«Bibliotime», anno IX, numero 1 (marzo 2006)

Precedente Home Successiva



Stefano Vitali

Come si 'diventa digitali negli archivi' *



In una intervista al "Sole 24 ore" del 27 novembre scorso il ministro Buttiglione, riferendosi al suo tentativo di contrastare i drastici tagli operai dalla finanziaria 2006 al bilancio del Ministero per i beni e le attività culturali, ha candidamente dichiarato:

in Italia convincere che il cinema è importante è possibile, per la Lirica è più difficile ma ci si riesce, per prosa e spettacolo dal vivo si fa un po' fatica, ma per i libri e gli archivi è veramente durissima [1].

Insomma, a detta del Ministro, persuadere i suoi colleghi a destinare qualche risorsa in più per archivi e biblioteche è un impresa quasi disperata. Prima di ogni altra considerazione su come "si diventa digitali" negli archivi, è da un dato di fatto come questo che bisogna prendere le mosse. Non credo che le biblioteche se la passino molto meglio, ma certo gli archivi, almeno quelli che sono integrati nell'Amministrazione statale, stanno attraversando una crisi profonda che sta rischiando di metterne a repentaglio la stessa esistenza.

Non vorrei insistere molto sulla pesante componente "finanziaria" di questa crisi, perché essa è ben nota, tanto da aver avuto qualche eco sulla stampa nel corso degli ultimi anni [2]. Il decurtamento sui capitoli delle spese ordinarie non ha portato alla chiusura massiccia degli Istituti solo perché i loro effetti sono stati mitigati dal ricorso a fondi straordinari, come ad esempio le percentuali sulle vincite del Lotto destinate ai beni culturali, che avrebbero invece dovuto finanziare gli investimenti.

Vorrei invece ricordare come importanti ragioni di crisi siano costituite dall'incertezza che grava sugli assetti istituzionali e dall'interrogativo che più o meno esplicitamente oggi molti si pongono se l'amministrazione archivistica statale, così come oggi è organizzata, abbia ancora un senso e se le competenze sugli archivi debbano restare in capo allo Stato o passare alle Regioni o alle istituzioni territoriali, secondo una prospettiva implicitamente rilanciata dal nuovo Codice dei beni culturali. Inoltre il blocco delle assunzioni che vige ormai da un paio di decenni sta provocando, in assenza di un ricambio generazionale anche minimo, un deciso invecchiamento, non solo d'età, ma anche di sensibilità culturale, del personale impiegato e sta provocando la dispersione di un patrimonio di esperienze sedimentatosi nel corso del tempo, che non può essere trasmesso se non attraverso un colloquio intergenerazionale nello svolgimento del lavoro quotidiano.

Tutto ciò determina una evidente mancanza di prospettive politico-culturali in grado di rispondere alle domande cruciali sulle finalità e sul senso della presenza nella società di istituzioni come gli archivi: per chi si conserva la documentazione archivistica? Qual è oggi il pubblico cui gli archivi si rivolgono? Di fonte alla crescente differenziazione degli utenti e frequentatori delle sale studio degli archivi, come soddisfare le nuove domande e le nuove aspettative di cui gli archivi sono investisti? E' molto difficile cercare di articolare delle risposte a questi interrogativi quando gli Archivi hanno una profonda difficoltà a svolgere i compiti più elementari ad essi storicamente affidati, come quelli della pura e semplice conservazione "materiale" del patrimonio documentario e a garantire i livelli minimi di accesso da parte del pubblico alla documentazione. C'è chi comincia a pensare che gli archivisti di Stato siano una razza in estinzione e che gli Archivi di Stato stiano semplicemente morendo [3].

Anche quando si discute dei progetti di digitalizzazione degli archivi - realizzati, in corso, appena avviati o soltanto pensati - non si può non tener conto della complessiva situazione appena delineata, sia perché essa è destinata a riflettersi, in un modo o nell'altro, nei progetti stessi sia perché qualsiasi giudizio su di essi non può non guardare la contesto nel quale si collocano.

E' proprio per questo che allora colpiscono iniziative come quelle del cosiddetto Archivio storico multimediale del Mediterraneo, progetto finanziato nel 2003 con i fondi CIPE, per volontà del sottosegretario per i Beni e le attività culturali on. Nicola Bono e che ha assegnato all'Archivio di Stato di Catania più di 7 milioni di euro. Si tratta di un progetto, dai contorni alquanto generici, che prevede la digitalizzazione e la messa in linea di documenti significativi tratti dagli archivi storici dell'Italia e di altri paesi del Mediterraneo. Per rendersi conto di cosa significhi la cifra attribuita al solo Archivio di Stato di Catania per quest'unico progetto, nel contesto complessivo delle risorse destinate agli archivi di Stato, è forse il caso di ricordare che una legge dello stesso 2003, la legge 16 ottobre n. 291, ha previsto uno stanziamento di circa 22,5 milioni di euro in tre anni per la "creazione del sistema informativo degli archivi di Stato e delle soprintendenze archivistiche". Se ne deduce che per questo progetto è stato assegnato un importo pari a quello che straordinariamente (la legge infatti non è stata rifinanziata) è stato assegnato per tre anni a tutti gli Archivi di Stato d'Italia, compresa l'Amministrazione centrale per la realizzazione quella informatizzazione di base degli Istituti e dei servizi che per molti aspetti è ancora assai carente.

All'inizio del 2006 il progetto ha preso avvio dopo l'espletamento di una gara d'appalto per un importo di circa 4 milioni e mezzo vinta dalla Engineering Ingegneria Informatica, che dovrebbe digitalizzare, schedare e mettere in linea entro il 2007 circa 220 mila immagini ad alta risoluzione oltre a 60 mila schede descrittive di documenti conservati in taluni Archivi di Stato italiani, concernenti il Meditterraneo fra l'anno Mille fino e la scoperta dell'America oltre a materiale cartografico fino al XVIII secolo [4]. Questa vicenda che mi sembra esemplare sotto molti rispetti di come "digitali si diventa" nell'ambito degli archivi italiani, di quelli di stato in primo luogo, ma non soltanto di quelli, offre vari spunti interessanti di riflessione.

I progetti di digitalizzazione, nonostante il relativo disinteresse che circonda il destino degli archivi e della memoria documentaria nel nostro paese, dimostrano un certo appeal sul nostro personale politico, sia a livello nazionale che locale, e sembrano essere gli unici in grado di convogliare relativamente ingenti, quanto episodiche, risorse finanziarie verso gli archivi. Evidentemente si ritiene che questo tipo di progetti possano avere un certo ritorno in termini di immagine e di creazione del consenso. Non a caso essi sono sfruttati anche in un contesto preelettorale come quello che stiamo vivendo attualmente. Ne è dimostrazione il convegno che si è tenuto il 4-5 marzo 2006 fra Catania e Noto, direttamente sostenuto, promosso e propagandato dal sottosegretario Bono [5].

Fra i progetti di digitalizzazione promossi per diretta iniziativa politica si potrebbe anche ricordare il quello realizzato dal Senato della Repubblica e fortemente voluto dal suo Presidente, Marcello Pera che, avviatosi nel 2003, è stato quasi completato con una spesa totale di due milioni e duecentomila euro (la metà, a dire il vero, di quelli inizialmente previsti). Esso prevede la digitalizzazione di corpus documentari provenienti da varie fondazioni ed istituzioni culturali, per un totale di circa un milione di documenti, che dovrebbero venire a costituire una sorta di archivio virtuale della storia politica dell'Italia del dopoguerra, o meglio delle "personalità politiche, [dei] partiti e [dei] gruppi parlamentari" che in essa hanno operato. Oltre al Senato della Repubblica e all'Archivio Centrale dello Stato, con le carte di Aldo Moro ed altri fondi relativi all'epurazione, hanno infatti contribuito al progetto, l'Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, la Fondazione Bettino Craxi, la Fondazione Benedetto Croce, l'Istituto Gramsci, la Fondazione Turati, la Fondazione Ugo Spirito, l'Istituto Luigi Sturzo e ad altre ancora [6].

Certo, di fronte al forte contrasto che esiste fra questi progetti e la situazione di crisi dell'Amministrazione archivistica, si potrebbe ironizzare sul fatto che mentre in un prossimo futuro rischia di diventare di fatto pressoché inaccessibile gran parte del patrimonio documentario del paese, una sua porzione estremamente ridotta, appartenente per lo più ad archivi siciliani o ad archivi delle personalità e dei partiti politici della prima Repubblica, potrà conquistarsi una inaspettata popolarità semplicemente grazie alla sua presenza sul web. O si potrebbe anche ricordare che mentre si destinano risorse non indifferenti per l'Archivio storico multimediale del Mediterraneo, l'Amministrazione archivistica non è in grado di spendere un euro per affrontare il problema della conservazione a lungo termine di documenti ed archivi digitali.

Ma, facili ironie a parte, ciò che colpisce di questi progetti è che essi ripropongono su più ampia scala le strategie di "migrazione digitale" che si sono andate affermando in ambito archivistico negli ultimi tempi all'interno di molteplici iniziative anche di dimensioni assai più limitate di quelle sopra ricordate. Si tratta di strategie che mirano a creare dei veri e propri archivi virtuali – nel senso che esistono come tali solo in formato digitale – o, come li ha definiti con felice espressione uno storico americano, Roy Rosenzweig, degli "archivi inventati", costituiti attraverso l'assemblamento e la giustapposizione delle riproduzioni digitali di singoli documenti o di nuclei più o meno organici di documentazione (singole serie o parti consistenti di di interi fondi) di varia natura e provenienza, estraendoli dai loro contesti e creando aggregazioni tipologiche (ad esempio "archivi" di mappe, piante, fotografie, pergamene, ecc.) oppure tematiche, come appunto possono esserlo un archivio sul Mediterraneo ed uno sui partiti italiani e i loro leader.

Che la costituzione di "archivi inventati" debba essere lo stile prevalente per progetti di digitalizzazione in ambito archivistico sembra, a prima vista, quasi ovvio e naturale, dati i caratteri stessi del mezzo utilizzato. La "smaterializzazione" prodotta dalla migrazione su supporto digitale rende infatti realizzabili operazioni altrimenti impossibili e che solo per questo sembrano quanto meno uniche ed originali e degne di essere effettuate. In realtà le cose sono forse un po' più complesse e la prevalenza di progetti di questo tipo, piuttosto che il risultato di un uso intelligente del mezzo e di felici intuizioni può in realtà nascondere più di una difficoltà da parte di chi opera all'interno degli archivi a rapportarsi alle tecnologie digitali e ad integrarle non episodicamente, ma in maniera significativa e culturalmente fondata, all'interno dei propri strumenti di lavoro.

In effetti negli archivi la riproduzione digitale e la pubblicazione sul web di materiale documentario pone problemi concettuali, non solo inediti, ma qualitativamente diversi e per molti versi certamente maggiori di quanto non avvenga ad esempio nelle biblioteche o comunque per il materiale bibliografico. In quest'ultimo caso, infatti, la costituzione di biblioteche digitali si configura come una estensione quantitativa di una finalità – quella di trasmettere e far circolare informazioni e conoscenze – che non solo è costitutiva della biblioteca come istituzione ma che è soprattutto implicita nel codice genetico, per così dire, del libro stesso, soprattutto di quello a stampa, che nasce appunto come strumento per una più ampia diffusione delle idee del suo autore e del progetto culturale di cui è portatore. Le tecnologie attuali permettono di allargare a dimensione planetaria tale diffusione, ed offrono la possibilità di realizzare una sorta di accesso universale alle informazioni e conoscenze affidate ai materiali a stampa. Come dimostrano imprese quali quelle tentate da Google Book, all'effettivo conseguimento di questo obiettivo sembra che non si frappongano particolari difficoltà di ordine concettuale o di strategia culturale, ma soltanto problemi di risorse finanziarie e di proprietà intellettuale oltre che, ovviamente, degli strumenti per la descrizione e il recupero dei materiali digitalizzati.

In ambito archivistico, invece, si pongono inevitabilmente questioni un po' più complesse, testimoniate, credo, dal fatto che, al contrario di quanto avviene per i libri, nessuno oggi oserebbe pensare ad una migrazione sul web dell'intero patrimonio documentario conservato nelle istituzioni archivistiche del pianeta. Ciò non deriva tanto dai costi esorbitanti che un simile progetto potrebbe avere, ma piuttosto dalla semplice ragione che un obiettivo del genere non avrebbe probabilmente né un significato chiaro né una finalità evidente. Difatti i documenti archivistici, come è ben noto, hanno caratteristiche totalmente diverse dai libri e dal materiale bibliografico in generale. E' solo per una paradossale eterogenesi dei fini che essi, da entità generate per finalità per lo più pratiche e determinate, acquistano una portata più ampia e diventano possibili veicoli di informazioni e di conoscenze, che hanno un valore che va oltre lo scopo limitato e concreto per cui essi sono stati prodotti o ricevuti e conservati.

Le mediazioni necessarie ad accostarsi ad un documento archivistico, a comprenderne il significato, ad utilizzarlo come strumento di conoscenza o come semplice veicolo di informazioni sono indubbiamente molto maggiori e più complesse di quelle di solito necessarie per accostarsi ad un libro. Al di fuori di quelle mediazioni, che collocano i documenti nel proprio contesto di produzione, ne illustrano la genesi, ne raccontano il processo di trasmissione e via dicendo, ciò che del documento può essere, più o meno agevolmente colto è tutt'al più il pregio estetico, quando c'è, e talvolta il valore simbolico. Questi caratteri della documentazione archivistica hanno non poche conseguenze nella messa a punto di progetti di digitalizzazione. Innanzitutto, essi impongono la necessità di fare delle scelte, di essere cioè selettivi, spesso molto selettivi, e di esserlo sia quando si cerca di conservare il più possibile l'organicità dei corpus documentari di provenienza che, a maggior ragione, quando si riproducono singoli documenti, ritenuti particolarmente significativi, estraendoli dai propri contesti. Inoltre la selezione deve essere compiuta secondo determinati criteri che, quando non sono appunto quelli del valore puramente estetico o simbolico del documento, è in genere guidata dal desiderio o dalla necessità di collocare i documenti all'interno di un quadro di riferimento, di un nuovo contesto, per così dire, insomma di un "archivio inventato", costruito attorno ad una qualche tema o evento di riferimento che permetta di metterne in evidenza alcuni significati e che ne indirizzi la ricezione e la fruizione.

Questa strategia può in effetti fornire, in taluni casi, alcune interessanti soluzioni alle questioni poste dalla riproduzione digitale e dalla pubblicazione sul web di documentazione archivistica, e può anche essere un sfida epistemologicamente stimolante, soprattutto quando si configura come una forma alternativa di narrazione della storia, cioè come un tentativo consapevole di raccontare attraverso i documenti raccolti nell'archivio virtuale una storia o le molteplici storie che essi possono disvelare. Tuttavia non mancano aspetti che suscitato perplessità e interrogativi. Si insista, all'interno dei progetti di digitalizzazione, sul pregio estetico dei documenti pubblicati oppure sul loro valore simbolico o anche sulla loro capacità di raccontare storie dando al passato sembianze concrete, l'operazione che si compie è comunque quella di estrarre i documenti dai propri contesti, di descontestualizzarli, mettendo in evidenza taluni dei loro significati a scapito di altri, impoverendo spesso la loro valenza documentaria, di testimonianza e, se si vuole, di prova, per ridurli non di rado a pure icone. Non che non si tratti di operazioni che, se ben costruite, non possano avere anche una valenza cognitiva paragonabile, per taluni aspetti, a quella delle mostre documentarie. Ciò che ci si potrebbe domandare è piuttosto se tali operazioni debbano essere compiute - con il dispendio fra l'altro di risorse notevoli in un periodo come l'attuale di vacche ben magre – dalle istituzioni archivistiche, se in sostanza esse forniscano davvero un servizio utile al pubblico degli archivi, anche a quel "nuovo" pubblico meno accademico e più differenziato, sia culturalmente che socialmente, cui in genere la creazione di "archivi virtuali" digitali intende rivolgersi.

Non sarebbe piuttosto il caso di domandarsi se per tale pubblico non sarebbe più utile poter contare su riproduzioni digitali integrali, gratuitamente accessibili e facilmente consultabili, di quei fondi cui spesso massicciamente si rivolge la loro attenzione, come ad esempio gli stati civili, i catasti e in generale le fonti genealogiche, di storia della famiglia o di storia della proprietà? O comunque, più in generale, invece che "inventare" archivi virtuali di dimensioni più meno rilevanti attraverso progetti "straordinari", destinati spesso a costituire delle vere e proprie cattedrali nel deserto che rischiano di essere abbandonate a se stesse non appena esauritisi i fondi iniziali, non sarebbe più opportuno cercare di praticare un uso maggiormente integrato e "sostenibile" delle tecnologie di riproduzione digitale, adottandole all'interno delle attività e dei servizi ordinariamente svolti dalle istituzioni archivistiche come tali? Le possibili utilizzazioni sarebbero, in un'ottica del genere, molteplici e di indubbia efficacia.

Basti pensare alla consultazione sostitutiva dei documenti originali in precario stato di conservazione o sottoposti ad una costante usura a causa di una consultazione massiccia; oppure alla possibilità di favorire, semplificandole, quelle tipologie di ricerca praticate da parte dell'utenza di tipo nuovo, cui abbiamo accennato in precedenza; oppure ancora alla possibilità di rendere possibile attraverso la riproduzione digitale percorsi conoscitivi altrimenti difficilmente praticabili o addirittura impossibili, come ad esempio quelli che possono essere realizzati migliorando la leggibilità dei documenti deteriorati o con inchiostri evaniti, oppure permettendo ricerche basate su confronti testuali di massa (come ad esempio avviene per studi di carattere paleografico, grazie alle riproduzioni digitali del Diplomatico dell'Archivio di Stato fiorentino).

In realtà già molte istituzioni archivistiche, soprattutto fra gli Archivi di Stato, stanno cercando di praticare un uso di questo genere delle tecnologie di riproduzione digitale. Nel portarle avanti si scontrano in realtà con le difficoltà da cui abbiamo preso le mosse e senza il superamento delle quali ogni ragionamento su come diventare digitali rischia di rimanere un inutile esercizio intellettuale.

Stefano Vitali, Archivio di Stato - Firenze, e-mail: s_vitali@archiviodistato.firenze.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario "Digitali si diventa. Presupposti teorici e conseguenze culturali della digitalizzazione in biblioteca", Modena, 12 dicembre 2005.

[1] Cfr. Cristina Jucker, La Fondazione mista è un esempio da seguire, "Il Sole 24 ore", 27 novembre 2005, anche on-line, <http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=15915>.

[2] Solo qualche settimana fa, ad esempio, Salvatore Settis ha ricordato su "La Repubblica" come "il taglio ai bilanci degli archivi di Stato sia arrivato al 70%" (Salvatore Settis, Al mercato dei beni culturali, "La Repubblica", 16 novembre 2005, anche on-line <http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=15522>).

[3] Qualche ulteriore riflessione in Stefano Vitali - Carlo Vivoli, Quale ruolo, quale pubblico, quale futuro per gli Archivi di Stato?, on-line, <http://www.archividelnovecento.it/interventi/napoli_15_ott_2004xilweb.pdf>.

[4] Notizie sul progetto, oltre che sul sito dell'Archivio di Stato di Catania, <http://archivi.beniculturali.it/ASCT/ASMMED%20Pagina%20iniziale.htm>, in Un clic per navigare mille anni di Mediterraneo, "La Stampa Web", 2 marzo 2006, on-line, <http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/girata.asp?ID_blog=30&ID_articolo=285&tp=C>

[5] Evidentemente in barba alla separazione fra politica e amministrazione, teoricamente prevista dal nostro ordinamento, ma ormai largamente superata nella pratica.

[6] Maggiori dettagli sul sito del progetto, <http://www.archivionline.senato.it/GeaWeb/default.htm>.




«Bibliotime», anno IX, numero 1 (marzo 2006)

Precedente Home Successiva


URL: http://static.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-ix-1/vitali.htm