[AIB] AIB notizie 23 (2011), n. 1
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Wikimedia Italia: intervista a Umberto Eco (terza parte)

Andrea Zanni

Wikipedia, seguendo il pilastro del punto di vista neutrale, che non è la verità ma un punto di vista neutrale che sempre perfettibile, solitamente pubblica una versione con sotto una critica. Seguendo un principio di sintesi, ci sono appendici non firmate, riferendosi a quello che diceva lei. Comunque si cerca di portare entrambe le posizioni. È ovvio che c'è anche un discorso di gerarchia: c'è sempre una posizione dominante, che verrà presentata per prima, ma sotto c'è la seconda. La prima che mi viene in mente è quella di Beppe Grillo, in cui c'era la sua storia poi un paragrafo di critiche, riportando le fonti. Il discorso quindi è di riportare e sintetizzare su una pagina (o più pagine se questa diventa chilometrica) quello che hanno detto altri. Wikipedia integra, è un essere che mangia dall'esterno, perché è una fonte terziaria, non una fonte primaria, e forse questo tante volte si dimentica. Non so se un'enciclopedia tradizionale si definisce primaria o terziaria. Per Wikipedia, le fonti sono da altre parti, noi prendiamo da loro. Le citiamo; se dicono cose sbagliate, noi l'abbiamo solo citate. C'è sempre il discorso del perché si cita il tale, del come si cita, del dove si cita: però, alla fine, Wikipedia cerca di riportare, con tutti i limiti del caso, la realtà come viene sfaccettata da altre fonti. Rimane sempre il problema della gerarchia della pagina, e del fatto che "non esistono fatti, ma solo interpretazioni". In questo senso, c'è una provvisorietà molto evidente, consapevole. Le linee guida di Wikipedia dicono proprio: "Non esiste la versione definitiva". Un articolo è sempre perfettibile. Culturalmente, forse una Treccani non la pensa così.

No, perché la Treccani ha voci firmate. La voce "Fascismo", scritta da Gentile, o la si elimina e la sostituisce o la si lascia così, non la si corregge.

Voce che, fra l'altro, risentiva di un certo contesto: dopo settant'anni, oggi diremmo che la Treccani era biased.

Sì, e perché rimane, non è correggibile, perché la voce è quella e non la ristampano. Ci fanno un'appendice, certo.

Il destino della Treccani è quello di wikipedizzarsi. Secondo lei lo farà?

Con la velocità di rinnovamento della cultura, se un'enciclopedia non va online in modo da poter rifare le sue informazioni mese per mese, è sempre condannata. Persino quando parla di Parmenide, perché può uscire domani un libro che getti nuova luce... Ma pazienza, se parliamo di Parmenide. "Aeroplano", per esempio: chissà cosa diceva la voce del "Concorde" prima che cascasse il concorde.

Fra l'altro la Treccani ha provato a "wikipedizzarsi". Ha aperto alcune voci, dicendo agli utenti di inviargli le modifiche...

L'ha proposto per il Dizionario degli Italiani, ma sta tornando indietro. Siccome costa troppo, ha chiesto agli utenti di "regalargli" le voci, non calcolando che per controllare le voci deve mettere su un manipolo tale di editors che gli costa più che pagare le voci.

Non sembra per niente facile trovare una soluzione che coniughi un modello di un certo tipo (autoriale, editoriale, redazionale) con qualcosa come Wikipedia. Una sopravvive poiché prende su tutto: ha sempre un input dagli utenti, perché raccoglie tutto. Ed è gratis, per tutti: chi la fa e chi la legge. L'altra invece ha un modello di un certo tipo che non regge quantitativamente il confronto con la prima, e fa fatica a trovare un giusto equilibrio, accogliendo i contributi esterni (senza motivarli, dato che se ne appropria e non da in cambio assolutamente nulla). Wikipedia è tutta gratis, ci si regala informazione a vicenda, c'è uno slancio etico forte. Lo scontro fra questi due mondi non è un problema banale. Cambiando argomento, mi sembrava interessante notare come il procedimento della "classificazione" non abbia avuto troppo successo negli ambienti collaborativi. A parte le folksonomies, con le persone che taggano siti o foto, anche su Wikipedia la categorizzazione degli argomenti è decisamente non coerente e incompleta. È particolare come un procedimento così importante come la classificazione/catalogazione tenda ad essere autoriale, personale. In Internet trovo pochi esempi di catalogazioni complesse fatte collaborativamente.

Non sono sicuro di aver capito bene quello che ha detto, ma se ho capito bene, tutto questo dipende dal fatto che, a parte le tassonomie botaniche o zoologiche, non esiste classificazione globale, ma solo classificazione locale. Nel mio ultimo libro, "Dall'albero al labirinto", ho scritto un saggio di cento pagine proprio su queste vicende dalla classificazione, dall'albero di Porfirio sino a quelle che oggi chiamano stupidamente le "ontologie". Il problema qui è che han passato i secoli a cercare di fare la classificazione totale, ma è impossibile, è sempre locale e prospettica. Necessariamente, ne viene che può essere autoriale e non collettiva. Ci si riesce solo in certi campi, per esempio quello degli animali e delle piante, siccome sono universi a modo proprio finiti. D'altra parte, hanno già grossi problemi a classificare gli insetti. Un esempio famoso è poi quello dell'ornitorinco, per cui ci hanno messo ottant'anni, ma si sono messi d'accordo, tutti insieme. Gli animali dunque sono finiti e in un modo o nell'altro si riescono a classificare. Invece per i casi in cui gli elementi sono più polverizzati, la classificazione totale e collettiva è impossibile.

Tornando a qualcosa di più triviale, in "Sei passeggiate nei boschi narrativi", lei parla del libro "Sylvie" di Nerval come una sorta di libro predestinato, che lei ha studiato centinaia di volte. È molto suggestiva l'idea di un libro che corrisponde ad una persona? Ci crede ancora?

Sì, anche se probabilmente ce ne sono più di uno. Sì, ci credo. Però è un po' come quelle domande tipo "Perché si è occupato del Medioevo?", che equivale a dire "Perché lei ha sposato quella lì e non un'altra?". Se le interessa, io ne ho fatto la traduzione e poi ne ho parlato in una raccolta di saggi sulla letteratura... ma questo non c'entra niente con la domanda.

Lei conosce il mondo delle licenze libere? Sono licenze nate negli anni '80 che permettevano il riuso, la condivisione, anche la modifica, qualità che nel mondo digitale sono estremamente importanti. Anche Wikipedia nasce nell'ambito di questo mondo, e rilascia il proprio contenuto sotto licenza libera. Come vede il mondo della proprietà intellettuale adesso, nell'era di Internet?

Io sono molto empirico. Io sono uno che campa sui guadagni della proprietà intellettuale, ma tutte le volte che mi hanno piratato, a me è andata bene lo stesso. Una volta che il mio editore americano aveva fatto causa ad una università perché avevano fatto trenta fotocopie di un mio libro, io ho protestato. Mi va benissimo così, almeno 3 o 4 dei miei libri si trovano anche su eMule, si possono scaricare... Perché sono così disinteressato alla cosa? Visto che ci campo, dovrei preoccuparmene. Una risposta potrebbe essere che guadagno a sufficienza così, l'altra che sono un buon democratico. Le faccio un esempio. Quando hanno iniziato ad allegare il libro unito al quotidiano, «la Repubblica» ha deciso di iniziare con il mio Il nome della Rosa, dandomi una modesta cifra forfettaria. Però poi ne hanno venduti due milioni, quel giorno. Io mi sono detto pazienza, non ci avevo guadagnato ma andava bene così. Poi però ho controllato, sei mesi dopo, i rendiconti della casa editrice, e la vendita del paperback non era assolutamente mutata. Cioè, quei due milioni lì, erano in più, erano altre persone che non sarebbero mai entrati in libreria a comprare il mio libro. Non mi ha tolto una copia venduta. Quindi vuol dire che c'è uno "spazio" talmente grande che la pirateria non mi pare una tragedia. Fino al Seicento e Settecento, uno scrittore viveva perché c'era un mecenate che lo pagava. Magari si tornerà lì, non si verrà pagati dal pubblico ma si verrà pagati da un mecenate. Se l'è cavata l'Ariosto, perché non dovrei cavarmela io? Se la sono cavata anche prima. Poi certo, la rivoluzione del Settecento in cui un narratore andava in giro a vendere i propri libri ha portato anche la nascita dei diritti. In un certo senso questo ha democraticizzato, perché lo scrittore ed il pensatore non hanno più dovuto leccare il sedere al mecenate. Senta, fra il modo in cui l'Ariosto ha leccato il sedere agli Estensi al modo in cui un sacco di gente lecca il sedere a tutti, non è poi cambiato mica molto. Non è che l'Ariosto ci interessa meno perché mette due ottave di ringraziamento agli Estensi.

A proposito di libri e diritti, ultimamente Google Books ha fatto parlare di sé.

Io non capisco tutto queste proteste attorno a Google Books. Sinceramente, a me fa arrabbiare perché mi fa vedere due pagine e poi non posso comprare il libro. Gli editori dovrebbero essere entusiasti, non capisco. È un po' come le vie pedonali: quando si pedonalizza una strada, tutti commercianti protestano, pur essendo scientificamente provato che la pedonalizzazione della strada aumenta i commerci.

È un discorso che si intreccia con quello del pubblico dominio. Ci sono tendenze forti, sia negli USA che in Europa, a allungare i tempi del copyright, diminuendo così "fette di pubblico dominio". C'è molto clamore e molta paura riguardo alla proprietà intellettuale.

Ogni scrittore ha delle tendenze conflittuali, perché da un lato gli va bene che il suo libro venga letto, dall'altro gli dispiace che i suoi nipoti non prendano i proventi dei diritti. Adesso, il mio editore mi ha detto che darà i diritti de Il nome della rosa per fare l'eBook sul Kindle, credo. Le percentuali sono molto minori che per i libri normali, ma mi va bene. Personalmente non ci credo, credo ancora che la gente per leggere i libri vorrà ancora la carta, ma non ho problemi, mi sembra giusto che chi vuole abbia l'edizione elettronica. Non mi sembra così complicato, loro pagano i diritti, anche se meno perché l'eBook costa meno. O sarà uno smash, e ne venderai milioni, oppure ne venderai poche copie e va bene lo stesso. Secondo me la mettono giù troppo dura, come appunto la storia degli editori contro Google. Google Books serve a vendere libri, non a farne vendere meno. Ha la stessa funzione che ha la libreria, quando si va a sfogliare dei libri. Si può comperare o limitarsi a leggiucchiare una pagina o l'indice. Come con Google. C'è poi la tendenza a dare le cose sempre più gratis. Io non sopporto Adobe, che ogni anno mi vuole far pagare la sua licenza per leggere i PDF. Ho trovato in pochi minuti programmi che fanno la stessa cosa gratis. Non capisco cosa viene in tasca agli sviluppatori...

Spesso, niente. I software open source vengono spesso scritti dalle persone per uso personale (magari, erano persone che non volevano pagare la licenza ad Adobe come lei), e rilasciati liberamente per chi li desidera. Se qualcuno poi li migliora, lo stesso creatore ci guadagna. È un circolo virtuoso.

C'è anche OOorg, che sostituisce Word. È ottimo, funziona benissimo.

Fra l'altro, Wikipedia nasce proprio dal mondo open source, che negli anni ha sviluppato una propria filosofia sulla cultura libera. Sono collegati.

zanni.andrea84@gmail.com


ZANNI, Andrea. Wikimedia Italia: Intervista a Umberto Eco (terza parte) «AIB notizie», 23 (2011), n. 1, p. 8-10

Copyright AIB 2011-03 ultimo aggiornamento 2011-03-25 a cura di Ilaria Fava
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