"Bibliotime", anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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Giovanni Di Domenico

Problemi e prospettive della biblioteconomia in Italia [*]



1. Riflessione preliminare sulla relazione Casamassima-Cerulli: un esempio, tuttora vivo, di biblioteconomia "dei problemi"

Il 28 aprile 1969 Emanuele Casamassima, direttore della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, ed Emidio Cerulli, direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma, intervengono al Consiglio superiore delle accademie e biblioteche su di una relazione svolta da Salvatore Accardo. Riletto trent'anni dopo, il testo di quell'intervento si raccomanda, oltre che per lucidità di analisi e lungimiranza di proposta, anche per la coerenza squisitamente biblioteconomica del suo impianto (parliamo, almeno in questo caso, di una biblioteconomia non accademica, di un'elaborazione che nasce al cospetto di specifici problemi e che però sui problemi costruisce ipotesi organizzative e gestionali di più ampia portata e di significato non contingente) [1]. Vale davvero la pena di tornare, sia pure a volo d'angelo, su alcuni di quei temi, senza strapparli arbitrariamente al loro lontano contesto di politica bibliotecaria, tuttavia cogliendone elementi di metodo forse ancora oggi utili, funzionali a una riflessione sui processi di conoscenza e sulle applicazioni pratiche che possono giustificare l'esistenza e legittimare la funzione di quell'insieme di saperi, tecniche ed esperienze che va sotto il nome di biblioteconomia.

Una prima questione riguarda i mezzi finanziari da mettere a disposizione delle biblioteche. Casamassima e Cerulli si dichiarano soddisfatti, felicemente sorpresi, di un finanziamento appena ottenuto e finalmente sufficiente ad avviare una "difficile e complessa opera di restituzione e di rinnovamento" delle due biblioteche centrali [2]. Subito dopo, però, esprimono il dubbio che la prosecuzione di questo impegno possa non essere sorretta da risorse altrettanto adeguate. C'è insomma un clima di incertezza al riguardo, tale da non consentire "quella programmazione e quella pianificazione ad ampio respiro che è indispensabile per una vera, profonda trasformazione, ristrutturazione dei due maggiori istituti bibliografici italiani" [3]. E commentano: "Il finanziamento per le biblioteche [...] non può essere precario, seppure a volte abbondante; deve bensì essere certo, costante, prevedibile; deve commisurarsi alle reali, constatate esigenze delle biblioteche, ai loro piani di rinnovamento e sviluppo" [4]. Di pari passo con la certezza delle risorse viaggia poi la necessità di assicurare almeno alle biblioteche maggiori "forme di amministrazione autonoma" [5]. Casamassima, in modo particolare, tornerà altre volte su questi concetti, a profilare gli orizzonti della programmazione, del cambiamento, anche della valutazione, come costitutivi della prassi biblioteconomica e del rapporto tra organizzazione bibliotecaria e amministrazioni di riferimento [6]. In nessun momento della sua vicenda intellettuale e professionale di bibliotecario [7] queste idee risulteranno derubricate a mera routine amministrativa, a parenti povere di altri luoghi ed espressioni della professione: la consapevolezza gestionale, qui nella forma di rapporto mezzi-fini, caratterizza la professione bibliotecaria ed è parte preminente del suo corredo culturale. Per inciso: non mi pare faccia velo a questa verità il sospetto, pure fondato, di una sovrapposizione del retroterra politico-ideologico di Casamassima alla specificità e "purezza" biblioteconomica del suo pensiero. Se così è stato (e il discorso vale anche per altre questioni cui accennerò di qui a poco), il connubio non ha penalizzato più di tanto la valenza e l'efficacia delle sue posizioni.

In un altro punto del loro intervento Casamassima e Cerulli toccano il problema del livello scientifico e professionale del personale bibliotecario, problema che viene interpretato sotto diverse angolazioni: la qualità della formazione, le procedure di reclutamento, la necessità di promuovere adeguate forme di specializzazione. All'interno delle ipotesi di lavoro che i due direttori delineano, vi sono almeno tre spunti di interesse e valore non solo storico: l'insistenza sulla necessità di una più stretta cooperazione tra università e biblioteche, tra luoghi della ricerca e della formazione e luoghi dell'esercizio professionale (un'altra costante in Casamassima); l'importanza formativa del tirocinio; il pericolo rappresentato dalla routine burocratica e dalla resistenza al cambiamento presente tra i vertici direzionali delle biblioteche. Quest'ultimo punto è sostenuto da considerazioni di straordinaria intelligenza organizzativa e in anticipo rispetto a esiti recentissimi della riflessione biblioteconomica non solo italiana, riflessione poi aiutata da un esplicito rinvio a suggestioni e stimoli segnatamente provenienti dalla sociologia delle organizzazioni. Scrivono Casamassima e Cerulli: "La direzione accentrata, fondata in definitiva sull'autoritarismo, e il tipo di collaborazione, diciamo così, verticale, che ne è la diretta conseguenza, non rispondono più alle complesse articolate funzioni, soprattutto scientifiche e tecniche, di una grande biblioteca moderna, che esigono molte e distinte competenze. La collaborazione tecnica dei colleghi non è mancata; se fosse altrimenti le biblioteche sarebbero naufragate da tempo. Ma qui s'intende parlare di collaborazione direzionale e decisionale, che è altra cosa e che è reale, creativa soltanto se si accompagna a precise, dirette responsabilità scientifiche e amministrative" [8]. Nella letteratura biblioteconomica italiana del trentennio successivo non si troverà nulla su questo argomento che possa reggere il confronto con la lungimiranza, la precisione e la forza sintetica di queste parole. Vi è nettissima la percezione della crisi irreversibile di un modello organizzativo fondato sulla gerarchizzazione dei rapporti di lavoro, sull'accentramento della decisione, sulla separazione tra istanza decisionale e livello esecutivo, un modello che le biblioteche hanno mutuato dagli apparati amministrativi e che più latamente caratterizza la storia della società industriale, da Taylor in poi. Condivisione delle decisioni, riduzione dei livelli gerarchici, responsabilizzazione, libertà creativa - le linee di riforma organizzativa invocate da Casamassima e Cerulli – occupano solo da pochi anni, e non senza impacci - l'agenda concettuale della biblioteconomia e quella strategica delle biblioteche. Una domanda, ancora di sfuggita e a margine: non si possono leggere anche sotto questa luce - che rimanda a un'idea fortemente innovativa, e una volta di più consapevole, della leadership e del lavoro di squadra in biblioteca - le discusse misure di disarticolazione delle gerarchie adottate in Nazionale da Casamassima nei giorni dell'alluvione [9]? Misure da stato d'eccezione, certo, e senz'altro condizionate nel loro radicalismo, estremo e imbarazzante, da esperienze e modelli di matrice politica, della militanza partigiana, e dal proverbiale fastidio ideologico di Casamassima per la burocrazia, ma misure interessanti come precoce tentativo di sperimentare coraggiosamente forme organizzative del tutto nuove, perché centrate sul principio della delega e del trasferimento di potere, piuttosto che su quello tradizionale dell'autorità formale e del comando [10]: oggi tutto questo, cambiato ciò che va cambiato, si chiama "valorizzazione delle risorse umane".

Prima di lasciare il contributo di Casamassima e Cerulli, non mi sento di rinunciare alla tentazione di elencare, nulla di più, almeno altre quattro sue idee forza: la proposta di riforma del deposito obbligatorio degli stampati; il richiamo all'opportunità di proseguire sulla strada del catalogo collettivo nazionale e insieme alla necessità di allestire cataloghi collettivi su base regionale, finalizzati al coordinamento del prestito interbibliotecario; infine, la doppia intuizione sul coordinamento possibile dei servizi di informazione bibliografica da un lato e degli acquisti dall'altro. E' innegabile che sui diversi tavoli della nostra politica bibliotecaria, della nostra progettualità biblioteconomica e delle pratiche di servizio delle nostre biblioteche vi siano ancora tutte, ma proprio tutte, quelle sollecitazioni.

2. La biblioteconomia italiana tra librarianship e information science

Ben al di là di un omaggio di circostanza alle idee e all'opera di Emanuele Casamassima, mi è sembrato giusto segnalare in apertura del mio intervento come alcuni esiti della riflessione e della discussione biblioteconomica degli ultimi dieci o dodici anni trovino legami profondi, spesso insospettati, e comunque tutti da indagare, con discorsi e suggestioni del nostro passato, oltre che sponde sincroniche nella librarianship anglosassone e proficue risorse di metodo nelle discipline organizzative. Su questi due ultimi aspetti conviene peraltro fermarsi un attimo. E' fuor di dubbio, intanto, che anche nel nostro paese sempre più stretto stia diventando il rapporto tra elaborazione biblioteconomica, esercizio della professione bibliotecaria e attività di servizio delle biblioteche. Un rapporto cresciuto dapprima in termini di consapevolezza, con due punti fermi: 1) la gestione delle biblioteche presenta peculiari, e inediti, caratteri di complessità; 2) le competenze necessarie ad affrontare questa complessità richiedono una maturità di approccio maggiore e un più ampio ventaglio di conoscenze rispetto al passato. Questa doppia consapevolezza ha permeato di sé ampie fasce di comunità professionale, contribuendo a determinare una domanda diffusa di progetti scientifici, di modelli, di tecniche, di applicazioni, necessari all'apprendimento e allo sviluppo di nuove competenze biblioteconomiche e più latamente professionali, ma necessari anche all'approfondimento degli aspetti più tradizionali della professione. Vanno rimarcati alcuni fenomeni connessi a questi processi: il considerevole aumento del numero dei bibliotecari che intervengono ai convegni, scrivono articoli, dibattono pubblicamente i loro problemi e le loro proposte; l'ampliarsi e il consolidarsi delle sedi e delle occasioni di elaborazione e di confronto, molto spesso riservate a specifici aspetti dell'attività professionale; il fiorire di una produzione scientifico/divulgativa più articolata che in precedenza, insieme con un mercato editoriale, certo di nicchia, ma piuttosto vivace; un accenno di migliore visibilità della professione bibliotecaria; il moltiplicarsi delle iniziative di formazione; la crescita stessa dell'Associazione italiana biblioteche e il suo tentativo di caratterizzarsi sempre di più soprattutto come associazione di professionisti. Sono fenomeni largamente supportati da uno sfruttamento intensivo delle nuove opportunità offerte dalle tecnologie di rete: penso ovviamente all'uso della posta elettronica, dei forum, della lista di discussione AIB-CUR, dei siti professionali e dei periodici elettronici. La sintesi è brutale, ma credo che oggi sia questo il più fertile terreno di coltura delle problematiche scientifiche e professionali della biblioteconomia italiana. Se questo è vero, allora è innegabile che, almeno in parte, risultino accorciate le distanze dalla librarianship anglosassone, cioè da una visione del sistema di ricerca/apprendimento/pratica esplicitamente centrata sulle competenze professionali del bibliotecario. Il discorso si complica se si guarda alle articolazioni che la librarianship conosce in ragione dei numerosi contesti dentro cui la professione bibliotecaria è chiamata a esprimere competenze e abilità specifiche [11]. Queste articolazioni guardano ora alle tipologie bibliotecarie tradizionali (academic librarianship, public librarianship, special librarianship), ora all'ambito d'interesse disciplinare di particolari categorie di utenti ( chemical librarianship, medical librarianship, healt sciences librarianship, etc.), ora alla diversa natura dei supporti documentari (rare book librarianship, digital librarianship). Resta invece sostanzialmente unitario il profilo della professione nel nostro paese (e del suo retroterra formativo e disciplinare). Non so se sia un male. Va detto che in ogni caso non manca da noi un'attenzione alle specificità di contesto e alla relativa definizione di percorsi e vocazioni professionali. Il limite forse è altrove: nella difficoltà di far emergere - per le competenze correlate ai processi di accesso, organizzazione e trattamento delle informazioni - destinazioni che vadano oltre il contesto bibliotecario strettamente inteso. Il problema, che meriterebbe ben altri approfondimenti, riguarda in primo luogo la formazione universitaria ed investe i processi di riforma in atto. Per sfuggire alle ambiguità che stanno avvolgendo il termine librarianship (insieme di tecniche riconducibili a più contesti e applicazioni, attuali e potenziali, o settore professionale dei bibliotecari?), e nella difficoltà di valutarne e stabilizzarne scientificamente il rapporto con le tecnologie e gli ambienti digitali, inglesi e americani tendono a cercare riparo sotto il più esteso ombrello della library and information science: lì i servizi di biblioteca trovano sia il loro ambito scientifico-disciplinare di riferimento, sia una possibile e non troppo sovraesposta collocazione come una delle aree in cui si applicano competenze spendili anche altrove (management di archivi e basi di dati, sistemi di gestione delle informazioni, knowledge management, etc.) [12]. Nella nostra tradizione una parte di discorso coperta dall'endiadi library and information chiama in causa anche altre discipline (la documentazione, l'archivistica), con cui la biblioteconomia è in rapporto di contiguità/distinzione [13]. Mettere mano a una riforma degli statuti disciplinari, e anche al loro assetto nel sistema della ricerca e della formazione, non è mai facile e la prudenza non è mai troppa (perché si rischia di incappare nella classica situazione del bambino e dell'acqua sporca), tuttavia è indubbio che occorra lavorare – e che si stia lavorando - anche nel nostro paese da un lato a una definizione del dominio disciplinare della biblioteconomia sempre più aperta al confronto e all'integrazione con altri saperi scientifico-professionali, dall'altro alle possibili proiezioni esterne della professione bibliotecaria, a un ampliamento del dominio, questa volta applicativo, della biblioteconomia verso i problemi di gestione della conoscenza, ovunque essi sorgano, e verso i servizi informativi e documentari, ovunque abbia senso allestirli. In un progetto del genere c'è ancora posto per la componente "nómos" presente nel termine italiano e riflettente la vocazione organizzativa della disciplina? Credo che la risposta possa essere affermativa, visto che molti rischi si stanno diradando e che la disciplina stessa si sta emancipando in via definitiva dai suoi stessi tormenti prescrittivi. Il "nómos" può rappresentare allora un prezioso baluardo contro altri rischi, quelli di un impoverimento tecnicistico della biblioteconomia, di un suo chiudersi dentro il ridotto dei criteri di trattamento delle informazioni e dei documenti (cartacei o digitali, qui non importa), mentre invece il problema rimane quello di elaborare e trasmettere le conoscenze necessarie alla organizzazione di realtà, strategie e attività di servizio non attorno ai documenti, neanche attorno alle tecnologie, ma attorno ai bisogni diversificati di apprendimento, di informazione e di conoscenza degli uomini (degli individui, come dei gruppi e delle comunità). Il controllo dell'universo documentario, l'offerta informativa, le pratiche e gli strumenti della mediazione sono funzionali al soddisfacimento di questi bisogni [14].

3. Biblioteconomia italiana e management: dinamiche di un rapporto

Sulla centralità dell'utente, sulle strategie di ascolto e di comunicazione, sui temi della qualità (dei processi organizzativi e di servizio), sulle tecniche della gestione efficiente ed efficace la biblioteconomia italiana sta producendo un notevole sforzo, di elaborazione e contestualmente di sperimentazione. Lungo questa strada si è misurata con la cultura e le tecniche del management, quasi sempre senza lasciarsene colonizzare, alla ricerca di soluzioni congrue con gli ambiti di intervento propri della professione bibliotecaria nel contesto italiano. Questo percorso ha molte diramazioni: dalla qualità totale al marketing, dalla gestione per progetti ed obiettivi ai cicli di programmazione e governo qualitativo e quantitativo della spesa, dai processi di formazione delle decisioni alle nuove forme di organizzazione del lavoro, e via discorrendo, fino ai contigui ambiti istituzionali, normativi e di politica bibliotecaria. Nell'impossibilità di seguire tutte queste tracce, vorrei limitarmi a segnalarne un concetto "cerniera" e un apparato strumentale [15]. Trovo il primo nell'idea di biblioteca come sistema aperto. La teoria dei sistemi applicata alle biblioteche (che ha origini ormai non vicinissime ma che negli anni Novanta ha toccato il suo apice), si è rivelata estremamente produttiva, perché ha spostato l'attenzione dal prodotto (la raccolta, il catalogo) verso i processi, cioè verso le attività necessarie alla trasformazione delle risorse disponibili in elementi di servizio, e verso il rapporto con l'ambiente della biblioteca, letto in termini di feedback funzionale agli assestamenti adattivi del sistema. Dentro questa cornice teoretica è stato possibile rivedere la funzione delle procedure gestionali, delle raccolte documentarie, degli apparati catalografici, delle strategie di servizio delle biblioteche, legando il tutto all'analisi dei bisogni e delle aspettative espressi dai loro bacini di utenza. Gli esiti di questo lavoro sono davanti ai nostri occhi e appaiono di tutto rispetto [16]. Nel frattempo, la dimensione sempre più globale e digitale dei processi di trasferimento delle informazioni e della conoscenza, un nuovo protagonismo della domanda di servizio, la stessa spinta a una valorizzazione delle componenti creative del lavoro di biblioteca impongono, forse, alcuni ripensamenti, proprio a partire dal concetto di ambiente. Viviamo un'epoca in cui la conoscenza sta diventando, è diventata il fattore produttivo dominante, in cui si dematerializzano i contenuti del lavoro, in cui l'attenzione si sposta dalle strutture alle persone (ai soggetti che conferiscono senso alla vita delle organizzazioni), in cui la complessità muta di segno e si rende in qualche modo impermeabile all'analisi sistemica [17]. In un'epoca siffatta l'ambiente si offre sempre meno come realtà preesistente ed esterna all'organizzazione bibliotecaria: in misura naturalmente variabile, esso è qualcosa che il funzionamento efficace della biblioteca può attivare [18]. Parlo, cioè, di processi di tipo proattivo e non solo adattivo, basati su nuove forme di cooperazione e collaborazione, intraorganizzative e interorganizzative (tra biblioteche, tra bibliotecari, tra bibliotecari e utenti, tra organizzazioni con diverse finalità, tra knowledge workers di profilo e collocazione diversi), forme di elaborazione e scambio delle conoscenze, sostenute anche dall'uso di piattaforme digitali integrate. Punti di riferimento forti di questa prospettiva potrebbero essere una maggiore sottolineatura delle componenti "soft" e relazionali del management bibliotecario (comunicazione, creazione di clima, etc.), una riflessione sulle forme possibili dell'apprendimento organizzativo (e dunque del cambiamento) della biblioteca e in biblioteca, un più ravvicinato confronto tra la teoria e la pratica biblioteconomica e i modelli teorici e operativi racchiusi nel concetto di knowledge management [19].

L'altro aspetto che mi preme evidenziare, in questa parte del mio intervento, attiene alla cultura e alle tecniche della misurazione e valutazione delle attività e dei servizi bibliotecari. Colgo qui un altro esempio di osmosi riuscita tra biblioteconomia "pensata" e biblioteconomia "praticata": nell'arco di un decennio, i principii culturali e i criteri metodologici di fondo della valutazione - prima filtrati dalla letteratura scientifico-professionale anglosassone, poi anche autonomamente ridefiniti - sono diventati patrimonio comune di tante biblioteche italiane, grandi e piccole, grazie anche alla pubblicazione e diffusione di alcuni, utilissimi manuali d'uso, tra l'altro appositamente concepiti per i diversi contesti di servizio. Le esperienze sul campo hanno contribuito all'arricchimento del bagaglio professionale dei bibliotecari italiani e al miglior funzionamento delle strutture, fornendo anche decisivi elementi di riscontro per l'affinamento delle stesse tecniche e degli strumenti utilizzati [20]. Riassumerei così i punti fermi della nostra esperienza in materia di valutazione:

In un quadro di ricerche e di iniziative che si va consolidando, le prospettive potrebbero interessare almeno tre settori d'intervento: una più articolata e sofisticata attività di valutazione dei servizi ad accesso remoto; la valutazione dei servizi a carattere cooperativo; infine, la valutazione di alcuni fattori intangibili, legati alla soggettività, come le competenze professionali interne, espresse o potenziali, la qualità della formazione, il contributo dei soggetti esterni alle decisioni e allo sviluppo dei servizi.

4. La biblioteconomia italiana di fronte all'universo digitale

Oltre che al management, gli studi biblioteconomici italiani hanno dedicato negli ultimi tempi particolare attenzione al trattamento dei dati, delle informazioni, dei documenti e dei servizi in ambiente digitale e nelle reti telematiche. Si tratta di una produzione già rilevante, sotto l'aspetto sia quantitativo, sia qualitativo [21]. Non poteva essere altrimenti, del resto: ciò che abbiamo di fronte (possiamo chiamarlo in diversi modi: era dell'informazione, o dell'accesso, web-society, learning society, società della conoscenza, etc.) scompagina velocemente e altrettanto velocemente riarticola il tradizionale sistema di produzione-circolazione-fruizione del sapere. Lo fa attorno a nuovi soggetti, ambienti, mercati, supporti, tempi, formati testuali e non, strategie e strumenti di consultazione e ricerca. La sensazione è quella di vivere una stagione transitoria, fluida, non si sa quanto lunga. Al disorientamento iniziale, che si è rispecchiato soprattutto nella discussione della presunta antinomia accesso/possesso (ma c'è chi ha fatto sapientemente e tempestivamente chiarezza) [22], è seguita una fase più matura, caratterizzata dal tentativo di capire più a fondo i processi in movimento e i riflessi che ne derivano sull'identità e sulla funzione di biblioteche e bibliotecari. Proverò in estrema sintesi a percorrere alcuni filoni di questa ricerca, che è stata accompagnata – particolarmente nelle biblioteche accademiche – da interessanti tentativi di applicazione e di sperimentazione. Un primo ordine di questioni è di natura lessicale, attiene alla nomenclatura dei concetti e degli oggetti [23]: nomina sunt consequentia rerum? e allora il problema è anche quello di districarsi all'interno di una fioritura terminologica in cui assistiamo a una tracimazione delle parole (libro, documento, biblioteca) dagli alvei abituali d'impiego. La biblioteca è stata rivestita, con nuove metafore e nuovi aggettivi: elettronica, multimediale, virtuale, ibrida, digitale. Ciascuno di questi attributi (alcuni dei quali mutuati da altri contesti, non solo biblioteconomici) rimanda a tipologie tecnologiche, documentarie, organizzative e di servizio che si sovrappongono in parte e che in buona parte si differenziano. Rapidamente e schematicamente, allora: la biblioteca elettronica è una biblioteca automatizzata, alla quale si può accedere anche da una postazione remota; la biblioteca multimediale è una biblioteca organizzata in modo tradizionale, che però rende disponibili raccolte integrate di documenti non solo scritti ma anche audiovisivi, non solo cartacei ma anche digitali; con "biblioteca virtuale" si sono intese molte cose diverse (perlopiù, genericamente, i servizi di accesso alle informazioni e ai documenti esistenti al di fuori dei confini fisici e patrimoniali di un'organizzazione bibliotecaria), ma forse è bene leggerla, con qualche autore, come una raccolta di documenti e informazioni su supporto prevalentemente digitale, provenienti da diverse fonti e assemblati da un utente collegato in rete, in funzione di sue specifiche esigenze di conoscenza; la biblioteca ibrida è una biblioteca in fase di transizione, in grado oggi di integrare gli accessi alle risorse cartacee e gli accessi alle risorse elettroniche, ma chiamata nel tempo a trasformarsi in biblioteca digitale. La tendenza – bisogna pur sempre scovarne una - sembrerebbe quella di spostare l'accento proprio sulla biblioteca digitale. Nel definirla, ci si preoccupa di tenere insieme, osservandoli all'interno di un unico ciclo integrato, a) i soggetti coinvolti; b) il formato di rappresentazione e conservazione dei documenti; c) l'ambiente, diciamo "immateriale", in cui si esplicano le attività di produzione, ricerca, e uso delle informazioni [24]. Alcuni interventi si soffermano soprattutto sulla problematica della digitalizzazione, con riferimento sia alla conversione in formato digitale a testo intero di documenti preesistenti in altro formato, cartaceo ma non solo, sia alla produzione di documenti effettuata direttamente su supporto elettronico [25]. In entrambi i casi si tratta di sciogliere i molti nodi riguardanti le prospettive della conservazione e quelle dell'accesso in ordine alle aspettative maturate, ai rischi paventati, alle risorse informatiche occorrenti, all'analisi dei costi. A proposito di risorse informatiche, va in particolare segnalato l'interesse che in materia di strutturazione logica e archiviazione di testi in formato digitale stanno sollevando i cosiddetti linguaggi di marcatura [26]. Ma poi, non è possibile parlare di risorse digitali, che siano o meno di tipo bibliografico, senza porsi il problema di come identificarle, descriverle, localizzarle e di come saldare queste tre operazioni con la fruizione e la conservazione a lungo termine delle risorse stesse, specialmente di quelle disponibili in Internet. "Catalogare" Internet ha senso? è possibile, almeno in parte? e come [27]? La produzione biblioteconomica italiana su questi argomenti prende in esame contemporaneamente l'evoluzione degli standard di registrazione tradizionali come il MARC (peraltro in difficoltà quando si tratta di descrivere oggetti digitali e non analogici [28]) e le funzioni degli standard specifici, i metadati [29]. Adeguata attenzione è riservata al funzionamento e all'utilizzo dei protocolli di ricerca, al Web, allo Z39.50 [30]. Nel complesso non mancano, penso di poterlo affermare, ottimi spunti di analisi, insieme con intenti riusciti di buona divulgazione e di ricostruzione di casi ed esperienze.

Sul versante gestionale tiene banco il tema dei periodici elettronici e in generale delle risorse informative a pagamento: se ne valutano i vantaggi e gli svantaggi, l'impatto sulle forme della comunicazione scientifica, sul mercato editoriale, sul diritto d'autore, la rispondenza ai bisogni degli utenti, le modalità di accesso, i costi, il rapporto con le collezioni cartacee esistenti [31]. Contestualmente al dibattito, crescono di numero le biblioteche italiane, soprattutto accademiche, che mettono a disposizione dei loro utenti accessi selezionati, spesso guidati, alle riviste elettroniche. Inoltre, si sta facendo opportunamente strada la realizzazione di modelli consortili di acquisizione, nel tentativo di contenere la spesa e garantirsi condizioni contrattuali e di fruizione più favorevoli [32].

Giunti sin qui, conviene però ampliare il nostro campo di osservazione. Non sfuggono, infatti, al dibattito in corso i rischi e le opportunità connessi alla presenza delle biblioteche nel Web, all'attivazione cioè di servizi bibliotecari disponibili in rete. Forse se ne possono richiamare velocemente tre elementi di raccordo: le caratteristiche e le funzioni dei siti bibliotecari; il ruolo giocato dagli OPAC; l'evoluzione dei servizi di reference e di fornitura dei documenti. Non è pensabile concentrare nel breve spazio di una relazione gli approfondimenti che ciascuno di essi merita. Tuttavia, c'è qualcosa di molto sentito, che tocca contemporaneamente tutti questi punti: parlo della cosiddetta "disintermediazione", che è il nome dato al fenomeno della tendenziale emancipazione dell'utente dalla necessità di rivolgersi al bibliotecario per accedere alle risorse informazionali remote, grazie ai servizi, ai motori di ricerca e alle interfacce Web [33]. Il fenomeno si colloca al crocevia di molte realtà (tra ricerca universitaria e comunicazione scientifica, tra tempo libero e tempo di lavoro, tra lavoro e formazione permanente, etc.). Nella comunità professionale la percezione del problema ha assunto aspetti di seria preoccupazione, anche "drammatici": ci si è insomma interrogati sul presente e sul futuro di una professione che si sospetta in declino. Naturalmente – e direi per fortuna - non è stata sottovalutata nemmeno l'altra faccia della medaglia, quella su cui si possono leggere i limiti (di inefficacia, di ridondanza, di costo), che molto spesso accompagnano la navigazione, la ricerca, la frequentazione di banche dati e ipertesti eseguite autonomamente. In realtà, come ogni crisi, anche questa contiene eccellenti opportunità di crescita. Strapparsi i capelli è inutile: occorre invece analizzare bisogni, motivazioni e comportamenti degli utenti, per riformulare i processi della mediazione, e dunque introdurre elementi di dinamicità, di personalizzazione, di reciprocità, di nuovo e apprezzabile valore nella costruzione di architetture e mappe segnaletiche per la ricerca e nell'offerta dei servizi bibliotecari. L'impegno è notevole. Si tratta di focalizzare l'attenzione sui processi di servizio, concepire anche la biblioteca, ibrida o digitale che sia, come un'organizzazione che opera in funzione di determinati utenti e che ha a disposizione strumenti inediti e straordinari per analizzarne i bisogni, per soddisfarli, e ancora di più: per giocare d'anticipo sulle aspettative degli utenti, elaborando tempestivamente servizi e prodotti informativi originali, a valore aggiunto, come si dice. Focalizzare l'attenzione su ciò che fa valore per l'utente significa misurarsi con un'esperienza complessa del servizio bibliotecario, che va molto al di là della percezione legata alla presenza e alla potenzialità delle nuove tecnologie. I lavori sono comunque in corso. Passando in rassegna la nostra letteratura professionale, si possono catturare alcuni concetti-guida:

5. Per una definizione della biblioteconomia come processo cognitivo

Il filo di queste considerazioni lascia inevitabilmente per strada molti, troppi fermenti e indirizzi di studio che contribuiscono a rendere, è quasi un ossimoro, più variegati ma meno frammentati che nel passato, il tessuto scientifico della biblioteconomia italiana e la pratica professionale ad essa correlata. I recenti, importanti sviluppi di discorso teoretico e tecnico in materia di indicizzazione semantica e in materia di descrizione bibliografica avrebbero per esempio meritato da soli l'intero spazio di questo intervento [37]. Ho come scusante la solita tirannia del tempo a disposizione e poco altro, perché si tratta di questioni centrali e comunque strettamente intrecciate con quelle che ho trattato. Chiudo peraltro con la speranza di essere riuscito almeno a dar conto di qualcuno degli scenari in allestimento. Con qualche forzatura di ottimismo, la mia impressione è che nelle sedi della ricerca e della formazione, e nel "laboratorio biblioteca", ci stiamo avvicinando molto a un'idea della biblioteconomia che non vuole porsi come corpo dottrinario separato né, al contrario, come sintesi corriva dell'agire quotidiano in biblioteca, bensì come un processo ciclico di elaborazione, trasferimento, condivisione, trasformazione di conoscenze individuali e organizzative. Intendo le conoscenze scientifiche e tecniche necessarie a progettare, gestire e valutare non solo le biblioteche ma in generale i servizi informativi e documentari. Si tratta, allora, di stringere insieme la componente organizzativa e quella interpretativa della biblioteconomia e si tratta di farlo nella società che, qui a dispetto del bisticcio, chiamerei anch'io "della conoscenza". Le peculiari finalità di questo processo mi sembrano oggi da ricercare nella definizione di competenze, modelli, mappe e ambienti che permettano un orientamento sicuro nell'universo dei documenti; che garantiscano accessi mirati e selettivi alla produzione intellettuale e informazionale esistente; che assicurino valore aggiunto, dunque "senso", alle informazioni; che ne favoriscano lo scambio e l'integrazione; che le personalizzino, in vista del soddisfacimento di bisogni diversificati di apprendimento, di studio, di ricerca, di cultura. Una biblioteconomia che rimane fedele alla vocazione di sempre, che non rinuncia alla ricerca del rigore e del metodo, ma che è consapevole di essere al servizio di destinazioni professionali in via di cambiamento [38].

Giovanni Di Domenico - Università di Urbino, e-mail: giodidomenico@libero.it

Note

[1] Emanuele Casamassima, Emidio Cerulli, Aspetti, strutture, strumenti del sistema bibliotecario italiano, "Accademie e biblioteche d'Italia" 37, 1969, n. 3, p. 181-188. La relazione Accardo figura nel numero precedente della stessa rivista (p. 88-99) con il titolo Accademie e biblioteche per la diffusione della cultura.

[2] Ivi, p. 182.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, p. 185.

[6] Si veda, per esempio, Emanuele Casamassima, [Intervento], in Per Emanuele Casamassima, Firenze, Provincia di Firenze, 1971, p. 43-54.

[7] Per una densa e meditata ricostruzione del pensiero e dell'opera di Casamassima, v. Piero Innocenti, Pretesti della memoria per Emanuele Casamassima. Studi sulle biblioteche e politica delle biblioteche in Italia nel secondo dopoguerra, "La specola", 1991, p. 149-263.

[8] Emanuele Casamassima, Emidio Cerulli, op. cit., p. 184.

[9] Ne riferisce Piero Innocenti nel contributo citato (p. 217-218), richiamando alcune commenti di Francesco Barberi, che risalgono al 1966/67 e che si trovano nelle sue Schede di un bibliotecario (1933-1975), pref. di Diego Maltese, Roma, Associazione italiana biblioteche, 1984, p. 215-217.

[10] Cfr., a tal proposito, Giancarlo Savino, Ricordo di Emanuele Casamassima, "Medioevo e Rinascimento" 3, 1989, p. x: "Nel suo ideale di biblioteca si erano compendiate la conservazione non inerte (cioè attiva nella sollecitudine della tutela e nell'intrepidezza dello studio) di un patrimonio e la gestione non autoritaria, anzi collettiva fino all'estremo possibile, tuttavia competente e produttiva, di un servizio. Utopia fu il luogo dove raccolse tutte le sue delusioni nella valigia con cui partì senza salutare per la nuova destinazione accademica".

[11] Cfr. Michele Santoro, Biblioteconomie, "Bibliotime" 3, 2000, n. 2, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-3/editoria.htm> (queste e le altre pagine Web citate nelle seguenti note sono state consultate l'ultima volta in data 26 febbraio 2001).

[12] Cfr. Michael Buckland, Library services in theory and context, 2nd. ed., 1999, <http://sunsite.berkeley.edu/Literature/Library/Services/index.html>.

[13] Cfr. Mario Piantoni, "Library and information science" e "Biblioteconomia", "Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari", 1990, p. 9-19, in part. p. 9-10.

[14] Resta intatta, su questo punto, la lezione di Alfredo Serrai. V., almeno, In difesa della biblioteconomia. Indagine sulla identità, le competenze e le aspirazioni di una disciplina in cerca di palingenesi, prem. di Luigi Tassinari, Firenze, Giunta regionale toscana; La nuova Italia, 1981.

[15] Mi corre però l'obbligo di richiamare alcuni passaggi importanti. Il primo, ormai lontano, è il volume di Marco Cupellaro, la biblioteca vende. Costi e tariffe dei servizi bibliotecari, Milano, Editrice Bibliografica, 1987, che al dibattito professionale ha offerto spunti particolarmente originali sulla gestione dei servizi di biblioteca in chiave di marketing. Il secondo è il libro di Ferruccio Diozzi, Il management della biblioteca. Gli obiettivi nella prospettiva del cambiamento, Milano, Editrice Bibliografica, 1990, primo lavoro organico espressamente dedicato agli aspetti organizzativi del lavoro di biblioteca. Il terzo è l'articolo che ha di fatto introdotto la cultura della qualità totale nella letteratura biblioteconomica italiana: Alberto Petrucciani, Igino Poggiali, La qualità totale in biblioteca, "Bollettino AIB" 32, 1992, n. 1, p. 7-20. Il quarto è il volume di Giovanni Solimine, Introduzione allo studio della biblioteconomia. Riflessioni e documenti, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 1995, opera di sintesi e di proposta di un percorso scientifico particolarmente innovativo e attento al rapporto tra biblioteconomia e cultura manageriale (di Solimine è inoltre da leggere almeno Le raccolte delle biblioteche. Progetto e gestione, Milano, Editrice Bibliografica, 1999). Il quinto passaggio è rappresentato dagli studi di Paolo Traniello sul quadro istituzionale e normativo nel quale operano le biblioteche italiane, v. in particolare Legislazione delle biblioteche in Italia, Roma, Carocci, 1999. Il sesto è rappresentato dal convegno "La qualità nel sistema biblioteca" (Milano, Palazzo delle Stelline, 9-10 marzo 2000), utile per mettere a confronto gli sviluppi più recenti in materia di management bibliotecario (La qualità nel sistema biblioteca: innovazione tecnologica, nuovi criteri di gestione e nuovi standard di servizio, a cura di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 2001). La settima citazione è per il manuale dell'Associazione italiana biblioteche, Linee guida per la redazione delle carte dei servizi delle biblioteche pubbliche, a c. della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche (Elena Boretti, Alida Emma, Giovanni Galli, Sandro Ghiani, Giorgio Lotto, Paolo Repetto), Roma, AIB, 2000, espressione di una concreta traccia di lavoro per la definizione di standard qualitativi e quantitativi di servizio (ma come testimonianza/riflessione sulla ricerca della qualità, questa volta in una grande biblioteca, va segnalata anche la relazione di Alessandro Sardelli, Certificare la biblioteca: tra ISO 9000 e sistema qualità, presentata al citato convegno su "La qualità nel sistema biblioteca). Mi permetto, infine, di rinviare anche a Giovanni Di Domenico, Michele Rosco, Comunicazione e marketing della biblioteca. La prospettiva del cambiamento per la gestione efficace dei servizi, Milano, Editrice Bibliografica, 1998. Per una repertoriazione completa della letteratura biblioteconomica italiana degli ultimi anni, v. la base dati su cd-rom "BIB. Bibliografia italiana delle biblioteche, del libro e dell'informazione", a c. di Alberto Petrucciani e Giulia Visintin, n. 4 (1980-1999), Roma, AIB, 2001. Per il periodo successivo è da consultare la rubrica "Letteratura professionale italiana", a c. di Giulia Visintin, ospitata dalla rivista "Bollettino AIB". Per una panoramica degli studi di biblioteconomia in Italia negli anni Ottanta/Novanta, v. Gianna Del Bono, La biblioteconomia in Italia alle soglie degli anni ‘90, "L'informazione bibliografica" 15, 1989, n. 3, p. 505-512 e Id., Le biblioteche in Italia: interventi, dibattiti, prospettive, "L'informazione bibliografica" 18, 1992, n. 3, p. 439-445. Rassegna di riferimento per gli anni successivi è quella di Giovanni Solimine, Studi italiani di biblioteconomia 1992-1995, "Accademie e biblioteche d'Italia" 64, 1996, n. 2, p. 59-72.

[16] Tra i primi contributi è senz'altro da ricordare Paolo Traniello, La biblioteca tra istituzione e sistema comunicativo, Milano, Editrice Bibliografica, 1986. V. anche Giambattista Tirelli, Il "sistema" biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica, 1990. Infine, v. Giovanni Solimine, Introduzione..., cit., p. 195-209.

[17] Scontato il riferimento a Karl Weick, Senso e significato nell'organizzazione, Milano, Cortina, 1997, tit. orig.: Sensemaking in organizations, 1995.

[18] Cfr. Paolo Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell'Europa contemporanea, Bologna, Il mulino, 1997, p. 359-361.

[19] Ho svolto, a tal proposito, alcune considerazioni in La biblioteca apprende. Qualità organizzativa e qualità di servizio nella società cognitiva, relazione presentata al convegno "La qualità…", cit., in La qualità nel sistema biblioteca, cit., p. 32-48.

[20] Tra numerosi lavori, citerei in questa sede: Associazione italiana biblioteche, Quanto valgono le biblioteche pubbliche? Analisi della struttura e dei servizi delle biblioteche di base in Italia. Rapporto finale della ricerca "Efficienza e qualità dei servizi nelle biblioteche di base", condotta dalla Commissione nazionale AIB "Biblioteche pubbliche" e dal Gruppo di lavoro "Gestione e valutazione", coordinamento del Gruppo e direzione della ricerca: Giovanni Solimine; gruppo di lavoro: Sergio Conti, Dario D'Alessandro, Raffaele De Magistris, Pasquale Mascia, Vincenzo Santoro, Roma, AIB, 1994; Giovanni Solimine, Paul G. Weston, Caterina Fasella, Criteri di valutazione dei sistemi di automazione per biblioteca, Firenze, IFNIA, 1994; Associazione italiana biblioteche, Biblioteche e servizi: misurazioni e valutazioni. Atti del XL Congresso nazionale dell'Associazione biblioteche, Roma, 26-28 ottobre 1994, progetto scientifico di Giovanni Solimine, redazione a c. di Maria Teresa Natale, Roma, AIB, 1995; Giovanni Solimine, Problemi di misurazione e valutazione dell'attività bibliotecaria: dall'analisi di sistema agli indicatori di qualità, in Il linguaggio della biblioteca. Scritti in onore di Diego Maltese, a c. di Mauro Guerrini, Milano, Editrice Bibliografica, 1996, p. 118-151; Elisabetta Pilia, La misurazione dei servizi delle biblioteche delle università, "Bollettino AIB" 37, 1997, n. 3, p. 281-326; Anna Galluzzi, La valutazione delle biblioteche pubbliche. Dati e metodologie delle indagini in Italia, Firenze Olschki, 1999; International Federation of Library Associations and Institutions, Linee guida per la valutazione delle biblioteche universitarie. Edizione italiana di Measuring quality, a c. della Commissione nazionale Università ricerca dell'Associazione italiana biblioteche (Mariella Fazio, Gabriele Mazzitelli, Sonia Minetto, Biagio Paradiso, Simonetta Pasqualis, Vanna Pistotti, Serafina Spinelli), Roma, AIB, 1999; Associazione italiana biblioteche, Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane. Misure, indicatori, valori di riferimento, a c. del Gruppo di lavoro "Gestione e valutazione" (Sergio Conti, Raffaele De Magistris, Pasquale Mascia, Margherita Rubino, Vincenzo Santoro; coordinatore: Giovanni Solimine), Roma, AIB, 2000; Mauro Guerrini, Il catalogo di qualità: dieci criteri di analisi qualitativa, in La qualità nel sistema biblioteca, cit., p. 145-166. Da consultare anche le pagine Web <http://www.murst.it/osservatorio/ricbibl.htm>, con la documentazione relativa alla "Rilevazione sulle biblioteche delle università italiane". L'indagine è stata condotta dal Gruppo di ricerca su misurazione e valutazione delle biblioteche universitarie, istituito dall'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario del MURST. Alla rassegna aggiungo infine due miei lavori, scusandomi ancora per l'autocitazione: Progettare la user satisfaction. Come la biblioteca efficace gestisce gli aspetti immateriali del servizio, "Biblioteche oggi" 14, 1996, n. 9, p. 52-65 (ripubblicato con modifiche in Giovanni Di Domenico, Michele Rosco, op. cit., p. 95-126); La dimensione provinciale della cooperazione, relazione presentata al convegno "La biblioteca provinciale. L'utente e i servizi" (Pescara, 28-29 settembre 2000). Gli atti del convegno sono in corso di pubblicazione.

[21] Per rendersene conto, basta scorrere le ultime annate delle riviste professionali più diffuse (in particolare: "Biblioteche oggi", "Bollettino AIB", "Bibliotime", <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/>) o dare un'occhiata ad alcuni siti di natura professionale ("AIB Web", <https://www.aib.it>, "ESB forum", <http://www.burioni.it/forum/>). Qui mi limito a richiamare alcuni volumi di riferimento generale e di ottima fattura: Carla Basili, Corrado Pettenati, La biblioteca virtuale. L'accesso alle risorse in rete, Milano, Editrice Bibliografica, 1994; Riccardo Ridi, Internet in biblioteca, Milano, Editrice Bibliografica,1996; Il futuro è arrivato troppo presto? Internet, biblioteche ed accesso alle risorse informative. Atti del convegno di studi, Cagliari, 14-15 novembre 1996, a c. di Pasquale Mascia e Beniamino Orrù, Roma, AIB, 1997; Carla Basili, la biblioteca in rete. Strategie e servizi nella società dell'informazione, Milano, Editrice Bibliografica, 1998; Bibliotecario nel 2000. Come cambia la professione nell'era digitale, atti del convegno (Milano, 12-13 marzo 1998), Milano, Editrice Bibliografica, 1999; La biblioteca amichevole. Nuove tecnologie per un servizio orientato all'utente, atti del convegno (Milano, 11-12 marzo 1999), a c. di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 2000; Valentina Comba, Comunicare nell'era digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2000; Alberto Salarelli, Anna Maria Tammaro, La biblioteca digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2000.

[22] V. Luigi Crocetti, Bibliothecarius technologicus, in Bibliotecario nel 2000..., cit., p. 19-27.

[23] V., al riguardo, le autorevoli chiose di Luigi Balsamo nella nota introduttiva al citato volume di Salarelli-Tammaro.

[24] Sulle definizioni, cfr. Giovanni Solimine, Le raccolte..., cit., p. 141-146; Carla Leonardi, I servizi di informazione al pubblico. Il rapporto con l'utente in una biblioteca amichevole, Milano, Editrice Bibliografica, 2000, p. 170-174 e Alberto Salarelli, Anna Maria Tammaro, op. cit., p. 105-109; sulla biblioteca multimediale, v. Biblioteca e nuovi linguaggi. Come cambiano i servizi bibliotecari nella prospettiva multimediale, atti del convegno (Milano, 13-14 marzo 1997), a c. di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 1998; sulla biblioteca ibrida, v. gli interventi al convegno "Strumenti e strategie per la costruzione della biblioteca ibrida" (Firenze, 14 febbraio 2001), alcuni dei quali disponibili in "ESB forum", cit.

[25] Tre esempi: Enrico Seta, Digitalizzazione e linguaggi di marcatura, "Bollettino AIB" 39, 1999, n. 1-2, p. 63-77; Gloria Cirocchi, Conservazione di risorse digitali: quali sfide?, "Bollettino AIB" 39, 1999, n. 3, p. 289-300; Michele Santoro, Dall'analogico al digitale: la conservazione dei supporti non cartacei, "Biblioteche oggi" 19, 2001, n. 2, p. 88-100.

[26] Sull'argomento v. i tre articoli pubblicati in "Bollettino AIB" 40, 2000, n. 2: Giliola Barbero, Stefania Smaldone, Il linguaggio SGML/XML e la descrizione di manoscritti, p. 159-178; Giovanna Granata, XML e formati bibliografici, p. 181-191; Santo Motta, Giuseppe Orsino, XML su tecnologia MOM: un nuovo approccio per i software delle biblioteche, p. 195-203.

[27] Sulla questione è intervenuto spesso Riccardo Ridi. V., per esempio, Dal canone alla rete. Il ruolo del bibliotecario nell'organizzazione del sapere digitale, in Bibliotecario nel 2000…, cit., p. 62-76.

[28] V. Antonio Scolari, UNIMARC, Roma, AIB, 2000.

[29] V. Riccardo Ridi, Metadata e metatag: l'indicizzatore a metà strada fra l'autore e il lettore, relazione presentata al convegno "The digital library challanges and solutions for the new millenium" (Bologna, June 17-18 1999) e disponibile alle pagine <https://www.aib.it/aib/commiss/cnur/dltridi.htm>; Metadati, informazione di qualità e conservazione delle risorse digitali, di Gloria Cirocchi, Simona Gatta, Lucia Panciera, Enrico Seta, "Bollettino AIB" 40, 2000, n. 3, p. 309-327.

[30] V. Antonio Scolari, World Wide Web e Z39.50: standard per la ricerca a confronto, "Bollettino AIB" 36, 1996, n. 4, p. 397-409.

[31] V. Antonella De Robbio, I periodici elettronici in Internet. Stato dell'arte e prospettive di sviluppo, "Biblioteche oggi" 16, 1998, n. 7, p. 40-56; Id., Evoluzione e rivoluzione dei periodici elettronici, relazione presentata al convegno "I periodici elettronici: nuova frontiera o terra promessa?" (Bologna, 28 febbraio 2000), ora in "Bibliotime" 3, 2000, n. 1, http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-1/derobbio.htm; Id., I periodici elettronici e la persistenza della memoria cartacea: un problema di definizioni, "Bibliotime" 3, 2000, n. 2, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iii-2/derobbio.htm>.

[32] V. Copyright elettronico e licenze digitali: dov'è l'inganno? Atti del convegno internazionale, Roma, 5-6 novembre 1998, Roma, ICCU; AIB, 2000. Da consultare anche il sito INFER (Italian National Forum on Electronic Information Resources) all'indirizzo <http://www.uniroma1.it/infer/<.

[33] V. i seguenti due contributi in La biblioteca amichevole..., cit.: Dolve Bolzoni, Michele Santoro, Le affinità elettive: modelli di comunicazione fra bibliotecario e utente nella prospettiva digitale, p. 131-144, e Gabriele Gatti, La sindrome AA.VV.: utenti finali tra disintermediazione tecnologica e trappole bibliografiche, p. 159-194.

[34] Sui criteri di valutazione del Web bibliotecario rimando a Riccardo Ridi, La qualità del web della biblioteca come equilibrio tra forze centrifughe e forze centripete. Alcuni requisiti fondamentali, in La qualità nel sistema biblioteca, cit., p. 194-215; Id., Il web bibliotecario come incunabolo digitale, relazione presentata al convegno "Riforma universitaria e rivoluzione dei media: una sfida per le biblioteche universitarie" (Bolzano, 28-29 settembre 2000), disponibile alle pagine <http://www.unibz.it/libraryconference/pdfrel_ridi.pdf>. Sull'impiego del Web a fini gestionali, v. Maria Stella Rasetti, L'odalisca sul risciò. L'uso del sito web come strumento di management per valutare e dirigere i processi organizzativi in biblioteca, "Biblioteche oggi" 18, 2000, n. 9, p. 8-20.

[35] V. Fabio Metitieri, Riccardo Ridi, Ricerche bibliografiche in Internet. Strumenti e strategie di ricerca, OPAC e biblioteche virtuali, Milano, Apogeo, 1998 e Antonio Scolari, Efficacia vs facilità? Linee di evoluzione degli OPAC, in La biblioteca amichevole…, cit., p. 145-158.

[36] V. Carla Leonardi, op. cit.; Anna Maria Tammaro, Apprendere ad apprendere: la ricerca fai-da-te, in La biblioteca amichevole, cit., p. 109-120; Valentina Comba, op. cit. V. infine gli Atti del convegno Il servizio di reference nell'era digitale, Bologna, 30 novembre-1 dicembre 2000 (1. parte), in "Bibliotime", 4, 2001, 1, <http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-iv-1/index.html>.

[37] Da menzionare sono almeno: il lavoro del GRIS-Gruppo di ricerca sull'indicizzazione per soggetto dell'Associazione italiana biblioteche: Guida all'indicizzazione per soggetto, Roma, AIB, 1996; un ottimo manuale: Carlo Revelli, Il catalogo, Milano, Editrice Bibliografica, 1996; gli interventi italiani al seminario "La catalogazione verso il futuro: normative, accessi costi" (Roma, 13 marzo 1998), pubblicati con una nota di Isa De Pinedo (La catalogazione verso il futuro, p. 135-137) e l'autorevole relazione di Michael Gorman (Il futuro della catalogazione nell'era elettronica, p. 138-147) sul "Bollettino AIB" 38, 1998, n. 2: Diego Maltese, I principi rivisitati, p. 150-158 e Alberto Petrucciani, Problemi di impostazione di un codice di catalogazione, p. 160-165. Gli atti del convegno sono stati poi pubblicati dall'ICCU (Roma, 1998); gli studi di Mauro Guerrini sulla catalogazione, v. in particolare: Riflessioni su principi, standard, regole e applicazioni. Saggi di storia, teoria e tecnica della catalogazione, present. di Attilio Mauro Caproni, Udine, Forum, 1999; il tempestivo dibattito sui Functional requirements for bibliographic records dell'IFLA (v. gli atti del Seminario FRBR. Functional requirements for bibliographic records. Requisiti funzionali per record bibliografici. Firenze, 27-28 gennaio 2000, a c. di Mauro Guerrini, Roma, AIB, 2000); l'attesissima edizione italiana della ventunesima edizione della Classificazione decimale Dewey , condotta dal Gruppo di lavoro della Bibliografia nazionale italiana con la consulenza di Luigi Crocetti e pubblicata in 4 volumi dall'Associazione italiana biblioteche (Roma, 2000).

[38] Il mio tentativo di definizione, dei cui limiti conservo ovviamente per intero la responsabilità, contiene grandi debiti nei confronti di almeno tre autori. Mi riferisco ad Alfredo Serrai, per ciò che concerne il nesso conoscenza/tecnica (v. Guida alla biblioteconomia, Firenze, Sansoni, 1981, p. 7), ad Alberto Petrucciani, circa il carattere applicativo della disciplina e circa il suo oggetto (v. L'uso dei cataloghi di biblioteca. Per una valutazione dei servizi bibliotecari, Padova, CLEUP, 1984, p. 5) e a Giovanni Solimine, soprattutto in riferimento alla sottolineatura degli aspetti organizzativi e gestionali della biblioteconomia e al rapporto tra competenze biblioteconomiche e professione bibliotecaria (v. Introduzione..., cit., p. 50).



[*] Relazione tenuta al convegno "Il nomos della biblioteca: Emanuele Casamassima trent'anni dopo", S. Gimignano, Teatro dei Leggieri, 2-3 marzo 2001. Leggeri interventi di aggiornamento bibliografico sono stati operati dalla redazione di Bibliotime.

La relazione non ambisce a proporsi come rassegna esauriente e ragionata degli studi italiani di biblioteconomia: troppo ampia, per le modeste forze dell'autore, sarebbe la griglia di connessioni disciplinari e di vocazioni scientifiche da esaminare (mi riferisco, per fare solo tre esempi, al rapporto con la bibliografia, alla storia della disciplina, alla storia delle biblioteche). Essa è inoltre sostanzialmente priva di un'adeguata disamina, anche quantitativa, della produzione riflettente singole esperienze di biblioteca e, con poche eccezioni, degli studi di impianto marcatamente tecnico-settoriale. Il tentativo, in forma di semplici appunti e con una certa libertà di orientamento anche quanto a copertura cronologica, è invece quello di annotare pochi snodi significativi di dibattito intorno alla trasformazione scientifico-professionale, senz'altro in cammino nel nostro paese, di quello che credo possiamo ancora denominare, e senza imbarazzi di sorta, "bibliotecariato".


«Bibliotime», anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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