«Bibliotime», anno V, numero 1 (marzo 2002)


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Andrea Capaccioni

Precarietà e fortuna nei mestieri del libro in Italia



Maria Gioia Tavoni, Precarietà e fortuna nei mestieri del libro in Italia. Bologna, Pàtron, 2001. 151 p., ill., 21 cm.

L'intento principale dell'autrice è di fornire ad un pubblico di non esperti una chiara e sintetica introduzione ad un tema caro agli storici del libro: i mestieri del libro. La studiosa aveva avuto il merito già nel 1989, nel numero 72 della rivista Quaderni storici da lei curato, di favorire un primo approfondimento. Sono seguiti studi impegnativi su motivi e figure del mondo dell'editoria e della tipografia nazionale e internazionale. Anche in quest'ultima fatica la Tavoni ha concentrato la sua attenzione sul secolo di cui è specialista: il Settecento. Nel corso delle lezioni tenute nell'Ateneo bolognese la studiosa ha avuto modo di discutere con studenti ed ex allievi molti degli argomenti presenti nel libro. È nata così l'esigenza di fornire uno strumento agile, puntuale, intenzionalmente non sistematico, che fungesse da prima introduzione.

Il libro è così concepito come una sorta di bibliografia ragionata o meglio, si passi il termine, raccontata. A parte qualche cenno ad autori imprescindibili per questo secolo e per questi temi (Berengo, Pasta, Darnton, Chartier, Waquet, ecc.) la narrazione si basa sulla recente produzione specialistica, quasi esclusivamente italiana. Per non tradire le promesse di leggibilità le note sono state abolite e i riferimenti bibliografici sono stati spostati in pratiche appendici, collocate al termine di ogni singolo capitolo, denominate Orientamenti bibliografici.

Le Considerazioni introduttive (pp. 11-22; più gli Orientamenti pp. 23-28) aprono il volume con l'intento di proporre brevi riflessioni su alcune opere, a partire dal Settecento riformatore di Venturi, che hanno contribuito alla delimitazione "del campo cronologico prescelto" (p. 12) e sulla validità della scelta del tema.

Il primo capitolo, intitolato Mestieri in antico regime tipografico (pp. 29-96; Orientamenti pp. 97-106), contiene il saggio più ampio e articolato. Semplificando l'autrice riduce a quattro le figure intorno alle quali gira il mondo del libro: l'autore, il tipografo (o lo stampatore), l'editore, il libraio. Il tratto comune di questi mestieri è la contaminazione, lo scambio di ruoli. L'autore si fa editore o tipografo di se stesso, soprattutto se deve stampare opere di antiquaria o più genericamente di erudizione, l'editore decide di vendere in proprio le opere, ecc.. Chi si occupa di storia della stampa si rende poi conto che la fase delle professioni ben definite, della divisione del lavoro e delle competenze giunge tardi; e che quei tratti sono più adeguati alla nostra epoca.

L'autore non ha vita facile. Il riconoscimento in Italia di un suo status sopraggiunge a fine secolo e solo in una parte del territorio. Tra gli scrittori e il resto del mondo del libro i rapporti non sono buoni. La mancanza di norme, è vero, complica tutto, ma di fondo rimane una diffidenza che si trascina da lungo tempo. Talvolta i problemi, ad esempio le ristampe selvagge, accomunano i contendenti. Ma le divisioni perdurano e gli autori osano diventare stampatori o cercano, in altri casi, di pubblicare fuori dai loro stati.

L'editore è un mestiere che nasce in tipografia. Bisogna sporcasi le mani con i torchi e con l'inchiostro prima di sognare un lavoro più tranquillo o importante. In stamperia non entrano solo gli artigiani. Notai, borghesi e letterati non disdegnano, ed è un'abitudine in voga da un paio di secoli, di investire in operazioni editoriali.

Il libraio è forse il mestiere più caratterizzato. Originariamente cartolaio, si occupa sempre più spesso di stampe. Il Settecento però non risolve i molti problemi che lo affliggono; tra cui la censura. Con una condizione tutta nostrana: "L'Italia - scriveva nel 1779 i librai Rondi di Bergamo alla Societé Typographique de Neuchâtel, dopo aver subito una lieve confisca - è un paese dove ci sono mille rischi e mille rigori imprevisti. Talvolta si vende liberamente, talatra anche una storia letteraria è proibita. In un paese, un magistrato permette tutto per sei mesi e durante sei altri proibisce tutto. In un altro, un vescovo proibisce tutto, in un altro tutto è permesso. Qua c'è un inquisitore molto rigido, qui un altro commodo. Malgrado tutte queste apparenze, non c'è paese al mondo dove si faccia tutto quello che si vuole come in Italia. Basta essere prudente, chiaroveggente, tenersi in un certo modo, accomodato a certi stati e ordini, soprattutto di non passare per nemico dei preti e dei monaci, e allora uno è sicuro di non essere mai infastidito" (p. 84).

Il secondo e ultimo capitolo, Livelli di qualità della produzione (pp. 107-139; Orientamenti pp. 140-144), prende in esame la basse litterature (opuscoli, lunari, registri, modelli a stampa, ecc.), una produzione non di rado in bilico tra legalità e clandestinità, cercando di individuarne generi e caratteristiche.

Precarietà e fortuna nei mestieri del libro in Italia fa parte della nuova collana Lyceum della Pàtron, curata dalla stessa Tavoni, in cui sono usciti anche Il libro in Benedetto XIV di Carla di Carlo e La libraria del collegio dei Gesuiti di Modena di Paolo Tinti.

Andrea Capaccioni, Centro per l'orientamento bibliografico e per la documentazione -
Università per stranieri di Perugia, e-mail: acapacci@unistrapg.it



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