«Bibliotime», anno VIII, numero 1 (marzo 2005)

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Alberto Petrucciani

La cultura del catalogo: quale professionalità per quale funzione?



L'impiego delle tecnologie informatiche e telematiche ha potenziato la funzione strumentale del catalogo. Nel catalogo elettronico la ricerca di una pubblicazione particolare è di solito (anche se non sempre) resa molto più facile e rapida dall'interrogazione per parole chiave o dalla combinazione di più elementi di ricerca. Inoltre la cooperazione in grandi cataloghi collettivi (come SBN), il recupero retrospettivo e l'accesso in rete, a distanza, ai cataloghi hanno reso molto più facile e rapida l'individuazione e la localizzazione delle pubblicazioni cercate dall'utente. Quando si cerca una pubblicazione particolare, insomma, è quasi sempre facile trovarne una registrazione catalografica.

A questo potenziamento della funzione più elementare del catalogo non ha corrisposto però uno sviluppo adeguato delle funzioni più complesse, quelle legate all'organizzazione delle informazioni, ai fini della ricerca per autori, per soggetto o per altre caratteristiche, o all'esplorazione sistematica delle raccolte per un interesse di ricerca. Anzi, i cataloghi elettronici sono di solito più arretrati, da questo punto di vista, dei vecchi cataloghi a schede che li hanno preceduti: indicazioni di guida, vedette, richiami, prospetti, insomma tutte le informazioni di supporto che vanno al di là del mero rinvio, sono in genere assenti o carenti. Di solito - nonostante il tema del controllo di autorità sia da qualche anno in primo piano - è molto carente anche il controllo della coerenza delle informazioni: abbondano per esempio le intestazioni duplicate, quelle in cui sono confusi più autori diversi, ecc.

All'utente, quindi, i nostri cataloghi danno spesso - a mio parere - l'impressione di grandi accumuli di registrazioni bibliografiche, spesso duplicate, inesatte o confuse, sciatte, fra le quali per fortuna, con la potenza di ricerca dell'elaboratore o la pazienza dell'occhio che scorre intere schermate, si può estrarre ciò che si va cercando. Sicuramente non danno, invece, l'impressione che il mare di pubblicazioni prodotte dall'invenzione della stampa in poi sia accuratamente censito, analizzato, strutturato e ordinato, da persone competenti ed esperte, perché possa essere esaminato con fiducia e agio dall'utente.

Gli esempi abbondano, ma ne cito solo un paio, risultato di ricerche che ho avuto occasione di dover fare recentemente nell'OPAC del Servizio bibliotecario nazionale, il più grande catalogo italiano liberamente accessibile al pubblico: la giovane Melissa P., registrata oltre che in questa forma anche in quella inversa ("P., Melissa") e in quella per esteso ("Panarello, Melissa"), e sant'Alfonso de' Liguori, presente con ben sette intestazioni distinte, cinque sotto il prenome (con piccole varianti formali), una sotto "Liguori" e una sotto "De' Liguori" [1].

Dal punto di vista della ricerca per soggetto la situazione, come si sa, è decisamente peggiore. Come ha mostrato l'indagine di Claudio Gnoli, Riccardo Ridi e Giulia Visintin su 152 OPAC italiani [2], in quasi metà dei casi non esiste la possibilità di ricerca per classi, in 4 casi su 5 non sono ricercabili le vedette del catalogo sistematico e solo in un terzo dei casi il numero della Classificazione Dewey compare accompagnato dall'equivalente in chiaro. Riguardo alla soggettazione alfabetica, rarissime eccezioni sono i cataloghi che permettono di visualizzare le stringhe di soggetto a partire da una ricerca per parola e poco più del 10% dei cataloghi offre una rete di rinvii, che di solito sono invece assenti o sporadici. Le reti di richiami tra voci, normalmente presenti da sempre nei cataloghi per soggetti a schede, pur se a diversi livelli di ricchezza, sono ancora un fenomeno praticamente sconosciuto ai cataloghi elettronici.

Quale professionalità per quale funzione? Se guardiamo soltanto alla funzione di localizzazione, affidata prevalentemente alle potenzialità di ricerca libera con l'elaboratore, i nostri standard sono probabilmente già troppo elevati e la professionalità a cui guardare dovrebbe essere, forse, solo quella dell'appalto al minor costo (e quindi al peggior livello di qualità accettabile).

Nell'epoca della sovrabbondanza di informazioni, per lo più superficiali, confuse e inesatte, la biblioteca dovrebbe invece, a mio parere, qualificarsi come sede di informazioni fornite con professionalità, competenza e correttezza. Il catalogo e gli strumenti correlati (come gli archivi di autorità) sono il principale prodotto informativo che la biblioteca offre all'utente, anche distante, ed è con questi strumenti che la biblioteca si qualifica. Ma non solo: la biblioteca deve ritrovare anche la sua tradizione di sede di produzione culturale.

Si ravviva periodicamente, a ragione, la polemica contro i famigerati appalti di catalogazione a un euro a libro. Bisogna dirlo con chiarezza: questi appalti sono inaccettabili, per almeno tre motivi:


1) la qualità dei risultati è in genere molto bassa, ed essi richiedono quindi un grosso lavoro di correzione che vanifica il risparmio apparente, costituendo intanto un danno anche per gli altri, quando si lavora in una base dati collettiva;

2) sono una pratica non etica, in quanto cifre così basse non consentono un trattamento corretto dei lavoratori e la tutela dei loro diritti;

3) sono controproducenti per la professione, e vanno a danno di tutti noi, perché implicitamente avallano l'idea, sbagliata ma purtroppo diffusa, che i lavori dei bibliotecari siano lavori semplicissimi e spicciativi, che possono essere svolti da chiunque senza una preparazione specifica e senza quella cura e quei controlli che sono impraticabili con ritmi da catena di montaggio.

Negli ultimi anni, dopo una lunga eclisse, stanno tornando alla ribalta i temi della catalogazione, considerata com'è necessario anche in una complessiva visione teorica. Lo studio sui Functional requirements for bibliographic records, anche se lontano dall'essere pienamente soddisfacente, ci ha richiamato al ripensamento complessivo delle funzioni del catalogo e dei principi di catalogazione, a quarant'anni dai principi di Parigi. Con l'Incontro di Francoforte, nell'estate 2003, l'IFLA ha avviato l'elaborazione di nuovi principi internazionali di catalogazione: un percorso importante, anche se condotto per diversi aspetti in maniera approssimativa - al contrario dell'impeccabile e rigorosa gestione della Conferenza di Parigi del 1961 - e senza un approfondimento teorico adeguato [3].

In Italia, ha iniziato i suoi lavori già dal 1997 la Commissione nominata dal Ministero per i beni culturali e ambientali per l'aggiornamento delle Regole italiane di catalogazione per autori. Dopo un'analisi dettagliata del testo delle RICA e delle esigenze attuali, la Commissione si è dedicata a un'indagine approfondita sul modello FRBR e la sua applicabilità per il ripensamento complessivo delle normative catalografiche e dell'organizzazione dei cataloghi [4]. Questo lavoro, che ha suscitato un notevole apprezzamento a livello internazionale per il suo carattere pionieristico e per l'individuazione delle questioni più problematiche, è stato alla base dell'ipotesi di lavoro per una nuova struttura del codice italiano, presentata nella Giornata di studio tenuta a Roma il 21 novembre 2002 [5].

Nell'ultimo anno è stato avviato il lavoro di elaborazione di una vera e propria bozza di un nuovo codice italiano, a partire dalle sezioni sulla forma delle intestazioni: la parte sull'Intestazione uniforme per le Persone è stata diffusa tramite la pagina web della Commissione, in forma parziale in giugno 2004 e in forma completa in dicembre [6]. È in preparazione, e sarà diffusa nella primavera del 2005, la parte corrispondente per gli Enti.

Le problematiche della forma delle intestazioni sembrano tra quelle più squisitamente tecniche, di dettaglio, eppure nel corso del lavoro è apparso sempre più chiaro che anche in decisioni minute si riverbera la concezione del catalogo e quindi la sua cultura. Spesso, anche nella manualistica, si ripete che molte problematiche catalografiche sono essenzialmente convenzionali: se questo è vero in alcuni casi o per certi aspetti, si tratta a mio parere, nel complesso, di un punto di vista fondamentalmente fuorviante. Il catalogo si inserisce in un circuito d'informazione bibliografica che comprende non solo altri strumenti propriamente bibliografici, ma in primo luogo le pubblicazioni stesse (che si autopresentano, si citano fra loro, ecc.), e quindi la cultura che tramite quelle si esprime. Il catalogo quindi non può né deve, se non in maniera estremamente circoscritta e puntuale, applicare dall'esterno proprie convenzioni alla realtà culturale e bibliografica, ma piuttosto ha il fine di rifletterla in maniera il più possibile corretta, completa, uniforme, attraverso le proprie norme e una loro intelligente applicazione. Alla base di una buona catalogazione c'è sempre una buona conoscenza della realtà culturale ed editoriale che il catalogo deve riflettere. Essendo uno strumento pratico, da realizzare con modalità operative il più possibile normalizzate, il catalogo ha ovviamente bisogno non solo di principi e criteri, ma anche di regole e convenzioni precise, ma queste devono tradurre in indicazioni operative uniformi, non tradire o stravolgere, i fenomeni culturali da rappresentare.

Le regole attuali di forma delle intestazioni per le persone rispettano, almeno in linea generale, questo principio: per esempio, tre nomi che si presentano formalmente come simili, LEONARDO DA VINCI, MASSIMO D'AZEGLIO e GABRIELE D'ANNUNZIO, vengono trattati in tre maniere diverse, perché diverso è il significato storicamente determinato delle parti del nome con cui si identificano questi tre notissimi personaggi.

Si sono però fatte strada, soprattutto negli ultimi anni e in vari paesi, tendenze a banalizzare queste problematiche e ad appiattire una fenomenologia storica e linguistica indubbiamente complessa, alla ricerca di soluzioni più "semplici" o "familiari" per una particolare comunità di utenti (o, piuttosto, di bibliotecari/catalogatori). Per esempio, un codice come le AACR2, ed altri che vi si ispirano, ha molto ampliato la casistica delle intestazioni date in forma tradotta o adattata, piuttosto che nella loro forma originale, per personaggi sia antichi e medievali che contemporanei. Si tratta di una strada che, oltre a contraddire i principi accettati a livello internazionale, si rivela a mio avviso incoerente e improduttiva, in quanto accumula eccezioni confuse, rincorrendo la casistica, senza incidere davvero sull'efficacia del catalogo per l'utente. È particolarmente contraddittorio, a mio parere, che questa tendenza alle forme adattate o tradotte si diffonda proprio quando l'accesso ai cataloghi delle biblioteche è diventato globale, da parte di utenti distanti, di diverse lingue e diverse paesi, e magari attraverso sistemi d'interrogazione multipla di numerosi cataloghi, che possono riflettere regole differenti.

Oggi più di ieri, dovrebbe essere chiaro che la gestione sistematica di una forma uniforme di valore internazionale, stabilita secondo criteri condivisi e nel quadro del Controllo bibliografico universale (perciò della responsabilità di ciascuna agenzia per i propri autori nazionali), insieme ad una forma tradotta o adattata alla lingua di un singolo paese (quando questa forma esista, cosa che accade comunque in una minoranza di casi), è l'unico strumento efficace per un accesso controllato sia a livello globale che a livello locale [7].

Contraddittorio, e per questo almeno per me sorprendente, è che le resistenze all'impiego delle forme originali dei nomi, o più in generale a un'applicazione conseguente del principio del rispetto dei fenomeni culturali e degli usi nazionali, diventino più prepotenti nello stesso momento in cui, anche sotto la spinta dei movimenti migratori e delle vicende politiche, il mondo bibliotecario si è fatto particolarmente attento alle problematiche multiculturali e interculturali. La conoscenza e il rispetto delle culture diverse non può non partire proprio dai nomi. Sappiamo, fra l'altro, quanto sia importante, per molti paesi e per molte etnie, il riconoscimento dei termini con cui essi stessi si identificano, rispetto all'impiego di quelli, spesso imposti o dispregiativi, a cui siamo stati abituati in Occidente (ma anche nell'ex blocco sovietico). Del resto, globalizzazione omologante e interculturalità hanno a volte somiglianze apparenti, pur da radici opposte.

Anche le decisioni minute, quindi, si inscrivono in un contesto più vasto, che va tenuto presente, e riflettono inevitabilmente opzioni di fondo.

La virgola, si sa, è l'esempio più consueto di minuzia, ma anche le virgole hanno un loro significato e un buon esempio lo fornisce proprio la bozza di norme sull'Intestazione uniforme - Persone, nella quale sono state soppresse, rispetto alle norme corrispondenti delle RICA, le virgole nei nomi cinesi e ungheresi [8]. La forma "Mao, Tse-tung", indicata dalle RICA, è proprio un esempio di cattiva convenzione catalografica: il nome è "Mao Tse-tung", senza virgola, o secondo la trascrizione standard di oggi "Mao Zedong". Il fatto che il primo elemento abbia la natura di un cognome non è buona ragione per marcarlo con una virgola, dato che la virgola denota una trasposizione dell'ordine delle parole nel linguaggio naturale. La trasposizione al principio dell'intestazione di un elemento che non è il primo nell'ordine linguistico naturale è una prassi che si applica, a seconda dell'epoca, del paese e del caso, a varie parti di un nome. Noi la associamo abitualmente alla preferenza per il cognome, perché i nostri nomi si presentano nella forma "Luigi Rossi" e si indicizzano nella forma "Rossi, Luigi". Ma nei nomi vietnamiti, per esempio, si fa abitualmente il contrario. In molti nomi indiani che non comprendono un vero e proprio cognome, come quello ben noto ai bibliotecari di Shiyali Ramamrita Ranganathan, ad essere trasposto dall'ultima alla prima posizione è il prenome. Caso analogo ai nomi cinesi è quello dei nomi ungheresi, che nell'uso linguistico del paese si presentano nella forma cognome-prenome (p. es. "Bartók Béla"), ordinata quindi in forma diretta (e senza virgola). Qui la virgola delle RICA (e delle AACR2) è un po' meno stridente, dato che nelle traduzioni di opere ungheresi nelle maggiori lingue occidentali i nomi degli autori vengono di solito riordinati secondo la successione per noi più consueta (p.es. "Ferenc Molnár" per le tante edizioni italiane de I ragazzi della via Pál).

Questi casi, o quello dei nomi islandesi nei quali non si traspone la seconda parte, anche se si tratta di un cognome [9], ci ricordano che - anche senza uscire dall'Europa e dall'età contemporanea - differenti sono i nomi che portiamo e differente il modo di trattarli nei diversi paesi e nelle diverse epoche. Il principio accettato a livello internazionale è quello del rispetto degli usi nazionali, che l'IFLA raccoglie periodicamente in Names of persons [10]. Una pubblicazione che però non è abbastanza conosciuta e utilizzata nelle nostre biblioteche. Nonostante questo principio, i singoli codici di catalogazione, comprese le AACR2, violano in vari casi, come quelli citati dei nomi cinesi e ungheresi, le preferenze nazionali, per un malinteso desiderio di semplificazione e di omogeneizzazione alla propria casistica. Ed è quindi motivo di soddisfazione notare che la bozza di nuove norme sull'Intestazione uniforme - Persone è l'unico testo, a nostra conoscenza, che rispetti con rigore le indicazioni di Names of persons.

Applicare in maniera corretta e coerente le norme relative ai nomi dei diversi paesi e delle diverse epoche, ovviamente, richiede maggiore competenza e cura che imporre una meccanica inversione del tipo cognome-prenome a nomi costituiti da parti diverse e da trattare in modo differente. Allo stesso modo, del resto, a ciascun malato bisogna prescrivere il farmaco adatto, invece di imbottire tutti con le stesse pasticche. Si tratta di ovvietà, ma a ribadirle si ha spesso l'impressione di remare controcorrente. Purtroppo, la cultura (o incultura) della superficialità e della faciloneria ci circonda e si avverte spesso, intorno a noi e perfino tra noi, il disinteresse o il disprezzo per ogni competenza, per ogni approfondimento, per ogni conoscenza seria, impegnativa, attenta delle cose.

Il titolo di questo intervento riecheggia, lo si sarà notato, il convegno di Châtillon del 1987, "La cultura della biblioteca", e l'intervento conclusivo di Luigi Crocetti, Lo stile della biblioteca [11].

Crocetti, citati alcuni episodi di "mancanza di stile", notava che "è facile dire che i fatti di questo genere non sono certo esclusivi delle biblioteche. I segni della trasandatezza, della faciloneria, dell'approssimazione, dall'analfabetismo pullulano nella nostra vita d'ogni giorno. Dolersene è giusto ma perché meravigliarsi se allignano anche tra libri e scaffali?".

"Perché la biblioteca è differente", rispondeva, ricordando la natura di lavoro "minuziosamente autoregolato" del bibliotecario: "grande parte dei compiti quotidiani del bibliotecario è identificabile ora con la costruzione e manutenzione di strumenti di controllo".

"Esattezza e precisione - concludeva Crocetti - dovrebbero essere lo stile della biblioteca, cioè [...] la sua cultura". All'esattezza e alla precisione dovremmo aggiungere, credo, l'interesse e il rispetto per le culture dell'umanità, per tutte le culture del pianeta, e per tutte le forme di comunicazione, di conoscenza e di espressione umane.

Il riconoscimento sociale della professionalità del bibliotecario deve passare attraverso una presa di coscienza di qual è la professionalità che vogliamo: una professionalità semplicemente tecnico-gestionale, utile ma generica e subalterna, di corto respiro, o una professionalità fondata su una solida competenza culturale e su un'autonomia di valori. Non si dà una professione intellettuale senza un impegno prioritario per la qualità dell'informazione, basato su una formazione approfondita e non superficiale e sull'affinamento delle capacità professionali sul piano teorico come su quello pratico.

Alberto Petrucciani, Dipartimento di storia moderna e contemporanea - Università degli Studi di Pisa, e-mail: petrucciani@aib.it


Note

[1] Ho notato con piacere che nel tempo trascorso tra la preparazione di questo intervento e la sua pubblicazione alcuni di questi errori sono stati corretti. Il lavoro di "pulizia" dei grandi cataloghi, e in particolare di SBN, è enorme e molto apprezzabile, ma credo che sia importante prevenire per quanto possibile, o almeno contenere, la proliferazione di duplicazioni ed errori, tramite un forte e deciso richiamo ai requisiti di professionalità e di qualità della catalogazione.

[2] Claudio Gnoli - Riccardo Ridi - Giulia Visintin, Di che parla questo catalogo?: un'indagine sugli accessi semantici negli OPAC italiani, "Biblioteche oggi", 22 (2004), n. 8, p. 23-29.

[3] Sul tema si può rimandare all'analisi di Carlo Bianchini - Pino Buizza - Mauro Guerrini, Verso nuovi principi di catalogazione: riflessioni sull'IME ICC di Francoforte, "Bollettino AIB", 44 (2004), n. 2, p. 133-152, e alle relazioni della Sessione "Principi di catalogazione internazionali: una piattaforma europea?: considerazioni sull'IME ICC di Francoforte e Buenos Aires" tenuta a Bibliocom il 28 ottobre 2004 e in corso di pubblicazione negli Atti.

[4] Cfr. RICA Standing Commission, The FRBR model application to Italian cataloguing practices: problems and use, "International cataloguing and bibliographic control", 31 (2002), n. 2, p. 26-30; Isa De Pinedo - Alberto Petrucciani, Un approccio all'applicazione del modello FRBR alle regole di catalogazione italiane: problemi e possibili soluzioni, "Bollettino AIB", 42 (2002), n. 3, p. 267-280; Id., FRBR and the revision of the Italian Author Cataloguing Rules (RICA), in: Semantic web and libraries: 26th Library Systems Seminar, Rome, 17-19 April 2002: proceedings, Roma: Biblioteca nazionale centrale di Roma, 2003, p. 45-56. Dal 2001 l'attività della Commissione può essere seguita tramite le sue pagine web, nel sito dell'ICCU: <http://www.iccu.sbn.it/ricacom.html>.

[5] Catalogazione e controllo di autorità: giornate di studio, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 21 e 22 novembre 2002, <http://www.iccu.sbn.it/ricaaf.html>. Cfr. in particolare le relazioni di Cristina Magliano, La Commissione RICA e la sua attività; Isa De Pinedo, Prospettive per l'applicazione di FRBR nella revisione delle RICA; Roberto Di Carlo, Per una nuova articolazione delle RICA; Alberto Petrucciani, Struttura delle norme di scelta dell'intestazione: le RICA e i nuovi modelli di analisi. Ma per l'impostazione generale del lavoro si vedano anche gli atti del primo seminario, La catalogazione verso il futuro: normative, accessi, costi: atti del seminario, Roma, 13 marzo 1998, Roma: ICCU, 1998 (stampa 1999), con le relazioni di Giovanna Mazzola Merola, Isa De Pinedo, Michael Gorman, Diego Maltese e Alberto Petrucciani.

[6] Intestazione uniforme - Persone (testo aggiornato al 21 dicembre 2004), <http://www.iccu.sbn.it/PDF/Intestazione_uniforme-Persone.pdf>.

[7] Per una riflessione meno cursoria rimando alle considerazioni che ho esposto in due interventi recenti: Nuovi standard (GARR e UNIMARC/A) e nuovi modelli concettuali per gli archivi di autorità, in: Catalogazione e controllo di autorità: giornate di studio, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 21 e 22 novembre 2002, <http://www.iccu.sbn.it/ricaaf.html>; L'altra metà della catalogazione: nuovi modelli e prospettive per il controllo degli autori e delle opere, in: Authority control: definizione ed esperienze internazionali: atti del convegno internazionale, Firenze, 10-12 febbraio 2003, a cura di Mauro Guerrini e Barbara B. Tillett, Firenze: Firenze University Press; Roma: AIB, 2003, p. 125-130.

[8] Intestazione uniforme - Persone, par. 2.2.1.3, e RICA, par. 55.2.

[9] Cfr. Intestazione uniforme - Persone, par. 2.2.1.5. Per esempio, l'intestazione per l'autrice delle linee guida IFLA sulle competenze dei bibliotecari scolastici, tradotte anche in italiano dall'AIB, è "Sigrún Klara Hannesdóttir", non "Hannesdóttir, Sigrún Klara" (come troviamo in BNI). Cfr. C. R. [Carlo Revelli], La figlia di Hanne, "Biblioteche oggi", 20 (2002), n. 1, p. 80.

[10] International Federation of Library Associations and Institutions, Names of persons: national usages for entry in catalogues, 4th rev. and enlarged ed., München: Saur, 1996.

[11] Luigi Crocetti, Lo stile della biblioteca, in: La cultura della biblioteca: gli strumenti, i luoghi, le tendenze: atti del convegno di "Biblioteche oggi"..., Châtillon, 22-24 maggio 1987, a cura di Massimo Belotti, Milano: Ed. Bibliografica, 1988, p. 223-228, poi in Luigi Crocetti, Il nuovo in biblioteca e altri scritti, raccolti dall'Associazione italiana biblioteche, Roma: AIB, 1994, p. 35-40.




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