«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)

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Michele Santoro

La biblioteca come costellazione. Le dimensioni organizzative delle biblioteche digitali



Premessa

Non è un caso se, da alcuni osservatori, le biblioteche sono considerate come vere e proprie organizzazioni, [1] apparendo dotate di tutte le caratteristiche (gestionali, relazionali, culturali...) che sono tipiche di queste entità. Ciò consente di  guardare alle strutture bibliotecarie da un punto di vista nuovo e originale, ed analizzarle con gli strumenti e i metodi propri della teoria dell'organizzazione. [2] Ma se tale prospettiva si adatta senza difficoltà alle biblioteche fisiche - la cui configurazione si presta agevolmente a questo tipo di indagine [3] - non è detto che lo stesso valga anche per le biblioteche digitali, ossia per organismi che si presentano in forme assai più sfumate rispetto alle compagini tradizionali, al punto che è persino difficile trovare una definizione univoca del concetto che le designa. [4]

In queste note proveremo ad affrontare tale questione, cercando di comprendere se le biblioteche digitali possano assumere un profilo esplicitamente organizzativo, e attraverso quali meccanismi divenga possibile ciò. E nell'intraprendere questo percorso, non prenderemo in esame né gli aspetti tecnologici né quelli politico-istituzionali, per quanto entrambi siano profondamente connessi al tema in discussione. Per contro, ci soffermeremo su alcune tesi del Manifesto per le biblioteche digitali dell'AIB: [5] un documento che, ai fini del nostro discorso, risulta di particolare interesse, sia perché prescinde dall'analisi delle singole digital libraries ma le considera nel loro insieme, sia perché mette in luce quegli elementi di molteplicità e di diversità che per tanti versi le contraddistinguono.

E se per questo "insieme" volessimo impiegare una metafora, [6] quella della costellazione ci sembra fra le più appropriate, in quanto dà l'idea di qualcosa che non solo è multiforme e composito, ma anche complesso, turbolento, caotico, nel senso assegnato a questi termini dagli studiosi dei sistemi dinamici non lineari e della teoria del caos.

Proveremo dunque ad osservare da vicino tale costellazione, ed anche a entrare al suo interno, sbarcando su alcuni dei corpi celesti che la compongono non già per vedere come sono fatti (lo hanno messo abbondantemente in luce le indagini degli ultimi anni), bensì per esaminare il loro comportamento, e capire se può essere influenzato da criteri squisitamente organizzativi e gestionali. Da questo tipo di analisi - che possiamo definire "micro", in quanto attiene alla realtà delle singole biblioteche digitali - passeremo poi a una dimensione "macro", relativa cioè all'intera costellazione, cercando di individuare un modello organizzativo-gestionale che sia in grado di rappresentare le biblioteche digitali nel loro insieme.

La dimensione micro

Partendo dunque dal livello micro, occorre in primo luogo stabilire se le singole biblioteche digitali possano essere concepite come vere e proprie organizzazioni e, in caso affermativo, farne emergere le peculiarità.

Per far ciò, ci sembra utile riprendere una definizione ormai classica di organizzazione, secondo cui questa si configura come "uno strumento, costruito con diversi gradi di efficacia e di efficienza, ma comunque diretto a coordinare gli sforzi di più individui in vista del perseguimento di un fine". [7] Tale formulazione mette in luce le caratteristiche fondamentali di ogni organizzazione, consistenti da un lato nella sua funzione strumentale (l'organizzazione è volta al raggiungimento di un fine, non è un fine in se stessa), dall'altro nella presenza di persone che sono in grado di realizzare una serie di obiettivi attraverso una condivisione dei propri sforzi, i quali vanno dunque convogliati verso specifiche direzioni organizzative.

E se al livello macro la costellazione delle biblioteche digitali sembra sfuggire a una definizione così rigorosa, ciò non accade per il livello micro, ossia per la singola struttura che chiamiamo biblioteca digitale. Non v'è dubbio che quest'ultima si presenti come qualcosa di sfaccettato, le cui parti componenti sono spesso indefinite e non sempre afferenti a una stessa entità sovraordinata, qual è ad esempio una biblioteca reale. Ma se esaminiamo le attività che in essa si svolgono, le modalità con cui sono realizzate e infine i prodotti/servizi che vengono forniti, non è difficile ammettere che una biblioteca digitale è un'entità realizzata da individui, i quali operano in maniera coordinata, sulla base di specifici criteri di efficacia e di efficienza, in vista del conseguimento di determinati fini.

Risulta dunque evidente che la definizione più canonica di organizzazione si adatta in modo naturale alla realtà delle singole digital libraries. Per averne una riprova, basti pensare a una biblioteca digitale che sia, per dir così, emanazione di una biblioteca reale: [8] di quest'ultima condividerà la mission e la vision, per quanto declinate in direzioni tipicamente virtuali; in essa poi avranno luogo una serie di attività - dalle iniziative di digitalizzazione all'offerta di documenti full text, dalle analisi sui metadati alle pratiche di conservazione - che ne costituiscono la struttura operativa, la quale a sua volta sarà gestita da individui, i cui sforzi saranno orientati verso specifici fini organizzativi.

Se allora riconosciamo alla biblioteca digitale lo status di vera e propria organizzazione, possiamo analizzare in maniera più precisa la natura delle attività che in essa si svolgono, e notare che queste non si rifanno a consolidate routines (come accade ancora oggi nelle biblioteche convenzionali [9]), ma risultano fortemente innovative e basate su una continua sperimentazione; ne consegue che la gestione di queste attività non può avvenire con modalità tradizionali, ma deve essere realizzata con metodi contrassegnati da un elevato tasso di innovazione. E non è un caso se ciò venga esplicitamente previsto nel Manifesto per le biblioteche digitali il quale, al punto 13, afferma che

le biblioteche digitali si mettono in discussione e si aggiornano. Le biblioteche digitali si impegnano costantemente nella valutazione (auditing, benchmarking) e nell'aggiornamento della propria struttura, e dei propri servizi e contenuti, allo scopo di perseguire al meglio gli obiettivi stabiliti e di orientare la propria attività verso i nuovi obiettivi emergenti.

E come mostra la teoria manageriale corrente, uno fra i criteri più indicati per conseguire questi risultati è senz'altro l'approccio per progetti: difatti, scrive Giovanni Di Domenico, "i progetti rappresentano il più efficace motore di crescita organizzativa per salti", [10] avendo una durata limitata nel tempo ed essendo finalizzati a ottenere soluzioni fortemente innovative. Non è un caso se tale approccio venga impiegato nella gestione di attività complesse che, il più delle volte, sono realizzate trasversalmente da più settori dell'organizzazione. Ciò consente di raggiungere obiettivi particolarmente ambiziosi tanto in termini di difficoltà che di tempi di esecuzione, producendo un cambiamento che non è più "incrementale" - cioè che avviene per piccoli passi - ma decisamente radicale e intenso.

I vantaggi che le biblioteche digitali possono trarre da un approccio di questo tipo sono illustrati in un interessante contributo di Frank Cervone, [11] Assistant Librarian presso la divisione di Information Technology della biblioteca dell'Università di Evanston, nell'Illinois.

In particolare, l'autore sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare le persone chiamate a gestire uno o più progetti all'interno di una biblioteca digitale, specie se si devono assumere decisioni di importanza strategica: [12] il bibliotecario digitale infatti è spesso alle prese con scelte assai delicate, per le quali occorre far ricorso a vere e proprie tecniche di decision making, soprattutto quando tali decisioni riguardano le risorse umane che operano nei diversi team di progetto. [13] Poiché le attività gestite secondo i principi del project management richiedono un ampio coinvolgimento delle risorse umane, diventa necessaria una chiare condivisione degli obiettivi, affinché i processi decisionali possano condurre a risultati che siano vantaggiosi tanto per l'organizzazione - cioè, nel nostro caso, per la biblioteca digitale - quanto per i suoi stakeholders.

Al giorno d'oggi dunque le biblioteche digitali si aprono alla sperimentazione di metodi organizzativi e gestionali sempre nuovi, specie nel momento in cui si trovano dinanzi ad attività particolarmente complesse, che quindi vanno affrontate sulla base di idonei principi di efficacia ed efficienza. Ed è proprio tale situazione che viene presa in esame da Brian Lavoie, Geneva Henry e Lorcan Dempsey che, in un eloquente intervento su "D-Lib Magazine", [14] sottolineano gli elevati livelli di complessità che caratterizzano le biblioteche digitali, [15] e quindi la necessità di individuare i criteri più adeguati per la soluzione dei problemi. Per rispondere a queste necessità, proseguono gli autori, presso la Digital Library Federation è stato istituito un Service Framework Group, [16] il cui scopo è di definire nella maniera più precisa le attività delle biblioteche digitali, specie in relazione al più vasto contesto informativo e istituzionale in cui esse vengono a operare.

E non è un caso se, per descrivere l'iniziativa, si parli di framework di servizio, ossia di uno strumento volto a

documentare una visione condivisa dei servizi delle biblioteche in ambienti in cambiamento; comunicare tale visione fra le biblioteche e le altre istituzioni; e infine applicarla a ciò che può soddisfare al meglio gli obiettivi delle biblioteche. Il framework è anche un mezzo per focalizzare l'attenzione ed organizzare la discussione. Non è tuttavia un sostituto dell'innovazione e della creatività; non fornisce le risposte ma facilita il processo tramite cui tali risposte vanno cercate, trovate e utilizzate. [17]

Il framework infatti, affermano gli autori, fornisce una piattaforma per capire e discutere le transizioni che modellano il paesaggio generale delle biblioteche digitali. In particolare, esso consente di comprendere e comunicare la "logica di business" necessaria a supportare gli obiettivi delle biblioteche, e la maniera con cui tale logica è destinata a cambiare man mano che cambiano gli obiettivi e gli ambienti delle biblioteche stesse. La sua funzione è dunque quella di "sostenere la progettazione e la realizzazione di sistemi flessibili, ricombinanti ed interoperabili", [18] e in quanto tali capaci di consolidare gli obiettivi delle biblioteche digitali, diventando un punto di riferimento stabile e condiviso.

Si può insomma dire che il framework ha, grosso modo, le stesse finalità del nostro Manifesto, dal momento che è volto a sviluppare un vocabolario condiviso e coerente, finalizzato ad accrescere la discussione tanto sugli obiettivi generali delle biblioteche digitali quanto sui servizi da esse erogate. Al tempo stesso, tende a comunicare questi obiettivi ad altre comunità, mettendone in luce i valori specifici e incoraggiando il consenso e la collaborazione su vasta scala. Inoltre, punta a realizzare attività di benchmarking, identificando di volta in volta i bisogni e le lacune che si riscontrano nelle diverse digital libraries. Infine, promuove la progettazione di servizi bibliotecari riutilizzabili, ricombinanti ed interoperabili, allo scopo di ridurre al minimo le duplicazioni e le sovrapposizioni.

E tuttavia il framework non si limita a definire delle linee di principio, ma individua una serie di modalità che riportano il discorso su un terreno squisitamente organizzativo e gestionale: difatti la principale finalità del progetto è quella di

organizzare ed esprimere in modo coerente l'output di modellizzazione dei processi e le attività di progettazione dei sistemi; si tratta insomma di una maniera con cui le biblioteche possono organizzare ed esprimere la loro comprensione collettiva di come le attività bibliotecarie dovrebbero proporsi in un ambiente informativo in forte cambiamento. [19]

Lo sviluppo dei servizi bibliotecari, proseguono infatti gli autori, deve essere guidato dagli obiettivi strategici delle biblioteche digitali; ma perché ciò accada, è necessario che le diverse operazioni che si svolgono al loro interno, rimaste finora inespresse, vengano rese esplicite attraverso un'accurata mappatura volta definire i flussi di attività e i criteri con cui sono effettuate.

Ora, ci sembra evidente che una prospettiva del genere riporti direttamente a ciò che prende il nome di gestione per processi. [20] Secondo questo modello infatti la realizzazione delle diverse attività non avviene più sulla base delle specialità e delle competenze possedute da determinati settori dell'organizzazione (le tradizionali "funzioni"), ma si fonda su criteri di forte coordinamento e partecipazione; ciò consente non solo di evitare i gap comunicativi che insorgono tra le funzioni, ma anche di superare le rigidità tipiche delle organizzazioni burocratico-gerarchiche, che costituiscono un serio ostacolo a una gestione efficace ed efficiente delle attività.

Appare dunque chiaro che l'approccio per processi permette un'ampia condivisione degli obiettivi, e quindi un costante sviluppo delle risorse umane, che si trovano ad operare in ambienti caratterizzati da continui scambi informativi e da un'intensa circolazione delle conoscenze. Ma tutto ciò può avvenire proprio perché viene condotta un'accurata mappatura delle attività, le quali sono individuate con precisione e via via ripartite, fino ad arrivare al livello di dettaglio considerato idoneo per lo svolgimento delle operazioni.

Ed è proprio quanto si verifica nel caso preso in esame dagli autori, i quali appunto sottolineano che

la logica di business delle biblioteche digitali - cioè la loro dichiarazione di mission - viene scomposta, ossia suddivisa in un insieme di requisiti di business necessari per realizzare gli obiettivi generali. I requisiti di business, a loro volta, assegnano una maggiore specificità agli obiettivi delle biblioteche e convogliano una maggiore quantità di dettaglio su ciò che deve essere fatto per realizzare tali obiettivi. Un requisito di business a sua volta è scomposto nell'insieme di processi costituenti, ciascuno dei quali è suddiviso in una o più funzioni di business. Ad ogni passo di scomposizione, la logica di business delle biblioteche è suddivisa in descrizioni più piccole e specifiche. [21]

Siamo di fronte a una prospettiva che presenta notevoli vantaggi, se è vero che un'idonea mappatura delle attività messe in atto dalle biblioteche digitali può condurre alla realizzazione di processi operativi efficaci e coerenti. A dimostrazione di questa tesi, gli autori propongono un modello elaborato dall'Open Archival Information System e relativo a una delle attività più praticate dalle biblioteche digitali, vale a dire la conservazione di lungo termine.

Nella formulazione dell'OAIS l'attività "conservazione di lungo termine" viene definita come un "requisito di business", ossia - lo si è visto - come una componente chiaramente identificabile della mission generale di una biblioteca. Tale requisito si compone di sei "processi di business": acquisizione, gestione dei dati, archiviazione, pianificazione della conservazione, accesso, amministrazione, ciascuno dei quali fa parte di una serie di "funzioni di business" di granularità crescente.

La definizione di questi elementi, come mostra l'immagine che segue, dà vita a una mappatura assai precisa delle attività connesse alla conservazione digitale, la cui realizzazione può dunque avvenire secondo una logica ispirata non solo all'efficacia e all'efficienza, ma anche alla partecipazione e al coinvolgimento delle persone che collaborano all'iniziativa.

 

E tuttavia l'indagine sugli aspetti organizzativo-gestionali delle biblioteche digitali non si limita a queste stimolanti prospettive, ma si spinge fino alla formulazione di complessi modelli matematici, volti a definire i criteri attraverso cui poter esprimere la "qualità" di queste strutture. Ci riferiamo ad una interessante elaborazione proposta da alcuni studiosi statunitensi e brasiliani, [22] e basata sull'individuazione di una serie di "dimensioni critiche" e di indicatori in grado di determinare, per l'appunto, la qualità delle biblioteche digitali.

Il modello - che è assai articolato e quindi impossibile da descrivere nei dettagli - viene inserito in un preciso quadro concettuale, che gli autori definiscono delle "5 S" (Streams, Structures, Spaces, Scenarios, Societies [23]), e ciò consente di definire una terminologia standard attraverso cui discutere i diversi aspetti delle biblioteche digitali. Così, per ogni "concetto chiave" coinvolto nel discorso vengono identificate una serie di "dimensioni di qualità", e per ciascuna di queste sono proposti specifici indicatori numerici.

In particolare, i concetti chiave fanno riferimento ad aspetti quali il catalogo, la collezione digitale, la specificazione dei metadati, i repositories e i veri e propri servizi. Per quanto riguarda le dimensioni di qualità, vengono considerati elementi quali l'accessibilità, l'accuratezza, la completezza, l'integrabilità, la conformità, la coerenza, l'efficacia, l'efficienza, l'estensibilità, la pertinenza, la preservabilità, la rilevanza, l'affidabilità e l'opportunità. Per ciò che attiene infine alle misure, sono prese in esame caratteristiche quali il tempo di risposta (in rapporto all'efficienza), i costi di migrazione (in relazione alla preservabilità), ed il numero di fallimenti nei servizi (per valutare l'affidabilità).

Decisamente interessante poi è la connessione fra le dimensioni di qualità delle biblioteche digitali e il ciclo di vita dell'informazione che è tipico di queste strutture: tale connessione, osservano gli autori, può essere utilizzata per determinare quando e dove gli elementi di qualità propri delle digital libraries debbano essere misurati, valutati e migliorati, stabilendo i criteri più adatti con cui prevenire, individuare ed eliminare i problemi che si possono verificare.

Ora, è indubbio che questo modello rivesta finalità eminentemente pratiche e funzionali, a conferma del fatto che le biblioteche digitali appaiono come organismi organizzativamente ben definiti, oltre che particolarmente attrezzati sotto il profilo operativo e gestionale.

E proprio tale prospettiva viene riconosciuta con chiarezza dagli autori, nel momento in cui sottolineano che il modello da essi proposto è in grado di agevolare le attività di monitoraggio e di valutazione, e quindi realizzare performance sempre più efficaci in tutti gli ambiti presi in esame. Al tempo stesso, potrà aiutare i manager delle biblioteche digitali a sviluppare programmi di valutazione basati su precisi dati quantitativi, stabilendo gli standard necessari a garantire adeguati livelli di qualità. Insomma, concludono gli studiosi, l'obiettivo del modello è di assicurare non solo la qualità del sistema, ma anche e soprattutto la qualità del servizio.

La dimensione macro

L'indagine ora condotta ha permesso di verificare che la realtà delle biblioteche digitali risulta conforme a un'idea ampiamente condivisa di organizzazione, oltre a riconoscere l'importanza di alcuni criteri - il project management, l'approccio per processi, la gestione della qualità - che ne consolidano la fisionomia e le allineano alle forme organizzative più avanzate e dinamiche.

Se dunque passiamo ad analizzare lo strato successivo - ossia quello dell'insieme delle digital libraries - non è difficile riconoscere che proprio il nucleo di elementi organizzativi e gestionali fin qui esaminato renda possibile la definizione di un modello che sia verosimile e soddisfacente. Difatti, se è vero che le biblioteche digitali sono organismi in grado di adottare modalità operative inedite e originali, è altresì vero che esse sono organizzazioni virtuali, distribuite nello spazio delle reti e fondate sulle più recenti tecnologie. [24] E questa somma di caratteristiche richiama una prospettiva che il mondo dell'impresa ha da tempo indicato come una tra le più interessanti, e che nell'elaborazione di due studiosi italiani, Giorgio Merli e Cesare Saccani, ha preso il nome di modello olonico-virtuale. [25]

Le organizzazioni che si riconoscono in questo modello, scrivono infatti gli autori, sono contrassegnate da un lato da un elevato tasso di innovazione, dall'altro da una forte cooperazione e una profonda condivisione degli obiettivi; in base a ciò, esse danno vita a

un'entità organizzata in modo tale da formare delle strutture stratificate a più livelli; ciascun livello è costituito da sottosistemi e unità (oloni) che possono rappresentare virtualmente tutte le caratteristiche del sistema a cui appartengono, ma che sanno operare con un ruolo ben preciso e anche autonomamente". [26]

Questa forma organizzativa, proseguono gli studiosi, è necessariamente stratificata, per quanto mai in modo gerarchico; inoltre in ciascuna unità operativa si ritrovano tutti gli aspetti peculiari dell'insieme, il quale è caratterizzato da un equilibrio dinamico che si realizza proprio grazie alle relazioni fra le diverse componenti. Tale struttura peraltro è aperta agli scambi informativi con l'esterno, e per questo appare fortemente evolutiva ed autocosciente, essendo in grado di apprendere e di sviluppare una vasta gamma di abilità. L'immagine che segue illustra con chiarezza questi concetti. [27]

 

Ora, ci sembra che una simile raffigurazione riesca a rappresentare in modo plausibile l'insieme delle biblioteche digitali: difatti, essa consente di evidenziare da un lato le interazioni che si sviluppano fra le singole digital libraries, dall'altro il necessario rapporto che queste mantengono con le istituzioni reali, e al tempo stesso rende esplicita la natura di tali relazioni, basate non già su forme di dipendenza o di subordinazione, ma su continui scambi di informazioni e di risorse.

È dunque innegabile che questo modello si contrapponga alla visione verticistica, accentrata e gerarchica che è tipica delle organizzazioni tradizionali e che, per certi versi, sembra affacciarsi anche nel mondo delle biblioteche digitali. [28]

Si tratta, con ogni evidenza, di un aspetto di cruciale importanza, che non sfugge all'analisi condotta dal Manifesto dell'AIB: esso infatti, al punto 9, afferma con forza che "le biblioteche digitali mal sopportano il centralismo", prendendo nettamente le distanze dal "vecchio modello di governo e controllo centralizzato" (che non a caso "ha determinato il fallimento di molte biblioteche digitali"), e sostenendo invece la necessità di adottare "modelli organizzativi che ne promuovano la cooperazione" e lo sviluppo.

E se c'è una prospettiva che rigetta radicalmente gli aspetti di gerarchici e centralistici, questa è senz'altro quella postmoderna. Si tratta di una scuola di pensiero in forte crescita fra gli studiosi dell'organizzazione [29] i quali, per le proprie analisi, si rifanno alle linee di fondo del pensiero postmoderno, volte a "decostruire" la monolitica razionalità dell'epoca moderna, e a portare alla luce la frammentazione e la diversità esistente nei diversi contesti socioculturali. Siamo insomma di fronte a una dimensione totalmente nuova, che si manifesta attraverso una pluralità di istanze, opinioni e punti di vista che danno vita a corpi di conoscenze diversi ma tutti ugualmente legittimi, in quanto validati dalle singole comunità di riferimento.

Applicate al mondo delle organizzazioni, le teorie postmoderne possono ad esempio sostenere che il cambiamento non è una condizione negativa, ma è un'esperienza che va compresa, assecondata e il più delle volte anticipata; allo stesso modo, l'incertezza non è qualcosa da evitare a tutti i costi ma può invece rafforzare le diverse scelte organizzative, portandole verso dimensioni inedite e stimolanti.

È superfluo ribadire che una visione del genere non solo è radicalmente avversa ad ogni criterio verticistico e gerarchizzato, ma respinge con forza le teorie onnicomprensive, gli schemi totalizzanti, le interpretazioni globali: in una parola, ciò Jean-François Lyotard definisce "grandi racconti" o "metanarrazioni", [30] volti a dare forza e credibilità a consolidate realtà socioculturali.

Si tratta, ci pare evidente, di una prospettiva che richiama assai da vicino quella del Manifesto delle biblioteche digitali il quale, al punto 1, proclama esplicitamente:

non biblioteca digitale, ma biblioteche digitali, non un sistema, una grande narrazione sistematica, ma tante conversazioni tenute insieme da un linguaggio comune, da una struttura comunicativa basata sull'assunzione di impegni fra comunità diverse per pubblici diversi.

Se dunque la nostra costellazione assume una fisionomia decisamente postmoderna, ciò avviene non soltanto perché rifiuta qualsiasi appoccio accentrato e gerarchico, ma perché lo spazio in cui si colloca è dominato dalla complessità, dalla molteplicità e dalla frammentazione: una condizione che le biblioteche digitali sono in grado di governare grazie all'utilizzo di linguaggi e codici comuni, oltre che di scambi costanti e dinamici. Se il mondo delle digital libraries saprà riconoscersi in questa condizione, non solo potrà acquisire una maggior consapevolezza della sua identità e della sua missione, ma riuscirà a consolidare sempre più la propria compagine organizzativa e gestionale.

Michele Santoro, Coordinamento dell'Area scientifico-tecnica, Sistema Bibliotecario di Ateneo - Università di Bologna, e-mail: michele.santoro@unibo.it


Note

Salvo diversa indicazione, le traduzioni da testi stranieri sono nostre.

[1] Si veda Giovanni Solimine Introduzione allo studio della biblioteconomia. Riflessioni e documenti, Manziana, Vecchiarelli, 1999, in particolare la parte terza, L'organizzazione, p. 195-304; Paolo Traniello Biblioteche e società, Bologna, Il Mulino, 2005; Giovanni Di Domenico, Biblioteconomia, scienze sociali e discipline organizzative: un rapporto da ripensare, in Una mente colorata. Studî in onore di Attilio Mauro Caproni per i suoi 65 anni, promossi, raccolti e ordinati da Piero Innocenti, curati da Cristina Cavallaro, tomo terzo, Manziana, Vecchiarelli, 2007, p. 495-511. Per un excursus sulle tematiche dell'apprendimento in ambito organizzativo si rinvia al nostro I percorsi della learning library: apprendimento e sapere organizzativo in biblioteca, in Biblioteche e formazione. Dall'information literacy alle nuove sfide della società dell'apprendimento, a cura di Claudio Gamba e Maria Laura Trapletti, Milano, Editrice Bibliografica, 2008, p. 194-217.

[2] Nella vasta letteratura sull'argomento cfr. in particolare Giuseppe Bonazzi, Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, 1989; Soggetti ed organizzazioni, a cura di Michele La Rosa, Milano, Angeli, 1994; Mary Jo Hatch, Teoria dell'organizzazione. Tre prospettive: moderna, simbolica, postmoderna, Bologna, Il Mulino, 1999; Lavinia Bifulco, Che cos'è una organizzazione, Roma, Carocci, 2002; Giuseppe Usai, Le organizzazioni nella complessità. Lineamenti di teoria dell'organizzazione, Padova, Cedam, 2002; Angelo Pichierri, Introduzione alla sociologia dell'organizzazione, Roma-Bari, Laterza, 2005.

[3] Per una indagine in tal senso si rimanda al nostro E chiamala, se vuoi, organizzazione. Modelli e prospettive per la biblioteca contemporanea, in corso di pubblicazione su "Biblioteche oggi".

[4] Come è stato scritto in relazione al DELOS Manifesto, il concetto di biblioteca digitale "corrisponde ad una nozione molto complessa, che presenta numerosi aspetti fra loro diversi, e che non può essere catturata da una semplice formulazione". Difatti questo concetto "rappresenta il punto di incontro fra diverse discipline e campi d'indagine, come la gestione dei dati, l'information retrieval, la biblioteconomia, la gestione documentaria, i sistemi informativi, il web il trattamento delle immagini, l'interazione uomo-computer e la conservazione digitale". Esso peraltro si è decisamente evoluto dal suo primo significato, volto a indicare "un sistema per fornire l'accesso a libri o altri testi e documenti digitalizzati". Oggi infatti per biblioteca digitale si può intendere "uno strumento al centro di un'attività intellettuale che non pone confini o barriere logiche, concettuali, fisiche, temporali o personali all'informazione" (Setting the foundation of digital libraries. The DELOS Manifesto, "D-Lib Magazine, 13 (2007) 3-4, <http://www.dlib.org/dlib/march07/castelli/03castelli.html>.

[5] Associazione Italiana Biblioteche - Gruppo di studio sulle biblioteche digitali, Manifesto per le biblioteche digitali, <https://www.aib.it/aib/cg/gbdigd05a.htm3>.

[6] Nell'ambito della teoria dell'organizzazione, l'approccio metaforico viene spesso impiegato per motivare e chiarire una pluralità di fenomeni organizzativi. Il testo di riferimento è senz'altro Gareth Morgan, Images. Le metafore dell'organizzazione, nuova edizione aggiornata, Milano, Franco Angeli, 2007.

[7] Marco Depolo, Psicologia delle organizzazioni, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 37.

[8] Pensiamo, ad esempio, alle manifestazioni digitali di grandi istituzioni reali quali la Library of Congress o la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, in particolare nel campo dei repertori elettronici, delle digitalizzazioni, dell'individuazione e del censimento di rilevanti risorse di rete, etc.

[9] Al riguardo si veda il nostro La gestione per processi in biblioteca: un'applicazione possibile?, "Bibliotime, 2 (2004), 7, <http://www2.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vii-2/santoro.htm>.

[10] Giovanni Di Domenico, La biblioteca per progetti. Metodologia e applicazioni del project management in ambito biblioteconomico, Milano, Editrice Bibliografica, 2006, p. 28.

[11] H. Frank Cervone, Making decisions: methods for digital library project teams, "OCLC System and Services", 21 (2005), 1, p. 30-35.

[12] La teoria delle decisioni costituisce un aspetto assai rilevante degli studi organizzativi; in particolare, è di fondamentale importanza la riflessione di Herbert Simon e la sua nozione di "razionalità limitata". Al riguardo si rinvia a James G. March, Prendere decisioni, Bologna, il Mulino, 1998; ed a Giuseppe Bonazzi, Dire, fare, pensare. Decisione e creazione di senso nelle organizzazioni, Milano, Angeli, 1999.

[13] L'articolo si sofferma ampiamente su queste tematiche, offrendo una serie di modelli di notevole interesse, e che paiono applicabili anche ad ambiti più convenzionali del mondo bibliotecario.

[14] Brian Lavoie - Geneva Henry - Lorcan Dempsey, A service framework for libraries, "D-Lib Magazine", 12 (2006), 7/8, <http://www.dlib.org/dlib/july06/lavoie/07lavoie.html>.

[15] A parere degli autori la dimensione delle biblioteche digitali appare sempre più articolata e complessa anche a causa dei continui sviluppi tecnologici; fra gli elementi che rafforzano tale convinzione, gli autori citano l'aumento dei repositories istituzionali; l'avvento dei metodi di "metaricerca", finalizzati a ricostituire le diverse parti di una collezione virtuale; i sistemi di e-learning; e infine la capacità di rendere le raccolte bibliotecarie sempre più riconoscibili dai motori di ricerca (ibid.).

[16] DLF Services Framework, <http://www.diglib.org/architectures/serviceframe/>. Sull'argomento si veda anche Lorcan Dempsey - Brian Lavoie, DLF service framework for digital libraries: a progress report for the DLF Steering Committee, May 2005, <http://www.diglib.org/architectures/serviceframe/dlfserviceframe1.pdf>.

[17] Brian Lavoie - Geneva Henry - Lorcan Dempsey, cit., corsivi nel testo. Riprendendo la definizione fornita dal gruppo di lavoro della Digital Library Federation, gli autori spiegano che un framework di servizio è "un insieme di modelli di riferimento, con un set di concetti ed un vocabolario per esprimerli e collegarli. Tale framework (vocabolario e modelli di riferimento) copre l'intera gamma delle entità rilevanti per l'articolazione degli obiettivi di business delle biblioteche a diversi livelli di granularità, così come i servizi che supportano questi obiettivi" (ibid.).

[18] Ibid.

[19] Ibid.

[20] Al riguardo si rinvia al nostro, già citato, La gestione per processi in biblioteca: un'applicazione possibile?.

[21] Brian Lavoie - Geneva Henry - Lorcan Dempsey, cit.

[22] Marcos André Gonçalves - Bárbara L. Moreira - Edward A. Fox - Layne T. Watson, "What is a good digital library?". A quality model for digital libraries, "Information Processing and Management", 43 (2007), p. 1416-1437.

[23] Su questo tema si veda il contributo di Marcos André Gonçalves - Edward A. Fox - Layne T. Watson - Neill A. Kipp, Streams, structures, spaces, scenarios, societies (5s): a formal model for digital libraries, "ACM Transactions on Information Systems", 22, (2004), 2, p. 270-312. Gli autori riprendono l'acronimo "5 S" da un noto metodo manageriale giapponese (su cui si rinvia, fra l'altro, all'indirizzo <http://www.manutenzionet.com/cinque%20esse.htm>), cambiando tuttavia i termini che costituiscono tale acronimo e riferendolo esclusivamente alle biblioteche digitali. Essi infatti scrivono che "i flussi sono sequenze di items arbitrari usati per descrivere contenuti sia statici che dinamici (ad esempio video). Le strutture possono essere considerate come come grafi orientati ed etichettati, i quali impongono un'organizzazione. Gli spazi sono insiemi che contengono operazioni su quegli insiemi che rispondono a determinati obblighi. Gli scenari consistono di sequenze di eventi o di azioni che modificano le caratteristiche di una computazione per realizzare un requisito funzionale. Le società sono insiemi di entità e di attività, e anche le relazioni fra esse. Nel loro complesso, queste astrazioni forniscono un fondamento formale per definire, collegare e unificare una serie di concetti - tra cui quelli di oggetti digitali, metadati, collezioni e servizi - necessari per formalizzare e delucidare le biblioteche digitali".

[24] Lo stesso Manifesto, al punto 10, sostiene che "le biblioteche digitali sono in rete. Tutti i soggetti che hanno accesso ad Internet (ovvero alla 'rete') sono potenziali fruitori delle risorse digitali".

[25] Come scrivono infatti Giorgio Merli e Cesare Saccani, per "azienda olonico-virtuale" s'intende "un insieme di unità operative autonome che agiscono in modo integrato e organico, nell'ambito di un sistema a rete di tipo olonico, per configurarsi ogni volta al meglio come catena del valore più adatta per perseguire le opportunità di business che il mercato presenta" (Giorgio Merli - Cesare Saccani, L'azienda olonico-virtuale. Un'opportunità storica per la piccola e media impresa, presentazione di Piero Bassetti, Milano, Il Sole 24 Ore, 1994, p. 95).

[26] Ibid.

[27] L'immagine è tratta da Fabrizio Simonelli - Paolo Morello Marchese, La rete toscana degli ospedali per la promozione della salute nella cornice concettuale della complessità, Centro di coordinamento della Rete HPH Toscana, <http://www.meyer.it/oggetti/1319.pdf>.

[28] Al riguardo si rinvia alle lucide considerazioni di Claudio Leombroni, La Biblioteca digitale italiana, in Rapporto sulle biblioteche italiane 2004, a cura di Vittorio Ponzani, direzione scientifica di Giovanni Solimine, presentazione di Miriam Scarabò, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2004, p. 81-87.

[29] Al riguardo cfr. William Bergquist, L'organizzazione postmoderna, Milano, Baldini & Castoldi, 1994; Postmodern management and organization theory, edited by David M. Boje, Robert P. Gephart Jr. and Tojo Joseph Thatchenkery, Thousand Oaks, Sage, 1996; David M. Boje, Alternative postmodern spectacles: the skeptical and affirmative postmodernist (organization) theory debates, June 25, 1999, <http://cbae.nmsu.edu/~dboje/canary.html>; Postmodern organization theory, <http://cbae.nmsu.edu/~dboje/postmoderntheory.html>.

[30] Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981; Id., Il postmoderno spiegato ai bambini, Milano, Feltrinelli, 1987.




«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)

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