«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)


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Andrea Menetti e Giovanna Delcorno

Soggetto, complemento, predicato:
per una analisi logica o illogica del lavoro in biblioteca



Il nostro intervento prende spunto dalla discussione in atto riguardo l’utilizzo - più o meno compatibile, omogeneo e necessario - di collaboratori a vario titolo utilizzati nelle biblioteche: ritieniamo perciò opportuno delimitare il campo di indagine inizialmente agli obiettori di coscienza e agli studenti part-time, e successivamente alle altre figure che possono rientrare nella categoria dei cosiddetti "non strutturati".

In relazione al primo punto, è ovvio che le esperienze sono necessariamente diverse, per cui si avrà notizia di responsabili di biblioteca i quali hanno utilizzato con grande profitto i collaboratori esterni, e di altri poco propensi a ripetere tali esperienze.

Ovviamente non ci sentiamo di intervenire sulle posizioni di quanti, a vario titolo e al di fuori dei compiti assegnatigli ufficialmente dalla P. A., abbiano ricevuto una formazione professionale ed ora, in virtù di questa, richiedono una sorta di ‘canale preferenziale’ di assunzione presso la medesima P. A. Tale punto di vista compare oramai da un po’ di tempo nel panorama delle discussioni biblioteconomiche ospitate in varie sedi [1].

Senza spingerci in analisi sistemiche, di teoria delle organizzazioni complesse, di strutture gerarchiche piramidali o di rapporti di potere di qualsivoglia natura, ci sembra più opportuno analizzare lo stato attuale delle cose non sulla base di suggestive teorie che non sempre trovano riscontro nella realtà, ma tenendo conto soprattutto delle esperienze quotidiane. L’utilizzo dei "non-strutturati" rimane necessariamente un problema di modi e di mezzi per chi decide in questo senso, non potendo sempre contare su apporti qualificati ma essendo talvolta costretti a ripiegare sulla nota formula ‘di necessità virtù’: “In se stessa un’ideologia non è né buona né cattiva. Tutto dipende dal momento in cui la si adotta”[2].

Riteniamo che scopo dell’obiezione di coscienza non sia quello di avere il privilegio di imparare un mestiere confidando in uno stage di circa dodici mesi, in quanto coloro che hanno compiuto scelte differenti, spesso loro malgrado, vengono in questo modo penalizzati. Il ruolo di queste persone dovrebbe essere solamente quello di svolgere il compito loro affidato con la massima serietà e correttezza, non perdendo, comunque, l’occasione per acquisire conoscenze spendibili sul mercato del lavoro.

L’altro aspetto del problema, per quanto di fatto coincidente, è relativo agli studenti part-time i quali, in virtù di contratti per loro natura a breve termine, vanno sì utilizzati, poiché ciò è previsto dal sistema, ma individuandone al meglio le caratteristiche al fine di permettere anche a loro di ricevere qualcosa nel campo dell’esperienza professionale.

Non ci sembra corretto impostare il problema in termini di sociologia del lavoro, in quanto la struttura delle biblioteche non sempre si dimostra un sistema dinamico. Non necessariamente questo aspetto è da intendersi in una accezione negativa, ma, al tempo stesso, non ci pare possibile concepire una struttura "elastica" in grado di utilizzare al meglio i collaboratori esterni. Uno dei punti chiave risiede nel ruolo che si attribuisce ai collaboratori. Quindi, a prescindere dalla creazione di "schematismi" [3] che risultano applicabili esclusivamente nelle realtà particolari, il concetto di individuo diventa predominante e necessario: “Mi pare che troppi artisti oggi mirino a confondere il problema ‘Uomo’ con il concetto ‘direzione’, dimenticando che è il secondo ad essere subordinato al primo e non viceversa” [4]. Le parole del pittore Tancredi Parmeggiani sono difficilmente fraintendibili, rimandando, senza nessuna possibile elusione, alla primarietà delle caratteristiche dell’individuo e non della prassi intesa come assegnazione di ruoli fissi. Le competenze e le attribuzioni saranno in questo modo gestibili con un sistema detto ‘a fisarmonica’: maggiori nel caso le caratteristiche del collaboratore lo rendano possibile, e ridotte al minimo qualora si riscontrino scarse possibilità di un utilizzo funzionale alla struttura.

L’assunto che “le strutture sopravvivono agli uomini e che quindi occorre operare in esse e per esse” è valido solo se si tiene conto del fatto che dette strutture sono costituite anche affinché gli uomini vi lavorino esprimendo il meglio delle proprie possibilità.

“La biblioteca", come scrive Serrai, "non può essere una organizzazione conclusa, in quanto le relazioni che vi si attuano, non sono complete. Le funzioni bibliotecarie si esercitano e si adempiono in un contesto che comprende l’utente; e l’utente rappresenta proprio il confine della definizione e della giurisdizione della biblioteca [...] Le difficoltà di cui patisce la biblioteca sono dovute alla presenza nel suo ambito di sfere cognitive differenti e di esigenze differenti, che non possono venir composte in un sistema unico ed autonomo” [5]. Il sistema biblioteca è costituito da varie parti tra loro interdipendenti, per cui in ogni caso la posizione dei non strutturati è molto delicata, sia, ad esempio, che essi si occupino di rifare le etichette dei volumi - si pensi ad un banale errore di trascrizione che può rendere il libro irreperibile - sia che svolgano mansioni a diretto contatto col pubblico. Per cui non si può pensare che la biblioteca compensi le esigenze di "collocazione" di obiettori e studenti part-time a prescindere dalle loro propensioni, competenze e conoscenze.

“Vi trovate sul treno senza aver prenotato il posto. Ne trovate uno, ma ci sono alcuni viaggiatori in piedi. Quando lo ‘steward’ annuncia che il pasto è pronto, i viaggiatori che sono in piedi osservano ansiosamente, per vedere se qualcuno, recandosi a mangiare, lascia libero il proprio posto. Se andate al vagone ristorante non avete il diritto di reclamare il posto al vostro ritorno. Ma senza lasciare il posto vuoto non potete mangiare; se non mangiate, nessuno vi prenderà il posto, neppure durante il tempo in cui gradireste trovarvi al vagone ristorante. Quale soluzione potreste escogitare? [...] Non esiste una soluzione ottimale ‘indipendente’: bisogna vedere che cosa fanno gli altri.” [6].

Un discorso a parte si potrebbe fare riguardo situazioni particolari, quali ad esempio la presenza in biblioteca di personale inquadrato nell’ambito di progetti tesi a facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro (si pensi a progetti di recupero, lavori socialmente utili, ecc.).

Questo tipo di esperienza si è rivelata molto positiva, sia per la struttura ospite che per la persona direttamente interessata, nel momento in cui è stata prevista una figura esterna (anche un obiettore) con l’incarico di seguire il progetto. In questo modo si evita di far gravare sul bibliotecario un ulteriore compito specifico attribuendogli il ruolo di coordinamento, così che egli possa assolvere ai propri compiti senza doversi improvvisare tutor a tempo pieno.

L’ultima categoria di ‘non-strutturati’ che prendiamo in considerazione è quella dei collaboratori esterni liberi professionisti - con alle spalle, dunque, una solida preparazione teorica e pratica – i quali prendono parte alla vita di una realtà bibliotecaria per mezzo di appalti (spesso tramite cooperative) o assunzioni a tempo determinato. Oggi si parla con una certa frequenza di outsourcing [7], della tendenza, cioè, ad appaltare servizi, primo fra tutti quello di catalogazione ed in particolare di recupero del pregresso, in modo da permettere ai bibliotecari ‘strutturati’ di svolgere al meglio i loro compiti, senza - nei limiti del possibile - sentirsi continuamente l 2'acqua alla gola e vedersi perciò costretti a trascurare operazioni meno necessarie nell’immediato, arrivando in breve tempo a minare alla base l’efficienza del servizio stesso, in virtù della "sistemicità" della biblioteca.

Pur non dipendendo direttamente dalla stessa amministrazione, gli ‘strutturati’ ed i liberi professionisti si trovano a lavorare di fatto sullo stesso piano, spesso con campi d’azione regolati esplicitamente da contratti e molto meglio definiti rispetto alle categorie prima esaminate, e perciò meno soggetti ad interpretazioni fuorvianti rispetto ai casi visti in precedenza.

Determinante, per una maggiore efficacia del servizio offerto, è la durata del rapporto lavorativo: se infatti ai collaboratori viene richiesta grande competenza nel settore nel quale sono chiamati ad operare (spesso non venendo retribuiti per partecipare ai corsi di aggiornamento, ma tenuti ad essere al passo con novità catalografiche e quant’altro), la loro estraneità alla situazione specifica rende più difficile una visione che tenga conto, ad esempio, della particolare utenza (che si riflette poi su qualsiasi lavoro si sia chiamati a svolgere). Oltre ad una spiccata competenza - unita spesso a ritmi di lavoro condizionati dal mercato - bisogna dunque che il collaboratore abbia l’elasticità che gli permetta di adattarsi, magari nel giro di pochi mesi, adiversi ambiti lavorativi, diventando capace, ad esempio, di indicizzare uno stesso libro con voci di soggetto lievemente diversi, nella consapevolezza che l’utenza di una biblioteca di dipartimento universitario non è assimilabile a quella di una biblioteca comunale.

Maggiore è il tempo trascorso in una determinata struttura, maggiore sarà l’osmosi che permetterà un servizio sempre migliore. D’altra parte il mutamento di situazione può essere considerato la ricchezza principale di chi si è trovato a fare o ha scelto di essere un libero professionista: l’affrontare sempre nuovi ambienti, differenti sistemi di catalogazione, di disposizione dei libri, di servizi al pubblico, di iniziative, la conoscenza di persone con percorsi lavorativi diversi, costituisce un’esperienza ricca di spunti sempre nuovi, che forse sarebbe interessante provare, almeno per un piccolo periodo, prima di approdare eventualmente al sospirato porto degli ‘strutturati’.

Certo ci auguriamo che ciascuno di noi possa trovare presto la sistemazione che ritiene più consona alle proprie inclinazioni e necessità, ma sicuramente dobbiamo fermarci per un attimo ad assaporare la bellezza dell’essere in un qualche modo (a tempo determinato o meno, come obiettori, come liberi professionisti, come direttori...) una piccola parte di questo microcosmo che è la biblioteca e di poter contribuire - svolgendo nel migliore dei modi il nostro piccolo o grande compito - al funzionamento e alla crescita di uno strumento fondamentale per gli uomini di ogni tempo.

Andrea Menetti e Giovanna Delcorno, e-mail: g.delcorno@posta.alinet.it


Note

[1] In particolare ci si riferisce alla lista di discussione AIB-CUR.

[2] Emile M. Cioran, Storia e utopia. Milano, Adelphi, 1995, p. 115.

[3] Intendiamo con questo termine la creazione di un sistema che non prevede la variazione dei ruoli assegnati.

[4] Tancredi [Parmeggiani], Il mio vocabolario è l’universo, a cura di Carla Natto. Milano, Mazzotta, 1984, p. 126.

[5] Alfredo Serrai, In difesa della biblioteconomia. Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 12.

[6] T.C.Schelling, Un primo approccio alla teoria dei giochi, in Giochi e paradossi in politica. Torino, Einaudi, 1989, pp. 9-10.

[7] “Intner [...] ritiene che l’affidamento esterno sia preferibile se il pubblico trae beneficio da un lavoro fatto meglio e più rapidamente e se il costo risulta inferiore. [...] Infatti chi vi [in outsourcing] lavora non è meno professionale solo perché viene pagato da un privato, mentre la procedura è accelerata dalla mancanza di burocrazia.” (Outsourcing, a cura di Carlo Revelli, “Biblioteche oggi”, 16 (1998), 8, pp.34-38).



«Bibliotime», anno II, numero 1 (marzo 1999)


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