«Bibliotime», anno IV, numero 1 (marzo 2001)


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Sonia Minetto

Il valore aggiunto nel servizio di reference:
esperienze a confronto



La crescita del numero di coloro che avranno accesso alla rete, unitamente al decrescere dei costi connessi alle nuove tecnologie e alle telecomunicazioni saranno i due elementi di massimo impatto sull'evoluzione dell'industria dell'informazione.

In uno studio recente Deborah Holmes Wong [1] ha ipotizzato scenari futuri in cui gli utenti saranno per definizione remoti. Un pubblico non più costretto a recarsi in biblioteca per consultare il materiale, un'informazione di cui si accetta la qualità non eccellente, dall'esaustività apparente ma disponibile in rete subito. Contenuto vs. Immediatezza. Ricordiamoci, ammonisce la Holmes, che questo è il pubblico che ha smesso di acquistare l'Enciclopedia Britannica a favore di Encarta di Microsoft.

Si riproporrà, di volta in volta rinnovato, un conflitto che già conosciamo: raggiungere un'utenza sempre più vasta fornendo al tempo stesso il più completo dei servizi. La completezza sembra essere definita da quattro elementi: quantità, qualità, interattività e adeguamento alle esigenze del singolo. Sono caratteristiche non nuove, note da sempre a chi lavora sul reference, e tuttavia soggette al necessario confronto con i tempi. Una sfida, come sempre, ma anche, come vedremo dagli esempi, la grande opportunità di costruire un valore aggiunto che consenta al complesso biblioteca di acquisire quella visibilità che spesso è un obbiettivo mancato.

L'antropologa Bonnie Nardi [2] sostiene in suo studio che il lavoro del bibliotecario è invisibile e per questo spesso svalutato. L'utente alla ricerca dell'informazione è "bloccato" e necessita di qualcuno che lo aiuti a superare l'ostacolo, qualcuno che interpreti le sue esigenze e le rielabori. Il bibliotecario-tramite è ancora, le indagini lo dimostrano, la risposta voluta dai nostri clienti.

Oggi il reference è indubbiamente il più visibile dei servizi offerti dalla biblioteca e al contempo quello che deve affrontare le trasformazioni più rapide. Essenzialmente siamo chiamati a fronteggiare una sfida con un elemento dai contorni molto vaghi: la distanza. Le esperienze alle quali accennerò hanno avuto luogo negli Stati Uniti e in Australia, paesi dove le distanze sono causa di abitudini di vita assai diverse dalle nostre. La distanza tuttavia è un concetto estremamente ampio: università con poli distaccati, centri urbani soffocati dal traffico ma anche accesso a disabili, etc; le strutture bibliotecarie sapranno essere without walls, senza mura? e noi bibliotecari sapremo essere "non remoti" per i nostri utenti?

Un passo a favore della visibilità lo sta esercitando certamente la user-education, sebbene in Italia il riconoscimento curriculare delle iniziative tardi ad arrivare. E' da notare come il mondo del lavoro continui a segnalare l'esigenza di una formazione specifica sull'uso di strumenti di ricerca [3].

Le biblioteche sono certamente chiamate ad avere un ruolo attivo nel distance learning. Nonostante esista ancora nel nostro paese un'atavica difficoltà per il corpo docente a relazionarsi con il personale bibliotecario non possiamo pensare che il nostro ruolo resterà quello di diffondere programmi di insegnamento via web. Le esperienze straniere, le esigenze di scambio di materiale, la crescita dei consorzi, le richieste di formazione, tutto spinge verso un futuro che vedrà il nostro ruolo in primo piano. Elisabeth Watson [3] [4], in un suo recente intervento, conia il termine distance librarianship, destinato a ricorrere in molti dei nostri sonni futuri.

Quindi comunicare a distanza con un pubblico indubbiamente variegato. Quali sono le richieste di questo pubblico? Alcuni autori [4] hanno reso noto, dati alla mano, che l'utente remoto desidera in prima battuta un call center, un centro informazioni telefonico raggiungibile 24 ore su 24. Quanto c'è di vero? Di certo si parla di real time network reference service come di una normale evoluzione del servizio di reference [5]. L'e-mail reference service e la desktop videoconferencing fanno la parte del leone, anche se la parola d'ordine per tutte le strutture che hanno deciso di offrire questi servizi innovativi è stata integrare, non dimenticando la necessaria pluralità dei canali di accesso all'utente finale.

La progettualità è la modalità costante di approccio, bando quindi alle improvvisazioni o a servizi dalla qualità altalenante. Progettare per queste strutture ha significato:

Per la realizzazione del progetto IRIS della Casey Cardinia Library Corporation in Victoria, Australia [6] sono stati predisposti questionari online per valutare le caratteristiche dell'utenza remota. IRIS è partito senza costi aggiuntivi; la promozione del progetto è stata realizzata sulla pagina web, dalla quale era possibile accedere al servizio specifico, ma anche sulla stampa locale e su bollettini interni.

Le modalità di inoltro delle richieste di informazioni costituiscono ancora un punto di discussione. Pare comunque evidente l'esigenza di predisporre una form più o meno articolata. La biblioteca del Babson College [7] è quella che fornisce l'esempio più ricco e quindi le riflessioni più interessanti, anche perchè fa riferimento ad un modello proposto da un noto studio precedente, quello di Abels. La form richiede:

Ball State University, Brown University, Dakota State University propongono modelli decisamente più semplici.

La formalizzazione del servizio con la predisposizione di uno specifico regolamento è indispensabile, pena la frustrazione e l'abbandono da parte dell'utenza. Occorre dunque definire i tempi massimi di risposta (generalmente 48h); le condizioni di fornitura documenti (per es.: nel caso in cui si forniscano fotocopie su ordinazione potrebbe essere previsto un sovrapprezzo); i limiti (spesso non viene inviato materiale via fax o in formato elettronico per motivi legati al copyright), etc. Formalizzare significa anche strutturare personale e risorse, conferendo al servizio una chiara riconoscibilità e visibilità dall'esterno. La University of South Australia offre il servizio REFER [9], con uno staff dedicato di due bibliotecari e un tecnico informatico, un accesso dalla web page con logo, tempi di risposta in 24 ore ed una lista di frequently asked questions disponibili.

Ma chi utilizza questo tipo di servizio e quali sono le tipologie di richieste che vengono inoltrate? Il servizio indubbiamente allarga il pubblico della biblioteca, coinvolgendo finalmente la comunità non solo locale e in larga parte quella internazionale. In Australia lo staff dell'ente di appartenenza (inteso come personale docente e non docente) ha la percentuale massima. In uno studio condotto alla State University di New York a Buffalo [8] i graduate students sono la maggioranza dei clienti. In tutti i casi esaminati le richieste predominati sono quelle classificate come ready reference, domande alle quali è possibile fornire una risposta immediata e breve con il solo supporto delle risorse disponibili nel campus: più del 70%. E' indicativo notare come tra i vantaggi connessi al servizio la University of Australia ponga al primo posto l'incredibile potere comunicativo-pubblicitario dell'esperienza realizzata. Un'ondata di visibilità comunque programmata, pubblicizzata con cura. Vorrei citare in proposito una loro affermazione:

As with any new service, advertising has to be constant anywhere, anytime, and on anything to have an impact.

L'e-mail reference service rimane un servizio non interattivo, soprattutto non sincronico. Questa sua caratteristica ha il vantaggio di rendere possibile il raggiungimento di una sacca molto ampia di utenti potenziali e al contempo implica ulteriori integrazioni. Se Ferguson [6] afferma che la sfida del reference nella biblioteca digitale è estendere lo human touch su clienti fisicamente remoti, allora un interactive video conference service è la logica integrazione. Sottolineo integrazione e non evoluzione proprio per evidenziare come il reference debba porsi in futuro quale realtà multisfaccettata, in grado di ultilizzare molteplici canali per il raggiungimento di obbiettivi diversi. Anche qui non mancano esempi, con problematiche affini e linee guida comuni. L'esperienza pilota è quella della University of Michigan [10], che ha connesso la biblioteca con gli utenti dislocati nelle dodici Residence Halls Libraries. Il servizio è stato progettato con costi minimi, connessi solo alle videocamere. E' stata prevista una sola interazione per volta e il personale addetto è stato scelto su base volontaria. Anche in questo caso la formalizzazione e la regolamentazione del servizio sono stati passi indispensabili: in che orario e con quale durata offrire la connessione (all'inizio sono state identificate due sere la settimana per due ore ciascuna); a quale utente dare la priorità (l'utente video è stato uniformato all'utente al telefono. Resta quindi prioritario il cliente fisicamente presente). All'università della California, Irvine ha presentato un'esperienza analoga con un servizio offerto per un'ora al giorno. I software utilizzati sono stati generalmente Netmeeting o CuSeeMe.

Quanto realizzato ha consentito di identificare alcuni punti:

Sono stati evidenziati problemi connessi a quella che è stata definita communication etiquette, inevitabili credo, e al training sull'uso di risorse elettroniche per l'impossibilità di visualizzare le reciproche schermate di lavoro. Ma se il servizio di reference ideale deve essere personalizzato, questo si può tranquillamente definire come ritagliato su misura.

Nuovi ruoli, nuovi servizi. Si parla di distance librarian come di una nuova figura di bibliotecario che sta richiedendo già una modifica di percorsi formativi. E' indubbia una penetrazione sul territorio impensabile in passato, una grande arma per orientare, convincere, accreditarsi. Un'arma che, come abbiamo visto, necessita di strumenti non convenzionali per ottenere risultati ottimali.

Il marketing non è argomento amato dai bibliotecari, eppure non possiamo esimerci dal riconoscere che seguire esperienze e linee guida altrui è una strada percorribile e fruttuosa. Marketing non significa solo promozione, cosa che costituisce la parte finale, l'ultima fase del flusso comunicativo diretto agli utenti [11]. Si parla comunque di packaging del servizio, quindi di presentazione di un prodotto tenendo conto del suo impatto sul pubblico. Nella realtà bibliotecaria è il planning che gioca la parte più significativa, con la definizione dell'identità stessa della biblioteca: ricognizione del pubblico tramite segmentazione del mercato (questionari, interviste, focus group), riesame periodico delle condizioni interne ed esterne, adeguamento costante degli obbiettivi a nuove più proficue strategie. Il marketing tradizionale mira alla conquista del cliente, quello che la biblioteca deve adottare ha come fine il soddisfacimento nel tempo dell'utente e quindi la sua "fedeltà", se così si può definirla, alla risorsa biblioteca. Larry X. Besant [12] afferma che noi vendiamo in prima battuta una personal relationship, un'interazione, ma non per questo il nostro prodotto non deve essere gestito con criteri di progettualità. Siamo abituati a considerare valore aggiunto la nostra capacità di gestire, organizzare, arricchire l'informazione, tuttavia esiste un valore aggiunto anche in quel famoso human touch che, tecnologia o no, pare essere la richiesta costante. Oggi quel valore può consentirci di far arrivare la nostra professionalità ad un pubblico vastissimo: credo si tratti di una sfida interessante.


Sonia Minetto, Biblioteca "P.E. Bensa" - Università degli Studi di Genova, e-mail: sonminet@giuri.unige.it


Riferimenti bibliografici

[1] Deborah Holmes-Wong, Richness vs. reach: using technology to overcome economic impediments to reference service, "Reference Librarian", 66 (1999), p. 210-211

[2] Anne G. Lipow, Serving the remote user: reference service in the digital environment, <http://www.csu.edu.au/special/online99/proceedings99/200htm>.

[3] J. Culpepper, Equivalent library support for distance learning: the key to staying in business in the new millenium, <http://www.westga.edu/library/jlsde/vol2/1/JCulpepper.html>.

[4] Elisabeth F. Watson, Library services to distance learners - the new professional paradigms, <http://www.col.org/forum/casestudies.htm>.

[5] Libraries without walls 3: the delivery of library services to distant users, edited by Peter Brophy, Shelagh Fisher, Zoe Clarke. London, Library Association Publishing, 2000.

[6] Steve Coffman and Matthew L. Saxton, Staffing the reference desk in the largely-digital library, "Reference Librarian" 66 (1999), p.141-163.

[7] Chris D. Ferguson, Charles A. Bunge, The shape of services to come: value-based reference service for the largely-digital library, "College and Research Libraries", 58, (1997), p. 252-265.

[8] Michelle McLean, Expanding library services beyond the walls, "Australasian Public Libraries and Information Services", Sep. 1999, p. 97-104.

[9] Bernie Sloan, Service perspectives for the digital library: remote reference services, <http://www.lis.uiuc.edu/~b-sloan/e-ref.html>.

[10] Barbara Rocchi, The virtual reference desk: how does it work?, <http://www.library.unisa.edu.au/papers/vrdesk.htm>.

[11] Kathleen M. Folger, The virtual librarian: using desktop videoconferencing to provide interactive reference assistance, <http://www.ala.org/acrl/paperhtm/a09.html>.

[12] Darlene E. Weingand, Future driven library marketing. Chicago, Ala, 1998.

[13] Larry X. Besant, Libraries need relationship marketing, "Information Outlook", March 2000.



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