«Bibliotime», anno X, numero 1 (marzo 2007)

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Maria Iolanda Palazzolo

La censura in biblioteca. Appunti (e spunti) storici



Non è questa certamente la sede per ripercorrere le tappe della storia della censura in Italia e dei suoi condizionamenti in ambito bibliotecario. Vorrei però fare alcune riflessioni, sollecitate da eventi contemporanei e dagli studi più recenti su questo argomento.

Difatti la censura - intesa come controllo delle autorità sul sistema di comunicazione - è un tema che riguarda tutti i cittadini, ma che tocca con particolare urgenza coloro che lavorano a contatto con utenti in un servizio pubblico di rilievo culturale, come è la biblioteca ma anche, per ciò che mi riguarda direttamente, come sono la scuola e l'università. In effetti, anche se esiste da più di un secolo nel nostro ordinamento un principio costituzionale che tutela la libertà di espressione e di accesso all'informazione, come noi riscontriamo ogni giorno questa non può essere considerata una garanzia ormai acquisita, ma una conquista i cui contenuti vanno reinventati quotidianamente e socialmente ricontrattati, anche perché i mutamenti geopolitici da una parte e le innovazioni nei processi informativi dall'altra pongono sempre nuove domande e costringono a sempre nuovi e precari equilibri.

Alcune vicende, a questo riguardo, sono di disarmante attualità. Si pensi, per esemplificare a proposito dei mutamenti geopolitici e della loro ricaduta sui contenuti culturali, alle proposte governative che, in territori a noi vicini, vogliono imporre per legge una verità storica; su due fronti diversi ma in qualche modo speculari, avviene nell'Iran degli ayatollah a proposito della negazione della Shoah e nella civilissima Francia per il genocidio del popolo armeno da parte dei Turchi. E' del resto di pochi giorni fa, e quindi drammaticamente attuale, la vicenda che ha portato alla ribalta della cronaca e all'attenzione - spesso interessata e fuorviante - dei media il libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue [1]. Non entro nel merito dei contenuti e delle valutazioni scientifiche, che devono restare di stretta pertinenza degli storici e degli addetti ai lavori. Purtroppo però si deve denunciare che il volume è stato sottratto proprio a questo giudizio e ritirato dal commercio, sulla base di un pronunciamento di condanna da parte di un Parlamento di uno Stato, lo stato d'Israele, retto da norme "democratiche" [2].

Selezionare i libri

In realtà emerge nettamente che l'idea di una lettura potenzialmente libera da imposizioni autoritarie, condizionamenti o steccati censori è un'acquisizione recente - e quindi ancora precaria - anche nella coscienza dei singoli. Per più secoli dopo la nascita della stampa e la diffusione dell'alfabetizzazione, era diffusa anche tra i lettori più smaliziati la convinzione che fosse necessaria un'autorità superiore, che avesse il compito di discernere tra letture buone e cattive, ed indicare in maniera inequivocabile i libri pericolosi. Almeno sino alla fine del Settecento, ma per l'Italia bisogna aspettare un'epoca più tarda, non si deve tanto pensare ad un conflitto aperto tra istituzioni repressive – la Chiesa Cattolica, lo Stato – ed esigenze poste dalla libertà dei singoli; la necessità di una censura era largamente introiettata come un mezzo per discernere nella grande massa di materiale a stampa che veniva diffuso quotidianamente sul mercato librario. Come ha notato Adriano Prosperi nel 1997, "nella mente e nei concetti di questi uomini […] è ben fisso il principio che gli intelletti debbono essere sorvegliati, educati, diretti, magari intervenendo con operazioni dolorose". [3]

Questa consapevolezza ha una ricaduta immediata sull'idea stessa di biblioteca, come raccolta di materiale librario aperta agli utenti. Basti ricordare, a questo riguardo, la grande inchiesta sulle biblioteche dei conventi e degli ordini religiosi ordinata dal Pontefice dopo la promulgazione dell'Indice pio-clementino del 1596, che si configura come una vera e propria epurazione per espungere dalle ricche raccolte librarie conventuali tutte le opere considerate pericolose o semplicemente sospette. Ancora più significativa la pubblicazione, nel 1593, dell'opera pedagogico/erudita del gesuita Antonio Possevino, quella Biblioteca selecta che sin nel titolo esplicita apertamente l'esigenza di una selezione delle letture, e che si pone come modello di tutte le istituzioni bibliotecarie che vogliano rendere un valido servizio agli studiosi dell'intero orbe cattolico [4].

Dietro questi interventi, vi è la fiducia in un'autorità superiore – in questo caso la Chiesa Cattolica o la gerarchia ecclesiastica – che protegge i suoi fedeli, indicando cosa questi possano o non possano leggere, cosa è "giovevole" per la salute delle loro anime e cosa li porterebbe al contrario nelle secche del dubbio o peggio nelle fascinazioni dell'eterodossia. Com'è noto, l'Indice dei libri proibiti, costantemente aggiornato per mettere l'inserimento di opere sempre nuove, rimane in vigore sino al 1966 quando viene abolito da papa Paolo VI.

Ma non bisogna ritenere che questi comportamenti in chiave repressiva siano patrimonio soltanto della Chiesa Cattolica; basti pensare ai duri giudizi degli estensori dell'illuminata Encyclopedie, che ribadiscono la necessità di una revisione censoria per tutti quei libri che non meritano l'attenzione dei lettori a causa dei loro contenuti manifestamente falsi o scorretti.

Selezionare i lettori

Se comunque a fatica si afferma nel mondo occidentale prima nella coscienza degli individui, poi negli ordinamenti costituzionali il diritto inalienabile al libero accesso alle fonti dell'informazione, non si elimina l'idea che questo diritto non possa valere per tutti e che anzi vada modulato a seconda della maturità dei lettori. Con questa motivazione (che ha naturalmente un carattere arbitrario, data la difficoltà a discernere sul raggiungimento di una tale capacità) si è operata una sorta di gerarchia dei lettori: solo ad alcuni - di volta in volta gli studiosi, gli ecclesiastici, gli appartenenti ai ceti privilegiati... - è permesso leggere quello che ad altri, la massa degli uomini e soprattutto delle donne, è vietato. Segno esplicito di questo privilegio nei secoli passati è stata la licenza di lettura dei libri proibiti, concessa, si badi bene, non solo dalle gerarchie cattoliche ma anche da molte istituzioni statali italiane prima dell'unificazione [5].

Questa licenza, che diventa un vero e proprio simbolo di status, emblema di appartenenza ed adesione a un ordine sociale e politico, diventa però in Italia, soprattutto negli anni successivi all'unificazione, un problema che investe la figura professionale del bibliotecario, generando un conflitto tra norme della Chiesa e norme del nuovo stato. A norma degli insegnamenti ecclesiastici, infatti, il bibliotecario cattolico, anche se inserito in una istituzione laica e dipendente dallo stato italiano, di fronte alla richiesta dei lettori di consultare libri proibiti dalla chiesa, dovrebbe comportarsi come un questurino, rifiutando la lettura a coloro che non sono muniti di apposita licenza. Ma questa scelta, che entra in contrasto con la figura del bibliotecario come dipendente pubblico, altera anche la sua intrinseca funzione di mediatore, caricandolo di responsabilità che non gli competono e costringendolo ad un inedito ruolo di polizia.

Questi esempi – tratti da un lavoro di ricerca ancora in corso presso l'Archivio del Sant'Uffizio, ora Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede [6] – potrebbero far sorridere come manifestazioni di un mondo ormai scomparso. Ma in realtà le vicende giudiziarie che hanno coinvolto, in Italia come all'estero, bibliotecari rei di avere concesso in lettura ad adolescenti un libro in odore di pornografia mi pare che non si discostino molto da questo modello e ripropongono di nuovo con forza sia il problema della selezione dei lettori - giovanissimi, immigrati, etc. - sia soprattutto il tema della responsabilità del bibliotecario in merito a questa selezione.

Forme della censura in biblioteca, nella realtà di oggi

Io vorrei comunque affrontare un'altra questione. Se infatti credo che bibliotecari ed addetti ai lavori debbano ancora oggi mantenersi vigili per evitare forme sotterranee di censura, ideologica politica o religiosa, credo però che il vero pericolo sia in questo periodo storico rappresentato da quella che chiamerei censura come effetto secondario.

Infatti, soprattutto in presenza di una progressiva riduzione dei fondi disponibili per gli acquisti, appare sempre più forte la tentazione di una politica degli acquisti che tenda a selezionare i libri non tanto in base a preferenze ideologiche, ma ad opportunità finanziarie – editori che fanno condizioni migliori o maggiore propaganda – o alla notorietà sui media di autori ed editori. Si assiste così a quello che già Revelli vari anni fa ha denunciato in "Biblioteche oggi" come prepotenza delle opinioni dominanti [7], mentre fuori dalla biblioteca restano opere di autori sperimentali o poco noti, che hanno il solo torto di non avere un grande editore che ne reclamizzi la vendita.

Analogo effetto censorio, e lo sa bene chi lavora come studioso nelle biblioteche italiane, può avere la gestione del magazzino. Anche in questo caso, per gravi e oggettivi problemi di spazio che affliggono tutte le istituzioni bibliotecarie, si collocano in luoghi malsani i libri che risultano poco richiesti, lasciando alle intemperie il compito di eliminarli del tutto, come è avvenuto con l'alluvione di Firenze, o si inviano direttamente al macero come ha saggiamente denunciato Polastron a proposito della "nuova" biblioteca di San Francisco [8]. La conseguenza è l'eliminazione di un immenso patrimonio culturale, che viene cancellato dalla memoria collettiva solo perché non fa parte dell'opinione dominante.

Maria Iolanda Palazzolo, Università degli Studi di Pisa, e-mail: ...


Note

[1] Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali, Bologna, Il Mulino, 2007.

[2] La stessa commissione della Knesset ha auspicato la formazione di un sistema di controllo sulle pubblicazioni che eviti in prospettiva la diffusione di notizie erronee.

[3] Citazione riportata da Mario Infelise, I libri proibiti, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 28. Per la storia della censura sino alla fine del XVIII secolo rimando alla ricca bibliografia contenuta nel volume.

[4] Sulla tematica del controllo della lettura in ambito controriformistico si veda l'ampia bibliografia in Ludovica Braida, Stampa e cultura in Europa tra XV e XVI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2000.

[5] Maria Iolanda Palazzolo, I libri il trono l'altare. La censura nell'Italia della Restaurazione, Milano, Angeli, 2004.

[6] All'interno dell'Archivio sono conservate, in numero considerevole, le richieste di chiarimenti provenienti dalle sedi vescovili periferiche sui comportamenti che devono adottare i bibliotecari cattolici di fronte alle richieste di libri e giornali proibiti o semplicemente sospetti. Le proposte di soluzione sono varie ma nessuna viene adottata in via definitiva dalle gerarchie ecclesiastiche.

[7] Carlo Revelli, Lo spettro della censura, "Biblioteche oggi", 11 (1993), 5, p. 43.

[8] Lucien X. Polastron, Libri al rogo, Milano, Edizioni Silvestre Bonnard, 2006, p. 297.




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