«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)

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Emanuela Casson e Maurizio di Girolamo

Library 2.0: Bluff o rivoluzione?



San Francisco, ottobre 2004. Nasce il termine "Web 2.0" come titolo per una conferenza organizzata dall'editore O'Reilly.

Blog LibraryCrunch [1], settembre 2005. Michael Casey conia il termine "Library 2.0".

Venezia, 13 ottobre 2008. Seminario "Library 2.0: Bluff o rivoluzione?". [2]

Web 2.0 e Library 2.0 sono due fenomeni molto attuali e controversi. Il seminario, organizzato dall'Università Cà Foscari e dall'Associazione Italiana Biblioteche, è stata un'occasione per riflettere su tecnologie e strumenti che ne stanno alle spalle, ma anche su filosofia e aspetti sociali che li connotano.

Dopo i saluti da parte di Barbara Poli, presidente della sezione Veneto dell'AIB, il pomeriggio si è aperto con un'ampia panoramica di Andrea Marchitelli [3] su Web 2.0 e Library 2.0.

Il relatore ha sottolineato come non esista una definizione univoca ed esaustiva di cosa sia il Web 2.0; di sicuro, esso è il prodotto di una serie di fenomeni a livello tecnologico: dall'AJAX (Asynchronous JavaScript and XML), cioè un uso combinato di diverse tecnologie per rendere le pagine web più interattive, all'API (Application Programming Interface), un modo per interagire con un'applicazione che, se è liberamente disponibile, diventa OpenAPI; dai feed RSS (Rich Site Summary o Really Simple Syndication), che permettono agli utenti di ottenere aggiornamenti automatici non appena un sito cambia, al mash-up di dati, ossia la (ri)combinazione di testi, immagini e video già esistenti per generare nuovi contenuti.

Ma nel Web 2.0 la tecnologia non è tutto. Esso infatti è costruito anche sull'architettura della partecipazione, che consente agli utenti di contribuire alla creazione di conoscenza a distanza, usando la rete in modo "sociale". Sono disponibili molti spazi virtuali che favoriscono questo tipo di aggregazioni, i cosiddetti social network: fra questi, FaceBook [4], Del.icio.us [5], MySpace [6] e Frappr [7]. Questi luoghi della rete permettono all'utente di fare nuovi incontri, di condividere le sue conoscenze e di trovare nuove idee utili. L'utente così non è più solo, si trova al centro di reti e di conversazioni, non è più passivo fruitore ma anche creatore di contenuti.

Il social cataloguing, in Anobii [8] o LibraryThing [9], il foto/video sharing su Flickr [10] o su YouTube [11], la scrittura collaborativa in un blog o un wiki e il social tagging tramite l'assegnazione di parole chiave (folksonomies), sono solo alcune delle attività 2.0.

Vi sono però anche alcune criticità presenti nel Web 2.0, come la scarsità di strumenti di retrieval efficienti, vista l'elevata quantità di informazioni prodotte in ambito 2., i problemi di privacy e il mash-up che non garantisce la chiara attribuzione della proprietà intellettuale delle varie fonti utilizzate, solo per citarne alcune.

A seguito del dibattito internazionale suscitato dal Web 2.0, nasce anche la Library 2.0, che ne adotta gli strumenti e le applicazioni. È la biblioteca che usa tools 2.0 per uscire da se stessa e percorrere spazi virtuali popolati anche dai suoi utenti, incontrandone di nuovi; in questo modo la biblioteca è ovunque, sempre disponibile al momento del bisogno. Anzi, secondo autori quali Casey e Savastinuk [12], gli utenti potrebbero essere serviti ancora meglio se le biblioteche tenessero conto del fenomeno della long tail (coda lunga) [13], così i gusti delle minoranze verrebbero soddisfatti e i singoli avrebbero maggior possibilità di scelta.

La Library 2.0 quindi è anche la biblioteca che pone al centro l'utente, ne sottolinea la centralità, ne sollecita la partecipazione e cerca di personalizzare al massimo i servizi grazie al contributo degli utenti stessi. Difatti, scrivono Casey e Savastinuk,

ogni servizio, fisico o virtuale, che raggiunge con successo gli utenti, è frequentemente oggetto di valutazione e fa uso dell'input degli utenti, è un servizio di Biblioteca 2.0. Anche i vecchi e tradizionali servizi di biblioteca possono essere "2.0" se rispettano tali criteri. Alla stessa maniera, essere 'nuovo' non significa necessariamente essere "2.0" [14].

Se dunque le nuove tecnologie da applicare alla biblioteca, così come le finalità del 2.0, non sembrano modificare in modo significativo il ruolo della biblioteca, sono presenti invece due concetti innovativi, che dovrebbero incoraggiare le biblioteche verso nuovi ambiti: da una parte la coda lunga e dall'altra le folksonomie, oggetto di approfondimento delle relazioni successive.

Su La coda lunga e la gestione delle risorse 2.0 si è infatti soffermata Rossana Morriello [15].

La coda lunga, la cui formulazione si riferisce all'aspetto del grafico delle vendite online suddivise per oggetto, è un fenomeno emergente nel mercato online, poiché oggi gli utenti, grazie a Internet, dispongono di un'offerta molto ampia di risorse. Chris Anderson, teorizzatore della coda lunga, mentre cercava dati sulle vendite online, analizzò come caso di studio Ecast [16] e si rese conto che quasi tutti i brani degli album presenti erano comprati da almeno un acquirente a trimestre; a seguire, la teoria venne verificata su diversi venditori online, trovandone conferma. Ciò che vi soggiace è la regola del 98% [17]: Internet infatti offre prodotti mainstream ma anche prodotti di nicchia, anzi Anderson ritiene che la somma di questi mercati di nicchia costituisca un mercato potenzialmente grande quanto, se non di più, di quello delle hit.

La coda lunga comporta anche implicazioni culturali poiché, una volta eliminati i costi di stoccaggio e di distribuzione, le nicchie - che erano sempre esistite ma che prima non c'era la possibilità di soddisfare - trovano ora il loro spazio nel mercato. L'utente della rete sfrutta così la personalizzazione sia nei tempi (ad esempio per poter vedere un film o ascoltare musica quando vuole), sia nei prodotti, creando il proprio mash-up, la propria classifica, anche di nicchia.

 

Massima scelta significa anche massima frammentazione, nella quale è però necessario costruire un ordine. Sicuramente l'utente ha adesso più bisogno di filtri: può essere questo un "nuovo" ruolo per le biblioteche? I consigli su Amazon ("gli utenti che hanno acquistato questo, poi hanno acquistato anche quest'altro") o i tag assegnati dagli utenti per valutare una risorsa, possono essere un modello da seguire anche per le biblioteche, che di fatto si sono sempre occupate di coda lunga e infatti nelle loro collezioni, sia cartacee che digitali, includono anche materiali di nicchia.

Conversazioni e semantiche: quali strumenti per quali biblioteche [18] è il titolo della relazione in cui Michele Santoro, dopo aver messo a fuoco il tema della "biblioteca come conversazione" analizzando il documento dal titolo Le reti partecipative, la biblioteca come conversazione [19], si è soffermato sulle "semantiche" nell'era del Web 2.0.

Il documento preso in esame si basa sulla conversation theory dello psicologo e informatico inglese Gordon Pask, e quindi sull'assunto secondo cui "la conoscenza si crea tramite la conversazione". Poiché le biblioteche hanno la grande opportunità di fornire un'infrastruttura conversativa e partecipativa, allora esse dovrebbero essere profondamente coinvolte nella creazione di conoscenza.

Oltre alla conversazione però, afferma il relatore, è noto che esistono anche altre tipologie di apprendimento, ad esempio, forme di conoscenza "implicita" o "tacita", come la circolazione della conoscenze nelle quattro fasi indicate dai teorici giapponesi Nonaka e Takeuchi [20].

Nell'opinione di Santoro, la circolazione delle conoscenze può quindi avvenire dentro e fuori le biblioteche a prescindere dalla conversazione mentre, secondo quanto espresso nel documento, le conversazioni costituiscono la base per la creazione di reti partecipative, che si sviluppano anche grazie agli strumenti propri del Web 2.0.

Sembrerebbe inoltre che reti partecipative di questo tipo siano alla base della possibilità per le "biblioteche per creare dialoghi più ricchi" [21], dimenticando che la cooperazione tra biblioteche invece è una realtà consolidata nel tempo, attraverso la creazione di consorzi, reti e sistemi bibliotecari. E' dunque possibile affermare che le reti partecipative esistono già, ben prima dell'utilizzo dei tools 2.0.

Dalle "conversazioni" Santoro è poi passato alle "semantiche" per il 2.0. Un aspetto sociale e partecipativo della Library 2.0, sono le folksonomies, una sorta di indicizzazione personalizzata o distribuita, che può avere notevole rilevanza anche dal punto di vista bibliotecario.

Il termine nasce dalla fusione delle parole folks e taxonomy, ed è stato creato nel 2004 dall'architetto dell'informazione Thomas Van der Wal per indicare l'attività di classificazione "dal basso", fatta dagli utilizzatori delle risorse che attribuiscono ad esse una o più parole chiave, cioè il tag, al fine di condividerle.

Le folksonomies, almeno per come vengono usate sul web, sono prive di relazioni gerarchiche tra concetti, hanno una scarsa precisione semantica con conseguente rumore al momento della ricerca e del recupero, e non prevedono alcun ordine di citazione. Inoltre, la possibile coincidenza dell'autore con il catalogatore può portare a mancanza di oggettività nell'assegnazione dei tag.

Esse hanno però hanno anche dei vantaggi, se soltanto si è consapevoli della loro natura. Le folksonomies infatti non devono fare i conti con pesanti sovrastrutture enumerative o gerarchiche, e quindi consentono la partecipazione di un vasto numero di persone alle pratiche di tagging, utilizzando espressioni il più possibile vicine al linguaggio naturale, così da poter essere utilizzate da tutti e non solo dagli "addetti ai lavori".

A conclusione degli interventi programmati, Riccardo Ridi ha una parte da cercato di mettere a fuoco alcune tematiche affrontate nel corso del seminario con il suo intervento E se avesse già previsto tutto Ranganathan 80 anni fa?, dall'altra ha stimolato e poi condotto il dibattito che ne è seguito.

Secondo Ridi, nel momento in cui è stato creato il termine Library 2.0 le biblioteche esistevano già da secoli e secoli e avevano attraversato eventi decisamente significativi per la loro esistenza, come l'invenzione della stampa e l'avvento di Internet. Niente di tutto questo però ne ha modificato la denominazione. Questa riflessione porta Ridi a proporre, con la consueta ironia che non è mai provocazione fine a se stessa, una nuova scansione temporale del termine Library X.0:

Library 1.0 = Manoscritti

Library 2.0 = Gutenberg

Library 3.0 = PC + Internet

Library 4.0 = ne riparliamo fra 4 o 5 secoli...

che avrebbe come conseguenza:

Web 1.0 = Library 3.X

Web 2.0 = Library 3.X.Y

L'avvento delle tecnologie 2.0 non sembra dunque portare una mutazione così profonda alle biblioteche tanto da giustificare l'aggiunta del suffisso "2.0", che deriva dalla modalità con cui, nel mondo dell'informatica, si usa designare la nuova release di un programma (1.0, 1.5, 2.0 etc.).

Già Ranganathan infatti sottolineava come la biblioteca non dovesse aspettare l'utente, ma dovesse piuttosto andargli incontro, e raccomandava appunto "l'integrazione, l'interazione e la personalizzazione come mezzi per porre l'utente al centro dei servizi bibliotecari" [22]. Se ora esistono tools 2.0 che facilitano i servizi della biblioteca, è bene che siano accolti ed usati, ma non sono di sicuro questi a cambiare i principi di fondo della biblioteca.

Il dibattito, a conclusione degli interventi, è stato particolarmente vivace, anche grazie al fatto che la platea era composta da un pubblico eterogeneo - bibliotecari, studenti del corso di Ridi e docenti – i quali hanno reagito agli spunti offerti dai relatori a seconda dei loro differenti punti di vista. Visto l'argomento poi non ci si deve stupire se il dibattito ha avuto un seguito per posta elettronica, con approfondimenti di tematiche già discusse durante il seminario, ma anche con nuovi "stimoli 2.0" [23].

La discussione si è sviluppata proprio da uno di questi "stimoli 2.0": quanto l'organizzazione diventi al suo interno 2.0, nel momento in cui comincia a usare strumenti 2.0 per i suoi utenti, cioè se il 2.0 possa in qualche modo influenzare il cambiamento organizzativo, rompendo gli schemi di funzioni/uffici e ruoli su cui si basa la maggior parte delle organizzazioni, biblioteche comprese.

Naturalmente strumenti di questo genere possono ridefinire le modalità di partecipazione di un contesto lavorativo, ma le potenzialità di partecipazione e condivisione restano appunto solo potenzialità se il management dell'ente non ha davvero voglia di cambiare l'organizzazione del lavoro. Non sono gli strumenti 2.0 di per sé dunque a incidere positivamente sulle organizzazioni, quanto gli obiettivi per cui essi sono impiegati.

Altro nodo da cui si sono dipanate le riflessioni è relazione tra coda lunga, mercato di nicchia e biblioteche. La discussione ha fatto emergere varie considerazioni interessanti.

Qualcuno ad esempio ha rilevato che, se servire la lunga coda vuol dire acquistare libri che leggeranno pochissimi utenti, allora è meglio per la biblioteca rispettare la sua mission, o quanto meno tenere conto del suo bilancio prima di acquisire risorse di scarsa diffusione. Un altro intervento invece ha messo in luce che la biblioteca da tempo applica inconsapevolmente il concetto di coda lunga nelle sue collezioni, ed è per natura interessata alle nicchie, non tanto per offrire materiale bibliografico che viene consultato raramente ma perché, se la regola del 98% è vera, la somma di questi singoli utenti di nicchia rappresenta una grossa porzione della utenza, che altrimenti forse non si riuscirebbe a soddisfare.

Infine si è dibattuto se tra indicizzazione semantica tradizionale e folksonomies vi sia contrapposizione o integrazione. Diversi interventi hanno sottolineato come la strada verso cui andare possa essere l'integrazione tra i due sistemi, soprattutto alla luce del fatto che l'indicizzazione semantica professionale non può e non vuole arrivare a coprire tutto. Le folksonomies non nascono infatti per contrapporsi agli schemi tradizionali di classificazione bibliografica o alle stringhe coestese di soggetto, ma per offrire agli utenti modi veloci e abituali per accedere alle informazioni.

PennTags [24], ad esempio, è un progetto di social tagging promosso dei bibliotecari della University of Pennsylvania, che ha anche l'ambizione di fornire un standard di qualità delle parole chiave assegnate dagli utenti, infatti ad un tag viene riconosciuta autorevolezza solo dopo che è stato usato almeno 97 volte.

A questo punto, ai posteri l'ardua sentenza se la Library 2.0 sia bluff o rivoluzione. Quel che è certo è che, anche se apparentemente le due visioni, tradizionale e "2.0", della biblioteca sembrano fronteggiarsi con argomenti a volte opposti, da entrambe le parti la sensibilità al cambiamento e alla ricerca di realizzare servizi sempre più adeguati alle esigenze degli utenti appare indubbia. Perchè il cambiamento è nelle persone prima che nella tecnologia, ed i partecipanti all'incontro di Venezia rappresentano in modo esemplare tale affermazione.

Emanuela Casson, Biblioteca del Seminario matematico - Università degli Studi di Padova, e-mail: emanuela.casson@unipd.it

Maurizio di Girolamo, Biblioteca d'Ateneo - Università di Milano Bicocca, e-mail: maurizio.digirolamo@.unimib.it


Note

Tutti i siti web sono stati consultati il 10/11/2008.

[1] <https://librarycrunch.com>.

[2] Le slide degli interventi sono disponibili a <http://lettere2.unive.it/ridi/sem081013.htm>.

[3] <http://lettere2.unive.it/ridi/sem081013marchitelli.ppt>.

[4] <www.facebook.com>.

[5] <http://delicious.com>.

[6] <www.myspace.com>.

[7] <http://www.frappr.com>.

[8] <www.anobii.com>.

[9] <www.librarything.com>.

[10] <www.flickr.com>.

[11] <www.youtube.com>.

[12] Michael E. Casey - Laura C. Savastinuk, Library 2.0: a guide to participatory library service, Medford, Information Today, 2007.

[13] Si parla per la prima volta di "Long Tail" in Chris Anderson, The Long Tail, Wired Magazine, 12-10-2006, <http://www.wired.com/wired/archive/12.10/tail_pr.html>.

[14] M. E. Casey, L. C. Savastinuk. Library 2.0: Service for the next-generation library. "Library Journal", 9/1/2006, <http://www.libraryjournal.com/article/CA6365200.html>, traduzione del passo a cura di Andrea Marchitelli.

[15] <http://lettere2.unive.it/ridi/sem081013morriello.ppt>.

[16] Sito specializzato nel commercio elettronico di brani musicali <www.ecastnetwork>.

[17] In contrapposizione con il principio paretiano dell'80/20, cioè il 20% dei prodotti genera l'80% dei ricavi, la regola del 98% enuncia che nel web oltre il 98% dei prodotti è venduto almeno una volta, con la conseguenza che a trarne vantaggio sono i mercati di nicchia.

[18] <http://lettere2.unive.it/ridi/sem081013santoro.pdf>.

[19] R. David Lankes - Joanne Silverstein - Scott Nicholson, Le reti partecipative, la biblioteca come conversazione, traduzione a cura del Gruppo di studio sulle biblioteche digitali dell'Associazione Italiana Biblioteche <https://www.aib.it/aib/cg/gbdigd07.htm320>.

[20] I. Nonaka – H. Takeuchi, The Knowledge Creating Company, Oxford, Oxford University Press, 1995; tr. it. The Knowledge Creating Company, Milano, Guerini e Associati, 1997.

[21] R. David Lankes - Joanne Silverstein - Scott Nicholson, Le reti partecipative, la biblioteca come conversazione, cit.

[22] Riccardo Ridi, La biblioteca come ipertesto, Milano, Editrice Bibliografica, 2008, p. 259.

[23]. Il carteggio, che ha avuto come oggetto "Ringraziamenti e stimoli 2.0", è stato avviato da Maurizio di Girolamo e ha visto partecipare Bonaria Biancu, Andrea Marchitelli, Rossana Morriello, Riccardo Ridi e Michele Santoro.

[24] <http://tags.library.upenn.edu>.




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