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La Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma: intervista a Lucia Zannino

a cura di Michela Ghera


D.: La nascita della Fondazione Basso risale al 1973, l'apertura "ufficiale" al pubblico della biblioteca Basso è del 1975. Viene naturale chiedersi quale è stato sin dall'inizio il rapporto tra Fondazione e biblioteca e quale il modo in cui questa biblioteca si è formata, dato che già nel 1975 aveva un numero considerevole di volumi e una sua fisionomia ben precisa.
R.: Come scrive lo stesso Basso nell'opuscolo illustrativo della Fondazione, pubblicato in occasione della sua inaugurazione, la Fondazione nasce dall'unione di tre elementi: un istituto di studi (Issoco-Istituto di studi sulla società contemporanea), una biblioteca privata e uno stabile situato nel centro storico di Roma. L'Istituto di studi era stato fondato da Basso nel 1969 con l'intento di creare un centro in cui fosse possibile condurre studi e ricerche sulla società contemporanea, formare i giovani, organizzare dibattiti e favorire incontri tra studiosi di discipline diverse, e fra studiosi e ceto politico, nel tentativo – che a Basso stava particolarmente a cuore – di superare la separazione tra analisi concreta della realtà e agire politico.
La biblioteca, all'epoca della sua apertura al pubblico, era – come tu dici – già strutturata nelle sue linee fondamentali. Seguendo i suoi interessi di studioso, Basso aveva cominciato dal lontano 1931 a comprare testi che gli interessava leggere ma che, rientrando nell'ambito del socialismo e del marxismo, non era possibile a quell'epoca consultare nelle biblioteche. All'esigenza di sviluppare la sua cultura socialista e marxista si intrecciò ben presto la sua passione di bibliofilo che lo spinse a mettersi in contatto con alcuni librai antiquari i quali riuscivano a procurargli libri allora proibiti. Primo fra tutti un famoso antiquario tedesco, Prager, che, fuggito da Berlino per andare ad Amsterdam all'avvento del nazismo, si trasferì poi a Roma, da dove procurò a Basso una serie di edizioni estremamente rare, soprattutto di autori tedeschi.
Già, quindi, in epoca fascista Basso aveva messo insieme una biblioteca importante che, tuttavia, subì un grave danno durante la Resistenza.
Temendo le perquisizioni fasciste, la biblioteca era stata in gran parte affidata ad alcune famiglie amiche, in casa di una delle quali le SS arrivarono sequestrando e distruggendo preziosi volumi, tra cui la collezione completa della «Neue Zeit» e della «Critica sociale». Alcune collezioni preziose, come quelle dei giornali di Proudhon, Basso le tenne invece con sé, trasportandole con l'aiuto della moglie da una casa all'altra quando, profilandosi pericoli all'orizzonte, doveva in pochissimo tempo cambiare identità e abitazione.
D.: Che cosa succede a questa biblioteca preziosa, ma pur sempre personale, nel dopoguerra?
R.: L'immediato dopoguerra fu un periodo in cui era ancora relativamente facile e non troppo costoso acquisire libri rari e collezioni complete di importanti giornali. Basso continuò a farlo, rendendosi via via conto del fatto che quella che era nata come biblioteca personale e specializzata avrebbe potuto un giorno essere aperta al pubblico e diventare uno strumento di formazione culturale. Una volta stabilite le direttrici lungo le quali svilupparla (pensiero marxista, movimenti di massa, sviluppo della democrazia, analisi della società contemporanea), si trattava di renderla meno personale e più sistematica; cosa che egli cominciò a fare a partire dalla fine degli anni Cinquanta.
D.:Da questa data passano circa 15 anni prima di arrivare all'apertura al pubblico, un lasso di tempo considerevole. Quali furono le difficoltà incontrate?
R.: In primo luogo occorreva dotare la biblioteca di una sede adeguata. Basso decise di trasferire la sua raccolta da Milano a Roma, dove comprò un edificio (poi donato alla Fondazione) che aveva bisogno di essere integralmente ristrutturato per poter ospitare una biblioteca in espansione. I lavori di ristrutturazione durarono, come spesso capita, più del previsto. In secondo luogo, era necessario trovare una forma stabile di finanziamento: le risorse personali di Basso avevano consentito la formazione della raccolta, ma l'organizzazione di un servizio al pubblico rendeva indispensabile poter contare su fonti certe di finanziamento. Anche questo problema arrivò a soluzione (con una legge che prevedeva un contributo statale annuale) dopo un iter molto travagliato. Infine, c'è da tener conto della inevitabile resistenza, sia pure non confessata, del bibliofilo a mettere a disposizione del pubblico un "tesoro" così faticosamente raccolto. Ricordo ancora molto nitidamente la sera in cui Basso venne nella mia stanza di lavoro per dirmi, con un tono tra il rassegnato e insieme compiaciuto per aver superato le proprie esitazioni: «Hai vinto. Da domani cominceremo ad acquistare le attrezzature per aprire al pubblico le sale di lettura».
D.: Il passaggio da una biblioteca privata a una biblioteca pubblica presuppone che una serie di operazioni siano già state effettuate: dall'ordinamento dei volumi, la loro catalogazione, il programma di acquisizioni, il quadro degli abbonamenti, alla predisposizione delle tessere per l'accesso alla biblioteca, dei moduli per la richiesta dei volumi in consultazione, di un regolamento relativo alle norme da osservare da parte degli utenti ecc. Come avvenne in questo caso la trasformazione?
R.: Dal 1968, quando la biblioteca fu trasferita a Roma nella sede in cui si trova attualmente, i volumi, ordinati in sezioni che lo stesso Basso aveva creato (per ritrovare i propri libri quando non c'erano ancora schedari), furono schedati seguendo le norme italiane di catalogazione. Ciò consentì di mettere subito a disposizione del pubblico schedari (naturalmente cartacei) in cui era possibile effettuare la ricerca sia per titoli e autori sia per sezioni. Vi erano poi due cataloghi riservati ai periodici, spenti e correnti. Quello per i periodici spenti era già stato preparato con molta cura a Milano da Mariuccia Salvati, che nella biblioteca Basso ha cominciato la sua carriera di storica. Il piano di acquisizioni era ancora legato soprattutto alle disponibilità finanziarie di Basso, che aveva mantenuto rapporti con i librai antiquari parigini e tedeschi. Molti libri correnti arrivavano in omaggio, ma molti venivano acquistati secondo un piano prestabilito. Per gli acquisti in antiquariato tutto dipendeva dalle offerte che arrivavano. L'arrivo ancora in bozze di un catalogo di antiquariato costituiva un avvenimento e comportava un lavoro frenetico di selezione dei titoli da acquisire, di verifica sul posseduto e di ordinazione per telefono o telegramma. Era una specie di rito che si celebrava con grande partecipazione di tutti e, di solito, in giorni festivi perché questi cataloghi riuscivano ad arrivare quasi sempre di venerdì o, comunque, in un giorno prefestivo. Naturalmente, questo tipo di lavoro continua ancora adesso, ma ha perso parte del fascino che aveva un tempo sia perché, per la nostra biblioteca, le offerte sono in genere meno interessanti sia perché i prezzi proposti sono spesso troppo elevati.
C'è da aggiungere anche che la buona produzione (soprattutto in Francia) di reprint e microfiche induce a riflettere molto prima di decidere l'acquisto di un originale. Il resto delle operazioni necessarie per l'apertura al pubblico fu organizzato senza particolari difficoltà.
D.: A partire dunque dal 1975, la biblioteca cominciò a essere frequentata da un'utenza esterna, non più solo da quella interna all'istituto (ricercatori, borsisti ecc.). Immagino che il periodo di rodaggio sia durato all'incirca due anni, nel corso dei quali la maggior parte delle energie saranno state assorbite dallo sforzo di arrivare a un tipo di funzionamento standard. Raggiunto il quale, su che tipo di progetti si pensò di impegnare la biblioteca?
R.: Innanzi tutto ci si rese conto della difficoltà di diffondere tra la potenziale utenza l'informazione che la biblioteca non era più privata; ben presto si capì che anche sul tipo di fondi posseduti, a differenza che all'estero, in Italia c'era scarsa informazione anche tra gli studiosi. Per cui, da una parte si ricevevano lettere in cui la possibilità di consultare questo o quel testo veniva chiesta come un favore personale, dall'altra il tipo di materiale richiesto riguardava prevalentemente la storia recente del Partito socialista italiano. Era evidente che molti non conoscevano l'esistenza del fondo sulla Rivoluzione francese (unico in Italia per ricchezza di documenti), sugli avvenimenti del 1848 europeo, sulla Comune di Parigi, sulla socialdemocrazia tedesca e russa, sul socialismo italiano delle origini e via dicendo. Si prendeva insomma in considerazione solo la vicenda politica di Basso, dimenticando la sua veste di studioso e teorico e, poiché la biblioteca era in origine personale, l'equazione era presto fatta. Si decise quindi di impegnarsi a pubblicizzare i fondi posseduti: la prima tappa fu la pubblicazione del primo volume degli «Annali» della Fondazione (che comprendeva le schede di lettura dei periodici conservati in biblioteca dal Settecento al 1849) (Mazzotta, 1975), cui seguirono, tra le altre iniziative, la preparazione del Catalogo dei periodici (pubblicato da Olschki nel 1981), la mostra Caratteri ribelli (1985) e il coordinamento della ricerca per la pubblicazione del Repertorio delle fonti archivistiche e a stampa sulla Rivoluzione francese conservate in Italia e nella Città del Vaticano (Ufficio centrale beni archivistici, 1991).
D.: La ricerca per il Repertorio sulle fonti per lo studio della Rivoluzione francese fa già pensare alla instaurazione di rapporti con altri enti e con altre biblioteche. Si è svolto di recente un convegno organizzato dall'Associazione delle istituzioni culturali italiane cui hanno partecipato molti istituti culturali che hanno tra loro buoni rapporti di collaborazione, soprattutto per quanto riguarda le strutture: biblioteche e archivi. Puoi dirmi quando i singoli istituti e le singole biblioteche hanno incominciato a "uscire dal proprio guscio" cercando modalità di raccordo tra le proprie attività e quali sono stati i fattori determinanti in tal senso?
R.: Cercherò di essere sintetica su questo: si tratta di un argomento che mi interessa molto e di un campo in cui sono da tempo impegnata. Alla fine degli anni Settanta si era già manifestata tra gli istituti e le biblioteche specializzate ad essi collegate una forte insoddisfazione a procedere su binari separati, e gli istituti che si occupavano prevalentemente di storia del lavoro e del movimento operaio fecero i primi tentativi di dar vita a un coordinamento. Passi concreti in tale direzione furono tuttavia compiuti solo nella seconda metà degli anni Ottanta, non più tra istituti orientati verso la stessa specializzazione e, inizialmente, in ambito prevalentemente regionale (Lazio). Le prime biblioteche di istituti privati che decisero di collaborare tra loro furono quella dell'Enciclopedia Italiana, della Fondazione Basso, della Fondazione Gramsci; si associò ben presto quella dell'Istituto Sturzo (dove nel frattempo era intervenuto un cambio nella segreteria generale). Oltre all'esigenza – da alcuni di noi fortemente avvertita – di uscire dal proprio "privato" e di condividere progetti di incremento e valorizzazione dei fondi, un fattore trainante fu indubbiamente il progetto SBN che, soprattutto in un primo momento, servì a dare una veste razionale a questa esigenza di cooperazione. I quattro istituti citati costituirono il primo Polo SBN del Lazio, ma va ricordato che esso non nacque dal nulla: il clima di collaborazione che si era creato tra le quattro biblioteche fece sì che l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana rendesse possibile la costituzione del Polo mettendo a disposizione il proprio centro di calcolo. Nei primi anni Novanta, altre forme di cooperazione si concretizzarono: penso alla formazione del Consorzio Baicr nel 1991, alla costituzione dell'Associazione delle istituzioni culturali italiane nel 1992 (che adesso conta 65 soci). Successivamente sono sorti nuovi raggruppamenti, alcuni finalizzati alla realizzazione di singoli progetti, altri con più ampie finalità. L'utilità della cooperazione sembra ormai un fatto acquisito.
D.: Dei mutamenti avvenuti nelle biblioteche dopo l'adesione a SBN si è parlato più volte: egrave; noto che cambia l'organizzazione del lavoro, cambiano le mansioni, cambia il rapporto con il pubblico e con le altre biblioteche perché si lavora in un clima di confronto continuo, si creano frequenti occasioni di incontri , ecc. Senza parlare dell'esigenza di riqualificare e specializzare il personale. Per una realtà come quella della biblioteca Basso (ma anche per altre che hanno dimensioni e strutture simili) si può dire qualcosa di diverso? I mutamenti hanno riguardato gli stessi aspetti?
R.: Non è facile rispondere. I mutamenti intervenuti sono senz'altro quelli da te elencati, che in realtà come quelle della biblioteca Basso hanno comportato, per lo meno inizialmente, maggiori problemi. L'esiguità del personale addetto a questo tipo di biblioteche ha fatto sé che non sia stato possibile arrivare a una rigorosa specializzazione: l'acquisizione delle nuove competenze non ha significato, per il personale in organico, l'abbandono di alcune delle precedenti mansioni, ancora indispensabili.
D'altra parte, non è detto che questo sia da considerarsi negativamente: si tratta senz'altro di un impegno più faticoso ma, a conti fatti, forse più utile al buon funzionamento dell'insieme e alla possibilità di ideare nuovi progetti. Per quanto riguarda la Fondazione Basso, poco dopo l'adesione a SBN, ma per motivi indipendenti, la responsabilità diretta della biblioteca fu affidata a Mercedes Sala (che da anni lavorava in biblioteca), mentre io passai a occuparmi più in generale del coordinamento complessivo sia della biblioteca che dell'archivio storico. Il nuovo assetto non azzerò ovviamente le competenze acquisite in precedenza e, mentre l'una si dedicava più particolarmente all'organizzazione della biblioteca nell'era SBN, conservando il bagaglio di esperienze accumulate che le consentivano di avere una visione non settoriale del lavoro, l'altra curava il coordinamento tra i due settori, collaborando, a partire dall'esperienza fatta in biblioteca, alla realizzazione di un progetto per l'automazione dell'archivio storico. Il tutto in stretta cooperazione con altri istituti culturali.
D.: Dopo questa sintetica ricostruzione della storia della biblioteca Basso, vorrei avere una tua opinione sulla situazione attuale, sui problemi che si presentano oggi, certamente diversi da quelli di venti anni fa, sulle prospettive che si aprono. In una parola, quanto oggi le cose sono effettivamente cambiate e che cosa possiamo aspettarci dal prossimo futuro?
R.: Per biblioteche di medie dimensioni come le nostre, va ribadito che il passaggio all'automazione è stato un momento di svolta di grande rilevanza, le cui ricadute positive non sono state ancora sufficientemente esplorate.
C'è quindi da fare uno sforzo per utilizzare al meglio le opportunità offerte dall'automazione, anche per accrescere la nostra capacità progettuale. Permane, per la biblioteca Basso come per molte altre biblioteche di istituti culturali, il problema di adeguati finanziamenti: i contributi degli enti pubblici tendono a restare fermi o a diminuire, ottenere sovvenzioni dai privati non è facile per la nota questione che le biblioteche non danno ritorni immediati di immagine. Bisogna quindi rimboccarsi ancora una volta le maniche per imprimere un nuovo slancio alle realtà in cui lavoriamo. Una delle vie da percorrere è indubbiamente quella di una più attenta valorizzazione del patrimonio, che non sia destinata solo agli addetti ai lavori e che faccia passare anche sui media la convinzione che le biblioteche (e gli archivi), pur non avendo la visibilità dei beni artistici e monumentali, sono altrettanto indispensabili, fanno parte, a pari titolo, del patrimonio culturale di una nazione e hanno bisogno, per poter essere conservate e incrementate, di adeguati finanziamenti. Le modalità per raggiungere questo obiettivo potranno essere individuate più agevolmente se si metteranno insieme competenze diverse, se ciascuna istituzione non si chiuderà in se stessa ma sarà partecipe di progetti comuni. I risultati ottenuti finora seguendo questa strada incoraggiano a proseguire. Non bisogna nascondersi che si tratta di un obiettivo non facile da raggiungere: occorre liberarsi di vecchie incrostazioni, combinare, nella ideazione dei progetti, una giusta dose di realismo con l'aspirazione ad ampliare l'orizzonte entro cui ci è mossi finora, utilizzare tutte le occasioni (penso anche ai bandi della Comunità europea, così poco generosa nei confronti delle biblioteche) che offrano almeno uno spiraglio. A mio parere, il futuro, almeno a giudicare da quello che vediamo oggi, è delle biblioteche che, oltre a offrire un servizio al mondo della scuola, della ricerca e ai mezzi di informazione, saranno in grado di diventare veri e propri laboratori nel campo della cultura delle fonti.

( a cura di Michela Ghera)


La Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma: intervista a Lucia Zannino, a cura di Michela Ghera. «AIB Notizie», 11 (1999), n. 1, p. 12-14.
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Copyright AIB, ultimo aggiornamento 1999-02-12 a cura di Gabriele Mazzitelli