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Bibliotecario del 2000

di Elisabetta Forte


L’appuntamento milanese al Palazzo delle Stelline, divenuto oramai una tappa obbligata di ogni anno per il mondo bibliotecario, è stato quest’anno centrato sulle tematiche della formazione, con un titolo: “Bibliotecario del 2000: come cambia la professione nell’era digitale”, che ridà la giusta collocazione al vasto e vario problema della formazione.
Il particolare cammino della manifestazione, iniziata nel 1996, che ha visto nell’edizione 1997 ben 1000 partecipanti e che sicuramente nell’edizione 1998 ha coinvolto un numero anche visivamente più consistente di persone, tanto da spingere gli organizzatori alla apertura per l’ascolto in simultanea di tre o quattro sale, oltre alla principale, è un modo nuovo di fare e di vivere un convegno per il mondo bibliotecario. Infatti è il convegno stesso che si pone come evento formativo in sé, come una macchina, dove quanto dichiarato nelle presentazioni risulta vero e verificabile; la manifestazione è integrata e affiancata dalla realtà espositiva di “Bibliostar”, mantenendo però un filo conduttore che fa dei visitatori della parte espositiva dei partecipanti al convegno e viceversa. Perché si partecipa al Convegno delle Stelline, si partecipa e si è coinvolti, quest’anno con una sensazione forte che anche le autorità non fossero una presenza formale e dovuta.
Il circuito partecipato sembra essersi saldato attorno ai grandi eventi milanesi, al grande evento milanese, lombardo, del nord: e l’evento giustifica che nello scrivere, ottenuto dal lettore il permesso, si possa girare e spaziare attraverso questo convegno in modo non “regolamentare”, abbandonando per una volta le regole del resoconto. Iniziando perciò proprio dalla Biblioteca del 2000 e dalla realtà di Milano Biblioteca del 2000, associazione culturale costituitasi nel 1996 con l’impegno di coinvolgere tutti, ma proprio tutti, come dichiarato nella relazione del presidente Antonio Padoa Schioppa e sottolineato nella sintesi progettuale offerta ai partecipanti per fare di questa futura biblioteca «strumento essenziale per lo sviluppo di qualsiasi attività» e ribadire l’alto profilo culturale e interdisciplinare che la biblioteca dovrà assumere, mentre nella scelta dei destinatari dichiara prima di tutto di voler essere public library, rivolta a tutti i cittadini. Un grande impegno che ridisegnerà tutto l’assetto bibliotecario della città, coinvolgendo la Sormani, la Braidense, le biblioteche universitarie, e sconvolgendo i loro ritmi stabilizzati nel tempo.
Il progetto Biblioteca del 2000 aleggiava nel cortile interno porticato del Palazzo delle Stelline e dava sostanza alle parole di Igino Poggiali, presidente dell’AIB, che ha azzardato per le biblioteche l’essere, in questo momento, di moda. Le biblioteche, che di moda non lo sono mai state, devono reggere l’onda e per i bibliotecari che credono in questo servizio, per la comunità, è doveroso approfittarne e far sì che questo non sia un momento, ma che duri e che il bisogno si consolidi tra la gente e gli amministratori, arrivando a contagiare gli esclusi dal grande giro. Il grande circuito deve essere allargato perché ne possa conseguire che tutti condividano la necessità e l’urgenza della professionalizzazione degli operatori delle strutture bibliotecarie. Alberto Petrucciani nella sua relazione L’evoluzione delle politiche formative collega l’ipotesi di albo dei bibliotecari italiani alla formazione intesa «come percorso flessibile ma organico e riconosciuto», in un terreno tuttora arretrato che richiederà un lungo ma velocissimo avvicinamento ai paesi più avanzati.
E se Petrucciani ha analizzato l’aspetto della formazione universitaria, sottolineando e comunicando che esistono già laureati, studiosi e studenti pronti alla nuova professione per il bibliotecario del 2000, altri nell’alveo della formazione permanente e dell’aggiornamento hanno indagato chi sarà e come sarà il bibliotecario del domani. Crocetti nel suo Bibliothecarius technologicus incrocia il destino del bibliotecario di domani con quello dell’oggi e della biblioteca in cui vive e, ancor più, in cui vivrà, biblioteca sempre, ma con maggiore attenzione ad altre potenzialità. Oltre la consistenza libraria o sia pur multimediale, deve potersi permettere la capacità di potenziare il livello di customer satisfaction, “oltre a sé”, prima che “fuori di sé”. Quindi, ancora biblioteca, biblioteca a scaffale aperto come spartiacque di un recente passato acquisito che diviene futuro e che Crocetti accetta nella accezione già voluta da Alberto Petrucciani come libertà del fruitore e del lettore; la libertà che fa diventare tangibile e desiderabile la fantabiblioteconomia di cui è stato percorso l’intervento di Carlo Revelli, un modo affabulante per raccontare la concretezza delle esigenze formative con l’ansia di vedere inadeguato lo strumento formazione, rispetto al compito della conoscenza formativa e informativa. Il futuro prossimo viene riletto attraverso una trasformazione culturale in cui va inserita la formazione come elemento per ridisegnare un ruolo in cui già da oggi l’informazione bibliografica o catalografica ha per lo più funzione di tramite, fermo restando che mai il libro può essere un tramite, quello che ruota intorno al libro è il tramite per arrivare a vivere la lettura come un bene, da incardinare nelle scelte di vita di un paese che non legge, e che non può e non deve conservare la memoria del passato solo nell’ottica della museificazione. La professionalità del conservatore e degli operatori della conservazione, quindi, deve aprirsi alla lettura del documento da fruirsi oltre il bene culturale.
In questo contesto, Carlo Federici, alla ricerca del nuovo profilo e del curriculum degli addetti, stigmatizza l’approssimazione e l’indeterminatezza di questo settore, degli operatori che già lavorano e delle realtà di formazione che si offrono ai giovani. Altri, ricchi, vasti interventi si sono succeduti tutti tesi a cercare una soluzione per un problema creato soprattutto dalla mancanza di volontà risolutiva di molti amministratori. In quella che è la formazione permanente e l’aggiornamento, solo con una visione illuminata verso il futuro, e quindi produttiva, si scardina il gap tra ciò che si è imparato studiando da giovani e ciò che richiede la professione che va avanti, non basta la voglia e l’impegno del singolo bibliotecario, uno e più staff si coinvolgono con una politica concertata progettualmente che dia per acquisito il valore aggiunto della formazione.


FORTE, Elisabetta. Bibliotecario del 2000. «AIB Notizie», 10 (1998), n. 4, p. 8-10.
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Copyright AIB, ultimo aggiornamento 1998-05-21 , a cura di: Andreas Zanzoni