[AIB]AIB Notizie 9-10/2003
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L'albo professionale dei bibliotecari: una riflessione in AIB-CUR

Vittorio Ponzani

A distanza di cinque anni dalla costituzione dell'Albo professionale italiano dei bibliotecari si torna a discutere su quale sia il senso di questa operazione, se cioè quello che era apparso a molti un traguardo storico per la professione non si sia rivelato, magari non per colpa dei bibliotecari né dell'AIB, un fallimento.
Alcuni messaggi circolati in AIB-CUR, infatti, si domandano polemicamente quale sia oggi la ragione che dovrebbe spingere un bibliotecario a iscriversi all'Albo, dal momento che non sembra che finora ne sia derivato alcun vantaggio concreto per gli iscritti, in particolare rispetto all'esigenza di un maggior riconoscimento giuridico della professione.
Un'altra perplessità riguarda il problema, più volte emerso nelle discussioni sull'Albo fin dalla sua nascita, dell'opportunità o meno che l'iscrizione all'Albo professionale dei bibliotecari abbia come condizione preliminare l'iscrizione all'AIB. Sarebbe invece necessario – affermano alcuni messaggi – che l'AIB offrisse un servizio di certificazione della professionalità dei bibliotecari tenendo conto della molteplicità delle loro competenze e specializzazioni, indipendentemente dall’iscrizione all'Associazione.
In risposta a queste obiezioni, alcuni messaggi chiariscono la questione, sia attraverso una puntuale ricostruzione delle vicende che hanno portato alla nascita dell'Albo nel contesto politico-istituzionale nel quale tale iniziativa si è collocata e si colloca oggi, sia attraverso alcune importanti considerazioni di merito.
La proposta di creare un Albo dei bibliotecari fu approvata, all'unanimità, dall'Assemblea dei Soci riunita a Genova nel 1998. In quel periodo, il governo italiano si era ripromesso di riformare il comparto degli ordini professionali e delle "professioni non riconosciute", anche sulla base delle direttive europee 89/48/CEE e 92/51/CEE, riprendendo ad esempio un disegno di legge del CNEL. Tale disegno di legge prevedeva tra l'altro che le professioni non riconosciute avessero una visibilità giuridica non attraverso la creazione di ulteriori ordini professionali, ma con la messa in atto di un meccanismo di certificazione, dato in gestione alle rispettive associazioni professionali. Questa proposta si richiama a un "modello europeo" basato sulla distinzione di ruoli tra lo Stato e la società civile, in cui la formazione degli albi e la verifica della deontologia dei professionisti vengono lasciati alle associazioni professionali, mentre allo Stato spettano le funzioni (a posteriori) di controllo e garanzia.
Alla fine la riforma non andò in porto, mentre il governo attuale ha predisposto un nuovo disegno di legge sulla "riforma del diritto delle professioni intellettuali", proposto dal Sottosegretario alla giustizia Michele Vietti, che peraltro sembra spostare il baricentro a favore degli ordini professionali riguardo alle attività già regolamentate, ma prevede anch'esso il riconoscimento delle nuove professioni attraverso una certificazione affidata alle associazioni.
Questo è stato il "faticoso" percorso dell'Albo. Il disegno di legge procede lentamente (e forse in alcuni momenti non procede affatto) ma – sottolinea un messaggio – ci sono buone probabilità che prima o poi venga approvato, per la necessità che l'Italia si adegui alle direttive comunitarie che prevedono il riconoscimento degli albi tenuti dalle associazioni.
In attesa che ciò avvenga, è certamente meglio avere un albo già in funzione e la cui gestione sia già sperimentata da qualche anno, anche perché dalla lettura di tutte le versioni del disegno di legge appare chiaro che saranno favorite le associazioni che al momento dell'approvazione della legge già tengono un albo privato rispondente ai criteri indicati.
Viene ricordato inoltre come alcuni vantaggi concreti esistano già o possano esistere in tempi brevi, come ad esempio la valutazione dell'ammissione all'Albo come titolo in un concorso o una gara d'appalto, nell'outsourcing o nella progettazione di offerte formative per i bibliotecari.
All'obiezione relativa al fatto che all'Albo possono iscriversi solo i Soci AIB, lo stesso messaggio risponde sottolineando come l'AIB non sia (né possa essere) un ente certificatore ma sia un'associazione di persone, e come le normative comunitarie sulle professioni prevedano la possibilità per le associazioni di certificare i propri iscritti e non chi socio non è. Dall'altra parte l'associazione professionale può avere l'autorevolezza necessaria per un ruolo di certificazione della qualità professionale dei propri iscritti, in quanto è il migliore depositario delle conoscenze professionali del bibliotecario.
In conclusione giunge l'invito ad affrontare la difficile situazione in cui spesso si trovano a operare i bibliotecari lavorando insieme perché uno strumento come l'Albo professionale possa diventare una via concreta per un effettivo riconoscimento giuridico (e non solo) della professione ma anche per un maggiore senso di appartenenza e di etica della professione bibliotecaria.

ponzani@aib.it

L'archivio storico di tutti i contributi inviati in AIB-CUR è consultabile, da parte degli iscritti alla lista, a partire dall'indirizzo https://www.aib.it/aib/aibcur/aibcur.htm3


PONZANI, Vittorio. L'albo professionale dei bibliotecari: una riflessione in AIB-CUR. «AIB Notizie», 15 (2003), n. 9/10, p. 6.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2003-10-26 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n15/03-09ponzani.htm

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