"Biblioteche e mafia". Cosa spinge un collega, nel messaggio alla lista di discussione inviato ai bibliotecari italiani, a utilizzare questo inquietante
subject, che suona come un vero e proprio ossimoro? Cosa mette in relazione quelle che sono le istituzioni destinate alla crescita culturale e sociale di un paese con un fenomeno che quella crescita mette inesorabilmente in discussione?
Il messaggio prende spunto da una nota trasmissione televisiva, nella quale viene raccontata la storia di una donna, moglie del capo mafia di una piccola città siciliana, e arrestata lei stessa per associazione mafiosa, che, a seguito della scarcerazione, è stata reintegrata nell'organico del comune dove lavorava, venendo però trasferita dall'ufficio dove prestava servizio alla biblioteca. L'autore del messaggio esprime la propria indignazione all'idea che chi lavora in biblioteca, per antonomasia luogo della cultura, della democrazia e della libertà, possa essere in alcun modo coinvolto con la mafia che di quei valori rappresenta l'antitesi. Non si intende qui mettere in discussione i diritti al reintegro nel posto di lavoro, né si esprimono giudizi personali sulla moralità di alcuno, ma si sottolinea l'inopportunità di un trasferimento in biblioteca che appare in linea con una prassi piuttosto consolidata, per la quale si considera la biblioteca non già una preziosa risorsa ma un luogo defilato dove eventualmente collocare persone "difficili" o che comunque danno problemi se collocati altrove. A questo proposito un altro messaggio ricorda il caso comparso nelle cronache di qualche tempo fa in cui un medico, sospettato di essere un killer, «dopo perizia psichiatrica, a causa del suo carattere violento, viene relegato (
sic! ) presso la biblioteca dell'ospedale».
Altri messaggi tuttavia sottolineano come nelle nostre biblioteche siano anche frequenti i casi di persone approdate in biblioteca del tutto casualmente e magari prive di una "vocazione irrinunciabile" ma che poi, attraverso l'impegno personale e una formazione spesso perseguita a proprie spese, danno un contributo importante all'istituzione nella quale lavorano.
Un messaggio di un bibliotecario siciliano invita a fare attenzione ai luoghi comuni per non penalizzare (ulteriormente) chi al sud, e particolarmente in Sicilia, lavora e opera con impegno, in situazioni spesso disagiate. Il messaggio ricorda l'intervento di Franco La Rocca durante la Conferenza nazionale dell'AIB tenuta a Roma nel 1988 (poi pubblicato sul «Bollettino AIB», 1/1989) che, a proposito delle leggi regionali di settore diceva: «L'informazione è potere e in una situazione, qual è quella delle regioni meridionali, in cui gli intrecci fra una certa gestione della cosa pubblica, la mancata crescita civile ed economica del territorio e la delinquenza organizzata sono inscindibili, c'è evidentemente la necessità di avere popolazioni acquiescenti, poco informate, incapaci di dare giudizi e di cercare cambiamenti. Tutto questo deve finire». È evidente come la cultura omertosa della mafia sia in contrapposizione con il diritto a leggere e a informarsi, ma oltre a gridare il proprio sdegno occorre puntare su di un'efficace campagna per la crescita e lo sviluppo delle biblioteche pubbliche soprattutto nelle regioni più deboli e con maggiori problemi.
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L'archivio storico di tutti i contributi inviati in AIB-CUR è consultabile, da parte degli iscritti alla lista, a partire dall'indirizzo
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PONZANI, Vittorio.
Multiple names e diritto d'autore: i casi di Luther Blissett e Wu Ming. «AIB Notizie», 14 (2002), n. 6, p. 6.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2002-06-25 a cura di Franco Nasella
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