«Bibliotime», anno III, numero 3 (novembre 2000)


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Giulia Visintin

Nomi e personae. Parte prima



La fantasmagorica foresta di segni che accompagna l'esecuzione della musica contemporanea nella sua diffusione planetaria e non solo le esibizioni in senso stretto dei musicisti ma qualunque loro ostensione nel mondo dei mezzi di comunicazione di massa si presenta particolarmente rigogliosa per quanto riguarda i dispositivi ai quali si lega l'identità delle persone o dei gruppi di persone che eseguono quella musica, quale che sia il loro ruolo specifico [1]. Pare perfino riduttivo usare ancora la categoria dei nomi, di fronte alle scelte in fatto di pseudonimi e nomi collettivi che si possono trovare in qualunque discografia o classifica [2]. Più sovente che nel mondo della letteratura in senso lato, càpita che le persone che fanno musica si scelgano nomi eccentrici, al confine fra alfabeto e grafica, nei quali si sovverte volentieri la relazione semantica fondamentale fra nome personale e persona (o gruppo) identificato. Ovviamente il valore dei nomi di persona non è sempre e comunque assoluto: sappiamo bene che al nome di Andrea o Gabriele - per esempio - può rispondere un giovanotto in Italia ma una giovanotta in Germania. Tuttavia l'identità dei musicisti sembra disporsi su una varietà di forme molto più fantasiosa ancora della pur variegata casistica degli stati civili tradizionali. Nello stesso tempo, per ragioni abbastanza comprensibili ma con una tenacia stupefacente, lo stile citazionale invalso nel mondo musicale si modella ancora sulle combinazioni autore-titolo di bibliografica memoria [3].

Grafismi e pronuncia dei nomi della musica

Il nome scelto per un cantante o un gruppo musicale, quando non sia quello reale, non si limita ormai ad un nome d'arte dalla forma ancora tradizionale, o ad un soprannome quasi altrettanto tradizionale, ma sovente assume una forma grafica che diventa l'espressione con la quale il personaggio si presenta costantemente nelle proprie pubblicazioni e in tutte le occasioni della sua vita pubblica: copertine dei dischi, manifesti e altra letteratura pubblicitaria, libri dedicati all'esecutore e alla sua musica, merci intitolate al personaggio come capi di abbigliamento o altri oggetti di uso quotidiano. In alcuni casi si tratta semplicemente dell'uso di una certa fonte di caratteri, o di una trascrizione del nome nel contesto di un disegno che lo renda sempre immediatamente riconoscibile [4], o ancora di una grafia che modifichi lievemente la posizione di alcune lettere. In altri le differenze toccano elementi che influiscono direttamente sulla forma scritta del nome. Lo scarto dalla forma canonica di nome e cognome resi discernibili nei testi dall'uso regolare delle iniziali maiuscole può essere minimo: innanzi tutto la riduzione dei prenomi alle sole lettere iniziali, abbastanza usuale nella comunicazione pubblica nel mondo anglosassone [5]. Un cambiamento di poco maggiore, ma che mina già la distinzione immediata fra nomi propri e nomi comuni, è l'uso di tutte lettere minuscole [6]. È infatti da qui che parte la questione della riproduzione dei nomi in sedi diverse da quelle sulle quali si esercita il controllo diretto della forma preferita da parte della persona interessata. Sedi della comunicazione scritta come cronache e interviste giornalistiche, testi in genere, e soprattutto repertori di metadati come bibliografie e cataloghi, nei quali alla spinta individuale della scelta del nome si oppongono i criteri interni di normalizzazione, che nel caso dei nomi propri sono fortemente debitori alle forme canoniche, dunque all'uso determinante delle iniziali maiuscole.
Lo misura dello scarto può anche essere maggiore, con l'inclusione di segni non alfabetici nel nome, l'adozione di forme acronime (magari prive di testo soggiacente) o di onomatopee, la commistione con linguaggi tecnici, fino alla rappresentazione per mezzo di un segno grafico soltanto [7]. In tutti questi casi al problema della trascrizione del nome si aggiunge quello della sua pronunciabilità. Le scelte di nomi in tutto o in parte non alfabetici provocano infatti comportamenti diversi al momento della pronuncia di quei nomi, diversità che si accentua col crescere del divario tra lingua originale e lingua del pubblico. E poco importa se le diverse modalità di lettura e pronuncia sono deliberate da chi quel nome ha inventato e scelto - talvolta consapevolmente ammettendo ambiguità se non doppi sensi - o se si sono imposte con la diffusione della popolarità dei musicisti al di là dei confini della lingua natale, o grazie alla imprevedibile fantasia del pubblico.
Se il problema della trascrizione investe direttamente le registrazioni dei metadati, anche quello della pronuncia non è estraneo alle attività di consultazione di repertori e cataloghi, almeno sotto due punti di vista. Da quello della comunicazione verbale che può precedere e accompagnare quelle attività (o anche sostituirle, in biblioteche a scaffale aperto). E dal punto di vista del trattamento catalografico, quando si tenti di rendere quei nomi - quando fungano da metadati - 'così come sono scritti' [8] (cioè come sono letti).

Ordinabilità dei nomi

La resa di nomi in forma non canonica pone di conseguenza vari problemi anche per quel che riguarda l'ordinamento e la reperibilità che ne deriva [9]. Se sono sovvertite le fondamenta del modello 'nome e cognome', sarà arduo foggiare stringhe ordinabili (quelle che una volta si chiamavano 'intestazioni') da nomi che si rifiutano di soggiacere ai criteri di normalizzazione più diffusi. Non solo: alla luce delle possibilità onomastiche sperimentate dai musicisti, soli o in gruppo, risalta meglio l'incongruità di trattamento fra nomi di enti collettivi che coincidono con un nome di persona e pseudonimi collettivi che - quando mimino un nome personale - vengono normalizzati secondo il modello del nome in forma inversa [10]. Quando si parla di nomi d'arte, dove comincia e dove finisce la consapevole imitazione delle forme consuete nei nomi reali? E, quel che più conta, dove comincia e dove finisce la percezione dell'affinità o della dissomiglianza fra pseudonimi e nomi correttamente riconoscibili nelle componenti tradizionali? Perché costringere le ricerche nei repertori di quegli pseudonimi ad un percorso doppio e in parte artificioso, che consiste nell'accertare dapprima se il nome che si cerca riguarda un individuo o un gruppo, e quindi nel trattare un nome collettivo come se fosse quello di un individuo [11]?
Sulla labilità del confine fra nomi personali e nomi collettivi si appoggia precariamente anche l'inclusione o l'esclusione dai nomi dei musicisti dell'articolo iniziale, per quanto conta ai fini dell'ordinamento. Anche in questo caso quel che preme non è di sottolineare l'opportunità di una revisione dei criteri vigenti - per lasciare da parte le norme [12]. Si tratta piuttosto di una conferma di come questi nomi si servano di forme già note e consuete per indirizzarle a fini d'identificazione deliberatamente differenti. Dunque, qualunque tentativo di riconoscervi comportamenti ricorrenti e normalizzabili sembra destinato al fallimento, o perlomeno qualunque tentativo di sottoporre tali nomi a procedure di normalizzazione che facciano riferimento proprio a quei criteri sovvertiti o almeno criticati, parodiati, messi alla berlina dai nomi dei musicisti.

Valore semantico dei nomi

Ma il punto critico di tutta la faccenda ha poco a che fare con i rapporti fra nomi e metadati, per quanto rilevanti siano dal punto di vista dei bibliotecari. La difficoltà maggiore sta probabilmente nel diradarsi del rapporto semantico fra nomi e entità rappresentate, che probabilmente si manifesta con maggior forza quando i nomi usati si vedano di solito attribuire un significato comunemente inteso di singolarità o pluralità e di genere femminile o maschile. Quando un nome è completamente artificiale, o almeno deliberatamente neutro (anche se questa dimensione ha comunque rapporti col contesto linguistico, variando com'è noto da una lingua nazionale ad un'altra, per tacere delle accezioni gergali) ci sono minori impedimenti a riconoscervi il carattere di scelta deliberata, e a non volervi attribuire - da parte degli artefici come da parte degli spettatori - le funzioni di identificazione che comunemente intendiamo quando usiamo i nomi propri.
Se invece nel nome rimangono caratteristiche associate o associabili al genere e al numero grammaticale, ma queste caratteristiche non risultano confermate dalla realtà delle persone riconoscibili con quel nome, la funzione indicale di quel nome può venirne almeno in parte compromessa. Magari non ci sono più problemi di formalizzazione, e dunque d'indicizzazione nel senso più meccanico, ma rimane l'incertezza su chi o che cosa venga rappresentato. Il nesso fondamentale dell'indicizzazione si riduce ad una tautologia: con un dato nome si identifica chi si rappresenta con quel nome. Probabilmente si tratta soltanto di un segno, un sintomo, di una condizione più frequente nel mondo della musica che in altri campi, ma rimane sconcertante considerare come anche riferendosi a personaggi le scelte dei quali negano o contraddicono ogni valore semantico ai nomi non si possa fare a meno di usarli, quei nomi.


Giulia Visintin, Sommariva del Bosco (CN), e-mail: g.visintin@iol.it


Note

[1] Alcune riflessioni in proposito sono state presentate in Giulia Visintin e Dario Maguolo, Featuring Pompeo Magno: prime idee sui nomi nella musica, "Elephant talk: rivista musicale elettronica", n. 46 (7 Maggio 2000). Questo contributo ne costituisce il proseguimento.

[2] Si sarebbe tentati di ricondurre a questo problema anche il trattamento dei nomi dei sempre più numerosi musicisti, appartenenti a culture diverse da quella occidentale (compresi certi orientamenti della cultura afro-americana), venuti alla ribalta negli ultimi anni. Ma quando si tratti semplicemente di nomi anagrafici gli strumenti a disposizione sono quelli già utili per gli autori in senso tradizionale: codici di catalogazione e testi di riferimento internazionali (l'indispensabile Names of persons: national usages for entry in catalogues. 4th revised and enlarged ed. München: Saur, 1996). L'esotismo - in questo caso - supera di poco quello del nome di qualsiasi inaspettato premio Nobel della letteratura di origine asiatica o africana.

[3] Basta osservare la costante applicazione della formula 'esecutore, titolo del brano, titolo dell'album', con poche variazioni nell'ordine degli elementi, nell'intitolazione di ciascuna delle videoclip trasmesse da MTV (o in trasmissioni affini da altre emittenti). I dati sono presentati quasi sempre senza didascalie esplicative - al massimo con lievi differenze di carattere - tanto sono percepiti come auto-evidenti sia il loro significato, sia le relazioni che li collegano e i ruoli ricoperti da ciascuno, anche quando il valore semantico non è dei più certi.

[4] L'altrettanto diffuso accompagnarsi del nome ad un disegno, un marchio, una veste editoriale costante non risulta pertinente a queste considerazioni, se il nome vero e proprio si presenta in una forma leggibile e soprattutto trascrivibile con facilità.

[5] L'uso è assai diffuso anche fra gli autori letterari: D.H. Lawrence, P.G. Wodehouse, P.D. James.

[6] Anche in questo caso non si tratta di una scelta limitata al campo musicale: si veda il classico esempio del poeta e.e. cummings (e la relativa antonomasia in Erich Segal. Love story. Garzanti, 1971, p. 10), o la studiosa nordamericana Gloria Watkins, che pubblica sotto il nome di bell hooks.

[7] È stranoto il caso del segno col quale per qualche tempo ha firmato i propri lavori il musicista noto in precedenza come Prince, segno che infatti in molte occasioni è stato reso sul piano verbale (parlato e anche scritto, o forse viceversa) con l'acronimo TAFKAP: the artist formerly known as Prince.

[8] Regole italiane di catalogazione per autori. Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, 1979, Appendice II, 14. Parole in caratteri non latini; 15. Simboli.

[9] Non si prende qui in esame l'ordinamento automatico che un elaboratore applica da sé, in virtù dei suoi codici interni, coi quali è possibile rappresentare una vastissima gamma di segni. Anche limitandosi ai segni non alfabetici più comuni, l'ordinamento automatico non ha altra forza per imporsi che la sua pervasività (per quanto sia una forza non da poco), basandosi appunto su tabelle di codifica dalle precedenze non condivise universalmente, e diffuse in misura non certo paragonabile a quella - per esempio - dell'ordinamento alfabetico.

[10] Regole italiane di catalogazione per autori. Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, 1979, 50. Nome costantemente o prevalentemente usato. 5.

[11] Naturalmente i punti d'accesso alternativi servono appunto a questo, a evitare la moltiplicazione delle ricerche (ma non eliminano il problema della percezione e dunque della capacità di ricerca per nomi surrettiziamente simili a quelli veri): in particolare, per il problema qui esposto pare opportuno ricordare la proposta di includere per ogni nome una possibilità di accesso dalla forma senza inversione avanzata in Giulia Visintin, Nomi di persona: i nomi, "Bollettino AIB", 38 (1998) 1, p. 59-64.

[12] La questione dell'articolo iniziale dei nomi che non siano strettamente nomi di persona non è poi neppure così pacificamente risolta: di fronte a norme di catalogazione che escludono l'articolo iniziale dai nomi collettivi, abbiamo almeno due illustri esempi di scelte in senso opposto: l'elenco degli abbonati della Telecom e il catalogo degli editori italiani, pubblicato annualmente dall'AIE.



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