«Bibliotime», anno XI, numero 1 (marzo 2008)

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Alberto Petrucciani

Le nuove RICA nel contesto dell'evoluzione delle normative catalografiche *



Si concluderà nei primi mesi del 2008 il lavoro di elaborazione delle nuove Regole italiane di catalogazione, con la diffusione di un testo complessivo in occasione della quarta Giornata di studio organizzata dalla Commissione (Roma, 27 febbraio 2008). Nei mesi successivi la Commissione esaminerà le osservazioni ricevute per dare al testo la veste finale. Il codice andrà comunque considerato come uno strumento professionale complesso, che per sua natura richiede un lavoro continuo di perfezionamento e i necessari aggiornamenti.

Sono già state avviate, coinvolgendo vari istituti, le attività di analisi dell'impatto del nuovo codice sui cataloghi e sui sistemi attualmente in uso. Un primo incontro si è tenuto il 23 novembre scorso all'Istituto centrale per il catalogo unico, per discutere i risultati iniziali di una rilevazione per la quale era stata precedentemente diffusa una griglia di base, e al tema sarà dedicata una tavola rotonda nella Giornata di studio del 27 febbraio.

Le nuove Regole italiane si inseriscono in maniera chiara ed esplicita nella fase attuale di evoluzione delle normative catalografiche, una fase che si può far datare dalla diffusione del rapporto finale dello studio FRBR (1998). L'importanza di questo studio, come ho notato in altre occasioni, non sta tanto nell'originalità dei suoi contenuti, tutto sommato relativa, quanto nel ruolo di catalizzatore che ha avuto, un po' in tutto il mondo, dopo un periodo di eclisse dell'interesse per il campo della catalogazione e dell'indicizzazione. Lo studio FRBR ha il merito decisivo di aver riportato in primo piano la riflessione sui temi della catalogazione (ossia dell'organizzazione bibliografica) costituendo nel contempo una base comune ed autorevole per la comunità bibliotecaria a livello internazionale e nei singoli paesi, capace di suscitare interesse anche in altri campi più o meno affini o connessi.

Non avevano raggiunto questo risultato, e non potevano raggiungerlo, i contributi teorici analoghi, e per alcuni aspetti maggiormente persuasivi, che erano stati elaborati in precedenza, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, sia a livello internazionale che in Italia, da singoli studiosi. La forza del modello FRBR, a mio avviso, sta soprattutto nell'approccio complessivo, che suscita grande interesse e perfino entusiasmo per la proposta di uno schema generale logico e chiaro, mentre quando se ne approfondisce l'analisi emergono in effetti non poche questioni non risolte o impostazioni poco convincenti (ad esempio nelle definizioni delle entità del primo gruppo).

Riesaminare e riprogettare fin dalla loro architettura portante cataloghi e normative di catalogazione, nell'ottica posta all'ordine del giorno dallo studio FRBR, tuttavia, non è affatto ovvio né semplice, come hanno notato molti contributi, tra i quali quelli elaborati proprio all'interno della Commissione e presentati su "International cataloguing", in un Seminario ELAG e nel "Bollettino AIB" [1].

Anzi, i limiti di uno schematismo un po' aprioristico e meccanico che si rilevano nello studio (basta citare la definizione di opera, insostenibile almeno per due aspetti: l'immaterialità e la considerazione "generica" piuttosto che derivativa delle diverse espressioni), si vedono spesso enfatizzati negli approcci applicativi. Lo si avverte ad esempio nei tentativi di "mappatura", rigidi e un po' futili, dei diversi elementi o attributi rispetto alle singole funzioni delle registrazioni bibliografiche (o piuttosto del catalogo o banca dati bibliografica), o a uno dei quattro livelli delle entità del primo gruppo. I quattro livelli (o tre, se consideriamo quello dell'espressione come una semplice sottoarticolazione funzionale di quello dell'opera) non costituiscono infatti sfere astrattamente autonome l'una dall'altra, secondo un'ontologia piuttosto ingenua, ma livelli di analisi concretamente connessi da procedure produttive e circuiti comunicativi, cosicché è del tutto normale, e anzi ovvio, che gli elementi più significativi (ad esempio il titolo) si ripresentino, anche immutati ossia identici, a ciascun livello.

Per inciso, i limiti degli approcci astratti al modello FRBR sono legati a mio avviso a due carenze principali, in primo luogo quella di una visione storicizzata dell'evoluzione degli strumenti di comunicazione, di diffusione del sapere e dell'espressione umana, e in secondo luogo quella di un'analisi concreta, nel corpo nei fenomeni (ossia della casistica), che sola è in grado di far crescere una riflessione che voglia essere scientifica su fenomeni che sono storici, sociali e culturali (e quindi non astratti o puramente logici).

Nell'architettura delle nuove Regole italiane il tratto di novità più evidente mi sembra quello dato dalla ripartizione strutturale in tre parti (più un capitolo introduttivo generale), con un'impostazione originale rispetto non solo alle RICA, ma anche agli altri codici più noti e alle varie bozze d'insieme del nuovo codice angloamericano ormai da molti anni in gestazione. Questa tripartizione rende esplicita l'analisi logica del processo catalografico in tre fasi, relative rispettivamente alla descrizione bibliografica e dell'esemplare (Parte I), all'identificazione delle opere e delle espressioni (Parte II) e alla registrazione delle relazioni di responsabilità (Parte III).

La tripartizione naturalmente richiama da vicino - pur senza una corrispondenza vera e propria - le tre funzioni della teoria classica della catalogazione per autori e titoli, quella che parte da Cutter, viene poi sancita nei Principi di Parigi sulla base dei lavori di Lubetzky e di Eva Verona, pur se in maniera compromissoria e un po' pasticciata, e precisata poco più tardi nell'opera di Domanovszky.

Nella teoria classica, la prima funzione considera la pubblicazione appunto in quanto pubblicazione, e quindi grosso modo come essa viene considerata in fase di descrizione: del resto la separazione tra descrizione ed elementi di accesso - sempre da considerare relativa - è ormai superata dalle cose, dato che gli elementi della descrizione sono (e dovrebbero essere sempre meglio negli OPAC) anche possibili elementi di ricerca e di selezione. La distinzione, insomma, non riguarda più l'accesso, bensì il controllo, e cioè il metodo di trattamento delle informazioni.

Poi la seconda funzione, come si sa, considera la pubblicazione per le opere che veicola (ossia come edizione di una o più opere), la terza la considera per il suo apporto all'opus di un autore. E a questo proposito è sempre utile ricordare che la terza funzione fa riferimento alle opere di un autore, non genericamente alle sue pubblicazioni, e addita l'importanza di un oggetto, appunto l'opus complessivo di un autore, che nel modello FRBR non sembra aver posto (o vi è comunque assente). È invece difficile disconoscerne l'importanza, non solo per motivi teorici, ma ancor più evidentemente per motivi pratici, cioè per la grande frequenza di pubblicazioni che raccolgono per intero o selettivamente la produzione di un autore (Opere complete, Opere scelte e raccolte di ogni altro genere), chiamando il catalogo al compito di identificare, registrare e magari strutturare questo materiale.

In questa struttura tripartita al centro dell'architettura del catalogo viene quindi posta l'opera, prima (e più) dell'autore. Questa centralità dell'opera si può considerare per certi versi un fatto dovuto, se non scontato, in quanto è il livello dell'opera a corrispondere per lo più all'oggetto di ricerca effettivo degli utenti, ma nello stesso tempo bisogna anche riconoscere che si tratta del livello fino ad oggi più sacrificato nella catalogazione per autori (o descrittiva). Già da questi stessi termini, in effetti, traspare l'enfasi posta o sull'entità autore, o all'altro estremo sulla funzione descrittiva, e tradizionalmente le norme di catalogazione hanno sempre rivolto la maggior parte della loro attenzione alle questioni di scelta dell'intestazione (rappresentativa dell'autore), come avviene ad esempio nelle RICA, oppure alle regole di descrizione bibliografica, come nelle AACR2, dedicando poche e frettolose pagine all'identificazione delle opere.

Porre invece l'opera al centro dell'architettura del catalogo richiederà un cambiamento di mentalità e, di conseguenza, lo sviluppo di strumenti oggi spesso carenti o inadeguati. Basta pensare ai formati bibliografici, che offrono un modello di tracciato per la registrazione descrittiva e un modello complementare di registrazione d'autorità pensato essenzialmente per gli autori (persone ed enti) e per vari aspetti inadeguato alla gestione delle informazioni relative alle opere.

Costituisce da questo punto di vista un'eccezione, di cui bisogna riconoscere la grande lungimiranza, il modello bibliografico di SBN, che invece di basarsi sulla dicotomia registrazione bibliografica/registrazione di autorità, distingue in primo luogo le notizie caratterizzate da titoli da quelle relative agli autori e include nel primo ambito, pur se ovviamente con trattamenti differenziati, sia le notizie relative alle pubblicazioni sia quelle relative alle opere. È facile vedere che i due tipi fondamentali di notizie secondo l'impostazione di SBN corrispondono alla distinzione basilare in FRBR tra entità del primo e del secondo gruppo. Sul piano pratico l'architettura di SBN permette quindi, anche se al momento con varie limitazioni, di registrare al livello dell'opera un "pacchetto" di informazioni connesse (sicuramente le responsabilità per l'opera stessa, ma in prospettiva anche altri elementi, ad esempio di carattere semantico).

Nelle nuove Regole italiane si affronta sistematicamente, per la prima volta in un codice e su tutto il ventaglio dei tipi di opere veicolate dai materiali presenti oggi nelle biblioteche, il problema dell'identificazione uniforme di tutte le opere, e quindi anche quello della delimitazione delle espressioni di una stessa opera rispetto alle opere nuove derivate da un'opera preesistente. Se i codici della generazione precedente prevedevano, un po' astrattamente, che i titoli uniformi potessero essere impiegati per identificare qualsiasi tipo di opera, essi sono stati di fatto utilizzati soltanto per categorie circoscritte e quantitativamente molto ristrette, mentre il problema deve essere affrontato in un'ottica nuova, se l'obiettivo diventa in concreto quello di identificare qualche milione di opere: queste sono infatti le dimensioni del problema se prendiamo come termine di confronto l'Indice SBN, che per la Commissione ha rappresentato il principale (anche se non unico) punto di riferimento per sondaggi, campionamenti e verifiche sul campo.

Il lavoro di ricerca e di riflessione che la Commissione ha svolto su quest'ordine di problemi ha fatto emergere con chiarezza la funzione fondamentale dell'intestazione principale, insieme al titolo (salvo naturalmente per le opere anonime), per l'identificazione delle opere. Per la maggior parte delle categorie e dei generi delle opere l'autore va considerato elemento identificante indispensabile insieme al titolo, e non strumento di disambiguazione per le (deprecabili) omonimie nei titoli. Si tratta di una questione importante sotto il profilo sia teorico sia pratico, che personalmente avevo già messo in evidenza più di vent'anni fa e che è stata ribadita, ad esempio, in vari contributi, anche di recente, da Martha Yee, a cui si deve l'indagine più approfondita che sia stata dedicata al concetto di opera nelle normative catalografiche [2].

Nell'elaborazione di queste parti delle nuove regole, comunque, si è verificato in concreto che questa concezione dell'identificazione delle opere è non solo storicamente e culturalmente più corretta di quella che prende in considerazione il solo titolo, ma è anche l'unica in concreto praticabile, o almeno l'unica praticabile in maniera ragionevolmente efficace (per il pubblico) ed efficiente (per la gestione). Non esiste infatti una maniera alternativa per permettere all'utente di riconoscere facilmente e rapidamente l'opera che cerca nei casi frequentissimi (e del tutto fisiologici) di uso dello stesso titolo da parte di autori diversi, e sarebbe evidentemente un assurdo spreco di risorse e appesantimento di gestione registrare l'informazione sull'autore due volte (con rischi anche di duplicazioni e conflitti), una come intestazione e una come elemento di disambiguazione del titolo.

Ossatura del catalogo nelle sue funzioni di organizzazione delle informazioni sono quindi il titolo che contraddistingue l'opera (in generale oppure nella produzione di quell'autore), ossia il titolo uniforme, e l'intestazione uniforme che identifica l'autore (persona o ente), e più in generale tutti coloro che sono coinvolti in relazioni di responsabilità, anche indirette, con le entità che il catalogo descrive. Titolo uniforme e intestazione per l'autore (o l'autore principale, quando c'è) sono però, beninteso, elementi da registrare e gestire separatamente, legandoli fra loro, mentre non andrebbero mai combinati in maniera rigida (quindi ridondante oltre che inefficiente) in quella sorta di "mostro catalografico" che sono le intestazioni autore-titolo della tradizione angloamericana. Queste forme ibride, oltre che scorrette in linea di principio, sono anche inefficaci per la ricerca e inefficienti per la gestione, come si può vedere ad esempio nell'archivio di autorità della Library of Congress disponibile in rete e nella ricerca per liste dello stesso catalogo.

Dall'impostazione assunta nelle nuove regole conseguono, come si è detto, cambiamenti di mentalità e di strumenti (in particolare nei programmi di catalogazione e di ricerca), su cui si dovrà lavorare nei prossimi mesi e anni. Occorrerà abbandonare, ad esempio, la concezione un po' ingenua del titolo uniforme "al singolare", come unico titolo controllato legato alla pubblicazione, essendo del tutto normale l'assegnazione di più titoli uniformi (che, se opportuno, potranno essere distinti in un titolo uniforme "principale" e altri accessori o analitici). Inoltre le relazioni di responsabilità relative all'opera, e quindi invarianti nelle diverse edizioni, dovrebbero essere trasferite dal piano del record bibliografico a quello del record dell'opera stessa (ossia del suo titolo uniforme).

Più che a un'intestazione principale per il record bibliografico, dunque, si dovrà pensare a uno o più titoli uniformi per le opere contenute nella pubblicazione, e quindi ad intestazioni principali (quando applicabili), e possibilmente anche a intestazioni coordinate o secondarie, per ciascuna opera. Se e quando occorre, combinando i due livelli, rimane possibile derivare anche una intestazione principale di tipo tradizionale, al livello del record bibliografico.

Per quanto riguarda le norme di descrizione, le nuove Regole italiane sono state fin dal principio basate sulla decisione di offrire norme integrate applicabili a qualsiasi tipo di materiale (più precisamente, a qualsiasi materiale che sia effettivamente d'interesse per le biblioteche), ritenendo non convincente e inopportuna la formulazione di norme distinte per materiali diversi, come nelle ISBD e nelle AACR2. La redazione di norme distinte infatti, come si poteva prevedere ed era stato previsto, ha portato a ridondanze e contraddizioni che non sono oggi sempre facili da riconciliare, come mostra il lavoro svolto per la Consolidated edition dell'ISBD, e lasceranno pesanti strascichi nei cataloghi. In cataloghi integrati e biblioteche sempre più multimediali, del resto, dovrebbe essere ovvio che anche le regole è bene che siano integrate.

Le norme di descrizione nella bozza delle nuove Regole italiane seguono nel complesso lo standard ISBD, con un impegno di fedeltà e normalizzazione che ha sempre caratterizzato la ricezione dell'ISBD in Italia (sicuramente più che in altri paesi). Se ne distaccano, tuttavia, in alcuni punti, circoscritti e specifici, che non abbiamo ritenuto persuasivi oppure che risultavano in contrasto con la tradizione catalografica (e quella editoriale) italiana.

La Commissione, del resto, segue con attenzione l'evoluzione degli standard ISBD, e ritiene opportuno un approfondimento di riflessione sulla loro funzione, e più in generale sulla natura della descrizione bibliografica, in una fase in cui essa viene messa in discussione sia con un'applicazione che rischia di essere meccanica dei risultati dello studio FRBR, come si è notato al principio, sia con la riduzione di questa problematica all'ambito della semplice presentazione di informazioni concepite come isolate. Basta pensare, come esempio, all'impostazione della bozza del nuovo codice angloamericano, in cui lo standard ISBD viene collocato in un'appendice dedicata alla presentazione delle informazioni descrittive, insieme ad indicazioni per la visualizzazione delle informazioni negli OPAC. Le vere e proprie norme di descrizione, invece, non dovrebbero essere più basate sulla struttura dell'ISBD (non si dice sulla sua punteggiatura), ma concepite come istruzioni per la registrazione di elementi isolati, non inseriti in una sequenza strutturata e normalizzata in quanto tale (e non, appunto, al livello dei soli singoli elementi).

Non abbiamo oggi gli elementi per valutare l'impatto di un passo di questo genere, ma esso suscita preoccupazioni di vario genere: quali saranno le conseguenze per lo standard ISBD? e per la normalizzazione internazionale, nella quale l'ISBD ha costituito uno strumento a cui si devono risultati straordinari? Se si confrontano le pratiche descrittive (ad esempio in bibliografie nazionale e cataloghi di grandi biblioteche) prima e dopo l'ISBD, si vede facilmente quanto sia stato forte l'effetto di normalizzazione dovuto allo standard, e quando siano abbastanza marginali oggi, rispetto alle differenze del passato, le diversità di presentazione negli OPAC, che si riducono prevalentemente a qualche etichetta in più o in meno in una successione e disposizione dei dati fondamentalmente omogenea.

Sotto il profilo teorico (ma non privo di conseguenze pratiche), inoltre, bisognerebbe domandarsi se il complesso delle aree ed elementi della descrizione bibliografica sia opportunamente riducibile a elementi isolati, secondo la prassi delle gestioni informatiche più elementari, o vada piuttosto considerato come un "discorso", che anche dal punto di vista informatico va trattato con un approccio differente (quello della codifica di documenti piuttosto che di elementi, per dirla in breve). Che non si tratti di questioni puramente teoriche lo mostra, ad esempio, il semplice caso del luogo di pubblicazione riferito a un secondo editore, che non è la stessa cosa di un secondo luogo riferito al primo editore.

Le nuove norme, indicando il complesso di strumenti che occorrono per una gestione adeguata ed efficiente dell'informazione catalografica, fanno riferimento quasi sempre a dispositivi che già i cataloghi hanno (o hanno avuto), dal titolo uniforme alle relazioni di rinvio o richiamo tra qualsiasi tipo di entità, dalla registrazione dei legami di responsabilità a livello del titolo uniforme (come previsto in SBN fin dal progetto iniziale) fino ai titoli collettivi uniformi e alle descrizioni a livello di raccolta (contemplati in Unimarc e utilizzati da varie istituzioni a livello internazionale).

Non si tratta, insomma, di strumenti del tutto "inediti", e la cosa del resto non dovrebbe sorprendere, dato che la catalogazione conta su un'elaborazione concettuale che viene da lontano: quello che occorre è piuttosto sviluppare, integrare e perfezionare questo insieme di strumenti perché i cataloghi di domani siano in grado di fornire informazioni organizzate, precise, affidabili, strutturate. Venendo incontro, in questo modo, a un'esigenza sempre più sentita per la crescita delle loro dimensioni e della loro "densità". Infatti, se oggi è molto vasta la disponibilità di informazioni di ogni sorta offerte da tanti soggetti diversi, l'esigenza di disporre di uno strumento d'informazione corretto, coerente e controllato sui documenti del sapere e dell'espressione umana non è soddisfatta da altri e la biblioteca è e rimane l'unica istituzione che ha la responsabilità di svolgere questo compito.

, Commissione RICA - AIB, e-mail: petrucciani@aib.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario " Il catalogo oggi: le norme catalografiche fra consolidamento e fluidità", Modena, 13 dicembre 2007.

[1] Cfr. Commissione RICA, The FRBR model application to Italian cataloguing practices. "International cataloguing and bibliographic control", 31 (2002), 2, p. 26-30; Isa De Pinedo - Alberto Petrucciani, FRBR and the revision of the Italian author cataloguing rules (RICA), in Semantic web and libraries: 26th Library Systems Seminar, Rome, 17-19 April 2002: proceedings, Roma, Biblioteca nazionale centrale di Roma, 2003, p. 45-56; Isa De Pinedo - Alberto Petrucciani, Un approccio all'applicazione del modello FRBR alle regole di catalogazione italiane, "Bollettino AIB", 42 (2002), 3, p. 267-280.

[2] Cfr. Alberto Petrucciani, Le Regole italiane di catalogazione per autori: un punto di partenza, "Bollettino d'informazioni AIB", 27 (1987), 2, p. 155-161; Martha M. Yee, What is a work?, "Cataloging & Classification Quarterly", 19 (1994), 1, p. 9-28; 19 (1994), 2, p. 5-22; 20 (1995), 1, p. 25-46; 20 (1995) 2, p. 3-24.




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