[AIB] AIB notizie 18 (2006), n. 6
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Il futuro sarà open access

Third Nordic Conference on Scholarly Communication Beyond Declarations
The Changing Landscape of Scholarly Communication
Lund, Svezia, 25-26 aprile 2006

Marialaura Vignocchi

È arrivato alla terza edizione il convegno sulla comunicazione scientifica che si tiene ogni due anni a Lund in Svezia [1].
Organizzato dal sistema bibliotecario dell’università svedese che aggiorna il DOAJ, il repertorio internazionale delle riviste scientifiche open access, il convegno, benché rivolto dichiaratamente ai paesi del Nord Europa, si è ormai affermato come un importante osservatorio europeo e internazionale. L’apertura internazionale del convegno si è immediatamente percepita scorrendo i nomi dei relatori invitati e la lista dei partecipanti. Personaggi famosi e carismatici come Eugene Garfield e Jean-Claude Guédon; esperti di rilevanza internazionale come Mark Patterson (Public Library of Science), Mark McCabe (School of Economics, Georgia Institute of Technology) e Alma Swan (Key Perspectives Ltd., UK) hanno presentato i loro interventi di fronte a una platea di oltre 200 partecipanti, per lo più bibliotecari e editori, provenienti da 21 paesi diversi.

Gli interventi sono stati raggruppati in 5 sessioni incentrate su quattro temi di grande attualità. Le infrastrutture (discusse in due sessioni) e la sostenibilità economica dell’open access, le problematiche connesse al diritto d’autore e alla valutazione della ricerca sono infatti tematiche cruciali in questa fase di stasi che succede alle grandi dichiarazioni di principio.

Nella prima sessione dedicata alle infrastrutture Derk Haank (Springer Science+Business Media), Mark Patterson e Lewis Joel Greene (University of Sao Paulo Brazil) hanno illustrato alcune realizzazioni di comunicazione scientifica ad accesso aperto.

Derk Haank ha presentato Open Choice, il nuovo servizio editoriale che consente agli autori di pubblicare ad accesso aperto i propri articoli su qualsiasi rivista Springer pagando una quota fissa di 3000 dollari. Open Choice, con una quota di pubblicazione molto alta, unica per tutti i titoli disponibili, tradisce una certa superficialità nell’approccio all’accesso aperto, realizzato più per propaganda che per reale volontà di innovazione. Haank elenca gli ostacoli all’affermarsi di un modello economico open access. Ad esempio, la struttura rigida dei bilanci degli enti di ricerca che ancora non prevedono di sostenere i costi di pubblicazione e il rischio di esclusione degli studiosi senza supporto istituzionale. L’immediato futuro per Haank vedrà l’open access come opzione sostenibile solo per quei ricercatori i cui enti finanziatori si fanno carico anche dei costi di pubblicazione, mentre in tutti gli altri casi egli immagina una situazione ibrida in cui l’accesso alla letteratura scientifica sarà garantito dai big deals commerciali e dai depositi istituzionali, che per il momento non costituiscono ancora una temibile concorrenza.

Mark Patterson ha presentato le ragioni e i risultati dell’iniziativa editoriale open access portata avanti da Public Library of Science (PloS). Fondata nel 2000 come organizzazione non-profit con lo scopo di sensibilizzare i ricercatori a aderire ai principi dell’open access, PLoS ha ricevuto nel 2002 una donazione di 9 milioni di dollari per la realizzazione di riviste scientifiche ad accesso aperto. Uno degli obiettivi strategici iniziali è stato quello di garantire alti standard di qualità alle nuove riviste per contrastare il pregiudizio diffuso che vuole la letteratura scientifica gratuita in rete non certificata e quindi di scarso valore. Il successo delle prime riviste di PLoS, testimoniato da alti impact factor, è servito come catalizzatore per ulteriori donazioni e ha consentito l’avvio di nuove iniziative come il lancio di community journals destinati a specifici settori disciplinari. Secondo Patterson molto rimane da fare soprattutto per quanto riguarda l’effettiva sostenibilità economica del modello utilizzato. Anche PLoS cerca di recuperare i costi fissi facendo pagare gli autori. Tuttavia grazie ai finanziamenti che riceve le tariffe sono basse e gli autori svantaggiati non pagano, mentre alle istituzioni viene proposto, come fa Biomed Central, il pagamento annuale di una quota di iscrizione che consente agli autori affiliati di pubblicare senza costi aggiuntivi.

Lewis Joel Greene ha illustrato l’esperienza brasiliana di SciELO (Scientific Electronic Library On-line), l’infrastruttura che dal 1997 consente la pubblicazione cooperativa di riviste scientifiche open access direttamente finanziate dall’ente nazionale per la ricerca. Greene rileva come lo scarso impatto internazionale della ricerca scientifica dei paesi in via di sviluppo non sia tanto il frutto di pregiudizio o discriminazione quanto di oggettivi limiti di visibilità e accessibilità dovuti non solo alle barriere linguistiche. SciELO ha contribuito a rimuovere parte di questi ostacoli rendendo liberamente disponibile in rete la migliore ricerca scientifica nazionale. Delle 150 riviste pubblicate dalla piattaforma open access solo 35 per il momento sono indicizzate in WoS o PubMed con link diretti al fulltext di SciELO. I dati di utilizzo (downloads) e il conto delle citazioni dimostrano che una volta segnalate nei repertori internazionali le riviste di SciELO attirano l’interesse di studiosi anche a livello internazionale.

Di infrastrutture si è tornato a parlare nel corso della seconda giornata con gli interventi di Bo-Christer Björk (Swedish School of Economics and Business Administration, Helsinki) e Jean-Claude Guédon (University of Montreal).

Punto di partenza di Björk è l’assunto che gli editori dovrebbero essere considerati dei fornitori di servizi per gli autori e come tali selezionati e valutati da questi ultimi in modo consapevole in base alla qualità e le caratteristiche di servizio per rapporto agli obiettivi della ricerca. Björk fornisce uno schema articolato dei fattori che possono determinare la scelta di un editore e dei possibili metodi per la loro misurazione utili per un benchmarking fra riviste di uno stesso ambito disciplinare. Tra tutti i fattori di valutazione raggruppati in 4 categorie – infrastrutture di servizio, readership, prestigio e prestazioni – Björk ne seleziona alcuni, come tempo medio di pubblicazione, costo per articolo pubblicato, tasso di accettazione degli articoli, numero mensile degli articoli scaricati e li applica a un gruppo di riviste di informatica. Il metodo di valutazione proposto è lo stesso utilizzato dalla commissione europea [2] nel recente rapporto sull’editoria scientifica commerciale, ma potrebbe essere interessante estenderlo anche alle riviste open access. Il DOAJ potrebbe, secondo Björk, mettere a disposizione i dati utili al benchmarking delle riviste open access, rendendo così più trasparente il rapporto qualità/prezzo e facilitandola scelta degli autori.

Jean-Claude Guédon critica i modelli e le strategie open access fino a ora proposti e suggerisce di superare le dicotomie che si sono create un po’ artificiosamente fra depositi – istituzionali e non – e riviste ad accesso aperto. Secondo Guédon, la separazione fra le due vie verso l’open access rischia di disincentivare ulteriormente gli autori e di creare inutile confusione dovuta, per esempio, al proliferare delle versioni di uno stesso lavoro che rendono difficoltosa la citazione. L’unica differenziazione che ha un senso perseguire è quella fra contributi “referati”, la cui qualità è in qualche modo certificata, e quelli che non sono stati sottoposti a nessun tipo di valutazione. Guédon propone di considerare i depositi open access come strumenti per realizzare la prima pubblicazione di un’opera e per questo esorta a sviluppare nuove infrastrutture e nuovi servizi da offrire al mondo della ricerca scientifica, come ad esempio nuove misure di impatto o servizi di ricerca federata che creino reti virtuali interistituzionali e consentano il recupero dei contributi scientifici per ambito disciplinare realizzando quella massa critica utile alle diverse comunità scientifiche.

Un analogo sistema di comunicazione aperto e navigabile secondo i principi e la tecnologia del web semantico è quello delineato da John Wilbanks nella sua ispirata presentazione del progetto NeuroCommons di Science Commons nell’ambito della sessione dedicata agli aspetti di tutela del diritto d’autore. L’idea alla base del progetto è che l’innovazione scientifica si basa sul riutilizzo dei dati, dei fatti e degli strumenti di ricerca. Oggi Internet e i sistemi di recupero e linking automatici basati sul linguaggio naturale consentono di rintracciare e mettere in relazione le informazioni che servono ai ricercatori per generare nuova conoscenza. Purtroppo le informazioni sono per lo più contenute in documenti vincolati dal diritto d’autore. Per di più gli editori commerciali vietano l’utilizzo di programmi di linguistica computazionale sui contenuti delle loro pubblicazioni elettroniche. Occorre per Wilbanks rendere legale il data mining e il recupero automatico delle informazione attraverso l’implementazione di licenze come quelle Creative Commons che rendono legale il riutilizzo della ricerca scientifica pur salvaguardando la paternità intellettuale. NeuroCommons è un progetto pilota lanciato nel gennaio scorso che intende dimostrare come l’applicazione del web semantico alla letteratura open access sia in grado di realizzare un sistema informativo di riferimento di grande potenza ed efficacia.

Le ragioni, i vantaggi e il valore legale delle licenze Creative Commons sono state enucleate nell’accattivante intervento di Mathias Klang (Università di Goteborg, Svezia). Come Wilbanks, egli ribadisce l’importanza dell’ri-uso creativo delle informazioni per l’innovazione culturale e scientifica che un’applicazione troppo restrittiva delle legislazione di tutela del diritto d’autore rischia di paralizzare. Le licenze Creative Commons non rappresentano una rottura o un’alternativa nei confronti delle legislazioni vigenti, al contrario sono un sistema, pratico e gratuito, per consentire agli autori di rendere esplicito, in una modalità di rappresentazione semplice e al tempo stesso leggibile dalle macchine, come intendono sia riutilizzato da terzi il proprio lavoro creativo o dell’ingegno.

Le tematiche relative al supporto finanziario alle pubblicazioni scientifiche e ai modelli economici sostenibili hanno dominato la sessione in cui hanno parlato Astrid Wissenburg (Economic and Social Research Council/Reserach Councils UK) e Mark McCabe.

L’intervento della Wissenburg ha deluso la platea che sperava in una posizione più decisa e unitaria che obbligasse i ricercatori a pubblicare open access i lavori finanziati da tutti i Research Councils UK. La Wissenburg ha infatti presentato gli obiettivi del solo ESRC facendo presagire la risoluzione, ufficializzata il 28 giugno scorso, che lascia i Councils liberi di decidere in autonomia le strategie per implementare l’open access nei propri ambiti disciplinari rimandando a uno studio specifico una valutazione sul modello economico dell’author pays.

McCabe ha iniziato il suo intervento sulla sostenibilità dei diversi modelli economici criticando l’iniziativa Open Choice di Springer affermando che non avrebbe senso fissare una quota di pubblicazione uguale per tutte le riviste dal momento che questa dovrebbe essere aumentata o diminuita a seconda dell’entità della domanda di mercato. Al termine della sua argomentazione McCabe ha dimostrato come il modello open access sia inaccettabile in contesti dove l’obiettivo principale è la massimizzazione del profitto, mentre può essere una valida alternativa non-profit.

Nella sessione sulla valutazione della ricerca Eugene Garfield ripresenta un argomento a lui caro: l’identificazione attraverso l’analisi citazionale degli scienziati destinati al premio Nobel. I dati ISI risalenti 1967 mostrano come molti dei nomi in elenco abbiano effettivamente ricevuto l’ambito premio. Con grande equilibrio, Garfield mette in guardia, però, da un’acritica accettazione degli indicatori bibliometrici, compreso il suo impact factor. Come la commissione di Stoccolma non basa il suo giudizio sulla sola metrica, così nella pratica corrente di valutazione della ricerca l’analisi degli indicatori deve essere integrata con aspetti qualitativi. Tuttavia, a chi gli chiedeva cosa ne pensasse del RAE britannico, Garfield ha risposto di considerarlo uno spreco di denaro perché in questo caso l’analisi citazionale e i laboriosi e costosi panels impegnati nella peer review arrivano allo stesso risultato.

Grant Lewison (Evaluametrics Ltd.) ha presentato un esempio di analisi citazionale non convenzionale che può integrare i metodi di misurazione tradizionali per avere un quadro più completo dell’impatto della ricerca. L’analisi di Lewison si è sviluppata in ambito biomedico e ha preso in considerazione documenti come i brevetti, gli standard e le norme, documentazione governativa, prontuari e manuali, i giornali e i mezzi di comunicazione di massa. I principi sono gli stessi dell’analisi citazionale tradizionale, ma i metodi di raccolta dei dati sono ovviamente diversi e molto meno collaudati. Mancano ancora dei protocolli e degli standard condivisi anche a livello internazionale.

L’intervento conclusivo di Alma Swan riprende gli argomenti delle due giornate, delineando, in un’ottica evoluzionistica, l’inevitabile affermarsi di un nuovo sistema di comunicazione scientifica più snello, efficace ed efficiente, naturalmente open access. Come ha detto Guédon, non ci sarà più bisogno del branding delle riviste scientifiche e i depositi istituzionali saranno il mezzo di diffusione dei risultati della ricerca e della peer review. Il ciclo vitale delle pubblicazioni scientifiche si sta già accorciando e in alcune comunità “evolute”, come quella dei fisici, si stanno già citando i pre-print, mentre i giornali rimarranno come sole fonti archivistiche. I servizi che si possono già sviluppare grazie a un ambiente in cui i risultati della ricerca sono online e ad accesso aperto sono straordinari. Mancano solo i contenuti. L’inerzia degli autori è un ostacolo superabile grazie a politiche istituzionali vincolanti e decise. L’adesione ai principi dell’open access da parte dei governi, enti finanziatori e istituti di ricerca è il segno, per la Swan, di una direzione evolutiva forse lenta, ma irreversibile.

vignocchi@cib.unibo.it


[1] Presentazioni disponibili sul sito del convegno.
[2] Study on the economic and technical evolution of the scientific publication markets in Europe, European Commission, Final Report – January 2006, DG Research.
VIGNOCCHI, Marialaura. Il futuro sarà open access. «AIB notizie», 18 (2006), n. 6, p. 17-19.

Copyright AIB 2006-09, ultimo aggiornamento 2006-09-27 a cura di Zaira Maroccia
URL: https://www.aib.it/aib/editoria/n18/0604.htm3

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