«Bibliotime», anno VII, numero 1 (marzo 2004)


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Supporti quotidiani



A uno sguardo anche superficiale alla realtà odierna, appare chiaro che le biblioteche, nella loro turbinosa attività volta ad acquisire, organizzare e rendere disponibile il proprio patrimonio, non siano ancora riuscite a dar vita a un'adeguata riflessione sulle relazioni (di natura non tanto informativa o scientifica quanto piuttosto personale, intrinseca, soggettiva) che legano i supporti e i loro utilizzatori: una riflessione insomma che sia in grado di far luce sui differenti approcci che, nella vita quotidiana, si manifestano nei confronti dei formati documentari.

Si tratta, con ogni evidenza, di qualcosa di più e di diverso dalla tradizionale indagine sulla lettura sviluppata da sociologi, economisti e a volte anche bibliotecari: quest'ultima infatti cerca di analizzare i cosiddetti "consumi culturali", ponendosi su un piano che potremmo definire "semantico", correlato più ai contenuti che ai contenitori, più allo sfruttamento di quanto viene veicolato che alla comprensione dei veicoli. Ciò che invece resta fuori dal quadro sono proprio gli atteggiamenti, le attitudini, i comportamenti che le persone manifestano nella loro interazione con i supporti - fisici o virtuali che siano - destinati ad accogliere e trasmettere l'informazione.

Certo, non mancano le analisi - di natura essenzialmente psicologica - sulle interazioni che si verificano quando si ha a che fare con determinati supporti (tipicamente il libro a stampa), o in fasi particolari di tali interazioni (in special modo nel momento della lettura [1]), così come molto è stato scritto sui condizionamenti che i nuovi formati elettronici producono sulle facoltà psichiche e percettuali degli individui [2]. Malgrado ciò, quello che sembra ancora assente è un'indagine sulla quotidianità delle relazioni - se così possiamo esprimerci - fra gli utenti e i supporti documentari resi disponibili dalle biblioteche: un'indagine che permetta di comprendere come sono "vissuti" i tradizionali media cartacei, quale atteggiamento si manifesta nei confronti dei supporti non cartacei, qual è la relazione che lega gli utilizzatori di tali strumenti agli strumenti stessi (di mero e vorace consumo? di totale indifferenza per la componente fisica e le modalità attraverso cui può veicolare certi contenuti? di graduale e consapevole appropriazione di tali contenuti?…).

Il tema, arduo quanto affascinante, richiederebbe un apposito convegno o un intero numero monografico di una rivista, specie se si prende come oggetto di studio il supporto più elusivo, più instabile, più di ogni altro destinato a un'esistenza effimera: ci riferiamo ovviamente al quotidiano, al "giornale", come più familiarmente viene chiamato, con un termine che meglio di ogni altro dà la misura della sua natura fuggevole e transeunte; ma nonostante ciò, non vi è alcuno che possa negare l'importanza informativa, culturale e sociale del quotidiano, oltre che la sua rilevanza a scopi di conservazione delle memorie, come testimoniano le campagne grandi e piccole di digitalizzazione che hanno luogo in tutto il mondo [3].

E tuttavia ciò che ancora una volta viene trascurata è proprio la dimensione quotidiana del quotidiano, quel ruolo di fedele compagno (anche se solo per un giorno, ma con una funzione che si ripete, per l'appunto, quotidianamente) di tante persone: le quali, come sappiamo, possono farne un uso "privato", acquistandolo in maniera quasi rituale presso le edicole, o riferirsi ad esso in termini "istituzionali", rivolgendosi alle biblioteche che giornalmente mettono a disposizione questo supporto. Ed è proprio quest'ultimo aspetto a venire illustrato, fra le altre cose, nel contributo di Omero Canali presente sul numero in corso di "Bibliotime", nel momento in cui l'autore, descrivendo le molteplici attività che hanno luogo in una grande e ben organizzata "emeroteca", mette in luce i diversi atteggiamenti che gli utenti manifestano nei confronti della stampa periodica, e fornsce in tal modo i primi spunti per quella indagine di cui si è rilevata la carenza. Ma il tema dei periodici (declinato stavolta in un'accezione meno psico-sociologica e più accademico-scientifica) è anche oggetto dell'intervento di Antonella De Robbio, nel quale sono messi a fuoco una serie di aspetti relativi ai più recenti sviluppi della comunicazione scientifica, e in cui si auspica che i notevoli avanzamenti tecnici e le numerose campagne di sensibilizzazione che hanno luogo in tutto il mondo possano aiutare a risolvere gli annosi problemi - economici oltre che informativi - che da sempre ne hanno condizionato il percorso.

Anche in questo numero "Bibliotime" ospita infine un contributo d'oltreoceano, quello di Alessia Zanin-Yost che, sulla base dell'esperienza statunitense, approfondisce un tema che da noi appare assai poco frequentato, e cioè il ruolo (documentario oltre che professionale e scientifico) che le biblioteche possono e debbono avere a supporto dell'educazione a distanza, dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, quanto sia proficuo lo scambio informativo tra realtà bibliotecarie così diverse come quella italiana e quella americana.


Michele Santoro


Note

[1] Georges Poulet ad esempio parla di una "scomparsa fenomenica del libro" nel momento in cui noi affrontiamo il testo; difatti, scrive lo studioso, "questo è il fenomeno iniziale prodotto ogni volta che io prendo un libro e comincio a leggerlo... dov'è il libro che tengo nelle mani? è ancora lì, ma nello stesso tempo non c'è più, non è in nessun luogo. Quest'oggetto completamente oggetto, questa cosa fatta di carta, come ci sono cose fatte di metallo o di porcellana, quest'oggetto non c'è più, o per lo meno è come se non esistesse più, per tutto il tempo che io leggo il libro. Perché il libro non è una realtà materiale. E' diventata una serie di parole, di immagini, di idee che a loro volta cominciano ad esistere". Si tratta di una tesi vigorosamente contestata da Geoffrey Nunberg, per il quale non è possibile ritenere che il volume fisico non giochi alcun ruolo nel processo della lettura, dal momento che è la stessa "oggettualità" del mezzo e la conseguente "fisicità" che scaturisce dall'atto del leggere a far sì che il libro rimanga una presenza materiale ben definita, che non è mai assente dalla nostra percezione anche quando assume un aspetto squisitamente cognitivo (Georges Poulet, Criticism and the experience of interiority, in Reader-response criticism, edited by Jane P. Tompkins, Baltimore, 1980; Geoffrey Nunberg, The places of books in the ages of electronic reproduction, in Future libraries, edited by R. Howard Bloch and Carla Hesse, Berkeley, University of California Press, 1995).

[2] Ci riferiamo alle ormai note indagini di David Bolter, L'uomo di Turing. La cultura occidentale nell'età del computer, Parma, Pratiche, 1985; Sherry Turkle, Il secondo io, Milano, Frassinelli, 1985; Id., La vita sullo schermo, Milano, Apogeo, 1997; Derrick De Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, a cura di B. Bassi, Bologna, Baskerville, 1993; Id., La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney, Genova, Costa & Nolan, 1996.

[3] Per l'uno e per l'altro tema si rinvia a Conservare il Novecento: la stampa periodica. II convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 29-30 marzo 2001. Atti a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2002.



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