di Elisabetta Segna
«Che
lavoro svolgi? Sono una documentalista... Ah, fai i documentari. No
veramente... sì mi occupo di audiovisivi ma anche di sonori,
sì anche di fotografia, insomma sono una specie di
bibliotecaria ma non catalogo solo libri».
Non
sono le battute di un film demenziale, ma un esempio di conversazione
tipo che mi capita di dover sostenere molto spesso.
Certo
potrei dire «Sto nella campo della multimedialità»,
ma questo potrebbe creare un equivoco ancora più pericoloso.
«Certo oggi non si può più fare a meno del
computer e di Internet, dei CD-ROM». Strumento il primo,
supporti multimediali gli altri.
Ma
che cosa è la multimedialità? È forse quella
cosa per cui uno stesso contenuto, una stessa informazione può
essere trasmessa utilizzando linguaggi e supporti informativi
diversi? È semplicemente copresenza di media diversi su uno
stesso supporto? La specificità di un media (testo, immagini,
suoni, ecc.) non è neutra rispetto al tipo di informazione
contenuta e alle modalità di comunicazione immaginate.
Si deve avere a mio avviso una
discreta familiarità con certi linguaggi per poterli
immaginare portatori e trasmettitori di un sapere che sempre più
viene consumato. Ma questo è un aspetto del
dibattito sul valore e significato di multimedialità sul quale
preferisco non soffermarmi. Quello di cui invece vorrei parlare è
dando per scontato che si va «verso il superamento di
antichi steccati fra i diversi settori culturali e lintegrazione
fra i diversi sistemi di produzione culturale» e quindi, per
esempio, i luoghi deputati alla conservazione del sapere non sono
più soltanto le biblioteche, ma viene riconosciuto ad altri
patrimoni il valore di luoghi della memoria e della conoscenza come
archivi fotografici, archivi audiovisivi, archivi sonori, archivi
cartacei, in cui la polvere e loblio vengono finalmente rimossi
chi e quali competenze sono state attivate per rendere
fruibili queste informazioni?
La tecnologia non è ancora
in grado, e a mio avviso non lo sarà ancora per molto tempo,
di decodificare unimmagine fissa o in movimento, un suono,
posso inserire migliaia, milioni di questi documenti in un PC, non li
ritroverò se qualcuno non li avrà decodificati, li
potrò senzaltro vedere scaricare sul mio PC di casa,
riutilizzarli per costruire un mio prodotto/percorso.
Certo più facile e
divertente è oggi svolgere ricerche scolastiche rispetto a
pochi anni fa quando ci si perdeva nelle pagine enormi di
unenciclopedia, e poi magari si ritagliava e incollava quella
tale fotografia sul foglio, era tempo e fatica, oggi si va in
Internet si digita la domanda si aspetta qualche secondo si montano e
si smontano le informazioni (testi, immagini, suoni) e si stampa la
ricerca.
Ma al di là del tempo e
della fatica che forse erano maggiori, si avevano comunque a
disposizione strumenti di accesso alla massa di informazioni
dellEnciclopedia, indici ragionati, richiami, glossari,
linformazione, la conoscenza era stata da qualcuno decodificata
e organizzata per renderla accessibile.
Oggi si tende a pensare che
scoprire archivi/tesori più o meno nascosti sia sufficiente
per renderli fruibili. Non è così e ben lo sanno tutti
quelli che questi tesori si trovano a gestirli. Perché oggi il
problema non è più li conservo perché patrimonio
della collettività punto. Il problema è metterli a
disposizione e poiché la loro consultazione è
facilitata dalla facile riproducibilità cosa impedisce la loro
reale visibilità e uso?
La mancanza di decodificatori
umani. In questo senso la mia esperienza, ed è di questo
che voglio parlare, mi sembra abbastanza significativa.
Dieci anni fa, dopo un corso di
formazione per documentalisti, mi ritrovai a occuparmi di
catalogazione di immagini in movimento in una fondazione, lArchivio
audiovisivo del movimento operaio e democratico, che da sempre,
anche in tempi non sospetti quelli in cui forse il termine
multimedialità apparteneva al linguaggio di una ristrettissima
cerchia di adepti si è posta il problema del riuso del
patrimonio audiovisivo. Nel nostro paese, così amante del
cinema ma con così poca attenzione al valore culturale e
storico delle immagini, questa fondazione ha posto il tema della
catalogazione, quale strumento per la conoscenza e il riuso degli
audiovisivi, al centro della discussione.
È
andata oltre e ha verificato che sul territorio nazionale non
esistevano proposte formative legate a questo tipo di competenza o
almeno non di tipo istituzionale. Ha quindi elaborato un profilo
professionale, quello del documentalista audiovisivo, che ha trovato
una sua prima applicazione in un breve corso di riqualificazione per
archivisti e bibliotecari nella città di Terni, negli anni in
cui, 1992 e 1993, stava per essere inaugurata la bibliomediateca che
avrebbe dovuto ridefinire lidentità di quella che una
volta era stata la città dellacciaio in «luogo di
produzione dellimmateriale» (questo affermava lallora
sindaco di Terni nel volume che presentava quel progetto).
La bibliomediateca (così
come presentata nel volume Bibliomediateca: una struttura
multimediale, Comune di Terni, marzo 1992) non è ancora
funzionante ma sui temi e lindustria della multimedialità
e della produzione audiovisiva Terni si misura ancora, così
come lArchivio audiovisivo del movimento operaio e democratico
che ha proposto lo scorso anno un corso di formazione, questa volta
di 900 ore, per la preparazione di una nuova figura professionale, il
documentalista multimediale, che altro non è che levoluzione
di quel documentalista audiovisivo che dovendosi ogni giorno misurare
con repentini cambiamenti sia dellutenza che dei documenti con
cui entra in contatto deve ampliare le proprie conoscenze.
Questo corso, avviato a novembre
1997 e che vedrà alla fine di giugno il suo termine, mi vede
protagonista, in qualità di docente e consulente per la
didattica, di unesperienza molto interessante perché la
sfida è proprio quella di riuscire ad avviare al mercato del
lavoro persone che abbiano sicuramente facilità duso di
strumenti per la lettura dei diversi supporti e
dallaltra abbiano la consapevolezza e gli strumenti per offrire
a chi fruisce, ma anche a chi produce multimedialità documenti
decodificati e riutilizzabili.
Lessere stati in contatto
con tutti i tipi di documenti (dai faldoni darchivio fino ai
CD-ROM) e le metodologie utilizzate per la loro catalogazione
dovrebbe, ce lo auguriamo, aver sviluppato oltre che capacità
di riconoscere e descrivere una struttura testuale o iconica anche
quella di immaginare volta per volta un modello descrittivo come
modello che anticipi la ricerca-consultazione e che diventi
proiettabile come forma ideativa di un prodotto multimediale.