«Bibliotime», anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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Paolo Tinti

Dal passato, il futuro: la digitalizzazione dei cataloghi storici



Due parole e una domanda sul catalogo storico e sulla digitalizzazione

Nella corsa alla digitalizzazione dei prodotti testuali (scritti, visivi e sonori) che negli ultimi anni ha coinvolto, anche in Italia, le risorse informative depositate in archivi, musei e biblioteche non potevano mancare quei particolari documenti che sono gli antichi cataloghi delle collezioni librarie di biblioteche storiche. La nostra penisola, disseminata di biblioteche dalla storia plurisecolare, doveva cogliere la sfida; tanto più che, salvo alcuni cataloghi speciali con funzione repertoriale, spesso gli antichi cataloghi generali costituiscono gli unici accessi alle collezioni del passato. In svariati casi i cataloghi storici svolgono cioè pienamente la funzione di accesso esclusivo alle collezioni della biblioteca, senza che siano stati oggi rimpiazzati da strumenti di ricerca più efficienti. Per la verità in Italia sono così numerose le biblioteche che ancora adottano per i loro fondi storici cataloghi del Sette o dell'Ottocento - sotto forma di loro riproduzioni più o meno leggibili - che sarebbe più semplice elencare quelle che hanno preferito catalogare nuovamente il pregresso secondo principi e criteri moderni; e sono solo le minori, che hanno reputato più vantaggioso pubblicare cataloghi speciali per il recupero retrospettivo e la valorizzazione del proprio patrimonio librario antico.

Ma cosa si intende per catalogo storico? Le indicazioni della biblioteconomia sono reticenti: una tra le più accreditate 'classificazioni dei cataloghi' si rifiuta di riconoscere al catalogo storico uno statuto indipendente [1]. Ben a ragione, tra le varie tipologie di cataloghi analizzate esso non viene neppure menzionato; non ha senso infatti distinguere i cataloghi sulla base degli oggetti catalogati (i libri da maggior tempo posseduti da una biblioteca), mentre i soli caratteri degni di assurgere a criterio distintivo della loro organizzazione interna sono le notizie e le modalità con cui tali notizie sono registrate e strutturate. Per quanto si concordi in pieno con Serrai, non vanno tuttavia lasciati in ombra alcuni tratti che accomunano i cataloghi storici, e li distinguono da quelli correnti, e da quelli cessati [2]: che ne facciano poi una tipologia autonoma, degna insomma di stare sullo stesso piano di quelle funzionali, questo non è cosa certa. Il loro principale attributo è la temporalità, appunto: essi documentano la storia della catalogazione, della bibliografia, del sapere. I valori che principi internazionali hanno posto a fondamento dei cataloghi dalla seconda metà del Novecento in poi risultano spesso disattesi; l'uniformità, l'univocità, la dialettica della descrizione bibliografica e del punto di accesso, il controllo bibliografico, per non citare che alcuni aspetti salienti della moderna teoria catalografica, sono assenti dall'orizzonte di quei particolari indici. La differenza più evidente tra i cataloghi moderni e quelli storici pare risieda proprio nel fatto che mentre i primi trovano all'esterno norme e riferimenti strutturali, i secondi trovano all'interno della loro dimensione storica modalità di organizzazione e funzionalità. Ma va aggiunto un elemento ulteriore; nella maggior parte dei casi le norme che presiedono all'esistenza dei primi sono state definite e generalmente accettate, mentre per i secondi valgono regole mai espresse, per quanto sottese e più o meno coerentemente applicate al loro interno. I cataloghi storici insomma non differiscono dai cataloghi moderni in taluno aspetto specifico (tanto è vero che i cataloghi di oggi diverranno quelli storici del futuro), ma presuppongono sovrastrutture di relazione, di logica e di organizzazione che derivano loro dal passato di cui sono imbevuti.

Valga ancora come introduzione l'accennare a ciò che, in un recentissimo contributo, Stuart D. Lee, referente da ormai dieci anni nei progetti di conversione digitale della Oxford University, si domanda - epigraficamente - a proposito della digitalizzazione: "is it worth it?" [3] L'interrogativo spaventa anche chi, come nel suo caso, conosce profondamente vantaggi (potenziamento dell'accesso, conservazione e tutela dei documenti, operazioni di marketing, possibilità di sfruttamento commerciale del patrimonio… ) e limiti della convergenza al digitale (il rapporto dei costi e dei benefici). Dopo un'analisi dettagliata di alcuni scenari possibili non gli resta che concludere quello che molti di noi già sospettavano: non esiste alcuna formula magica, nessuna linea guida ampiamente condivisa [4], nessuna esperienza esemplare, nessun modello matematico-finanziario che sollevi il bibliotecario dal dubbio amletico: "the question is, could this money have been spent elsewhere?". Non rimane forse che esaminare ciascuna esperienza separatamente e porla in relazione a realizzazioni consimili. Mi pare possa essere proficuo in questo senso, abbandonata fra le pagine di Lee ogni dogmatica certezza, riflettere sulla digitalizzazione di una particolare tipologia documentaria: i cataloghi storici. Senza la pretesa di fornire valutazioni definitive, l'intento è quello di inseguire una prima ricognizione dei progetti più significativi, illustrare le scelte principali, verificarne la funzionalità in rapporto agli obiettivi, confrontarne i risultati.

Accesso e conservazione

Da quando nel 1595 la Biblioteca dell'Università di Leida diede alle stampe il proprio catalogo, le biblioteche europee intrapresero una dopo l'altra la promozione pubblica dei loro cataloghi; la diffusione della notitia librorum in possesso di prestigiose ed autorevoli istituzioni culturali costituiva l'occasione per celebrare insigni monumenti all'organizzazione del sapere, definire i confini bibliografici delle discipline e strutturare mappe enciclopediche di orizzonte universale. Trasferire su supporto elettronico il catalogo storico oggi riveste significati molteplici, ma scaturisce sostanzialmente dalla medesima esigenza di comunicare al pubblico la biblioteca, le sue risorse documentarie, la sua storia, il suo passato, e il suo desiderio di entrare nel futuro. In questo la digitalizzazione è la garanzia all'accesso più vasto possibile, specie quando tale accesso diviene appetibile non solo da parte del pubblico locale (risorse digitali in rete locale), ma anche da parte di terminali remoti.

È persino superfluo sottolineare l'ovvio vantaggio dal punto di vista della conservazione del catalogo, il documento in assoluto più consultato e sottoposto ad usura della biblioteca. Molte biblioteche storiche hanno provveduto già da molto tempo a riprodurre in copia fotostatica gli antichi cataloghi a scheda o a volume, con le difficoltà di lettura che una simile riproduzione ingenera; le copie infatti risultano spesso illeggibili, oscure, quando non ingannevoli, e per giunta si deteriorano ancora più rapidamente degli originali. Non sono tuttavia poche le biblioteche che ancor oggi mettono a disposizione del pubblico gli antichi cataloghi, come è il caso della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna. Quando non accada che, anche per tutelarne la sopravvivenza futura, antichi cataloghi siano esclusi al pubblico dei lettori, per quanto gravi ne risultino i danni provocati al grado di consultazione della biblioteca stessa. Non che la creazione di copie digitali risolva compiutamente i problemi di conservazione dei documenti, come il dibattito sulla digital preservation insegna [5].

Cataloghi a schede digitalizzate

Non sono isolate le esperienze che negli ultimi mesi hanno reso finalmente disponibili in rete due straordinari cataloghi storici italiani, quello della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna e quello della Biblioteca statale Marucelliana di Firenze. Questi tentativi – i primi italiani a carattere non sperimentale - hanno sortito, ad una più attenta analisi, esiti originali ed assai innovativi rispetto ai modelli da cui hanno tratto ispirazione. Sia in Europa - dove hanno sede le biblioteche di tradizione -, sia negli Stati Uniti d'America - dove sono confluite ingenti collezioni di libri antichi -, si è proceduto nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, a rendere accessibili grazie al web le schede digitalizzate dei cataloghi delle collezioni storiche. Va fatto riferimento anzitutto al catalogo della Princeton University [6], o quello austriaco, che ha coinvolto, insieme alla Österreichishe NationalBibliothek, altre importanti biblioteche di Vienna ed Innsbruck [7]. Entrambi sono il frutto della digitalizzazione di schede mobili cartacee di formato internazionale, di norma dattiloscritte, per la maggior parte risalenti agli anni Sessanta e Settanta, quando iniziavano ad affermarsi i valori della uniformità catalografica. Sia per Princeton che per i cataloghi di Vienna e Innsbruck non siamo di fronte a cataloghi storici come di norma si intendono, almeno in contesto italiano. Si tratta certamente di cataloghi cessati al momento della loro sostituzione con i cugini elettronici, ma simili prodotti hanno poco in comune con i corrispondenti italiani, assai più antichi e generalmente manoscritti, vuoi in volume, vuoi a schede mobili. Ma è proprio dal riversamento in formato digitale delle schede cartacee - questo il senso della scelta di Princeton e di Vienna - che sembrano derivare le esperienze italiane, ed è per questo che da quei modelli occorre muovere ogni successivo discorso.

Il catalogo elettronico a schede della biblioteca di Princeton, oggi ribatezzato Supplementary Catalog, è noto dalle origini con l'ossimorico nome di Electronic card catalog: in apparenza un catalogo tradizionale a schede mobili (Card catalog) dunque, ma in formato digitale (Electronic). Esso non contiene infatti solamente i fondi storici della biblioteca, ma corrisponde più in generale all'indice del patrimonio pregresso (certo comprendente quello più antico), comunque acquisito prima del 1980. Le schede cartacee digitalizzate compaiono entro un'unica serie alfabetica, che fonde i tradizionali accessi distinti per autore, titoli e soggetti, nella migliore tradizione del catalogo dizionario. È sufficiente digitare una stringa di ricerca (integrale o tronca) per visualizzare comunque una serie continua di 11 accessi (autori, titoli, soggetti: detti guide cards), dei quali 5 precedono, e 5 seguono il termine che il sistema reputa più prossimo a quello ricercato. Il catalogo offre al contempo la possibilità di scorrere la lista degli accessi precedenti e successivi, rispetto all'intervallo visualizzato automaticamente. Dalla lista si accede a una visualizzazione sintetica delle schede digitalizzate associate a ciascuna guide card. Le guide cards restituite automaticamente guidano infatti ad ulteriori sequenze di immagini, ordinate al loro interno secondo le Princeton University Library Filing Rules, disponibili sia accanto al catalogo a schede cartacee sia nella home page dell'Electronic Card Catalog, dove compare un apposito link. Dal brief display grazie al quale solo una porzione minima della scheda cartacea è visibile, si prosegue, una volta individuata la scheda di proprio interesse, alla full card, con la possibilità di variare a piacimento la dimensione dell'immagine, fornita in formato GIF [8]. Talvolta una guide card, cioè una parola proveniente dalla lista delle 11 restituite in seguito all'interrogazione, può condurre anche a innumerevoli schede, che presentino il medesimo termine come chiave d'accesso ad entità bibliografiche differenti (al termine "Maine", ad esempio, corrisponde una guide card che comprende autori, luoghi, soggetti o titoli). In questo caso il sistema prevede l'opportunità di scorrere rapidamente le schede associate a quel termine, digitando il numero di record che si intende visionare tra i tanti recuperati a partire da una intestazione voluminosa.

La stampa dell'immagine avviene agevolmente, purché non si dimentichi di modificare la dimensione proposta, adattandone i valori alle scelte di stampa preferite.

I cataloghi austriaci rendono consultabili quasi 4 milioni di schede digitalizzate, sia manoscritte che dattiloscritte; la ricerca è possibile non solo per autore e titolo, ma anche per parola chiave (oltre a 10.000 schede sono per esempio intestate al luogo di stampa). Il catalogo comprende le edizioni antiche, stampate dal 1501 al 1929, possedute dalle maggiori biblioteche del paese: oltre alla Nazionale sono presenti l'Universitätsbibliothek di Innsbruck, l'Universitätsbibliothek der Wirtschaftsuniversität, la biblioteca dell'Österreichisches Museum für angewandte Kunst e l'Universitätsbibliothek di Vienna.

Questo progetto si avvale di un software per la visualizzazione e la ricerca delle schede digitalizzate, sperimentato a partire dal 1997 presso la Nazionale con i fondi del Ministero dell'educazione e della cultura, denominato Katzoom. La ricerca del termine di accesso alla scheda avviene inizialmente grazie ad un menu alfabetico, posto su una cornice laterale della maschera di ricerca; il catalogo visualizza automaticamente le immagini digitali di 5 schede (riprodotte parzialmente, come per il brief display di Princeton) e consente di attivare la funzione di zoom entro i quattro intervalli alfabetici così recuperati. Il sistema procede per approssimazione successiva riducendo sempre più l'intervallo alfabetico tra le schede visualizzate, sino a presentare una sequenza di 5 immagini (in formato GIF [9]) che riproducono altrettante schede in serie continua, proprio come accade aprendo uno dei cassetti del catalogo a schede mobili. Cliccando sull'immagine della scheda di nostro interesse, si accede all'intera riproduzione dell'originale cartaceo. Il catalogo austriaco si avvicina assai più di quello americano al modello di catalogo che in Italia viene comunemente detto "a cassetto virtuale". Il principio che guida la ricerca delle informazioni riportate sulle schede digitali è lo stesso che utilizza chi consulti un catalogo a cassetto, scorrendo le immagini come si scorrono i carticini di uno schedario.

Avvalersi di un simile strumento tuttavia rallenta almeno in parte la ricerca; costringe infatti chi consulta il catalogo a visionare obbligatoriamente passo dopo passo tutti gli intervalli proposti, mentre sarebbe possibile riconoscere immediatamente, senza bisogno cioè di 'aprire' l'intervallo, che esso non contiene nessun accesso utile.

Ma sono assai numerosi i cataloghi a schede digitali sul modello di Princeton e di quelli austriaci, anche se non sempre della stessa complessità e funzionalità, degni di essere ricordati: il catalogo della Universitätsbibliothek [10] di Heidelberg (alfabetico per le edizioni acquisite dal 1936 al 1985); quello, per autori e materie, della Biblioteca de Catalunya (che copre, con divergenze fra le quattro sezioni in cui è ripartito, gli anni dal 1914 al 1990 [11]), quello della Stadt- und Universitätsbibliothek di Berna [12], l'Image-Kataloge della Universitäts- und Landesbibliothek di Sachsen-Anhalt [13], o i catalogo della Zentral- und Hochschulbibliothek di Lucerna [14]; come pure le schede del catalogo retrospettivo per autore della Biblioteca Generale di Trieste [15].

Vero e proprio catalogo storico è invece quello digitalizzato dalla Národní Knihovna di Praga; la redazione delle sue schede manoscritte fu infatti intrapresa alla fine del XVIII secolo, mentre la maggior parte delle registrazioni (per lo più dattiloscritte) sono oggi leggibili grazie ai quasi due milioni di immagini digitali che forniscono l'accesso (per autore, titolo delle opere anonime e titoli di collana) al patrimonio storico della Biblioteca Nazionale ceca, ad esclusione degli incunaboli [16].

Cataloghi storici italiani digitalizzati

Veniamo ora ad analizzare più in dettaglio alcuni cataloghi storici italiani digitalizzati. In primo luogo quelli promossi dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che ha da tempo avviato la digitalizzazione sperimentale di propri cataloghi storici: quello del fondo Palatino, nella posteriore trascrizione dattiloscritta su scheda cartacea, e il catalogo Sacconi [17]. Le esperienze fiorentine hanno fatto da volano a numerose altre imprese e non è un caso che proprio in Toscana si registri la maggior concentrazione di cataloghi storici digitalizzati dell'intera penisola, oltre che la più attenta sensibilità al loro costante monitoraggio [18].

Nel catalogo Palatino la consultazione delle schede, scannerizzate in formato JPG, attualmente avviene in via esclusiva secondo l'intestazione originaria. In primo luogo occorre selezionare la "cassetta" virtuale entro cui si intendono sfogliare le schede: 12 cassette contengono un numero variabile di schede da un minimo di 100 ad un massimo di 748, visualizzate in maniera sequenziale ("a cassetto virtuale" appunto), a blocchi di 100 schede. Alle immagini, di media dimensione (404x588 pixel) per favorirne l'agile trasmissione, è stata inoltre associata una catalogazione sintetica che predispone un unico punto di accesso uniforme (per autore, per titolo o per parola chiave [19]), riportato accanto a ciascuna scheda. La struttura sindetica è quella del catalogo originario; così accade che alla voce "Abbate (dell') Niccolò" è stata digitalizzata la relativa scheda di rinvio che rimanda alla forma accettata "Abate (dell') Niccolò". La fase ulteriore di sviluppo del progetto prevede il completamento della scannerizzazione delle schede (attualmente arrestatasi a circa 6200 schede) oltre che, sul modello di Princeton, la possibilità di interrogare a partire da termini di ricerca indicizzati e controllati (ampliando la ricerca sulla base dell'anno di edizione e su qualunque termine del titolo, dell'autore o della parola chiave).

La retroconversione elettronica tramite scansione ottica del catalogo Sacconi [20] ha prodotto oltre 200.000 immagini di altrettante schede (in buona parte manoscritte). La consultazione muove per successive specificazioni dalle 21 materie iniziali, presentate nell' "Indice delle materie", lungo circa 6000 suddivisioni successive, cui sono collegate le immagini digitali delle schede. La revisione catalografica, che ha lasciato inalterati rinvii e rimandi interni, è stata improntata alla integrale conservazione della struttura originaria del catalogo, eccezion fatta per l'ordinamento interno delle schede entro le singole suddivisioni, per il quale è stato introdotto il criterio alfabetico, prima assente. Mentre le schede sono state acquisite come singole immagini digitali, l' "Indice" è stato digitalizzato come testo in formato elettronico ed è ricercabile per singoli termini: rappresenta, ora come un tempo, la mappa principale per la consultazione e per la navigazione all'interno del catalogo.

Dal febbraio 2001 è liberamente consultabile, a partire sia dal sito web della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio sia da un indirizzo autonomo e diretto [21], il catalogo storico Frati-Sorbelli [22], che comprende i volumi acquisiti e catalogati prima del 1961. Si tratta in verità di un indice quadripartito che consente di accedere alle collezioni storiche bolognesi per accesso di autore e titolo delle edizioni anonime, per materia, per luogo geografico e per soggetto biografico. A differenza del catalogo di Princeton, il catalogo petroniano distingue prima dell'interrogazione l'entità bibliografica su cui si intende attivare la ricerca. Prescelta una sezione (autori, argomento, soggetto biografico, soggetto geografico), compare la stringa dove immettere i dati, secondo le norme generali e le specifiche avvertenze che caratterizzano ciascuna sezione. La ricerca prevede la facoltà di attivare il browsing sulla lista (a 12 termini) - recuperata automaticamente e percorribile in entrambi i sensi, per passare agli intervalli precedenti e successivi rispetto a quello recuperato, esattamente come avveniva nel catalogo di Princeton - di fondamentale utilità e valore, considerata l'assenza di controllo formale sulle intestazioni delle schede. Come guide cards le intestazioni ci guidano alle immagini digitali delle schede associate; una volta raggiunta l'immagine della scheda, ne è prevista la visualizzazione sia del recto che del verso, dove compaiono preziose informazioni, come indicazioni di provenienza dell'esemplare o altri accessi nel medesimo catalogo. Il formato prescelto per la digitalizzazione è il PNG [23], a dimensione standard di 750x275 pixel; cliccando ripetutamente sull'immagine stessa si raggiungono altresì dimensioni più ingrandite (l'intermedia, 1025x400 pixel, e la massima a 1738x637 pixel).

I principi dell'intestazione uniforme, come già detto, non sono applicabili al lavoro di Frati e di Sorbelli, che fornisce accessi in disparate forme per lo stesso nome di persona; "De Sanctis" accanto a "Sanctis (De)", per non fare che un esempio. La rete di rinvii e rimandi interni al catalogo infatti è quella predisposta in passato, e viene riproposta tale e quale, senza alcun intervento moderno. A tal punto che la sezione geografica, quella per argomento e quella biografica sono costituite da schede di rinvio alla sezione per autori, l'unica che contiene le schede principali, complete di tutti i dati e della segnatura di collocazione.

Le registrazioni seguono l'ordinamento interno basato sulla successione cronologica della data di edizione (sezione autori, argomento, soggetto geografico), ovvero la sequenza alfabetica dei rimandi (sezione biografica). Fatta salva la dispersione delle edizioni del medesimo autore entro accessi che talvolta differiscono per lievi varianti formali, come è la dura legge dei cataloghi storici e delle loro altissime stratificazioni temporali.

La stampa integrale delle schede non è sempre possibile in forma completa ed integrale dal formato html; occorre semplicemente cliccare sull'immagine per poter aprire il file con un qualunque software di photo-editor, per poi procedere alla stampa.

I cataloghi storici della Biblioteca Marucelliana, riversati in internet dalla primavera del 2001 [24], grazie alla scannerizzazione delle schede e dei volumi cartacei rendono disponibili preziose informazioni catalografiche, anch'esse articolate in distinte sezioni. Per essere scaricate le immagini digitali dei cataloghi marucelliani necessitano dell'installazione di AlternaTIFF [25], un plug-in, gratis in rete, di supporto ai procedimenti di visualizzazione del formato TIFF [26] adottato dal software prescelto.

Il catalogo generale alfabetico per autori, in volume manoscritto, contiene le edizioni acquisite dalle origini fino al 1925 (circa 15.000 titoli) [27]; lo prosegue quello a schede Staderini che copre le edizioni acquisite negli anni seguenti, fino a tutto il 1993 (320.000 titoli circa, compresi monografie e periodici). Il catalogo manoscritto per soggetti, in volume, è diviso in due partizioni, a seconda che tratti materie generali (960 titoli circa) o soggetti d'argomento artistico (930 titoli circa) e riguarda le edizioni entrate in biblioteca fino al 1925. Dopo tale data il catalogo a soggetto prosegue in forma unificata a schede mobili dattiloscritte (25.000 titoli circa). Il catalogo a soggetto ha subito una revisione volta a eliminare le edizioni successive di una medesima opera, conservando l'accesso esclusivamente all'edizione più recente. Non manca neppure un catalogo alfabetico dattiloscritto a schede dedicato interamente ai periodici (circa 8.000 titoli acquisiti sino al 1993). La digitalizzazione dei cataloghi marucelliani non ha risparmiato quelli speciali; straordinario quello dei ritratti - redatto in schede manoscritte e dattiloscritte tra il 1926 e il 1980 - contenuti in edizioni acquisite anche precedentemente agli anni in cui venne approntato; come pure quello musicale (a schede dattiloscritte), che contiene oltre 25.000 edizioni musicali, acquisite nel periodo compreso tra il 1926 e il 1970.

Mentre la consultazione dei cataloghi a volume mantiene come unità la pagina, per la digitalizzazione delle schede continua a prevalere il modello a cassetto virtuale. La visualizzazione delle immagini, grazie allo speciale software impiegato, consente acrobatiche perlustrazioni: dallo zoom alla panoramica, dalla rotazione ad effetti speciali (di smooth o al negativo), mentre cliccandovi sopra se ne ingigantiscono le dimensioni a tutto schermo. Non mancano neppure i comandi consueti che permettono di saltabeccare con intervalli di una o dieci unità (pagine o schede), come anche di raggiungere la pagina (o scheda) iniziale o finale di ciascun blocco (o cassetto).

Il motore di ricerca non è altrettanto efficace, senza l'utilizzo della lista di guide cards di accesso alle immagini digitali, come avveniva in altri cataloghi (Princeton e Bologna). La ricerca infatti, anche quando molto specifica, non è limitata ad orientarsi entro 11 o 12 termini, come previsto dalle liste automatiche, ma entro blocchi voluminosi (cassetti o intervalli di pagine virtuali che siano) che contano oltre duecento schede o pagine.

Anche nel caso dei cataloghi marucelliani la struttura sindetica e la rete di rimandi è affidata al catalogo originario, senza alcun intervento o sovrapposizione moderna.

La conversione in formato elettronico dei cataloghi storici italiani assume caratteri specifici che derivano dalla loro natura di indici delle collezioni storiche della biblioteca. L'elaborazione e la progettazione di simili prodotti bibliotecari si snoda lungo due direttrici fondamentali: la prima è volta a dare risposte concrete ai consueti problemi che ruotano intorno alla digitalizzazione dei testi (dalle problematiche di conservazione alla tutela dei supporti da digitalizzare, alle questioni relative a risoluzioni e dimensioni delle immagini, formati dei file, etichettatura dei dati bibliografici); la seconda indaga il fronte della rinnovata funzionalità del catalogo digitale, dei problemi di recupero delle informazioni digitalizzate, dell'allestimento di chiavi d'accesso ad un particolare tipo di registrazione catalografica, delle architetture dei software che associano alla ricerca la visualizzazione delle registrazioni digitali.

Sono molti i vantaggi che le biblioteche e i loro cataloghi storici possono trarre dalla rivoluzione digitale; ci sono anche pericoli e insidie da cui tenersi al riparo. Abbiamo già detto, sin dalle prime pagine, degli evidenti benefici alla conservazione, come del potenziamento dell'accesso; mentre altri aspetti più si prestano a riflessioni per innumerevoli ragioni aperte al dubbio, non da ultimo per il carattere ancora dinamico e transitorio di alcuni cataloghi (quello bolognese e quello Palatino), come pure per l'esiguo numero dei progetti sinora varati.

Preme notare come quello che in prima battuta si configura come uno tra i maggiori limiti di queste operazioni consiste nel fatto di non aver potenziato le funzioni che i cataloghi cartacei rivestivano prima di essere informatizzati, funzionalità che permangono sostanzialmente identiche a quelle originarie. Nella nostra breve rassegna se ne è avuta spesso la prova; le relazioni sindetiche dei cataloghi dell'Archiginnasio, della Marucellina, del Palatino non sono state sinora infrante, riproponendone di nuove. Mancano numerosi dei requisiti oggi ritenuti indispensabili per qualunque catalogo elettronico, come la ricerca per parola del titolo, la possibilità di associare filtri alla ricerca o di attivare operatori logici. Nulla di paragonabile all'interrogazione di un opac, che scandaglia in forma analitica le principali entità di cui si compone ciascuna registrazione bibliografica. Eppure proprio in questa scelta conservativa, solo in apparenza superata, risiedono tuttavia gli autentici vantaggi della tradizione catalografica di cui sono depositarie le biblioteche storiche. Il catalogo storico digitale, specialmente se di qualità, rende pubblicamente disponibile al pubblico il principale strumento di indicizzazione delle raccolte bibliotecarie, senza rimandare a costose, lente e non sempre qualitativamente ineccepibili operazioni di recupero del pregresso. Il catalogo storico non ha valore solo perché testimone di un passato con la cultura e la civiltà che ne rendono ancora oggi viva l'anima, ma anche perché risulta prodotto di un tempo in cui l'allestimento di simili indici rivestiva, a differenza del presente, una delle preminenti attività bibliotecarie. Prima che la catalogazione, sopraffatta da nuove ed altrettanto importanti operazioni, assumesse il carattere di una esecuzione tecnica, tesa alla standardizzazione e alla automazione delle procedure piuttosto che alla correttezza bibliografica e all'arricchimento qualitativo dei percorsi di ricerca.

La presentazione in formato digitale dei cataloghi storici si configura inoltre come una delle strategie per rendere note al pubblico locale e remoto le collezioni antiche, per promuovere insomma, a fianco dei libri disponibili nell'opac, il portato storico della biblioteca. Il catalogo storico digitalizzato ha l'ambizione di candidarsi ad una delle soluzioni più intelligenti ed economiche nelle politiche di conversione retrospettiva, che ha come polo di attrazione il formato digitale. Dinanzi a questi scenari uno dei rischi è quello di tralasciare l'esistenza di ciò che precede l'avvento dei cataloghi elettronici e la rivoluzione informatica delle biblioteche; molti lettori, preda della forza centripeta della rete rischiano di ignorare quanto sfugge alle sue – in apparenza – estesissime maglie. La biblioteca predispone così chiavi di ricerca se non unitarie (i fondi storici nel catalogo digitalizzato, quelli più recenti nel catalogo elettronico), quantomeno omogenee, e scongiura il pericolo della dispersione degli strumenti di indicizzazione. Troppo di frequente infatti, e in special modo nella realtà italiana, le biblioteche più antiche impegnano risorse insufficienti nella costruzione di percorsi univoci ai meandri delle loro collezioni, senza preoccuparsi di ricondurre ad unità i sentieri della ricerca bibliografica. In questo senso il web della biblioteca, che è la sede prediletta ad accogliere il catalogo storico digitale, accentra le funzioni vitali di mediazione tra domanda e offerta di informazione; offre il terreno dove porre a dimora tutti i cataloghi e gli indici delle raccolte di una biblioteca, in qualunque formato esse siano disponibili (dai fondi librari antichi a quelli moderni, dai manoscritti alle raccolte fotografiche, dai fondi archivistici a quelli multimediali). Inizia così a divenire realtà il momento in cui unico sarà il catalogo della biblioteca, affidato ad una forma speciale di ipertesto, che sarebbe più corretto definire metatesto, o semplicemente catalogo, nelle forme e nei supporti tipici della nostra modernità.


Paolo Tinti, Biblioteca Centrale "G. P. Dore" - Università di Bologna, e-mail: tinti@cib.unibo.it


Note

[1] Alfredo SERRAI, Guida alla biblioteconomia, ed. aggiornata a cura di Maria Cochetti, Firenze, Sansoni, 1995, pp. 66-75.

[2] Storico non è sinonimo di cessato; se pure tutti i cataloghi storici sono cessati, non possiamo ritenere un catalogo a volume, anche moderno, un catalogo storico; ma si potrebbe continuare con gli esempi: un data-base catalografico non più utilizzato per l'incremento di un catalogo elettronico, per quanto chiuso, non corrisponde ad un catalogo storico.

[3] Stuart D. LEE, Digitization: is it worth it?, "Computers in libraries", XXI (may 2001), 5, pp. 28-33; <http://www.infotoday.com/cilmag/may01/lee.htm>

[4] Lo stato dell'arte su linee guida e numerose altre questioni tecniche in Piero FALCHETTA, Guida breve alla digitalizzazione in biblioteca, "Biblioteche oggi", XVIII (2000), 19, pp. 52-67; un ampliamento di visuale si può ottenere grazie a Fabio CIOTTI – Gino RONCAGLIA, Il mondo digitale: introduzione ai nuovi media, Roma-Bari, Laterza, 2000.
Gli unici standard sulla digitalizzazione sono quelli prodotti dal Congresso di Copenaghen del marzo 2000, per cui si rimanda a Paola PUGLISI, Copenaghen 2000: European Conference on digitisation of journals, "AIB Notizie", 2001, 3: <https://www.aib.it/aib/editoria/n12/00-03puglisi.htm>. La Kongelige Bibliotek danese fu tra le prime a sperimentare progetti di riconversione catalografica mediante scannerizzazione ottica - associata a procedimenti di riconoscimento automatico dei caratteri tipografici - per il recupero del pregresso; si legga a proposito Vera VALITUTTO, Con lo scanner per recuperare i cataloghi, "Biblioteche oggi", XI (1993), 8, pp. 64-66.

[5] Si veda a proposito quanto scritto da Michele SANTORO, Dall'analogico al digitale: la conservazione dei supporti non cartacei, "Biblioteche oggi", XIX (2001), 2, pp. 88-100, part. pp. 94-100 dedicate alla conservazione delle risorse digitali.

[6] Il catalogo a schede digitali della Princeton University Library si raggiunge da: <http://imagecat1.princeton.edu/ECC/>.

[7] Tutti i cataloghi austriaci sono raggiungibili da: <http://katzoom.onb.ac.at>.

[8] Creato da CompuServe, azienda pioniere nel settore dell'informazione in linea (i primi servizi attivati datano 1969!), il Graphic Interchange Format è un formato di compressione per facilitare la trasmissione delle immagini fino a 256 colori (8 bit).
La visualizzazione standard del Supplementary catalog è di 730x450 pixel; da essa è possibile variare il fattore di ingrandimento o riduzione prescelto, inserendo semplicemente un valore decimale, salvo arrestarsi alla massima dimensione consentita: 1095x675 pixel.
Informazioni aggiornate su questo e altri formati grafici all'url: <http://www.webenter.com.au/html/graphic.html>. Da vedere anche Stuart D. LEE, Digital imaging: a practical handbook, New York: Neal-Schuman, 2001.
Rimandiamo anche alle principali enciclopedie d'informatica disponibili sul web: Webopedia, <http://www.pcwebopedia.com> e Whatis?come, <http://www.whatis.com>.

[9] Sono disponibili due dimensioni: per la visualizzazione parziale (400x70 pixel) o per quella definitiva (400x234 pixel).

[10] <http://www.ub.uni-heidelberg.de/Digikat/> .

[11] <http://www.gencat.es/bc/colleccions/colleccions.html>.

[12] Sono circa un milione le immagini digitali raggiungibili dal catalogo: <http://edbessrv6.unibe.ch/de/index.htm>.

[13] <http://zkat.bibliothek.uni-halle.de/>

[14] < http://zhbluzern.eurospider.ch/bernina/index.html >.

[15] Superano il milione le schede digitalizzate dall'Università degli studi di Trieste: <http://www.biblio.univ.trieste.it/Cataloghi/>.

[16] Il catalogo storico (Generální Katalog I) copre gli anni dal 1501 al 1950: <http://katif.nkp.cz/main.asp>.

[17] Il catalogo del fondo Palatino è consultabile a partire dall'url: <http://www.bncf.firenze.sbn.it/progetti/index.html>. L'accesso al catalogo Sacconi invece è ammesso esclusivamente dall'intranet della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Le radissime notizie storiche - raccolte anche dalla tradizione orale - sui cataloghi della Nazionale fiorentina si leggono da ultimo nel preziosissimo contributo di Gianna DEL BONO, I cataloghi della BNCF, "Culture del testo", VI (1996), pp. 27-41, part. pp. 29-33.

[18] Al momento la Toscana – grazie alla locale sezione AIB - è l'unica regione italiana ad avere censito i progetti di digitalizzazione in corso presso istituti bibliotecari, passando in rassegna anche i cataloghi storici digitalizzati; ne dà notizia Elisabetta FRANCIONI, Il digitale nelle biblioteche toscane, "Bibelot: notizie dalle biblioteche toscane", VII (gennaio-aprile 2001), 1, <https://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/bibelot/0101/b0101i.htm>; in quell'indagine è menzionato il progetto del catalogo Palatino, come degli altri cataloghi toscani.

[19] Le avvertenze preliminari al catalogo dimenticano quest'ultima tipologia di accesso.

[20] Il catalogo per materie, redatto nella seconda metà del XIX secolo da Torello Sacconi, bibliotecario e direttore reggente della Biblioteca Nazionale di Firenze, fu donato dal suo autore alla Biblioteca Marucelliana nel 1892; pervenne alla Nazionale nel 1925 e dopo anni di abbandono è oggi considerato strumento semantico insostituibile per le raccolte storiche della biblioteca fiorentina.

[21] <http://www.comune.bologna.it/archiginnasio> ovvero <http://ba.comune.bologna.it>.

[22] Su Luigi Frati e la sua attività catalografica e classificatoria si rimanda a Saverio FERRARI, La Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, in L'Archiginnasio: il Palazzo, l'Università, la Biblioteca, vol. 2: La Biblioteca Comunale e gli Istituti culturali insediati nel Palazzo, a cura di Giancarlo Roversi, Bologna, Credito Romagnolo, 1987, pp. 493-530, part. pp. 509-517.

[23] Il Portable Network Graphic è uno standard evoluto per le immagini, molto diffuso in internet. Consente la compressione dell'immagine senza alcuna perdita né di definizione né di colori (come accade con il JPEG). Cfr. nota 7.

[24] Si raggiungono dalla home page della Marucelliana: <http://www.maru.firenze.sbn.it>, dal link "Catalogo al 1993".

[25] Dettagliate informazioni all'url: <http://www.library.adelaide.edu.au/software/tiff/alternatiff.html>.

[26] Le dimensioni e la risoluzione delle immagini sono variabili non solo a seconda dei cataloghi, ma anche a seconda di ciascuna immagine.

[27] Si tratta della terza redazione del catalogo per autori voluto in origine da Angelo Maria Bandini, primo bibliotecario della Marucelliana. Sulla sua esperienza alla guida della Libreria di Francesco Marucelli vedi Monica Maria ANGELI, Il primo bibliotecario della Marucelliana: Angelo Maria Bandini, in Biblioteca Marucelliana Firenze, a cura di Maria Pruna Falciani, Firenze, Nardini, 1999, pp. 41-45. In verità il catalogo Bandini, in tre volumi autografi, venne in seguito copiato da Benedetto Pacini negli otto volumi che compongono l'esemplare di bella, ancora annotato dal Bandini stesso. Fu poi il direttore della Marucelliana Pietro Fanfani a chiudere definitivamente quel catalogo a volume in data 7 giugno 1870, dopo averlo fatto copiare una terza volta nel nuovo catalogo in 29 volumi. In assenza di studi specifici dedicati ai cataloghi storici della Marucelliana devo ogni informazione a Monica Maria Angeli, che qui ringrazio profondamente.



«Bibliotime», anno IV, numero 2 (luglio 2001)


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