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Itinerari "periodici"

a cura di Elisabetta Poltronieri


La chiave di una più stretta ed effettiva cooperazione tra le biblioteche sembra quella destinata ad aprire le serrature del nuovo millennio e a schiudere così il futuro nella pratica del lavoro di biblioteca. » questa la tesi iniziale argomentata da Pat Oddy, responsabile dell'ufficio Catalogazione della British Library in The case for international co-operation in cataloguing to multilingual subject access – experiences within the British Library pubblicato su «Program», 33 (1999) n. 1, p. 29-39.
L'essenza del nuovo profilo di biblioteca accreditato per il Duemila non sembra derivare in linea retta dai soli prodigi della tecnologia digitale in sé, ma da un vasto complesso di valori culturali e di modelli economici che hanno improntato a partire dagli anni Ottanta il carattere della società europea. L'adesione agli standard del capitalismo d'oltreoceano ha fatto sì che l'intero comparto dei servizi pubblici, comprese le biblioteche, avvertisse fortemente l'impatto che la dinamica delle forze di mercato andava esercitando sul modo di intendere ed applicare i valori professionali. Sensibili al richiamo dei princìpi della cultura di impresa, anche i bibliotecari hanno iniziato a ragionare nei termini ben noti di investimenti nelle risorse, di benefit per l'utenza e di efficienza di gestione. Conseguentemente, questa nuova temperie ha tracciato rotte inedite soprattutto nella coscienza professionale di chi in biblioteca si occupa di catalogazione, una categoria di operatori radicalmente investita dall'offerta globalizzata di record bibliografici che ha spazzato via l'immagine della singola biblioteca quale centro isolato di produzione. La notizia bibliografica, divenuta un bene acquisibile sul mercato, si è tramutata in prodotto disponibile su una piazza che supera i confini nazionali e solletica i budget delle biblioteche offrendosi con facilità e rapidità grazie agli artifici delle più avanzate tecnologie di rete.
Questa diversità di scenario, così marcata rispetto alla tradizione della pratica in house, rappresenta lo spunto per ripensare in termini di flessibilità alle strategie di catalogazione da inaugurare in occasione del prossimo volgere di secolo. La riflessione corre sul filo di un'esperienza autorevole come quella della British Library che in questo articolo dipana le ragioni sia di scelte già intraprese che di obiettivi in programma. Il discorso tocca due poli vitali della cultura professionale dei bibliotecari: il diritto degli utenti a trarre il massimo profitto dalla ricerca sulle fonti informative approntate dalla biblioteca e la responsabilità degli operatori nel rendere effettivo al massimo livello questo diritto legittimo. L'equilibrio ideale tra le due condizioni si realizza adottando una logica di estrema duttilità e non di uniformità anacronistica a prassi istituzionali che intendano evocare continuità e tradizione a tutti i costi. Come noto, la pratica di catalogazione adottata dalla British Library è forgiata sull'applicazione degli standard catalografici comuni ai paesi di lingua inglese: AACR (Anglo American Cataloguing Rules), classificazione Dewey e LCSH (Library of Congress Subject Headings). Tuttavia, sebbene gli strumenti della cultura bibliografica americana si siano rivelati nel tempo dominanti, il Regno Unito mostra di rivendicare percorsi autonomi nell'organizzazione dei percorsi catalografici che diano atto dell'identità nazionale di certe scelte. Nello specifico, a guidare la British Library verso soluzioni paradigmatiche per tutte le realtà bibliotecarie è stata l'evidenza di un divario crescente tra l'incremento delle collezioni e la disponibilità di risorse da destinare alla catalogazione originale, tale da sospingere il proprio staff verso l'impiego della catalogazione derivata, attingendo in tal modo alla produzione esterna di record bibliografici. Questo passo ha determinato un'estensione dei programmi di cooperazione con altre biblioteche ed ha concretizzato al tempo stesso l'unica risposta valida alla globalizzazione del mercato dell'informazione bibliografica, fermo restando che l'impegno nel campo della cooperazione, seppure foriero di opportunità, richiede, di contro, l'assunzione di precisi compiti e responsabilità. Basti pensare che l'importazione di record esterni impone un intervento di armonizzazione con gli standard in uso nel catalogo ospite, indispensabile per mantenere l'integrità e la coerenza della descrizione bibliografica. L'organicità di un catalogo, come più volte ribadito nell'articolo, è attestata dall'organizzazione dei punti di accesso all'informazione che necessitano di un controllo attuato costantemente per mezzo delle liste di autorità.
Se la condivisione delle risorse bibliografiche, resa possibile dall'adozione di standard comuni, gode già di accordi stabiliti con i partner americani che sono i maggiori produttori di record in lingua inglese, si deve lavorare ora per una politica di scambio con i paesi europei di lingua e di cultura catalografica diverse da quella anglosassone. L'obiettivo è la definizione di un set minimo di dati da condensare in un record e la realizzazione di authority file per i nomi e i soggetti che pur continuando a riflettere gli standard di culture distinte, si offrano provvisti di collegamenti che istituiscano equivalenze tra le voci.
La proiezione verso rapporti di cooperazione tra le istituzioni bibliotecarie di vari paesi assume dunque come positivi gli scostamenti da un'adesione acritica ai principi istituzionali della catalogazione, in vista di un accesso più efficace ai contenuti del patrimonio documentario e di una gestione meno dispendiosa dell'accesso all'informazione. é quindi preferibile per una biblioteca assicurarsi la totale copertura in catalogo delle proprie collezioni attraverso una sia pur breve descrizione standard, compatibile per lo scambio con fonti esterne, piuttosto che vantare una tecnica catalografica approfondita, ma affidata a pochi record che non diano atto dell'estensione delle raccolte. Con questa chiave di lettura in pugno non sembra difficile concordare con la nota conclusiva di Pat Oddy: «the great task of cataloguers is not just to allow access to the medium, but to the message – we are concerned with the content, and not just the carrier».


Itinerari "periodici", a cura di Elisabetta Poltronieri. «AIB Notizie», 11 (1999), n. 4, p. 20.
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