[AIB]AIB Notizie 6/2003
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Note a margine del convegno "Lavorare in biblioteca:
tra specificità dei servizi e atipicità degli operatori"

Marisol Occioni

Analisi di genere sulla componente femminile all'interno del lavoro atipico.
Sempre maggiore è la presenza delle donne nel lavoro a termine: le problematiche.

Merito del convegno di Anagni è stato l'aver affrontato, in ambito qualificato, il tema del lavoro atipico in biblioteca, inteso nel più ampio significato del termine, comprendendo nella definizione di "atipicità degli operatori" coloro che sono soggetti a contratto a termine: la collaborazione coordinata e continuativa, il volontariato, gli obiettori, i lavoratori socialmente utili, le assunzioni a tempo determinato, il lavoro interinale, gli stage (solo per citarne i principali), ossia tutte le forme di lavoro che non presentano le caratteristiche proprie della prestazione subordinata continuativa.
Va subito precisato che il contratto a tempo determinato offre, a chi è assunto, le stesse garanzie di quello a tempo indeterminato con la sola differenza della durata.
La diffusione delle forme di lavoro atipico (poiché si tratta di varie tipologie contrattuali) si inserisce all'interno di un ampio processo di trasformazione della società, in risposta all'esigenza delle organizzazioni di ricorrere a manodopera per un tempo definito, evitando di incorrere, nella loro ricerca di personale, nei vincoli e negli oneri derivanti dal contratto a tempo indeterminato. Nel caso poi della pubblica amministrazione, il blocco delle assunzioni e il controllo sulla spesa per il personale decretato dalle ultime due finanziarie hanno di fatto dirottato i nuovi ingressi di personale verso forme ritenute più duttili: il tempo determinato e il lavoro atipico.
Il lavoro "flessibile" viene incontro quindi alle esigenze delle amministrazioni così come a quelle di determinate categorie di persone che diversamente non avrebbero, per scelta o per necessità, prospettive di entrare nel mercato del lavoro a tempo indeterminato. Il problema evidenziato durante il convegno, anche sulla base delle testimonianze delle parti direttamente interessate, è che il lavoro atipico (in misura maggiore o minore rispetto alla tipologia contrattuale interessata) è giudicato positivamente a patto che vi si ricorra solo nel caso di progetti specifici, sottintenda un percorso formativo e recepisca quegli ammortizzatori sociali presenti per il tempo indeterminato.
Si è riscontrato infatti che queste tipologie contrattuali non contemplano coperture pensionistiche adeguate (a fronte di posizioni assicurative spesso differenti dovute a carriere lavorative discontinue), presentano difficoltà di ricongiunzione, riscatto e riconoscimento dei periodi assicurativi (come denunciato dall'Inpdap), sono carenti di percorsi formativi e di sostegni concreti alla maternità. La legge 53/2000 (sui congedi parentali) che incentiva la flessibilità "amichevole" nei confronti di chi ha responsabilità familiari, riguarda, ad esempio, solo il lavoro dipendente, escludendo altre tipologie non standardizzate.
È quindi importante che vi sia vigilanza anche nella pubblica amministrazione, da parte della dirigenza e degli organi istituzionali (penso agli organismi di parità) come pure delle organizzazioni sindacali, affinché non si creino situazioni anomale rispetto a quanto previsto dalle normative, si favorisca l'inserimento dei lavoratori "flessibili" all'interno di progetti formativi (così come avviene, se avviene, per il resto del personale) e si crei una cultura di pari opportunità aziendale.
"Pari opportunità" poiché l'ulteriore spunto di riflessione che qui si intende proporre, a margine di quanto già evidenziato ad Anagni, è l'analisi dell'atipico visto sotto un'ottica di genere: la componente femminile oltre a non godere dei benefici contrattuali della collega assunta a tempo indeterminato, viene discriminata ulteriormente, in quanto donna, rispetto al proprio collega, atipico come lei.
Le donne sono infatti le grandi protagoniste del lavoro flessibile, poiché portatrici di istanze non solo legate alla ricerca di un'occupazione, ma anche di necessità legate alla famiglia.

La conciliazione dei tempi tra lavoro e esigenze personali: donne e flessibilità
Numerosi sono gli studi che affrontano il tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle donne in relazione con lo sviluppo dell'occupazione femminile: far combaciare responsabilità familiari e lavorative è difficile non solo perché le donne sono soggette ad orari poco "amichevoli", ma anche perché condizionate dall'assenza di servizi pubblici adeguati.
Il lavoro familiare infatti influisce e riduce il tempo a disposizione di quello stipendiato, quindi le donne risultano, rispetto agli uomini, meno propositive e disponibili (quanto ad orari, propensione alla mobilità, ecc.) nei confronti del mercato. Per non parlare poi di quanto possano apparire inaffidabili se in età fertile.
Ciò nonostante è costantemente in crescita l'occupazione femminile in Italia, anche se la presenza delle donne resta comunque lontana dalle medie europee e si concentra nelle fasce medio-basse di reddito, a fronte di un elevato tasso di scolarizzazione rispetto alla componente maschile.
In passato la donna iniziava a lavorare presto, aveva minori aspirazioni, minor livello di istruzione e l'impiego era visto come una fase transitoria fino al raggiungimento degli obiettivi dichiaratamente per lei più importanti: il matrimonio e la prole. Ora i modelli di riferimento sono variati, come pure gli obiettivi: si entra più tardi nel mercato del lavoro, con un bagaglio culturale maggiore, con aspirazioni decisamente più ambiziose e con l'intenzione di non uscirne a breve.
Un ulteriore elemento su cui riflettere è il far coincidere, da parte della donna, l'identità personale con quella lavorativa: il lavoro diventa un aspetto fondamentale di emancipazione e riscatto, come testimoniato anche nel corso del convegno dalla lavoratrice atipica che riferiva del disagio con cui viveva la difficoltà di presentarsi agli altri in quanto non configurabile con una occupazione definita.
Il mercato del lavoro a termine femminile attualmente si presenta caratterizzato da:
- difficoltà di ingresso;
- problemi di ricollocazione dovuti all'età;
- uscita precoce nell'età centrale;
- uso considerevole del part-time, ma solo in determinate fasce d'età;
- rilevante presenza nel mercato del lavoro sommerso;
- differenze retributive;
- tassi di occupazione differenziati a seconda delle aree del paese.
Se si aggiungono inoltre il progressivo invecchiamento della popolazione italiana e il basso tasso di natalità, si capisce bene come tutti questi fenomeni (e abbiamo citato solo i principali) giochino un ruolo rilevante nel guidare e condizionare la donna nel mercato occupazionale e quanto finiscano per incidere negativamente sia sulla durata della sua vita lavorativa che sui percorsi di carriera.
È quindi vitale accompagnare a politiche occupazionali misure di supporto, tese a incontrare i tempi e le esigenze delle donne (che in realtà non dovrebbero essere solo loro, ma di tutta la società) in modo da garantire una indipendenza che non sia solo sussistenza, offrendo servizi, quali ad esempio gli asili nido aziendali (previsti nella Finanziaria del 2003, ma che stentano a decollare anche a causa dei vincoli ai quali debbono sottostare) ed estendendo il più possibile i benefici della legge 53/2000 (relativa ai congedi parentali). Vanno previsti sostegni concreti che consentano a tutte le donne di progettare il loro futuro: una giovane atipica difficilmente potrà pensare a mettere su casa se, recandosi in banca per chiedere un mutuo, le verrà richiesta la dichiarazione dei redditi. Così come non è detto possa permettersi, in caso di maternità, di usufruire del congedo obbligatorio poiché l'assegno di maternità è troppo basso.
Comunque sia, il ricorso delle donne al lavoro flessibile è in continua ascesa: dati Inps registrano che sono le maggiori fruitrici dei contratti atipici, con una presenza del 46,2% rispetto agli iscritti al fondo.

I contratti a termine: breve disamina
Buona parte dei contratti a tempo determinato sono caratterizzati da:
- possibilità di recessione del contratto da entrambe le parti;
- facoltà di ridurre l'orario e di ricorrere allo straordinario;
- flessibilità dell'orario di lavoro;
- trasferibilità del personale ad altra funzione o destinazione lavorativa;
- riduzione degli oneri previdenziali per la collaborazione coordinata e continuativa;
- mantenimento dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;
- livello di retribuzione più basso rispetto al contratto a tempo indeterminato, anche a seconda delle aree geografiche: le donne guadagnano in media la metà degli uomini. Secondo una rilevazione Inps del 1999 i loro introiti erano di 6.900 euro lordi l'anno a fronte dei 14.700 euro circa della componente maschile: ovviamente ad una bassa retribuzione corrispondono anche rendimenti pensionistici al limite della tolleranza.
La collaborazione coordinata e continuativa e il contratto a tempo determinato sono, tra le forme di lavoro a termine, quelle vedono una maggiore presenza delle donne: in ognuna delle tipologie contrattuali rappresentano il 49,7%.
Un recente articolo di Claudia Arrigucci apparso ne «Il Sole 24 Ore» del 19 maggio 2003 ha presentato un'ulteriore tipologia di lavoro che sta prendendo sempre più piede e che riguarda i giovani sino ai 30 di età: lo stage.
Si tratta di una formula ben presente nelle nostre biblioteche che, sotto forma di tirocinio, avvicina studenti o laureati alle attività che vi si svolgono, affiancando il personale in operazioni di routine o in progetti particolari. La presenza delle donne, per lo meno a Ca' Foscari, è nettamente preponderante: nel 2002 su 11 tirocinanti assegnati alle biblioteche 9 erano di sesso femminile, mentre i dati parziali del 2003 registrano una presenza di 6 su 6 studentesse.
Questo tipo di esperienza consente agli interessati di svolgere un'esperienza qualificante, vista come forma di investimento professionale per il futuro (non certo remunerativa poiché al massimo è previsto un piccolo rimborso spese), e all'organizzazione sia un vantaggio in termini economici che la possibilità di mettere alla prova "sul campo" i potenziali candidati.
Un'indagine svolta da MCS (Management Consulting on Selection) rileva che il 38% degli stage si trasforma in contratto di assunzione alla fine del periodo di formazione, il 41% viene prolungato e il 21% si conclude. Lo stage è visto quindi come un possibile strumento di selezione del personale durante il quale osservare il tirocinante (per un periodo tra i 4 mesi e l'anno) e comunque con la possibilità (per entrambe le parti) di rescindere il contratto in qualsiasi momento. Non essendo però ritenuto un rapporto di lavoro subordinato non è contemplata alcuna formula previdenziale.
Il lavoro interinale o "in affitto", invece, dopo un'iniziale boom (dal 1998, anno zero di attività delle agenzie, si va al 2002 con una presenza di 2114 filiali attive in tutto il paese), sta registrando una fase si assestamento. La normativa che prevede questo istituto lavorativo è costituita dalla legge 196/97 e pone vincoli precisi alle agenzie al fine di evitare usi impropri dei lavoratori in affitto. Per poter "affittare" dei lavoratori, le imprese di fornitura debbono essere preventivamente autorizzate dal Ministero del Lavoro, questo per evitare agenzie che poi non garantiscano il posto di lavoro e la retribuzione del personale. Infatti il lavoratore interinale, a differenza di quello a tempo determinato o della collaborazione coordinata e continuativa, viene assunto e pagato dalla stessa agenzia.
Secondo taluni studi le imprese si avvarrebbero del lavoro interinale per poi assumere il personale (vedi lo stage), poiché sarebbe un modo per "provare" i lavoratori, formarli e poi trattenerli, dal momento che il collocamento pubblico, da questo punto di vista, è ritenuto inefficiente. Ciò avverrebbe per il 32% del personale interinale.
I lavoratori interinali sono soprattutto giovani (al di sotto dei 25 anni) e uomini; la presenza delle donne al 2001 è pari al 38% circa, quindi con un peso nettamente inferiore rispetto ad altre forme di lavoro atipico, fattore questo ancor più grave. Se è vero che il lavoratore interinale "costa" in termini economici all'azienda, il fatto che le donne siano più presenti in altre forme contrattuali significa che, oltre ad essere meno pagate rispetto agli uomini, si sta verificando anche una sorta di "segregazione" nel mercato occupazionale.
Per i giovani l'interinale è, come già lo stage, un'esperienza di introduzione al mondo del lavoro e vedono questo istituto lavorativo come un'opportunità che non li vincola ad una sola esperienza lavorativa, ma consente loro di vivere varie realtà, talvolta stimolanti.
Attualmente il ricorso al lavoro interinale nel pubblico impiego è ancora pratica poco diffusa, al contrario di quanto avviene nel settore privato. Un rapporto dell'Aran alla Corte dei Conti quantifica il ricorso all'interinale con un aggravio del costo del lavoro a carico dell'amministrazione del 24,08%.

Il settore pubblico
Il 9 agosto del 2000 l'Aran e le Confederazioni sindacali hanno siglato il Contratto collettivo nazionale quadro che disciplina il rapporto di lavoro del personale assunto temporaneamente stabilendo, tra l'altro, il tetto massimo del 7% dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli soggetti a tempo indeterminato.
Sempre l'Aran, nel 2001 ha promosso un'indagine sulle politiche del personale a livello decentrato, per evidenziare la componente di lavoratori atipici presso la pubblica amministrazione. Il questionario, destinato ai responsabili delle amministrazioni, ha preso in esame i seguenti comparti: ministeri e governo centrale, enti locali, sistema sanitario nazionale (medici esclusi), università statali (docenti esclusi), aziende pubbliche non economiche, aziende autonome statali. Degli interpellati hanno risposto 320 amministrazioni per un totale di 725.000 occupati (pari al 25% dei dipendenti pubblici il cui contratto è sottoposto a contrattazione collettiva).
Il dato emerso è che la componente rappresentata dal lavoro atipico è sensibilmente inferiore rispetto al settore privato, pari circa al 50% (del resto il ricorso nella pubblica amministrazione al lavoro interinale è iniziato nell'estate 2000). Stando a dati Aran oltre la metà delle amministrazioni ricorre ai contratti atipici: nel 2001 i lavoratori interinali erano ben 291.000.

Considerazioni finali
Il Comitato Pari opportunità di Ca' Foscari ha deciso di contribuire, per quanto di sua competenza, intervenendo sul fronte della formazione delle lavoratrici atipiche in servizio nell'ateneo, includendole nella proposta formativa riservata al personale per il 2003.
In autunno partiranno due corsi (legati ai crediti formativi): il primo corso verterà sulla conciliazione tra lavoro professionale e lavoro familiare (normativa nazionale in tema di pari opportunità, congedi parentali, adozioni, forme di lavoro flessibile come la banca delle ore, il telelavoro), il secondo avrà come obiettivo la valutazione, l'autovalutazione e la comunicazione di sé (il colloquio di lavoro), e l'utilizzo di strumenti quali il curriculum e la lettera di accompagnamento.
L'obiettivo è fornire informazioni e strumenti utili, per far conoscere alcuni istituti giuridici e le loro applicazioni, come pure aiutare ad acquisire consapevolezza delle proprie competenze tanto da poter diventare propositive in un mercato del lavoro allargato (si parlerà del curriculum standard raccomandato dalla Comunità europea).
Sempre in autunno il Comitato ha in progetto la realizzazione di un convegno inerente la flessibilità del lavoro femminile tra impegni lavorativi e vita di famiglia, durante il quale verrà presentato il risultato di un'indagine, ora in corso, sul lavoro flessibile presso l'ateneo veneziano.
Il convegno (durante il quale interverranno rappresentanti di vari settori universitari, dei sindacati e del personale direttamente interessato) sarà un contributo per alimentare il dibattito sul ricorso all'atipico in ambito pubblico, sperando che da quell'occasione sorgano spunti e proposte concrete di intervento nell'ambito della pubblica amministrazione.

occioni@unive.it


OCCIONI, Marisol. Note a margine del convegno "Lavorare in biblioteca: tra specificità dei servizi e atipicità degli operatori". «AIB Notizie», 15 (2003), n. 6, p. 15-16.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2003-06-26 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-06occioni.htm

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