[AIB]AIB Notizie 3/2003
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Dibattito sulla formazione: incontro con Lucia Maffei

a cura di Vittorio Ponzani

La formazione dei documentalisti e dei professionisti dell'informazione è resa particolarmente complessa dalla varietà di competenze richieste a queste figure professionali. Ma quali sono queste competenze che un giovane deve sviluppare per intraprendere la professione del documentalista? Quali sono le specifiche differenze tra un bibliotecario e un documentalista?

Un tempo avrei potuto rispondere che un bibliotecario non può esercitare il suo lavoro senza una biblioteca e i suoi contenuti e servizi, mentre un documentalista, trattando l'informazione più che i documenti, può esercitare il suo mestiere in ambiti molto diversificati: mentre il primo privilegia, in buona sostanza, il trattamento dei supporti e la predisposizione degli strumenti, il secondo tratta maggiormente della gestione, della validazione, della diffusione dell'informazione, in genere per un pubblico determinato, quando non addirittura in risposta ad una singola richiesta. Ancora, e in estrema sintesi, mentre il bibliotecario tende a trattare il documento in modo univoco e costante, il documentalista ne sottopone il trattamento informativo alle esigenze dei singoli progetti. Oggi direi, invece, che ci sono larghe convergenze, specialmente in settori di specializzazione e di ricerca. Quindi non sembra opportuno continuare a distinguere le professioni "verticalmente" (bibliotecari, documentalisti, archivisti ecc.) ma, piuttosto, "orizzontalmente", secondo il grado di competenze e specializzazione richiesto. I tre classici profili professionali si stanno sempre più spesso intersecando e necessitano tutti quanti, comunque, di essere arricchiti da discipline derivanti dalle scienze umani sociali (diritto, discipline aziendali, sociologia, scienze della comunicazione, scienze statistiche), ma anche dall'informatica, e non solo... Esiste poi un livello diversificato di competenze all'interno della professione, derivante da una matrice che tiene conto del contesto in cui si opera e della tipologia di attività specifica. Operare nel contesto di una biblioteca di conservazione o in un centro di documentazione aziendale richiede competenze e attitudini diverse. Svolgere, all'interno di queste strutture, attività di creazione di un database piuttosto che elaborare dossier informativi per i decision makers dell'azienda, introduce un'altra variabile. L'ultima variabile viene introdotta dalla complessità delle funzioni da svolgere. Più sale la responsabilità, più le competenze diventano meno di natura tecnica e maggiormente di carattere gestionale e relazionale. In sintesi, un direttore di una biblioteca o di un centro di documentazione o di un archivio deve possedere competenze di tipo manageriale, oltre che tecnico-specialistico. Proprio nel numero di questo marzo, «AIDAlampi» (http://www.aidainformazioni.it/lampi/) dà conto di inchieste spagnole e francesi sulla professione, i cui esiti mostrano, a mio avviso, tutta la dinamicità di queste professioni, insieme con nuove definizioni professionali strettamente legate ai vari ambiti di lavoro e di ricerca.

In AIB-CUR si è sviluppato un interessante dibattito sulla formazione, e una delle esigenze che si sono manifestate è stata quella di potenziare, a fianco delle materie più tradizionalmente legate alla professione bibliotecaria (biblioteconomia, bibliologia, bibliografia ecc.) anche quelle materie più legate alla documentazione (reference, management dei flussi informativi, knowledge management, business information). Quali sono secondo Lei le analogie e quali le differenze tra i curricula formativi dei bibliotecari e quelli dei documentalisti e professionisti dell'informazione?

Sulla base di quanto detto sopra, anche il discorso sulla formazione assume un carattere diverso. Purtroppo, per una serie di debolezze storiche del ruolo sociale delle professioni legate al trattamento dell'informazione in Italia, spesso è bibliotecario chiunque e a qualunque titolo lavori in biblioteca; documentalista è una parola spesso sconosciuta, tanto che necessita di essere esplicitata nei suoi significati ogni volta che si pronuncia, e archivista identifica chi conserva in ordine vecchi documenti.
Per nessuna di queste professioni esiste un titolo di studio di qualsiasi livello, vincolante per l'esercizio della funzione. Questo è a tutt'oggi un dato da cui partire. Di fatto, in queste professioni si vive già una situazione di assenza del valore legale del titolo di studio. Chiunque può esercitarle a diversi livelli, purché in possesso di un diploma di laurea e previo il superamento di un concorso o selezione.
Questa situazione ha condizionato anche il dibattito su AIB-CUR, dove infatti si sono intrecciati i temi della qualificazione e dell'aggiornamento del personale in servizio con quelli della formazione dei giovani. Teoricamente, i due piani dovrebbero essere distinti, anche se in pratica gli intrecci permangono, per la necessità di un aggiornamento continuo nel tempo. Intanto, direi che una formazione di livello universitario è ormai imprescindibile per chiunque operi in questo settore. All'interno di questa dovrebbero essere presenti soprattutto discipline di carattere metodologico, quelle che danno i valori culturali fondanti e gli strumenti di lavoro indispensabili di un ventaglio di professioni, per poi articolarsi in una specializzazione successiva. Una formazione post laurea potrebbe fornire ulteriori strumenti professionalizzanti per i dirigenti o per chi volesse indirizzarsi su settori particolari di intervento (dal subject librarian al knowledge worker, allo specialista del restauro, per fare degli esempi). &Ègrave; indispensabile poi legare la formazione teorica con stage in luoghi di lavoro.

Sono adeguate le risponte dell'università italiana a queste esigenze?

Credo che il settore risenta sicuramente delle difficoltà applicative della riforma degli ordinamenti didattici che si sono riscontrate in tutti corsi di laurea. Il conflitto fra chi riteneva opportuno dare alla laurea triennale un carattere di prevalente formazione metodologica, sfumandone le caratteristiche troppo professionalizzanti, e chi puntava invece a produrre nei primi tre anni professionisti di livello intermedio, ha attraversato tutta la comunità accademica.
Inoltre, l'inserimento di questi corsi nell'area umanistica non aiuta a farli uscire da una dimensione dove prevale l'insieme delle discipline storiche, letterarie, biblioteconomiche classiche, a scapito di innesti da altri settori. Se, comunque, si puntasse a utilizzare il triennio per dare una formazione di base per esercitare la professione ad un livello intermedio, se si affidasse alla laurea specialistica il compito di formare le diverse figure speciali (standard catalografici, redazione di tesauri, servizi di reference, conservazione del patrimonio, gestione della conoscenza ecc.) e, infine, ai master quella funzione di professionalizzazione di livelli manageriali o specialistici nei vari domini, forse si potrebbe dare qualche risposta incoraggiante.

L'AIDA, di cui Lei è presidente, ha spesso manifestato un'attenzione particolare al tema della formazione dei professionisti dell'informazione: quali sono le attività più importanti in questa direzione?

AIDA sta lavorando da tempo sul tema delle competenze delle nuove professionalità. Ha costruito su questi temi momenti di confronto, come il 6. Convegno nazionale che si svolse a Napoli nel 2000, ha partecipato a livello europeo alla costruzione dell'Euroguida alle professioni dell'informazione e della documentazione, sta attualmente lavorando sul tema correlato della certificazione (Sessione italiana dell'Online Information Meeting 2002 e Seminario del 27 marzo 2003 a Roma). Crediamo infatti che le associazioni professionali possano giocare un ruolo centrale nella certificazione. Forse se questo obiettivo fosse già stato raggiunto, il loro parere avrebbe potuto contare qualcosa anche nel disegnare i curricula universitari della riforma.
Parallelamente, l'AIDA stessa propone occasioni di aggiornamento professionale. Abbiamo scelto la strada di costruire le nostre offerte partendo dalle richieste espresse dai nostri soci e riscontriamo, attraverso le risposte ai questionari distribuiti (e anche online sul nostro sito), che le richieste che ci provengono sono del medesimo tipo di quelle espresse nello studio citato su AIB-CUR commissionato da OCLC.

Qual è il rapporto tra formazione universitaria di base e l'aggiornamento delle conoscenze attraverso la formazione permanente?

Il tema della formazione e aggiornamento del personale in servizio apre un ventaglio di problemi, primo fra tutti quello della precarizzazione progressiva del personale delle pubbliche amministrazioni. &Ègrave; un fenomeno in progressione spaventosa, che mortifica chi lavora e impoverisce il know how complessivo. Non solo, ma è in aperta contraddizione con i ragionamenti sulla formazione e il necessario possesso di competenze. Inoltre, rischia di rendere vano nel tempo un risultato raggiunto negli ultimi contratti di lavoro, cioè il riconoscimento della formazione ai fini delle progressioni orizzontale e verticale per il personale strutturato. Questo risultato positivo pone però ugualmente degli interrogativi, in relazione al rischio di una formazione troppo legata a soddisfare solo esigenze contrattuali, senza che nessun controllo sulla sua qualità e sulle ricadute effettive sull'innovazione dei processi. Trovare il punto di equilibrio tra l'equità delle opportunità formative e l'efficacia della formazione è una sfida che proprio i dirigenti delle strutture bibliotecarie dovrebbero affrontare. L'università, d'altro canto, potrebbe avere un ruolo su questo versante. Gli atenei si stanno mobilitando per rispondere alle richieste di aggiornamento continuo che vengono dal mondo produttivo. Saprà attrezzarsi con qualità e tempismo per essere individuata anche come fonte primaria di erogazione di aggiornamento professionale? Non è cosa da poco: significa non solo ricavare nuovi spazi di intervento dell'alta formazione pubblica ma anche, in un ritorno proficuo, la capacità di rinnovarsi e rinnovare quindi anche i corsi per gli studenti. Sarebbe inoltre forse un'occasione per ricucire la distanza che talvolta sembra esistere fra l'accademia e le professioni.

Se dovesse dare un consiglio a un giovane che vuole intraprendere la professione di documentalista, quali suggerimenti gli darebbe rispetto alla formazione e all'inserimento nel mondo del lavoro?

Prima di tutto, di internazionalizzare la sua formazione, cogliendo tutte le occasioni per confrontare la sua esperienza e la sua preparazione con quanto viene fatto all'estero. Questo è possibile ormai farlo non solo spostandosi, ma anche utilizzando le tecnologie quali l'e-learning. Inoltre, pensare al suo futuro lavorativo anche, se non soprattutto, fuori dai luoghi deputati. D'altra parte, condivido la convinzione di Emilia Ferraris, una delle socie fondatrici dell'AIDA: «Una caratteristica della professione del documentalista, soprattutto per coloro che hanno affrontato e affrontano l'attività non legati alle tradizionali origini bibliotecarie, è quella di essere una professione di partenza e/o lancio verso altre professioni». L'esperienza conferma quest'affermazione.

maffei@unisi.it

Dibattito sulla formazione: incontro con Lucia Maffei, a cura di Vittorio Ponzani. «AIB Notizie», 15 (2003), n. 3, p. 13-14.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2003-04-11 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-03maffei.htm

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