«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)


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Carla Crivello

Personale strutturato e non nelle biblioteche:
un'occasione per il cambiamento?



Michele Santoro nel suo "Personale strutturato e personale non strutturato: quale interazione nelle biblioteche?" [1] mi ha stimolato ad esporre alcune riflessioni.

I vecchi modelli di organizzazione del lavoro - impliciti o espliciti - dovrebbero essere ormai inservibili nei nostri attuali ambienti lavorativi in cui interagiscono contributi "professionali" e "non professionali" strutturati, sullo sfondo di complessi e complicati regolamenti e norme, con prestazioni lavorative anche "professionali" non stabili, di durata variabile, e variamente regolamentate nei confronti dell'istituzione.

La fluidità della nuova situazione richiederebbe, a mio avviso, impegno e inventiva per la sperimentazione di nuovi stili organizzativi a beneficio di tutte le componenti.

Mi sembra invece che gli atteggiamenti più diffusi possano essere ricondotti schematicamente a due:

Il primo, congelandosi nell'affermazione che tutti dovrebbero essere assunti a tempo indeterminato (e perché non tutti bravi e ben pagati? aggiungo io) non delinea tentativi di soluzione e si colloca a pieno titolo nel territorio delle ipersoluzioni di cui parla Watzlawick [2].

Il secondo, appiattendosi sulla presa d'atto formale del fenomeno, si limita a qualche ritocco organizzativo qua e là e all'affidamento casuale di compiti

E invece, sotto questo profilo, le nostre biblioteche potrebbero diventare un interessante laboratorio, a condizione però che esistano coraggio e idee per sperimentare e soprattutto la consapevolezza che ne potrebbero derivare vantaggi per tutti [3].

Ma affinché tale sperimentazione possa muovere i primi passi occorre, a mio avviso, che l'ampiezza della visione non sia ristretta nei confini della singola realtà lavorativa.

I problemi del mercato del lavoro sono noti a tutti: negli ultimi anni sono diminuite

"le possibilità di impiego a vita in una stessa azienda, e soprattutto le possibilità di trovare un posto fisso, statale o garantito. Ma la cultura della dipendenza, del posto fisso, degli aiuti statali ha spesso contribuito al sottosviluppo individuale e collettivo. Forse molti lavoratori dipendenti e molte aree depresse possono essere aiutati a trovare percorsi alternativi più gratificanti.

Tenendo corsi di formazione in grandi aziende pubbliche e private, ho incontrato molte persone consce dei limiti e delle frustrazioni del lavoro subordinato, che spesso produce ciò che promette: dipendenza psicologica e incapacità di darsi degli obiettivi, di responsabilizzarsi nel seguire i propri sogni. Sovente in tale situazione si sviluppa un attaccamento ambivalente, di odio-amore verso l'azienda, simile al legame mamma-bambino. Da un lato l'azienda è la madre buona e potente, che potrebbe favorire la crescita e lo sviluppo del lavoratore, soddisfare i bisogni di appartenenza e di riconoscimento; dall'altro è la madre cattiva che impone i suoi obiettivi e i suoi metodi, limita la creatività e la libertà individuale, vincola alle sue regole e alle sue norme, comportandosi spesso in modo ingiusto e irrazionale nell'elargire privilegi, promozioni e riconoscimenti. Più il rapporto lavoratore-ditta è di tipo feudale, con criteri di riconoscimento poco trasparenti, più il rapporto superiore-dipendente ricorda gli aspetti anche irrazionali di quello genitore-bambino, con tutte le attese, le pretese e le incomprensioni reciproche.

Questo tipo di dipendenza a lungo andare lede il bisogno di crescita e di autonomia dei lavoratori, anche quando essi hanno la fortuna di avere dei superiori capaci e degni di stima. Ma le situazioni più difficili, naturalmente, si verificano là dove si è costretti a dipendere da incompetenti che hanno raggiunto la loro posizione per vie feudali. In questi casi, nei sottoposti, messi di fronte a direttive contraddittorie, emergenze inesistenti e decisioni sbagliate, possono insorgere vere e proprie nevrosi. Promuovere raccomandati deprime tutta l'organizzazione, perché evidenzia l'inutilità dell'impegno e pone invece in primo piano l'importanza dei contatti giusti, delle cordate. Così, in molti ambienti di lavoro gerarchici, soprattutto pubblici, si perde più tempo in lotte intestine che in miglioramento della produttività. Nei contesti statali e parastatali, per la pesantezza della catena gerarchica, ci sono le persone più infelici di dipendere dai loro dirigenti e al tempo stesso più paralizzate e incapaci di andarsene; non a caso le aziende moderne stanno diminuendo il numero dei livelli. In certe strutture, infatti, sono necessarie decine di approvazioni successive, per lo più scritte, prima di potere realizzare un'idea. Da un punto di vista psicologico, dover dipendere da molti superiori crea un senso di oppresssione, di costrizione psichica, di mancanza di potere che, se protratto, porta alla mancanza di iniziativa. A questo punto, anche quando si ha un'idea, non la si propone nemmeno, tanto si bloccherebbe lungo il percorso decisionale, o peggio ancora, qualcuno se ne approprierebbe, attribuendosene il merito".[4]

Tenendo conto di queste osservazioni e accogliendo la definizione di biblioteca come sistema, a cui fa riferimento Santoro citando Giovanni Solimine, si possono trarre alcune utili considerazioni per orientare il nostro (possibile) intervento.

- La biblioteca come (micro)sistema sociale è fortemente caratterizzata per la natura dei servizi prodotti dalla rete di atti comunicativi (soprattutto scambi linguistici) che avvengono tra i suoi componenti.

E quanto più la rete è complessa, più complesso è il suo sistema di interconnessione, più essa sarà elastica e capace di adattarsi ai cambiamenti.

Al contrario, la frammentazione in gruppi e individui isolati porta facilmente a pregiudizi e conflitti.

- Un ambiente di lavoro caratterizzato da un'atmosfera stimolante, attenta alla valorizzazione dei singoli, solleciterebbe contributi attivi e creativi da parte di tutti e potrebbe portare anche ad una gestione più flessibile dell'orario individuale di lavoro [5].

Ma come favorire questo processo?

"L'apprendimento continuo nel corso della vita è un concetto centrale per l'empowerment ed è sostenuto

da una teoria dell'apprendimento... secondo la quale gli adulti apprendono quando:

- i contenuti di apprendimento proposti loro sono rilevanti: oltre a trasferire sapere cioè, si formano concrete capacità, ciò che diventa sinonimo di potere ...;

- il clima e l'atmosfera del processo formativo sono supportivi e non valutativi;

- si sentono impegnati nei confronti della loro crescita personale e del loro apprendimento piuttosto che dell'organizzazione;

- conoscono il contesto del nuovo apprendimento, ovvero posseggono una mappa del mondo (dove siamo, dove stiamo andando, come raggiungeremo i nuovi territori);

- tutti i loro sensi sono stimolati;

- sono attivi (discutono, influenzano, partecipano);

- ricercano un feed-back costruttivo, sia esso riflessivo o valutativo;

- apprendono con il loro ritmo e sono rispettati nelle loro differenze" [6].

- Per alcune componenti dell'attuale sistema biblioteca - per es. gli studenti part-time o le persone con situazioni difficili inserite nelle cooperative sociali [7] - il poter operare in un contesto lavorativo aperto, partecipativo e con momenti di verifica del proprio contributo, può costituire anche un periodo formativo utile per i successivi percorsi lavorativi.

- Il problema della responsabilità può essere (finalmente) affrontato in modo nuovo e originale.

- La presenza di procedure automatiche "rigide" per la gestione dei documenti, accanto a prodotti informatici personalizzati, che sono il risultato di un intreccio tra competenze tecniche e creatività individuale o collettiva [8], può generare curiosità e stimoli per l'apprendimento di nuove abilità.

- La scelta, all'interno della vasta gamma di programmi informatici, di quello che di volta in volta si presta meglio alla soluzione di problemi o all'offerta di nuovi servizi, se compiuta in cooperazione può favorire la riflessione sugli aspetti non meramente strumentali del rapporto mezzi/fini [9].

Per concludere, si riporta a titolo esemplificativo una tabella sul ruolo di manager e collaboratori in un modello di empowerment [10] con cui dilettarci per una verifica nelle rispettive posizioni.

Manager ieri Manager oggi
Dà ordini Dà indirizzi e supporto
Trattiene le informazioni Passa le informazioni
Definisce le modalità per raggiungere gli obiettivi Fa decidere ai collaboratori le modalità per raggiungere gli obiettivi
Controlla frequentemente tutto Controlla costantemente le cose importanti
Critica i collaboratori Discute cosa non va e incoraggia il miglioramento
Lavora da solo Lavora in gruppo
Progetta e fa eseguire Progetta con i collaboratori
Collaboratore ieri Collaboratore oggi
Esegue Idea, progetta ed esegue
Trattiene le informazioni Scambia le informazioni
Lavora da solo Lavora in gruppo
Fugge le responsabilità Ricerca nuove responsabilità
Rifiuta il cambiamento E' entusiasta del cambiamento
Si aspetta direttive dettagliate Si aspetta stima e supporto
E' dipendente E' autonomo
Fa sempre le stesse cose Ha idee nuove e iniziative

Carla A. Crivello. Biblioteca "F. Ruffini" del Dipartimento di scienze giuridiche - Università di Torino e-mail: crivello@cisi.unito.it

Note

[1] In "Bibliotime", 1 (1998), 3, <http://spbo.unibo.it/aiber/bibtime/num-i-3/santoro.htm>

[2] Paul Watzlawick, Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico. Milano, Feltrinelli, 1998.

[3] Tradotto nei termini della teoria dei giochi, implica che i giocatori siano disposti a fare dei giochi "a somma diversa da zero"

[4] Donata Francescato, Amore e potere. La rivoluzione dei sessi nella coppia e nella società. Milano, Mondadori, 1998, p. 172-174.

[5] Una maggiore flessibilità, concordata all'interno della struttura, dell'orario di lavoro, permetterebbe di ottemperare a impegni e responsabilità extra-lavorativi senza alcun discapito.

[6] Claudia Piccardo, Empowerment. Strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona. Milano, Raffaello Cortina, 1995, p. 14.

[7] In molte biblioteche dell'Università di Torino, alcuni servizi sono stati appaltati a cooperative sociali e non.

[8] Mi riferisco ad esempio al contributo di alcuni studenti part-time al servizio di assistenza alla consultazione delle banche dati su CD-ROM nella biblioteca in cui opero.

[9] Un valido esempio è rappresentato dalla ideazione, realizzazione e aggiornamento di un sito WEB.

[10] Claudia Piccardo, Empowerment, op. cit, p. 115.



«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)


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