[AIB]AIB Notizie 3-4/2005
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Professioni intellettuali, riforme, competitività:
verso un faticoso rinnovamento legislativo

Claudio Gamba

Il decreto legge n. 35 dell’11 marzo scorso, il cosiddetto decreto sulla competitività, contiene alcune norme che cambiano le prospettive sul riconoscimento delle professioni intellettuali.

Il cammino verso il riconoscimento delle professioni (la nostra di bibliotecari, ma anche molte altre professioni intellettuali, vecchie e nuove) procede, con qualche passo avanti ma purtroppo ancora con molte incertezze ed incognite.
Ricordiamo che l’AIB, in conformità agli sviluppi legislativi previsti nell’ormai lontano 1999 (in applicazione di ancor più vecchie direttive europee, in particolare la 91/52 e la 89/48) ha costituito l’Albo dei bibliotecari italiani, prima sperimentazione di un registro di certificazione delle competenze dei suoi associati (in possesso di requisiti professionali accertabili).
Da allora molti progetti di legge si sono succeduti, anche da parte di organismi istituzionali (come il CNEL), ma dapprima la fine della legislatura, poi il cambio di governo, infine varie vicende politiche hanno fatto sì che, nonostante promesse elettorali e programmi di governo, il reale interesse per la materia calasse fino a frenare totalmente l’iter parlamentare di questa riforma, pur così importante per sistema economico e sociale del nostro paese, visto il suo impatto con il mercato dei servizi e il mondo del lavoro.
Nel maggio 2004, gli “Stati generali delle associazioni professionali” avevano visto una promettente “passerella” di politici di maggioranza e opposizione, apparentemente animati da ottime intenzioni: ma poi, per mesi ancora nulla.
La ripresa del dibattito politico su questo tema, all’inizio del 2005, con l’impegno del Ministro della giustizia Castelli (competente per le professioni) e del suo sottosegretario Vietti, aveva fatto sperare che i vari disegni di legge fermi ormai da anni in Parlamento sarebbero stati finalmente perfezionati in breve tempo. A questo proposito erano anche stati consultati Ordini e Associazioni professionali, per arrivare in modo condiviso e accettabile da tutti (anche da parte dell’opposizione politica) a una riforma organica e complessiva della materia.
Poi, un’accelerazione inattesa e improvvisa è intervenuta con il D.L. n. 35 dell’11 marzo scorso, il cosiddetto “decreto sulla competitività” (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale). Infatti, a fianco di interventi in tema di economia, finanza e aziende, in questo provvedimento omnibus sono entrate varie norme di altro tipo, e tra queste anche alcuni “pezzi” della riforma delle professioni. I commi 5, 6, 7 e 8 dell’art. 2 riguardano, in particolare: l’obbligo di iscrizione agli albi anche per i professionisti dipendenti, la composizione delle commissioni per gli esami di abilitazione, l’istituzione di nuovi ordini, il riconoscimento delle associazioni professionali.
Quest’ultimo punto sembrava avere (soprattutto per un’associazione come la nostra) particolare valore e ha destato non poche legittime aspettative.
Qualche perplessità ha però destato fin dal primo momento la scelta di legiferare per decreto (quindi, costituzionalmente, con carattere di urgenza e indifferibilità) su una materia così complessa, ampia e in discussione da anni: soprattutto nelle opposizioni politiche, ma anche da parte degli stessi Ordini professionali, in teoria i meno interessati a una riforma liberalizzatrice.
Ma, oltre al metodo, purtroppo, una successiva attenta analisi del merito ha suscitato altre e forse anche più gravi contrarietà, soprattutto nel mondo delle professioni non regolamentate, portando le associazioni aderenti al Coordinamento delle libere associazioni professionali (tra cui l’AIB) all’unanime conclusione che questa “mini-riforma” assomiglia un po’ a una “mela avvelenata”, in apparenza attraente e utile, ma nella sostanza pericolosa per le “nuove” professioni. Cerchiamo di vedere il perché.
Il primo comma (che prevede l’obbligo di iscrizione agli albi) appare piuttosto anomalo in un provvedimento dedicato alla competitività, poiché provoca in realtà nuovi vincoli e rigidità.
Il secondo comma consente che non più della metà dei membri delle commissioni per gli esami di Stato provengano dagli ordini, ma in realtà (lasciando ad essi, di norma, la presidenza) non garantisce una reale pluralità e pubblicità di giudizio.
Il terzo comma dovrebbe limitare l’istituzione di nuovi ordini, ma in realtà per la sua formulazione ambigua ha già avuto autorevoli interpretazioni addirittura opposte. Prevede infatti nuovi ordini solo per la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (che in oltre 50 anni di storia costituzionale repubblicana dovrebbero essere stati ormai censiti e tutelati) o per evitare danni sociali conseguenti a prestazioni inadeguate. Un’interpretazione estensiva potrebbe rilevare interessi costituzionali o pericoli di inadeguatezza praticamente in tutti i settori professionali, aprendo la strada a nuovi ordini; c’è quindi il serio rischio che ogni gruppo professionale (s’intende, ben dotato di appoggi politici ed economici) si faccia avanti per formare un nuovo ordine, in un paese che già detiene il record mondiale per i vincoli all’esercizio professionale.
Infine il quarto comma, quello sul riconoscimento delle associazioni, il più importante per noi bibliotecari. Le criticità di questo punto sono sostanzialmente due: la prima è relativa al fatto che non possono essere riconosciute quelle associazioni che svolgono attività “tipiche” degli ordini professionali: si noti l’aggettivo “tipiche”, ben diverso da “riservate”, che sono quelle poche e bene definite attività che la legge già assegna agli ordini stessi. In pratica, migliaia di professionisti potrebbero essere considerati improvvisamente “fuori legge”. La nostra categoria, pur non soffrendo direttamente di queste “sovrapposizioni”, sarebbe comunque penalizzata dal secondo punto critico, relativo al fatto che il comma demanda genericamente “alla legge” (di cui non prevede però modalità e scadenze temporali) i criteri per il riconoscimento. Di fatto quindi (e per chissà quanto tempo) nessuna associazione può venire riconosciuta.
Di fronte a queste criticità il CoLAP ha già preso posizione, con un comunicato stampa e una lettera inviata alle forze politiche, in cui si richiedono alcuni emendamenti in sede di conversione del decreto. Il coordinatore del CoLAP Giuseppe Lupoi inoltre ha inviato una lettera aperta (ripresa dalla stampa il 12 aprile) al Presidente del Consiglio, in cui si ricordano i programmi del suo governo in materia di professioni: programmi non solo disattesi, ma addirittura contraddetti da vari provvedimenti normativi orientati ad una ulteriore chiusura del mercato professionale.
Ora la parola passa agli emendamenti, che la quinta commissione permanente del Senato ha iniziato a discutere il 13 aprile.
In particolare si richiede – per il comma dedicato alle associazioni – che entro 12 mesi vengano fissati per legge i criteri di riconoscimento giuridico, in base a questi principi: 1) non sovrapposizione con attività riservate agli ordini; 2) possesso di alcuni requisiti statutari (evidenza allo sviluppo della professionalità, democrazia interna, esclusione di fini di lucro, determinazione dell’ambito professionale, codice deontologico, obbligo di assicurazione per la responsabilità professionale); 3) verifica (iniziale e periodica) del possesso di competenze dei propri iscritti, del loro aggiornamento, del rispetto del codice deontologico; 4) possibilità di rilascio di attestati riconosciuti di competenza professionale (con durata determinata); 5) iscrizione automatica iniziale per le associazioni censite dal CNEL (l’AIB è tra queste) salvo eventuale regolarizzazione dei requisiti entro tre anni; 6) delega al governo per la costituzione di uno o più enti previdenziali per i professionisti associati (non già coperti da altre forme previdenziali).
Non sarà probabilmente facile far passare questi emendamenti, poiché le urgenze politiche potrebbero portare il governo a chiedere la conversione del decreto tramite un “voto di fiducia” (con scarse probabilità di variazioni al testo originario).
Tuttavia l’AIB si augura che prevalga in tutte le forze politiche la considerazione dell’importanza di dotare il nostro paese di una riforma delle professioni seria, complessiva, adeguata alle raccomandazioni europee e al moderno mercato dei servizi. In quest’ottica (in collaborazione con le altre associazioni iscritte al CoLAP) si impegna a far valere questa posizione – soprattutto per le specificità delle professioni culturali – in ogni ambito associativo, istituzionale, sociale e pubblico.
La presenza nel coordinamento – assieme all’AIB – di associazioni di storici dell’arte, restauratori e conservatori di beni culturali (Anastar, “Articolo 9”, Anacons, Aniasper), la recente adesione dell’AIDA, i contatti avviati con l’ICOM (International Council of Museums – sezione Italiana) e altri, fanno ben sperare che si crei uno spazio maggiore di visibilità, ascolto e azione anche per i professionisti della cultura e della documentazione.
Il riconoscimento giuridico della professione, assieme ad altre azioni a tutela e sviluppo della professionalità del bibliotecario – dall’intervento nei casi più gravi di “cattive pratiche”, al presidio dei diversi comparti di contrattazione collettiva, alla certificazione della competenza e della formazione – in qualsiasi contesto organizzativo e in qualsiasi profilo contrattuale egli si trovi ad operare, si conferma come una delle priorità dell’AIB e dei suoi organismi dirigenti recentemente rinnovati.
Per chi volesse approfondire, segnalo il sito del CoLAP http://www.colap.it ricco di informazioni, documenti e aggiornamenti su questo problema.

gamba@mail.cilea.it


GAMBA, Claudio. Professioni intellettuali, riforme, competitività: verso un faticoso rinnovamento legislativo. «AIB Notizie», 17 (2005), n. 3-4, p. 7-8.
Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2005-05-08 a cura di Franco Nasella
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n17/0503gamba.htm

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