«Bibliotime», anno XI, numero 1 (marzo 2008)


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Mediazione e catalogazione




Si è discusso a lungo se la catalogazione, da sempre considerata il fulcro dell'attività bibliotecaria (oltre che il perno della disciplina biblioteconomica), mantenga ancora questo ruolo nell'epoca del digitale e delle reti: negli ultimi decenni infatti si è assistito ad una crescita esponenziale delle fonti informative, fonti che l'utente può raggiungere non solo rapidamente ed efficacemente, ma in piena e totale autosufficienza, e ciò gli consente di prescindere dalle biblioteche e dai loro strumenti, volti a mettere in contatto le sue necessità conoscitive con i documenti disponibili.

Difatti, se è vero che generazioni di bibliotecari sono cresciuti professionalmente riflettendo sulle parole di Alfredo Serrai ("la biblioteconomia si impernia nelle attività di mediazione catalografica, nell'accertamento, nella organizzazione e nella distribuzione delle notizie che si riferiscono ai libri e al loro contenuto" [1]), è altresì vero che questa sorta di articolo di fede è stato robustamente messo in discussione dall'avvento delle nuove tecnologie e della documentazione in formato elettronico. La convinzione palesata da molti secondo cui i documenti digitali non necessitano di un processo di catalogazione (per lo meno inteso in senso tradizionale), ha infatti incrinato ciò che fino a ieri poteva essere considerato come il fondamento epistemologico della disciplina biblioteconomica, e quindi il pilastro intorno al quale si è retto per secoli l'edificio bibliotecario.

Tale crisi peraltro è andata di pari passo con il veemente attacco al cuore stesso della biblioteca, avvenuto nel momento in cui molti osservatori hanno decretato che essa avesse ormai smarrito la sua principale funzione, volta appunto a mettere in relazione l'utente con i documenti: il fantasma della disintermediazione ha infatti aleggiato a lungo sul mondo delle biblioteche, in quanto la quantità di risorse online (molte delle quali di straordinario rilievo conoscitivo) venivano utilizzate in forme del tutto autonome dall'utente, senza ricorrere ad alcun tipo di assistenza o coinvolgimento da parte delle biblioteche.

In realtà, negli anni più recenti ci si è resi conto non soltanto che le biblioteche continuavano a esistere (e in alcuni casi a proliferare), rispondendo in forme nuove ai compiti che avevano sempre assolto nel corso della loro storia, ma anche che la l'attività cardine della catalogazione manteneva integri sia il suo statuto concettuale sia la sua funzione, tesi a garantire l'incontro ottimale fra i documenti e l'utenza.

Ciò è apparso tanto più vero quanto più si è compreso che proprio una catalogazione "di qualità" [2] poteva assicurare un recupero sempre più vantaggioso per l'utente, difendendolo quindi dalla polverizzazione e dal sovraccarico informativo; lo ha notato con chiarezza Alberto Salarelli quando ha scritto che, nella realtà odierna, la catalogazione appare davvero come

"un'attività di cruciale importanza, in quanto viene a rappresentare l'unica ancora di salvezza nei confronti dello spreco di informazioni prodotta – e di frequente dispersa – nel momento stesso in cui viene messa a disposizione della collettività attraverso le reti telematiche. Proprio perché "il bibliotecario identifica, registra e fornisce le fonti rilevanti meglio di qualsiasi altro concorrente nel campo delle informazioni" [3], è necessario distinguere la sua attività da quella di chiunque altro operi nel campo della gestione dell'informazione [4].

A discutere ed approfondire queste tematiche ha contribuito il convegno dal titolo Il catalogo oggi: le norme catalografiche fra consolidamento e fluidità, tenutosi a Modena il 13 dicembre 2007, e di cui il presente numero di Bibliotime riporta integralmente gli atti. In questo incontro infatti non solo è stata ribadita la "cruciale importanza" della catalogazione in un contesto socioculturale sempre più articolato e complesso, ma è stato messo in luce il quadro nazionale ed internazionale entro cui si sviluppa la nuova normativa catalografica, oltre ad esplorare accuratamente gli sbocchi – vale a dire gli opac – a cui questa elaborazione continua a dar vita. Una rassegna dunque che assume un interesse primario per la professione, e che ci auguriamo sia in grado di stimolare ed incentivare il dibattito.

Michele Santoro


Note

[1] Alfredo Serrai, Guida alla biblioteconomia, Firenze, Sansoni, 1983, p. 9.

[2] Mauro Guerrini, Il catalogo di qualità. Presentazione di Luigi Crocetti, Firenze, Pagnini e Martinelli - Regione Toscana, 2002.

[3] Steffen Rückl, Il bibliotecario nella società dell'informazione, in Bibliotecario nel 2000: come cambia la professione nell'era digitale, atti del convegno, Milano, 12-13 marzo 1998, a cura di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 1999, p. 152.

[4] Alberto Salarelli, Biblioteca e identità. Per una filosofia della biblioteconomia, Milano, Editrice Bibliografica, 2008, p. 154.



«Bibliotime», anno XI, numero 1 (marzo 2008)


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