioni permanenti

di Maurizio Messina


Superare le commissioni tipologiche?

«La diversità tipologica delle biblioteche non cancella la natura omogenea della funzione bibliotecaria»: è il testo della terza tesi del documento preparatorio del Congresso di Viareggio (1987). A dieci anni di distanza non solo l'assunto mantiene tutta la sua validità, ma le sue implicazioni appaiono ineludibili. Una serie di segnali, percepibili a volte come desiderata della comunità bibliotecaria, altre volte come eventi di maggiore concretezza, dimostra infatti come il tradizionale modello dei servizi basato sulla distinzione istituzionale fra biblioteche pubbliche di base, biblioteche statali e biblioteche dell'università o comunque deputate ai servizi per la ricerca risulti ormai del tutto inadeguato, e paia anzi come uno degli elementi strutturali di arretratezza del non-sistema bibliotecario italiano.
Consideriamo alcuni di questi segnali:

- l'avvento della Società dell'informazione, caratterizzata dallo sviluppo impetuoso del mercato dei servizi informativi e culturali, che pone i singoli attori in concorrenza fra loro e impone alle biblioteche di presentarsi in modo compatto ai vari tavoli di concertazione e contrattazione;
- l'esigenza, che emerge dalla società civile, di disporre di un sistema complessivo dei servizi formativi, informativi e culturali, che presuppone non solo la piena integrazione delle biblioteche fra loro, ma quella delle biblioteche con gli altri istituti appartenenti al circuito della formazione, dell'informazione e della cultura, come gli archivi e i musei, le scuole e le università, ma anche con il mondo dell'editoria, della distribuzione, e con le agenzie di servizi che ruotano intorno alle reti civiche;
- l'ipotesi di una legge quadro, che potrebbe, o dovrebbe, valorizzare la distinzione delle biblioteche per macrofunzioni, adattabili con la concertazione locale agli specifici contesti territoriali, più che la consueta articolazione per tipologie e titolarità istituzionali; ferma restando, a mio avviso, l'esigenza di un organismo politico di coordinamento in cui le diverse istanze di natura istituzionale possano trovare piena possibilità di espressione;
- l'ipotesi di autonomia culturale e amministrativa delle biblioteche, vera chiave di volta, assai più del decentramento, delle auspicate riforme, che potrebbe facilitare il raggiungimento di accordi territoriali per il coordinamento dei servizi e avviare utili sinergie con i soggetti economici attivi sul mercato dell'informazione e della cultura;
- la diffusione delle tecnologie digitali, delle reti, della multimedialità, degli ipertesti che permette l'integrazione delle diverse fonti documentarie (testi, immagini fisse e in movimento, suoni) a prescindere dal luogo della loro produzione o conservazione (museo, biblioteca, archivio, rete) e tende a moltiplicare e livellare i servizi erogabili nelle diverse tipologie di biblioteca, ridisegnandone la mappa e imponendone il coordinamento, alla luce di principi di economicità complessiva;
- la stessa diffusione della rete SBN, che in questo contesto interessa da un lato per l'avvenuto consolidamento di prassi lavorative concordate e condivise in realtà istituzionali molto diverse tra loro, e dall'altro per il patrimonio di esperienza acquisita in materia di accordi interistituzionali (protocolli d'intesa, accordi di programma) e di istituzione di organi collegiali a ogni livello; un assetto che ha consentito di formalizzare la cooperazione ripartendone i costi.

Si potrebbe continuare con l'elencazione, ma tanto basti per significare l'inadeguatezza del tradizionale modello dei servizi, nonché l'esigenza di approfondire la riflessione su questi temi.
È inevitabile, allora, percepire un'incongruenza fra quanto l'Associazione enunciava come ipotesi di discussione e linea di lavoro con la terza tesi del 1987 e gli strumenti di studio, di ricerca, di attenzione a quegli stessi temi che tradizionalmente possedeva e tuttora possiede, cioè le commissioni permanenti, che sono rimaste marcatamente tipologiche (e ciò, beninteso, senza nulla togliere alla qualità del loro lavoro in questi anni). Una riforma delle commissioni permanenti (se ne parlò anche al Congresso di Venezia, formulando ipotesi abbastanza precise) appare dunque plausibile, pena il rischio di non disporre degli strumenti adatti non tanto a capire la complessità del presente, che è sotto gli occhi di tutti, quanto a ipotizzare interventi, ad ogni livello, sufficientemente incisivi da consentire alla biblioteca di muoversi da protagonista nella Società dell'informazione e di essere anzi strumento per la realizzazione della Società della conoscenza.

Il superamento delle commissioni tipologiche è un processo

Non è pensabile, d'altra parte, che il riorientamento delle commissioni permanenti possa avvenire di punto in bianco, in quanto coinvolge il "senso di appartenenza" dei bibliotecari alla propria realtà tipologica, l'identità professionale di ciascuno, e una mortificazione di queste identità può influire negativamente sulla politica associativa. La questione è stata a suo tempo dibattuta, prima dell'approvazione dello Statuto 1996, in sede di Gruppo di studio per le riforme statutarie. Era allora stata individuata una polarità, non sempre positiva e fruttuosa, fra la duplice natura di organismi scientifici e di organismi rappresentativi tipologici propria delle commissioni, polarità che il nuovo Statuto non ha contribuito a sciogliere, perpetuandola. D'altra parte le commissioni permanenti e i gruppi di studio non rientrano fra gli organi dell'Associazione (previsti dall'art. 10), la cui costituzione e il cui funzionamento sono regolati rigidamente dallo Statuto, sono invece strumenti operativi (art. 3) per il raggiungimento dello scopo sociale, e come tali è naturale che si adattino, anzi debbano adattarsi, al mutare delle condizioni esterne o generali che possono influenzare i modi di raggiungere lo scopo medesimo.
Superare le commissioni tipologiche, sottolinearne la natura tecnico-scientifica, non può allora non essere un processo da avviare con alcuni segnali forti e precisi, avendo chiaro il punto di arrivo ma tenendo ben conto che si tratta di un salto "culturale" (nel senso della cultura associativa e professionale) di notevole entità per l'Associazione.
Che fare? Si potrebbe partire dall'individuazione di alcuni temi "caldi", sicuramente trasversali, su cui impegnare tutte le commissioni, penso ad esempio al diritto d'autore e ai diritti connessi, tema che l'Associazione segue da tempo, ma più nel senso della sensibilizzazione, della diffusione di documentazione e conoscenze, di rapporto con gli organismi internazionali, che in quello del confronto sul campo, all'interno cioè del concreto operare delle biblioteche. Non va dimenticato che la possibilità di accedere alle pubblicazioni elettroniche o alle basi di dati nel rispetto dell'equilibrio fra i legittimi interessi dei detentori dei diritti e quelli altrettanto legittimi della comunità a servirsi degli strumenti dell'informazione e della crescita culturale continua a essere tutt'altro che scontata. Penso anche al tema del lavoro e della tutela della professione, questione che investe in vario modo tutte le tipologie ma che meriterebbe piuttosto di venire seguita unitariamente da un organismo permanente dell'Associazione. Un segnale d'altro genere potrebbe consistere nell'inserire fin d'ora nelle commissioni bibliotecari di diversa estrazione istituzionale, sulla base delle competenze specifiche in merito ai temi di lavoro individuati dalle commissioni stesse.


MESSINA, Maurizio. Spunti per una discussione sulle commissioni permanenti. «AIB Notizie», 9 (1997), n. 12, p. 1-2.
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Copyright AIB, ultimo aggiornamento 1998-01-24 , a cura di: Andreas Zanzoni