«Bibliotime», anno VIII, numero 1 (marzo 2005)

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Alberto Salarelli

Il bibliotecario sopraffatto



Questo intervento trae spunto da alcune considerazioni esposte nel mio saggio, pubblicato qualche anno fa sul "Bollettino AIB", Affrontare l'information overload: una riflessione sulle patologie da eccesso di informazione [1].

Quali sono le cause che possono portare alla "sopraffazione biblioteconomica", all'arrendersi, al cedere le armi? Certamente un primo fattore di enorme importanza è rappresentato dall'eccessiva esposizione ai sistemi informativi. Cioè dal profluvio di documentazione che ci investe quotidianamente, volenti o nolenti, attraverso i mille canali di comunicazione che ci troviamo a fronteggiare.

Mi siano permesse un paio di citazioni. La prima è tratta dal racconto che segna la comparsa sulla scena letteraria del personaggio di Sherlock Holmes (Uno studio in rosso, 1887). L'investigatore, sollecitato da Watson, espone la sua idea di funzionamento del cervello umano:

Ascoltatemi. In origine il cervello dell'uomo me lo raffiguro come un granaio vuoto. Incombe a ciascuno il dovere di mobiliarlo come vuole. Si sbaglia se si pensa che questa stanzetta abbia mura elastiche che possano dilatarsi a capriccio. Credetemi, arriva sempre il momento in cui, per ogni nuova cognizione, se ne dimentica qualcuna acquisita in passato. Di conseguenza è importantissimo evitare che un assortimento di nozioni inutili possa soffocare quelle utili [2].

La seconda citazione è invece tratta dall'opera più celebre di Washington Irving, il primo scrittore americano (newyorchese, per la precisione) a raggiungere una celebrità internazionale, fuori dai confini americani. Nel Libro degli schizzi (The sketchbook, 1818-20), Irving scrive:

Il ruscello della letteratura è divenuto un torrente, s'è gonfiato sino a farsi fiume, s'è disteso fino a diventare un oceano. Qualche secolo fa un cinquecento o seicento manoscritti formavano una grande biblioteca; ma cosa direste voi di biblioteche quali esistono adesso, che contengono un tre o quattrocentomila volumi, danno da fare a legioni di scrittori che lavorano tutti quanti insieme, mentre la stampa va avanti con furia sempre crescente a raddoppiare e quadruplicare quei numeri? Il mondo sarà inevitabilmente seppellito sotto una valanga di libri eccellenti. Ben presto ci vorrà la vita di un uomo solo a impararne i titoli. Già molti uomini assai colti al giorno d'oggi non leggono più altro che recensioni, e non andrà molto che un erudito non sarà più altro che un catalogo ambulante [3].

Il problema dell'information overload, dunque, evidentemente, non si pone da oggi, ma data da tempo. Nel passo di Doyle è lampante il richiamo a un'ipotesi scientifica, quella della comparazione tra il cervello e un sistema di immagazzinamento di dati e informazioni, che avrebbe avuto fecondi sviluppi nel corso del XX secolo. Ciò che si evince in modo icastico è che i tempi della fisiologia umana non marciano di pari passo con quelli della trasformazione dei sistemi di gestione delle informazioni: questa discrasia è causa di ansia e disagio, una situazione nella quale anche i bibliotecari si trovano sempre più frequentemente coinvolti [4]. Irving sottolinea la difficoltà crescente, in un mondo sempre più iper-informativo, della capacità di mantenere il loro ruolo di paladini della conservazione e del controllo bibliografico. Un'impresa, quella dell'universalità del controllo, andata a farsi benedire fin dai tempi di Otlet e LaFontaine [5], ma non per questo meno nobile nei fini. La sconfitta dell'utopia del controllo universale non significa che la funzione eminente dell'istituto bibliotecario contemporaneo, quella della mediazione informativa, sia inutile o disperata, significa piuttosto che essa deve essere svolta con la piena consapevolezza della propria relatività e limitatezza perché le armi straordinariamente potenti dell'informatica e della telematica con le quali si combatte la battaglia, sono le medesime che alimentano quel profluvio editoriale, cartaceo ed elettronico, che ci sta sommergendo. Infatti, come scriveva già settant'anni fa Ortega y Gasset,

ci sono ormai troppi libri. Anche riducendo drasticamente il numero di argomenti a cui ogni uomo dedica la sua attenzione, la quantità di libri che egli ha bisogno di ingerire è così grande che oltrepassa i limiti del tempo di cui dispone e della sua capacità di assimilazione [6].

Ma non siamo certo qui per piangerci addosso: la nostra presenza a questo seminario per dibattere e confrontarci insieme, è anche un segno di ottimismo, perché crediamo che almeno alcuni dei nostri utenti – almeno alcuni; certamente mai tutti! Scriveva Serrai: "Sapendo che la biblioteca più efficiente è quella senza lettori…"[7] ma come suona oggi la frase in tempi di "virtual library"? - possa essere effettivamente soddisfatto dal servizio offertogli presso le strutture ove operiamo.

Certo è che le tecnologie digitali hanno ulteriormente ampliato il volume di informazioni che ci colpiscono. In più l'ICT ha reso il bombardamento molto sottile, rapido, veloce, impalpabile: in una parola : "subdolo". Questo rende già la nostra vita – di noi come esseri umani – perlomeno complicata, talora profondamente disagevole, quando si giunga ad imboccare il sentiero della patologia [8]. Certamente ancora più complessa è la realtà di chi, per l'appunto il bibliotecario, è chiamato a porsi come organizzatore di sistemi di filtraggio informativo, allo scopo di approntare selezioni di qualità: proprio come fa un enologo esperto che, alla quantità della produzione, deve preferire il gusto del prodotto che va a finire imbottigliato.

Dunque, come prima causa di sopraffazione, c'è l'eccesso di informazione: "la messe è tanta ma gli operai sono pochi".

Seconda causa di sopraffazione: i ruoli che oggigiorno un bibliotecario deve rivestire per essere considerato tale. Qualche etichetta? Bibliotecario catalogatore, system librarian, bibliotecario per ragazzi, bibliotecario conservatore di libri antichi, bibliotecario per collezioni speciali, esperto di reference, bibliotecario esperto in diritto d'autore, bibliotecario manager…

Esistono grandi strutture che si possono permettere di avere figure specifiche per ogni singolo ruolo e attività. Vi sono invece strutture molto piccole dove, come Fregoli o come Brachetti, il bibliotecario di turno si cambia d'abito – metaforicamente – per svolgere molte mansioni, fra loro anche molto differenti. Vi sono infine grandi strutture che pretendono che ogni bibliotecario, anche di qualifica inferiore, sia praticamente onnisciente, come dimostrano le prove di selezione redatte per alcuni recenti concorsi ove, sebbene i posti in bando fossero di fascia C, veniva richiesto di rispondere a quesiti che definire "iperspecialistici" è, senza tema di dubbio, un eufemismo.

Ora, gli interrogativi da porre sul tavolo sono semplici: quali sono le "core competencies" dell'attività bibliotecaria? Quelle che, una volta definite, consentano di distinguere chi è bibliotecario da chi non lo è?

Certamente nell'immaginario popolare la figura del bibliotecario tende a polarizzarsi verso gli estremi del campo dove giocano la loro partita le professioni culturali. Dando per scontato che, perlomeno, il bibliotecario ha diritto a entrare in gioco [9], c'è da rilevare quanto comuni siano - tanto nel sentire popolare come in letteratura - due immagini fra loro contrapposte. La prima è quella del bibliotecario onnisciente:

One image of librarians is that they are know-it-alls who can answer any question. This image -sometimes consciously or unconsciously promulgated by librarians, themselves – may also be held by knowledge seekers who are new to the world of information or intimidated by its pursuit. To them, librarians can seem like magicians who occupy a rarified space in which answers are always at their disposal. From this perspective, librarians control access to information and have the power to provide assistance, but will only do so if they happen to be interested in the question and in a good mood [10].

La seconda è quella del bibliotecario ignorante:

In this view, library work requires little effort or intelligence and librarians must be prodded, pushed, or provided with a breadcrumb trail in order to track down even the most routine request. Since many common questions answered at reference desks are not very challenging – for instance, "Where is the bathroom?" or "How much does a photocopy cost?" – some see librarians as little more tha worker bees or drones who occupy the gray world of the unimaginative and uninspired. Particulary, today, when so many have so much information at their fingertips, librarians can appear increasingly unimportant and powerless [11].

Palleggiato tra questi due estremi, il profilo professionale del bibliotecario fatica a trovare una propria fisionomia in grado di qualificarlo, una volta per tutte, agli occhi del mondo. Certamente delle prove concorsuali troppo generiche o, al contrario, troppo acribiose sul versante tecnologico, non mi pare rappresentino una risposta a chi dice che le competenze bibliotecarie non sono riconosciute, che in biblioteca ci stanno cani e porci, che un concorso per bibliotecario lo può fare chiunque e che dunque le "vere" competenze, si acquistano solo con forze esterne, in outsourcing. Non mi pare questa, ripeto, una risposta adeguata.

Se si deve difendere la professione (tutti i candidati al prossimo CEN dell'Associazione Italiana Biblioteche hanno questo punto nel loro programma elettorale), si devono stabilire quali sono i requisiti minimi per l'esercizio della medesima non semplicemente ai fini dell'iscrizione all'albo, ma in rapporto alle diverse categorie lavorative. Vorrei sapere da chi dirige l'AIB quali pensa che siano le competenze di un bibliotecario di fascia C, e – una volta appurato questo – vorrei che potessero essere comunicate, oltre che al sottoscritto, anche a chi si siede a firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro. Al momento una risposta significativa emerge dalla deliberazione della Giunta Regionale Lombarda, l'unica in Italia a essersi espressa in merito ai profili professionali degli operatori delle biblioteche [12]: dalla Lombardia giunge voce che in C i bibliotecari non ci devono stare, visto che per esercitare la professione è necessario perlomeno il possesso di un diploma di laurea.

Altra questione, di cui si discute oggi, sempre in relazione ai ruoli. Dalla brochure di presentazione del convegno leggo:

L'attuale contesto di sviluppo culturale e tecnologico invita i bibliotecari a ripensare la propria professione che sembra volersi collocare tra il ruolo di mediatore e quello di agente educativo per l'accesso all'informazione.

Vorrei dire qualcosa anche su questo. Personalmente, come ho già avuto modo di osservare recentemente in un'altra sede, non credo che nel DNA della biblioteca, nel suo "core business", vi sia il ruolo di agenzia educativa. La realtà dei fatti è che la società, oggi, chiede ai bibliotecari di farsi carico di un ruolo che altri soggetti non sono in grado, o non sono stati in grado di portare avanti. Come scrive Alan Bundy: "Information literacy is an issue for librarians, but it is not a "library" issue" [13].

La questione del rapporto tra ruolo del bibliotecario e attività educativa era, del resto, già stata posta da Melvyl Dewey: "The time was when a library was very like a museum and the librarian a mouser in musty books. The time is when the library is a school and the librarian in the highest sense a teacher" [14]. Come ho avuto modo di rimarcare nel volume La biblioteca e l' immaginario [15], una posizione come questa è – a mio avviso – estremamente pericolosa, perché rischia di ingenerare caos, non di chiarire le rispettive competenze (differentissime competenze) tra scuola, università e biblioteca.

Quando si leggono affermazioni come quella seguente, siamo davvero sul limitare di un pandemonio: "The academic library should be restructured with the intent of establishing it over and beyond its custodial duties and functions and should attain the status of a teaching department"[16]. Non confondiamo i ruoli di "biblioteche" e "dipartimenti": gli scopi sono differenti, i ritmi sono differenti, ma soprattutto – dal momento che le strutture sono rese vive dalle persone - e selezioni tra ricercatori e bibliotecari DEVONO essere differenti, perché le diverse strutture attengono a specifiche finalità.

Non carichiamo le spalle del bibliotecario di quello che Barbara P. Pinzelik ha chiamato un "unreasonable burden"[17], e facciamo tesoro di quanto – saggiamente – si afferma negli ALA Standards for College Libraries:

In addition, librarians should collaborate frequently with classroom faculty; they should participate in curriculum planning, as well as educational outcomes assessment. Information literacy skills and bibliographic instruction should be integrated into appropriate courses with special attention given to intellectual property, copyright, and plagiarism [18].

Una riflessione, per concludere. Mi ha colpito, nel recente volume di Giovanni Solimine, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio, la seguente affermazione: parlando della biblioteca contemporanea con proiezioni verso il futuro, e dunque trattando della pluralità di situazioni che in una biblioteca si avverano, l'Autore scrive: "In un certo senso, possiamo dire che neppure le attività che si svolgono in biblioteca sono essenziali a definirne la fisionomia" [19].

Mi ha colpito, anche perché sono del tutto d'accordo! In una situazione biblioteconomica come quella attuale sembra che nessuno riesca ad avere una prospettiva strategica sul ruolo delle biblioteche, mentre proliferano gli atteggiamenti tattici. Detto in altri termini: i dibattiti più accesi, le idee più fervide, le iniziative più significative proliferano nelle singole comunità, dei singoli ruoli dei bibliotecari, nei loro ambiti privilegiati e settoriali, mentre latita un pensiero "globale" su cosa stia accadendo nelle biblioteche come istituzioni. Il volume di Solimine è, per questo, una gradita lettura.

Come hanno dimostrato le recenti vicende in casa AIB, è difficile, anzi difficilissimo stare ai vertici di un'organizzazione così complessa tentando di fare quello che un Comitato Esecutivo Nazionale dovrebbe fare: guardare verso orizzonti che si collocano, perlomeno, a medio termine. Ripeto: il ruolo è dei più improbi perché improba è la situazione: complessa e a rischio di "sopraffazione".

Allora vorrei rivolgere il mio più caro augurio a coloro i quali guideranno l'AIB di domani perché, nonostante le difficoltà, non smettano di porsi alcune delle domande che – nella giornata di oggi - sono emerse. È un loro imperativo categorico pensare alla funzione della biblioteca, perché chi lavora oggi in biblioteca (tranne forse i pochi one man band, bibliotecari in piccolissime strutture, che sanno di firewall e di plug-in, di determine e di bilanci, ma anche dei gusti di pensionati e metallari che frequentano ogni giorno i loro locali per leggere i giornali o per noleggiare CD) è generalmente impegnato a curare allo spasimo la propria attività, che però – pur svolta ad alto livello professionale – non pone sul campo il "chi siamo?" e il "dove stiamo andando?"

Alberto Salarelli, Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo. Sez. Beni Librari - Università di Parma, e-mail: alberto.salarelli@unipr.it


Note

[1] Alberto Salarelli, Affrontare l'information overload: una riflessione sulle patologie da eccesso di informazione. "Bollettino AIB", 42 (2002) 1, p. 7-20. Il saggio è stato ripubblicato con il titolo Le patologie da eccesso di informazione: l'information overload in Id., Bit-à-brac. Informazione e biblioteche nell'era digitale. Reggio Emilia, Diabasis, 2004, p. 43-63.

[2] Arthur Conan Doyle, Uno studio in rosso. Milano, Curcio, 1978, p. 24-25.

[3] Washington Irving, Il libro degli schizzi. Torino, UTET, 1947, p. 130. Citato in Matthew Battles, Biblioteche: una storia inquieta. Conservare e distruggere il sapere da Alessandria a Internet. Roma, Carocci, 2004, p. 94.

[4] Cfr. Anthony J. Onwuegbuzie, Qun G. Jiao, Sharon L. Bostick, Library anxiety: theory, research, and applications. Lanham, Md., Scarecrow Press, 2004.

[5] Luigi Balsamo, Alle radici di un progetto bibliografico europeo. "Bollettino AIB", 34 (1994) 1, p. 53.

[6] José Ortega y Gasset, La missione del bibliotecario. Milano, Sugarco, 1984, p. 43. Come noto il testo del filosofo spagnolo fu letto come discorso inaugurale al secondo congresso IFLA, il 20 maggio 1935, presso l'Università di Madrid.

[7] Alfredo Serrai, Guida alla biblioteconomia. Firenze, Sansoni, 1983, p. 10.

[8] La "sindrome da affaticamento informativo" è una realtà clinicamente documentata a partire dagli anni Cinquanta del secolo passato, cfr. A. Salarelli, art. cit. p. 46-47. Come ipotesi ultima e definitiva si veda Neil Postman, Informing ourselves to death, speech given at a meeting of the German Informatics Society (Gesellschaft fuer Informatik) on October 11, 1990 in Stuttgart, <http://www.frostbytes.com/~jimf/informing.html>.

[9] Ci confortano in questo giudizio gli onorevoli Bucci e Allegrini della Regione Lazio che hanno presentato nel luglio 2004 una proposta di legge intitolata "disposizioni in materia di attività professionali nel settore dei beni culturali" ove (art. 1) è istituita una "Consulta regionale delle professioni culturali". All'art. 4 si "esplicano le attività" caratteristiche della professione bibliotecaria. Il testo della proposta di legge è consultabile all'URL <http://www.provincia.vt.it/cultura/PDF/Legge_beni_culturali.pdf>.

[10] Beth Posner, Know-It-All Librarians, in The image and the role of the librarian, edited by Wendi Arant and Candace R. Benefiel, Binghamton, NY, The Haworth Information Press, 2002, p. 111-129: 111. The image and the role of the librarian è stato pubblicato anche come numero monografico di "The reference librarian", 78 (2002). Sulla figura del bibliotecario onnisciente un riferimento letterario, suggerito dalla stessa autrice del saggio, è quello contenuto in Umberto Eco, Il nome della rosa. Milano, Bompiani, 1986, p. 470: ""Quale magnifico bibliotecario saresti stato, Guglielmo" disse Jorge, con un tono insieme di ammirazione e rammarico. "Così sai proprio tutto"".

[11] Ivi, p. 112. Una celeberrima citazione relativa a questo secondo stereotipo bibliotecario è la seguente: "Il segreto di tutti i bravi bibliotecari è di non leggere mai, dei libri a loro affidati, se non il titolo e l'indice. - Chi s'impaccia del resto, è perduto come bibliotecario!" Robert Musil, L'uomo senza qualità. Torino, Einaudi, 1978, p. 448. Giova ricordare che, qualche riga più sotto, il bibliotecario si dichiara pure libero docente in biblioteconomia…

[12] Regione Lombardia, D.g.r. 26 marzo 2004, n. 7/16909, Definizione dei profili professionali e di competenza degli operatori delle biblioteche di ente locale e di interesse locale, in attuazione dell'art. 4, comma 131 lettera j della l.r. 5 gennaio 2000, n. 1.

[13] Alan Bundy, Information literacy: the 21st century educational smartcard. "Australian Academic & Research Libraries", 30 (December 1999) 4, p. 233-250.

[14] La frase di Melvil Dewey è riportata in John Ellison, Library, librarian, and librarianship quotes. <http://informatics.buffalo.edu/faculty/ellison/quotes/libquotesdn.html>.

[15] Alberto Salarelli, Citazioni in libertà vigilata: otto passi d'autore in materia di biblioteche, in La biblioteca e l'immaginario. Percorsi e contesti di biblioteconomia letteraria, a cura di Rossana Morriello e Michele Santoro. Milano, Bibliografica, 2004, p. 117-130: 126-127.

[16] Edward K. Owusu-Ansah, The academic library in the enterprise of colleges and universities: Toward a new paradigm. "The Journal of Academic Librarianship", 27 (July 2001) 4, p. 282-294: 282.

[17] Barbara P. Pinzelik, An unreasonable burden. "The Journal of Academic Librarianship", 16 (May 1990), p. 83-84.

[18] Standards for College Libraries 2000 Edition. Prepared by the ACRL College Libraries Section Standards Committee, The final version approved January, 2000, <http://www.ala.org/ala/acrl/acrlstandards/standardscollegelibraries.htm>.

[19] Giovanni Solimine, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio. Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 225.




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