«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)


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Dal cartaceo all'online e ritorno
(passando per la Prefettura)



Davvero strana, e densa di imprevisti è la vita dei periodici elettronici, nati con lo scopo di affrancarsi dalla fisicità della carta e immediatamente costretti a rincorrere il proprio archetipo, ad assimilarlo, a replicarlo in una serie di peculiarità da cui non sembra possibile prescindere: dalla disposizione dei "pezzi", spesso strutturati in modo del tutto simmetrico al modello cartaceo, alla presenza di un comitato scientifico per il vaglio "alla pari" degli articoli. Si tratta di una tendenza che ha tra i suoi precursori quel raffinato snob dell'editoria online che è Stevan Harnad il quale, verso la metà degli anni Ottanta, fondava l'ormai celebre "Psycoloquy" con l'obiettivo di avere una rivista che mantenesse le caratteristiche di selettività e di filtro scientifico tipiche delle pubblicazioni a stampa, senza per questo rinunciare alle capacità di trasmissione informativa propria della rete Internet.

Ma forse né Harnad né gli altri pionieri dell'editoria elettronica avrebbero pensato a dover percorrere a ritroso il cammino verso l'online e realizzare copie cartacee delle proprie riviste al solo fine di soddisfare gli obblighi del deposito legale: è ciò che invece è capitato a "Bibliotime", che ha dovuto sottostare a questa necessità per infrangere l'ultima barriera che la separava dalle pubblicazioni a stampa ed acquisire quella solidità che - al pari delle altre riviste elettroniche - sembrava preclusa in partenza. Difatti, è ben noto che in seguito alla consegna di quattro esemplari presso la Prefettura e uno presso la Procura della Repubblica, qualsiasi opera assume un diverso status giuridico, essendo ad esempio riconosciuta "valida" ai fini dei concorsi pubblici: e ciò al di là del fatto che essa abbia o meno una struttura editoriale di riferimento, o che esista un comitato scientifico in grado di esercitare un vaglio qualitativo sui contenuti. Dunque "Bibliotime" ha seguito questa trafila: e così, dopo l'attribuzione del numero ISSN, il fatto di essere "legalmente depositata" completa il percorso in direzione di una sua "normalizzazione", vale a dire - ed è ovvio - di un suo adeguamento alle norme.

Ora, non è questa la sede per avviare una discussione sulle norme relative al "deposito obbligatorio degli stampati": e tuttavia è difficile non rilevare come tali norme - ce lo attesta il loro stesso nome - risultino per lo meno inattuali ad un ambiente sempre più pervaso di informazione digitale, e nel quale rischiano di provocare situazioni paradossali ogni volta che dovranno applicarsi alle pubblicazioni online. In ogni caso, finché i periodici elettronici e gli altri strumenti di diffusione digitale dell'informazione non saranno considerati alla stessa stregua degli media cartacei, non ci stancheremo di produrre cinque hard copies dei diversi fascicoli di "Bibliotime" e di depositarle nei luoghi canonici, di modo che agli articoli sia riconosciuta la stessa validità propria delle riviste a stampa.

Ed è interessante che queste considerazioni vengano a collocarsi in un numero che per larga parte è dedicato alle diverse manifestazioni dell'universo digitale: prima fra tutti - e forse non a caso - quella relativa ai periodici elettronici, che trova nell'articolato resoconto di Remo Badoer e Antonella De Robbio un approfondimento quanto mai prezioso su un tema di importanza strategica per le biblioteche. E sull'asse rappresentato dall'editoria elettronica convergono, ciascuno dal suo punto di vista, gli interventi di Carlo Infante e di Anna Ortigari: il primo volto a individuare, nel comune ambiente delle reti, i contesti nei quali l'informazione viene veicolata, recepita, fruita; il secondo teso a dar conto, nella misura più ampia, degli interessanti risultati cui è pervenuto il convegno italo-inglese sulla Digital Library, convegno tenutosi a Bologna nel giugno scorso e che appare come uno dei momenti più significativi nel dibattito sulla biblioteca contemporanea. Il quadro è poi completato dall'avvincente analisi di Francesco Mazzetta, che mescolando la finzione letteraria alla stringente attualità, perviene a significative conclusioni sul ruolo delle biblioteche e dei bibliotecari.

E tuttavia, come di consueto, l'interesse non è limitato ai molteplici aspetti legati al digitale, ma si allarga a una pluralità di tematiche che costituiscono le diverse faccette nelle quali si scompone l'universo delle biblioteche: dalle odierne contingenze relative al diritto d'autore alle opportunità di diffusione dell'editoria sul territorio, dalla necessità di fornire "alcune definizioni indispensabili per capirsi nell'epoca del knowledge management" alla volontà - se non al piacere - di raccontare momenti di vita bibliotecaria così insoliti e particolari quali quelli che si possono vivere presso la l'Istituto Warburg di Londra.

Il numero è arricchito infine da un'ampia sezione di recensioni volte a mettere a fuoco le diverse problematiche che la letteratura professionale italiana va affrontando con crescente attenzione: e fra tutti i contributi, ci sia consentito di nominare soltanto la densa e articolata analisi svolta da Cinzia Bucchioni sui temi della comunicazione e del marketing della biblioteca, la cui rilevanza ai fini di una oculata gestione delle strutture bibliotecarie s'impone con un rilievo e un'urgenza davvero speciali.


(M. S.)



«Bibliotime», anno II, numero 3 (novembre 1999)


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