«Bibliotime», anno I, numero 1 (marzo 1998)


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Giovanni Galli

La carta dei servizi: per un coinvolgimento degli utenti
nello sviluppo delle biblioteche


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Biblioteche ed oltre: per una nuova Legge della Regione Emilia–Romagna
Reggio Emilia, 7 novembre 997



Può essere parso singolare o improprio che la nostra Associazione sia stata chiamata a contribuire a questo dibattito su un tema non strettamente professionale, ed abbia accettato senza esitazione ed anzi persuasa della bontà della scelta. Invero l'Aib, nel momento stesso in cui si impegna più decisamente nella valorizzazione della figura del bibliotecario e nella tutela del suo statuto professionale, sa che potrà farlo tanto più credibilmente quanto più saprà valorizzare il ruolo sociale delle biblioteche e la loro funzione di servizio: in altri termini quanto più saprà vedere negli utenti, nei loro bisogni e nei loro diritti, il soggetto principale del sistema biblioteca, e quindi l'interlocutore primo del bibliotecario. La realtà delle biblioteche italiane non mostra ancora propriamente questi tratti: ed è questa la ragione essenziale della nostra ancora insufficiente forza. Stavo per dire della nostra debolezza, ma mi sono corretto: noi non siamo deboli, non siamo forti abbastanza, come potremmo essere. Aver smesso di lamentarci, aver cominciato a tirar fuori i numeri di un lavoro fino a ieri non a sufficienza conosciuto neppure a noi stessi: questo è il vero passo avanti compiuto in questi ultimi anni, ben maggiore di quello tecnologico: in Italia le biblioteche ci sono e servono, sono migliaia e servono milioni di persone. Se pure questo non basta, è pur vero che c’è speranza se ciò è accaduto. Hanno cominciato a riconoscerlo anche gli utenti, col loro solito sistema, ovvero protestando per le carenze e non elogiandoci per i buoni servizi. Quando questa voce si alzerà sopra il chiacchiericcio salottiero sui beni culturali, dentro il quale ancora si trattiene miseramente il dibattito attuale su una possibile riforma del settore i cui primi indizi non lasciano presagire nulla di buono, allora avremo vinto la nostra battaglia: saremo un servizio pubblico, come la luce, l'acqua, il gas, la scuola, la sanità! di cui si parla male, prima di tutto perché si è persuasi di aver diritto a che funzionino bene.

Su questo concetto dei diritti vorrei ci soffermassimo un momento ancora. Siamo ormai abituati a pensare alla funzione delle biblioteche in termini di informazione e documentazione, risorse preziose per lo sviluppo del nostro paese, e a batterci perché questa visione prevalga su quella altra, decorativa, di un ricco patrimonio che saremmo chiamati a conservare, per trarne magari vantaggio mostrandolo parsimoniosamente, dice qualcuno, con spensierata prodigalità ovvero con mercantile astuzia, dicono altri, a qualche texano, presunto ignorante, in giro d’istruzione fra i nostri colli di ulivi e cipressi, sempre a rischio di un attacco della sindrome di Stendhal. C’è un modo per sfuggire a questa certamente falsa alternativa: concepire il nostro lavoro come un serio contributo all’esercizio comune del diritto alla felicità ed alla libertà, per noi italiani autoctoni, come per quelli che da noi arrivano turisti o immigrati, comunque intenzionati, per un giorno o per una vita, a vivere diversamente e se possibile meglio. Non è, questo concetto, altra cosa che il normale modo di esistere di un servizio di biblioteca pubblica, componente importante di quella che con eccessivo pudore e burocratica lingua chiamiamo qualità della vita, e che dovremmo, credo, tornare a chiamare appunto diritto a vivere liberi e felici, o almeno a provarci.

Proprio perché crediamo in questa funzione vitale delle biblioteche e crediamo che i cittadini utenti ne siano la ricchezza e la forza più grande, per questo definiamo qui la carta dei servizi (e dei diritti degli utenti) uno strumento per coinvolgere gli utenti nello sviluppo delle biblioteche.

Ma intanto: cos’è una carta dei servizi? Se scorriamo rapidamente la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994 (Princìpi sulla erogazione dei servizi pubblici) vediamo che gli obiettivi principali del testo consistono nel:

- garantire un principio di giustizia nella erogazione dei servizi;

- garantire uno standard di qualità, non in relazione alla qualificazione tecnico-professionale della prestazione ma alla qualificazione tecnico-organizzativa della sua erogazione;

- garantire la conoscibilità e la verificabilità di questo standard e quindi il controllo da parte degli utenti sulla sua applicazione;

- garantire il risarcimento del danno derivante dalla eventuale inosservanza dello standard;

- garantire una evoluzione migliorativa dello standard basata su verifiche di gradimento da parte degli utenti ed ottenuta attraverso la negoziazione amministratori/servizi.

Se tutto questo è una Carta di Servizio, noi possiamo concepire questo strumento in modi diversi, a seconda dell'angolo visuale dal quale lo guardiamo.

Dal punto di vista politico potremmo considerarla uno dei modi della partecipazione dei cittadini alla gestione dei servizi pubblici in un regime democratico, alternativo, per esempio, al modello gestionale diretto che ebbe (più come modello che come realtà effettuale) qualche diffusione negli anni '70. Si suppone che questa sia stata la motivazione della direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Da un punto di vista aziendalistico, potremmo considerarla un modo per dar voce al mercato in funzione regolativa del processo produttivo del servizio. In un contesto dove sporadica è la concorrenza e praticamente assenti i profitti, questo solo strumento abbiamo per conoscere in qualche modo il gradimento dell'utente/cliente e interpretarne i bisogni. Questa potrebbe essere la motivazione di interesse di un bibliotecario-manager.

Infine potremmo anche noi bibliotecari, che abbiamo sempre creduto di essere i soli interessati allo sviluppo delle biblioteche (i ministri, i direttori generali, i sindaci, gli assessori sempre apparendo in tutt’altro affaccendati), noi potremmo scoprire che c'è qualcun altro quanto e, oso dirlo, più di noi stessi interessato: e cioè gli utenti. A questo popolo minuto noi rivolgiamo da sempre affettuosi pensieri (se non da sempre, almeno da un po' di tempo, da quando abbiamo smesso di dedicare il nostro affetto solo ai libri). Noi lavoriamo per lui, che spesso non ci capisce e poco ci apprezza: pazienza! lo perdoniamo. Ecco, io dico: questa gente è la nostra risorsa più grande. Offrendo loro i mezzi per controllare il nostro lavoro e la qualità della nostra prestazione (e spesso ci criticheranno con stolida incomprensione delle sottili problematiche della nostra nobile e misconosciuta professione) li cointeresseremo allo sviluppo dell'intero settore delle biblioteche. Questa potrebbe essere la motivazione di una categoria professionale così persuasa della validità sociale della propria funzione da non temere ma anzi da sollecitare la critica come fattore di sviluppo. Voce ad una siffatta maniera di essere categoria professionale vuol dare anche qui oggi l'Associazione Italiana Biblioteche, ancora purtroppo il solo momento unificante nel mondo delle biblioteche italiane.

Ma la discussione odierna sollecita contributi alla riscrittura di una legge regionale. Come già altri hanno espresso, l'incertezza del quadro istituzionale sembra sfavorire questo lavoro legislativo le cui competenze potrebbero mutare tra poco nel senso, si suppone, di una estensione del loro ambito di applicazione e di una più intensa capacità di penetrazione. Così che la nozione stessa di biblioteche di ente locale e di interesse locale, ripresa dalla Costituzione, ne verrebbe profondamente stravolta. Di cosa, dunque, stiamo parlando? Io credo che, pur nel mezzo di questa incertezza e di altre forse ancor più profonde sul significato stesso del nostro lavoro - cui alcuni già oggi hanno dato voce addirittura revocando in dubbio l’opportunità di una riforma legislativa -, una cosa ci dovrebbe apparire chiara: stiamo parlando del servizio bibliotecario nazionale (l'uso delle iniziali minuscole segnala che non si tratta dello scioglimento dell'acronimo SBN, ma del concetto che lo sottende) del servizio bibliotecario nazionale che si organizza su base territoriale, promuovendo la massima autonomia delle biblioteche-istituzioni e prevedendo una funzione dello Stato sul piano della definizione dell’assetto-quadro del sistema e quindi delle sue finalità generali ed una funzione delle Regioni e delle Provincie sul piano della definizione degli obiettivi fondamentali e del controllo sul grado del loro raggiungimento. Stiamo quindi parlando di una legge regionale di principi organizzatori, che presuppone una legge quadro nazionale (e la presuppone nel suo logico fondamento, anche quando ancora non ci sia), in cui la vecchia distinzione delle biblioteche sotto il profilo della titolarità istituzionale scompaia o receda sullo sfondo per lasciare emergere le differenze funzionali di servizio sulla base della massima autonomia gestionale delle istituzioni.

Dicendo legge di principi organizzatori, intendo dire una legge che prescriva la necessità di standard-obiettivo di servizio, definendo quale sia l'istanza che decide questi standard e quale sia quella che ne controlla l'adozione e il mantenimento.

Torniamo ora alla carta dei servizi. Le nuova legge regionale dovrà richiedere che ogni biblioteca abbia una carta dei servizi. Questo è uno standard-obiettivo? Più che altro, lo diventa se la legge prevede i tempi e i modi in cui la carta dovrà essere adottata e non, sia ben chiaro, il suo contenuto operativo e negoziale, ovvero gli standard di erogazione del servizio in senso proprio, sulla cui osservanza la Carta chiama gli utenti ad esprimersi. Per capirci e fare una proposta: noi proponiamo una carta dei servizi discussa e approvata dalle biblioteche su base provinciale entro il primo anno di vigenza della legge e su base regionale entro il secondo. Questo sarà il contributo dell'Emilia Romagna alla scrittura di una carta di settore delle biblioteche: come Ente Regione prescrivendolo per legge; come comunità di biblioteche e bibliotecari proponendoselo comunque, legge o non legge, come obiettivo volontario entro il 2000. Qualcuno oggi ha riproposto che sia costituita una qualche forma di consultazione permanente fra le biblioteche della nostra regione, e non solo di quelle di ente locale: credo che un tema come quello della carta dei servizi si presterebbe ottimamente ad avviare questa discussione e a condurla, poi, ad un concreto risultato operativo, condizione perché una Consulta delle biblioteche possa aspirare ad essere un’istanza seria ed impegnativa, sia per noi che per la Regione.

Chi abbia provato a scrivere una carta dei servizi che non sia una melensa giaculatoria di buoni propositi (in cartella potete trovare una bozza di carta per il Servizio di prestito interbibliotecario che sta per essere approvata dal Comune di Parma, di cui vi parlerà in un suo intervento la collega Flora Raffa e che già abbiamo cominciato a discutere coi colleghi bibliotecari dell’Università) sa quanto compromettente sia questo impegno, perchè tocca il cuore stesso dei nostri servizi, ne esalta le criticità, sottolinea la frequente eterodeterminazione delle risorse, nel complesso l'insufficiente capacità di controllo che ancora esercitiamo sul nostro lavoro. Questa è la ragione per cui solo scelte individuate e condivise dagli operatori stessi che dovranno mantenerne l'operatività possono entrare non demagogicamente a comporre una carta dei servizi. Della carta dei servizi tutti ne parlano: solo le biblioteche possono fare la loro! Si tratta di istituire un meccanismo di deleghe fiduciarie a cascata: come il bibliotecario scopre coraggiosamente il fianco alla critica dell'utente, così il politico affiderà coraggiosamente al bibliotecario la scelta del fianco da mostrare. E', d'altra parte, ciò che si è fatto e si fa in altri comparti della pubblica amministrazione: in questi mesi le Usl della nostra Regione, ad esempio, hanno prodotto le loro carte in questo modo. Non c'è altra scelta che questa di fidarsi, perchè la costruzione a tavolino di standard di servizio non condivisi dagli operatori non può che tradursi in una presa in giro degli utenti. E, comunque, noi bibliotecari dobbiamo esigere che prima della definizione di qualsiasi standard di prestazione siano assicurati dalle Amministrazioni i mezzi per cui noi stessi possiamo poi garantirne l’osservanza davanti ai nostri utenti. L'ipotesi, che il nostro Paese sembra aver adottato, di una riforma della pubblica amministrazione e del sistema dei servizi pubblici come processo negoziato e non come evento miracoloso, comporta anche nella nostra vicenda una dialettica di obiettivi e mezzi che si gioca fra tre partner: amministratori, bibliotecari ed utenti, ed il cui risultato evolutivo sono appunto gli standard di servizio. E’ anche un modo, e non è poca cosa, per rompere il circolo vizioso delle clientele e costringere le Amministrazioni a percorrere quello, virtuoso, in cui il giudizio che il pubblico esprime sull’operato dei politici si fonda sull’apprezzamento dei servizi e non dei favori resi.

Vorrei concludere ritornando alla proposta che già ho avanzato poco sopra: una carta dei servizi a riferimento provinciale entro il primo anno di vigenza della legge, costruita dalle biblioteche di quel territorio come obiettivo del loro piano bibliotecario. Anzi, perché non proporcelo come obiettivo comune inserito nel Piano bibliotecario regionale per il 1998, come elemento qualificante delle sue linee programmatiche? Sarebbe una sperimentazione utile in vista della nuova legge e, comunque, un buon servizio per i nostri utenti, quindi anche per noi stessi.

Giovanni Galli



«Bibliotime», anno I, numero 1 (marzo 1998)


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