[AIB]AIB Notizie 9/2000
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Linee guida del Consiglio d'Europa e di Eblida sulla legislazione bibliotecaria in Europa

Intervista a Giuseppe Vitiello

D.: Le Linee guida del Consiglio d'Europa e di EBLIDA sono state adottate nel gennaio 2000 dal Consiglio della cooperazione culturale. Può raccontare la loro genesi?
R.:
Fin da quando, nel 1994, sono stato incaricato di dirigere il progetto sul libro e gli archivi al Consiglio d'Europa, il tema della legislazione bibliotecaria mi è sembrato un discorso portante su cui articolare la domanda puntuale della professione e delle autorità di governo, da un lato, e il rilancio delle biblioteche nella società dell'intelligenza, dall'altro. All'epoca, le preoccupazioni del Consiglio d'Europa erano quasi esclusivamente rivolte ai paesi dell'Europa centro-orientale e alla necessità di riformare le loro regolamentazioni sul libro. Ci rendemmo ben presto conto che la complessità del discorso politico sull'informazione richiedeva ben altre risposte e che gli strumenti nazionali e internazionali a disposizione erano inadeguati. La rivoluzione tecnologica, le esigenze della società civile, la convergenza dei media, infatti, presupponevano un intervento del politico a più ampio raggio, che prevedesse una più sicura partecipazione dei cittadini alle scelte strategiche, un allargamento del mandato attribuito all'infrastruttura informativa, una capacità di influenzare le decisioni economiche e sociali nell'era della globalizzazione dei mercati, per non parlare dei problemi di libertà di espressione e di diritto d'autore posti dalla società dell'informazione. Insomma, uno strumento più ampio, più coraggioso, più efficace. Il Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche del 1994 sembrava già superato dagli avvenimenti, come dimostrava l'attenzione crescente per le politiche bibliotecarie di altre istituzioni internazionali, quali la Commissione europea e il Parlamento europeo. Era il momento giusto per cominciare una riflessione originale sull'argomento sfociata tre anni più tardi nella redazione delle Linee guida.

D: Come si posizionano le Linee guida sulla scena internazionale e nazionale; qual è la situazione in Italia?
R.:
Le Linee guida sono divise in quattro sezioni: a) Libertà di espressione e accesso libero all'informazione; b) Le biblioteche nell'ambito delle politiche nazionali sul libro e l'informazione; c) Le biblioteche e le industrie della conoscenza; d) La protezione del patrimonio bibliotecario. Molti sono i padri e le madri spirituali delle Linee guida: il Manifesto Unesco, naturalmente, e i lavori di Eblida sul diritto d'autore, ma anche le ricerche sull'accesso libero all'informazione, notevolmente avanzate all'Università di Loughborough e in seno al FAIFE (Freedom of Access to Information and Freedom of Expression), un comitato dell'IFLA. Inoltre, ci siamo avvalsi delle esperienze delle biblioteche pubbliche e nazionali scandinave in relazione alla circolazione dell'informazione, agli standard e alle leggi sul deposito legale delle pubblicazioni elettroniche, nonché dei lavori del Ministero della cultura francese sulla legislazione relativa al patrimonio culturale.
Mi preme sottolineare che la situazione dell'Italia, almeno dal punto di vista dell'elaborazione teorica, non è affatto così arretrata come si potrebbe immaginare. Il contributo dell'Italia si è manifestato in particolare nell'articolazione delle funzioni deputate allo Stato e quelle assegnate agli enti locali. Ci siamo serviti degli eccellenti lavori del professor Traniello, peraltro regolarmente invitato alle riunioni del Consiglio d'Europa, e del progetto di legislazione quadro promossa dall'AIB, una delle realizzazioni europee più illuminate sull'argomento. Ritengo che il tema del modello decentrato o federale della democrazia culturale sia oggi sulla cresta dell'onda in Europa e che interessi non solo paesi come l'Austria e la Germania, peraltro privi di legislazione bibliotecaria, ma anche il Regno Unito, la Spagna, il Portogallo, la Francia, dove il processo di decentramento culturale è appena abbozzato o bisognoso di riaggiustamento. Va detto però che, se in Italia la riflessione teorica può considerarsi matura, le ipotesi comuni lasciano a desiderare, stante la perdurante e irrisolta tensione istituzionale.

D: Capitolo I delle Linee guida: libertà di espressione e accesso libero all'informazione. Qual è l'interpretazione prevalente che viene data di questi temi?
R.:
Per le biblioteche europee, gli anni Novanta sono stati contrassegnati da polemiche sulla libertà di espressione che sembravano avere accenti ottocenteschi, tanto più che esse infuriavano in paesi a democrazia consolidata, come la Francia e gli Stati Uniti. In Francia, l'autonomia della professione bibliotecaria è stata gravemente rimessa in discussione dagli interventi del potere politico in alcune città sotto il controllo del Front national, un partito di estrema destra. Negli Stati Uniti il dibattito sul controllo di Internet ha visto in prima fila l'ALA (American Library Association), mobilitata nella difesa della libertà d'accesso alle reti contro l'amministrazione Clinton. Oggi il problema francese si è sgonfiato nella misura in cui il Front national è in stato comatoso, diviso da scissioni interne, eppure le stesse polemiche potrebbero risorgere altrove, in Danimarca, Austria, Germania e nella stessa Italia, ovunque insomma si segnali la crescita di movimenti nazionalisti e xenofobi. Le Linee guida hanno voluto fissare le frontiere del dibattito e porre dei paletti alla discussione, fissando pragmaticamente le regole pratiche dello sviluppo delle collezioni bibliotecarie e delle eventuali limitazioni all'accesso ad Internet. Va sottolineato che ci troviamo su un terreno estremamente scivoloso, dove le sensibilità personali fanno fatica a trasformarsi in regole collettive e dove un interventismo troppo spinto, anche se illuminato, da parte dello Stato, degli enti locali e della stessa professione, potrebbe facilmente indurre a prevaricazioni. Io spero che le Linee guida abbiano saputo trovare il necessario equilibrio fra opinioni individuali e interesse collettivo.
Altro punto delicato è la pratica del diritto d'autore in biblioteca. Le varie tesi che sono state avanzate trovano discordi non solo produttori e utenti, ma gli stessi bibliotecari. Mi permetta di raccontare una storia non ancora pubblicamente nota. Una volta ultimata l'elaborazione delle Linee guida, ci siamo rivolti sia all'IFLA che a Eblida, chiedendo di associare il loro nome a quello del Consiglio d'Europa. Mentre Eblida ha immediatamente convocato il suo consiglio d'amministrazione e appoggiato la nostra richiesta, l'IFLA è stata molto più cauta e ci ha indirizzato un buon numero di obiezioni, in particolare sui punti riguardanti l'accesso gratuito a un nucleo di servizi "di base". La preoccupazione dell'IFLA, perfettamente comprensibile, è che in paesi in via di sviluppo dove i servizi di base sono già molto limitati, le raccomandazioni fornite nel Consiglio d'Europa avrebbero avuto come conseguenza un'ulteriore riduzione dei servizi gratuiti. Per quanto intense e animate dalla migliore volontà, le trattative fra il Consiglio d'Europa e l'IFLA non sono sfociate nell'accordo sperato.

D.: Ora che le Linee guida sono stati approvate, che cosa accadrà?
R.:
La sua domanda ne contiene implicitamente altre due: che cosa possono fare il Consiglio d'Europa ed Eblida e che cosa possono fare le comunità nazionali di bibliotecari. Per quanto ci riguarda, il nostro compito, in collaborazione con Eblida, è quello di dare vasta diffusione alle Linee guida, la cui importanza non è certamente passata inosservata ai Governi. A nemmeno un anno dalla loro approvazione, le Linee guida sono state tradotte in una decina di lingue europee, compreso l'italiano (la traduzione è stata curata dalla Regione Emilia-Romagna) e sono state presentate in numerosi paesi dell'Europa occidentale e orientale. Vorrei almeno ricordare la Conferenza di Monaco organizzata dal Goethe-Institut nell'aprile del 1999, rivolta in particolare alla legislazione bibliotecaria nei paesi aventi struttura federale, e il Seminario organizzato congiuntamente dalla Biblioteca del Centro Pompidou e dall'Associazione dei bibliotecari austriaci due mesi più tardi, nel giugno del 1999. Inoltre, varie riviste professionali, come l'americana «The international information and library review» e il «Bulletin des bibliothèques de France» hanno dedicato ampio spazio all'argomento, mentre le Linee guida sono state, per così dire, adottate dalla Soros Foundation, che le utilizza per ispirare la riforma delle legislazioni bibliotecarie nei paesi dell'ex Unione Sovietica, in Europa e Asia centrale. Va detto che le Linee non sono vincolanti per i Governi e dunque hanno un'autorità esclusivamente morale e professionale.
Molto è rimesso, perciò, alla capacità d'azione dei bibliotecari e delle loro associazioni professionali, che possono utilizzare questo strumento nelle trattative con le autorità nazionali e locali, per incitarle a creare nuove legislazioni o ad aggiornarle, mettendole al passo con l'innovazione tecnologica, con la pressione della società civile e con la trasparenza ed efficacia oggi richieste nell'accesso all'informazione. Oltre che con i ministeri e le autorità pubbliche che operano in area bibliotecaria, le Linee guida vanno usate per accrescere il livello di influenza della professione in seno agli organismi istituzionali e e alle commissioni parlamentari che si occupano, ad esempio, delle politiche della telecomunicazione, del diritto d'autore, della promozione della società dell'informazione, della politica economica e fiscale, della funzione pubblica, dell'accesso alle informazioni ufficiali. Ciò è tanto più vero in Italia, dove il funzionamento dei sistemi di biblioteca, che è innanzitutto di competenza locale, può essere gravemente compromesso da decisioni prese a livello nazionale, ad esempio, sulle politiche delle telecomunicazioni o sul commercio elettronico.
Infine, le Linee guida possono essere applicate anche in aree non bibliotecarie della cultura e dell'informazione. é mia profonda convinzione, infatti, che le biblioteche, in virtù dei grossi investimenti in ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione effettuati negli anni Settanta e Ottanta, abbiano acquisito attrezzature e competenze nella diffusione elettronica dell'informazione, che le pongono in netto vantaggio rispetto ad altri settori culturali non commerciali (archivi, musei) e commerciali (editori, ad esempio). Tali competenze riguardano gli standard, le decisioni strategiche, la cooperazione in rete, le questioni relative al diritto d'autore, la formazione del personale, le capacità di adattamento della struttura organizzativa a un ambiente esterno in perenne transizione. Le Linee guida, se messe efficacemente in pratica, possono dare dunque una spettacolare visibilità al mondo delle biblioteche nel contesto più ampio delle professioni della cultura e dell'informazione.

D.: Lei ha toccato un punto di grande attualità: l'integrazione delle risorse culturali in rete fra archivi, musei e biblioteche. A che punto siamo in Europa? Quali sono le prospettive?
R.:
Le Linee guida si limitano ad auspicare tale integrazione ed è probabile che il lavoro futuro del Consiglio d'Europa si orienterà appunto in tale direzione. Attualmente, c'è un gran parlare di integrazione in rete, ma le esperienze concrete sono poche. In Europa, commissioni miste che raggruppano esponenti del mondo degli archivi, delle biblioteche e dei musei sono state promosse, a mia conoscenza, nei paesi scandinavi e in Gran Bretagna. Queste commissioni hanno innanzitutto cercato dei terreni comuni di intervento. Esperti provenienti dai vari settori dell'informazione di carattere culturale si incontrano regolarmente e partecipano alle grandi assemblee settoriali. Va detto però che il loro lavoro suscita il sospetto delle professioni interessate, che vi vedono un tentativo nascosto da parte delle autorità governative di ridurre le risorse globali per la cultura. Ritengo tale punto di vista estremamente riduttivo, perché occulta le grandi opportunità per il settore culturale che derivano dall'allargamento della diffusione in rete delle risorse integrate attraverso portali culturali tematici o geografici. La realizzazione dei portali culturali, che sembrerebbe il risultato naturale dei lavori delle commissioni miste, va a rilento e non mi sembrano esserci realizzazioni di rilievo. In alcuni paesi, come ad esempio la Gran Bretagna, la reazione corporativa di alcune delle professioni culturali ha addirittura ostacolato il lavoro delle Commissioni miste. Sarò forse un po' severo nel mio giudizio, ma non ho l'impressione che, nei paesi dove già esistono organismi istituzionali di integrazione delle risorse, i progressi siano rivoluzionari e valga la pena rendere conto. Negli altri paesi europei siamo allo stadio del sussurro istituzionale. Comunque, in questo campo la situazione evolve rapidamente e nel momento stesso in cui questo articolo va in stampa, annunci sensazionali potrebbero decisamente mutare questa impressione.

D.: Cooperazione fra settore pubblico e privato: ecco un tema "sempreverde", dove però gli argomenti tecnici si mescolano alle ideologie. Qual è l'opinione del Consiglio d'Europa?
R.:
Per avere opinioni, occorrerebbero fatti, che al momento mi sembrano occasionali o poco significativi. Lei ricorderà forse i rapporti della Commissione europea dei primi anni Novanta in cui veniva conclamato, con gradi rulli di tamburo, l'avvenire radioso dell'editoria elettronica. Le previsioni vedevano per il Duemila un giro d'affari stimabile intorno al 5% del mercato globale editoriale, con picchi del 30% nel campo dell'editoria elettronica scientifica. All'alba del nuovo Millennio siamo non solo molto al di sotto di queste cifre, ma ogni tentativo di sviluppo del settore è frenato dai sospetti reciproci di consumatori e produttori. Le giustificazioni che vengono date di tale ristagno sono molte: il mancato rispetto del copyright nella società dell'informazione, sostengono gli editori, le difficoltà di effettuare transazioni elettroniche a pagamento, affermano gli analisti, l'incapacità di azzeccare le giuste strategie di-stributive e la mancanza di standard universali, rincarano gli esperti, gli insaziabili appetiti delle industrie del copyright, ribattono i consumatori. A mio avviso, molti degli attori che operano nell'ambito dell'editoria elettronica rimangono prigionieri di una visione legata al medium tradizionale e fanno fatica ad assumere i nuovi modelli e le strategie di distribuzione dell'informazione, che devono essere fondate su partnership fra settore pubblico e privato. Il risultato è una schizofrenia sia dei produttori che degli utenti, che induce a maneggiare il futuro dell'informazione, che corre come una Ferrari, con le competenze e i comportamenti adatti alla guida di un'utilitaria.

D.: Potrebbe spiegarsi meglio?
R.:
Certamente. Ad esempio, i produttori dovrebbero cessare di vendere l'informazione a prezzi simili a quelli del supporto cartaceo quando è universalmente noto che l'informazione elettronica costa come minimo il 60% in meno, per non parlare del risparmio non dichiarato per la mancanza di scorte di magazzino. Nessun recupero degli investimenti può giustificare politiche tariffarie tanto sbalestrate, per di più con clausole contrattuali così intricate che, al confronto, il modulo del 740 sembra essere di una trasparenza pressoché cristallina. Un simile atteggiamento può solo raffreddare lo sviluppo del settore, complicare le relazioni con i consumatori e favorire l'ingresso di nuovi attori con idee più chiare.
Ad esempio, i bibliotecari dovrebbero rivedere la teoria del circuito non commerciale separato da quello commerciale, dove le regole dell'interesse pubblico si applicano quasi costantemente a danno dei produttori. Le differenze fra settore commerciale e non commerciale dovrebbero essere legate a standard di prestazioni e all'esistenza di prodotti e servizi a valore aggiunto, piuttosto che all'esistenza garantita di circuiti differenziati. Ma perché mai dovrebbe il settore privato collaborare con quello pubblico, se il mercato che questo suscita penalizza fortemente i produttori?
Ad esempio, le pratiche di recupero del diritto d'autore dovrebbero cessare di essere collegate alla giusta esigenza culturale di mantenimento dell'integrità dell'opera. Copyright e integrità dell'opera sono due problemi differenti e mettere in circolazione del contenuto su Internet non è la stessa cosa che produrre un libro o una rivista. I pagamenti vanno eseguiti su compensi forfettari e dovrebbero essere i produttori stessi o i distributori a individuare le regole eque di redistribuzione dei proventi da destinare agli autori e agli editori.
Ad esempio, il settore pubblico dovrebbe uscire da un atteggiamento di attesa e intervenire con una politica adeguata di sostegno dell'editoria elettronica: a forza di vedere l'erba crescere senza irrigarla, l'unico ragionevole risultato è quello della desertificazione culturale. L'esempio della telefonia mostra quali possono essere le strategie di intervento sulla rete; nelle telecomunicazioni il classico dibattito sul monopolio del gestore pubblico per garantire il servizio universale è stato completamente superato dal dinamismo dell'iniziativa privata e dalla gamma di servizi avanzati a condizioni sempre più vantaggiose.Insomma il settore del libro ha bisogno di liberarsi del fardello delle mentalità del passato se vuole valorizzare le sue competenze e il suo sapere tradizionale. La soluzione è nell'individuazione di nuovi modelli di informazione con partnerships fra settore pubblico e privato volte alla costruzione di depositi elettronici e di portali comuni, prima che i service providers abbiano la meglio sui produttori di contenuto, che le agenzie di informazione specializzate si avvantaggino dell'inerzia del settore pubblico bibliotecario e che le autorità per la comunicazione facciano la politica dell'informazione al posto delle direzioni del libro e della lettura.


Linee guida del Consiglio d'Europa e di Eblida sulla legislazione bibliotecaria in Europa. Intervista a Giuseppe Vitiello. «AIB Notizie», 12 (2000), n. 9, p. 2-5.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2000-11-12 a cura di Gabriele Mazzitelli
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