«Bibliotime», anno XI, numero 3 (novembre 2008)

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Michele Santoro

Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi. Biblioteche pubbliche e private in età moderna



Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi. Biblioteche pubbliche e private in età moderna, Bologna, Patron, 2006, p. 260

Non è un caso se questa silloge di scritti di Maria Gioia Tavoni [1] compaia nella collana "Lyceum", fondata e diretta dalla stessa autrice e volta a "raccogliere intorno a sé una piccola comunità di studiosi, in primis gli allievi più meritevoli, prevalentemente di scuola bolognese, insieme con lettori e cultori del libro, in tempi di grave smarrimento delle forme più tradizionali che continueranno comunque ad affiancare ancora per molto le sue espressioni digitali". [2]

Il volume infatti si pone come un momento di confluenza dell'attività di insegnamento e di ricerca di cui la collana è portavoce, e al tempo stesso come una piccola "summa" - in linea con quanto prescrive il titolo - degli studi condotti dall'autrice non solo nel campo della storia delle biblioteche, [3] ma anche della storia del libro, della bibliografia e della biblioteconomia.

Dunque, è sia con gli occhi dello storico sia con quelli del bibliografo che conviene guardare a questi saggi i quali, proprio per la loro coesistenza in un unico contenitore, permettono una diversa comprensione di fenomeni non soltanto bibliotecari, ma più propriamente inquadrati nel tempo lungo della storia moderna. Come infatti annota la studiosa nella prefazione,

gli scritti di un autore, realizzati in diverse occasioni, in tempi lontani, per atti di convegni, giornate di studio o per esser pubblicati su riviste, quando si raggruppano in un insieme creato ad hoc, diventano un lavoro ulteriore, assumono nuova identità e particolarità grazie al fatto di trovarsi congiunti. Acquisiscono una sorta di valore aggiunto che è dato dall'accostamento e dalla possibilità di una lettura contemporanea e filata, permettendo al lettore di vedere la strada percorsa dall'autore entro una particolare prospettiva argomentativa. [4]

In base a tali presupposti, possono allora dipanarsi le vicende prese in esame dall'autrice e relative a "biblioteche personali, religiose, comunali, biblioteche di un determinato territorio, biblioteche che sono nate per soddisfare gli interessi di lettura di uno studioso per divenire poi pubbliche o scolastiche e così via". [5]

La prima fra queste indagini è dedicata alla raccolta libraria di Riccardo Bacchelli, oggi conservata presso la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio di Bologna: una raccolta che appare sorprendentemente modesta, al punto da sollecitare la studiosa a ricostruirne la genesi, gli sviluppi e la successiva distruzione, causata dal bombardamento di Milano - città in cui risiedeva lo scrittore - nell'agosto del 1943.

Ed è significativo che, in seguito a questo evento, Bacchelli decida di non ricostituire la propria collezione "ma di avvalersi solo del servizio pubblico"; tale decisione è dovuta da un lato all'impossibilità di restituire alla raccolta la preesistente unità ed organicità, dall'altro alla convinzione, maturata dall'autore in seguito alla stesura delle sue opere maggiori, che "non possa esistere alcuna biblioteca privata atta a contenere una congerie di volumi, di opuscoli, di periodici necessari a sprigionare l'incontenibile vitalità narrativa dello scrittore". [6]

Si tratta di un punto di particolare interesse, dal momento che Bacchelli sembra riconoscere non solo il ruolo squisitamente informativo delle biblioteche "pubbliche", ma la sua condizione di vero e proprio utente di queste strutture, le sole in grado di offrirgli una gamma di documenti atta a soddisfare le sue esigenze di lettura e di studio, nonché il suo bisogno di stimoli per la creazione artistica e letteraria.

Nonostante ciò - o forse proprio per questo - non si attenua lo stretto rapporto che Bacchelli intrattiene con il libro, inteso non come reliquia da bibliofilo, ma come veicolo di conoscenza e al tempo stesso come oggetto fisico, tanto da prenderne le difese contro tutti coloro che ne prefigurano la scomparsa a vantaggio di nuovi e più aggressivi media. Siamo di fronte, osserva l'autrice, a una versione per dir così postbellica dell'annosa querelle che oppone i fautori della tradizione a quelli dell'innovazione, [7] e che lo scrittore mette in luce con chiarezza quando rileva che

si fa un gran discorrere, oggi, [della] sopravvenuta crisi del commercio del libro [...]; si fa gran discorrere oggi di coteste crisi, e del cinematografo e della radio e degli spettacoli sportivi, che concorrono, a quanto si dice, a produrla o ad aggravarla. Benché scarso e disattento uditore e lettore di simili discorsi, mi par già di cogliere per aria l'antico lagno: che il libro langue, che minacciano d'ucciderlo cotesti trovati. E mi ricordo tanti anni fa che già il libro doveva essere ucciso dai giornali. Purtroppo, né i più frivoli giornali, né la più fatua radio, né il cinematografo più volgare riescono a sopprimere neanche la peggiore e più fatua e volgare letteratura, quella che sarebbe augurabile che fosse stata soppressa. [8]

Il saggio successivo, dal titolo Libri e biblioteche a San Miniato, prende le mosse dall'edizione delle Rime di Giosue Carducci, ivi pubblicate nel 1857 presso l'editore Ristori, e si amplia a esplorare la multiforme e dinamica realtà bibliotecaria della cittadina toscana. In particolare, la studiosa si sofferma sulla seicentesca raccolta del canonico Vincenzo Maccanti e sull'importante decisione di quest'ultimo, il quale stabilisce che, dopo la sua morte, essa diventi un punto di riferimento per l'intera comunità, ossia "in nuce una biblioteca pubblica ante litteram". [9] Difatti, prosegue l'autrice,

il testatore dispone che questa libreria diventi "pubblica" a tutti gli effetti e i tentativi più volte esperiti per ricondurla all'interno del seminario vescovile si scontrarono con la volontà testamentaria che la vuole libera e aperta nella casa del donatore a quanti vorranno beneficiarne. Una volontà moderna che venne a costituire un metodo alternativo di conservare e mettere a disposizione un patrimonio culturale strutturato in una particolare tipologia che denuncia l'inclinazione degli studi dei maggiorenti locali. [10]

Tale raccolta verrà progressivamente arricchita fino ad acquisire dimensioni considerevoli e ciò, a parere di Maria Gioia Tavoni, dimostra come "San Miniato sia terra di libri ancor prima della fondazione della sua vera biblioteca pubblica, per la quale bisognerà attendere le leggi eversive introdotte dallo stato italiano". [11] E la stessa vicenda, aggiungiamo noi, viene a confermare l'opinione di Paolo Traniello, secondo cui "nella storia culturale italiana il carattere, per così dire, naturalmente pubblico della biblioteca ha trovato particolare radicamento e si è attuato, a partire dall'inizio dell'età moderna, in forme non traumatiche": [12] un punto di vista su cui è opportuno riflettere adeguatamente, e che apre ampi spazi ad ulteriori indagini ed approfondimenti.

Nel saggio che segue, intitolato semplicemente Linee di un percorso, l'interesse della studiosa si rivolge alle principali biblioteche storiche dell'Emilia-Romagna, cogliendone le peculiarità e descrivendone gli sviluppi in seguito alle leggi eversive del 1866, con le quali lo Stato unitario sopprime gli ordini religiosi e ne incamera i beni fra cui, in primo luogo, i libri. Tale situazione dà vita a una crescita esponenziale dei fondi posseduti dalle biblioteche, e quindi ad una radicale riorganizzazione - al tempo stesso architettonica, biblioteconomica e gestionale - delle biblioteche stesse.

Di questa realtà è paradigmatico il caso di Bologna: già nel 1796 infatti l'arrivo dei francesi ha determinato la soppressione di numerose congregazioni religiose, i cui nuclei librari, insieme a quelli confiscati in base alle leggi eversive emanate dallo stato italiano, contribuiscono alla nascita della Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio. Ma altrettanto importanti sono le vicende legate a storiche istituzioni quali la Malatestiana di Cesena, la Classense di Ravenna, la Passerini Landi di Piacenza, l'Ariostea di Ferrara, le Comunali di Correggio e Imola, la Panizzi di Reggio Emilia. E non è un caso se tali istituzioni acquisiscono ben presto una duplice natura, legata tanto alla conservazione quanto alla pubblica lettura: [13] una condizione rilevata fin dal 1962 da Delio Cantimori, per il quale "una biblioteca di provincia è anche una biblioteca comunale, o, se su vuole usare la parola, una bibliotea locale", [14] con ciò sottolineando "la necessità che le istituzioni bibliotecarie degli enti locali si raccordino alle esigenze delle mutate richieste di un nuovo pubblico". [15]

Ancora il contesto bolognese è oggetto dell'attenzione dell'autrice, nel momento in cui discute del Patrimonio bibliografico a stampa della biblioteca del SS. Salvatore. Si tratta di una collezione di notevole rilievo, la cui esistenza è testimoniata fin dal XIV secolo, ed è persino citata da Conrad Gesner nella sua celebre Bibliotheca universalis: e ciò, a parere della studiosa, non avviene a caso, poiché la raccolta incarna "tutto il pensiero teologico medievale rappresentato dalle diverse scuole tomista e scotista, ma anche dalle più aggiornate interpretazioni, come i commenti alle sentenze stampati alla fine del XV secolo". [16] Maria Gioia Tavoni dunque ricostruisce le complesse vicende legate a questa biblioteca, strettamente intrecciate al nome e all'attività di Giovanni Grisostomo Trombelli, fino alla sua cessazione in seguito ai rivolgimenti del Sette e dell'Ottocento: un'indagine i cui esiti risultano particolarmente brillanti, se è vero che essa appare contrassegnata da

inventari redatti dopo molto tempo rispetto alla soppressione napoleonica, trasferimento dei beni librari più preziosi in Francia e loro parziale riconsegna, vendita dei duplicati, ritorno di una buona parte del patrimonio, negli ultimi anni della Restaurazione, alle rispettive sedi originarie, ricostruzione delle librerie nel periodo che intercorre dalla riconsegna alla definitiva espropriazione con la legge eversiva del 1866, definitiva confisca dei beni, incompleto versamento da parte degli organi religiosi che riuscirono a trattenere nelle singole sedi parti a volte consistenti del materiale requisito. [17]

Il saggio che segue, intitolato Disomogeneità del paesaggio bibliotecario e pubblicato nel 1993, si pone come uno dei contributi più rilevanti finora apparsi sulla storia delle biblioteche italiane nel secondo dopoguerra. [18] In esso infatti Maria Gioia Tavoni mette l'accento non solo sulla drammatica situazione in cui le strutture bibliotecarie si vengono a trovare in seguito agli eventi bellici, ma sulla maniera a dir poco infelice con cui è stata condotta l'attività di ricostruzione: un'attività che è

andata avanti senza un disegno unitario, prevalentementemente ubbidendo alla logica del ripristino sic et simpliciter dei vecchi edifici lasciati alla competenza del Genio civile. Lo stesso ministero della Pubblica istruzione riconobbe poi che l'impegno della ricostruzione era proceduto non "secondo un disegno unitario ma piuttosto caso per caso e soprattutto con interruzioni e stasi non sempre giovevoli". Rimanevano in ombra gli aspetti culturali e tecnici inevitabilmente connessi agli interventi di ricostruzione, né incidevano le istanze di superamento della obsoleta gestione burocratica che venivano invocate dai più rappresentativi esponenti del mondo bibliotecario per un rinnovamento degli istituti in sintonia con le trasformazioni politiche, sociali e culturali in atto nel paese. [19]

L'autrice infatti delinea un quadro da cui emerge la sostanziale arretratezza della politica bibliotecaria di quegli anni, contrassegnata da iniziative che appaiono non soltanto frammentarie ed episodiche, ma decisamente paternalistiche e prive di un reale fondamento culturale. Fra queste, la studiosa ricorda la nascita - avvenuta nel 1951 - dei cosiddetti "centri di lettura", istituiti presso i circoli scolastici e gestiti dai provveditorati agli studi, e in quanto tali incapaci di rispondere ai bisogni delle realtà territoriali coinvolte; o l'ancor più paradossale vicenda delle "biblioteche del contadino", caratterizzata dall'invio di cospicui nuclei librari presso le abitazioni di famiglie contadine residenti in zone interessate dalla riforma fondiaria, ed in cui l'analfabetismo o la sottoalfabetizzazione erano ancora largamente presenti. E non è un caso, commenta l'autrice, se queste iniziative si siano sviluppate in un "contesto generale dominato da forze politiche negate ad autentico spirito innovatore, prive della volontà e della capacità di incidere con interventi concretamente riformatori che non avessero il carattere della frammentarietà e di conseguenza della precarietà". [20]

A parere della studiosa, peraltro, questo approccio ad un tempo paternalistico e autoritario non viene meno neanche quando si cerca di dar vita a una diversa politica bibliotecaria, tesa a promuovere la lettura pubblica sulla base del modello anglosassone della public library. Tale percorso, legato al nome di Virginia Carini Dainotti, [21] appare infatti dominato da uno "spirito burocratico, accentratore, di restaurazione", così come le iniziative volte alla creazione delle nuove biblioteche "pubbliche" risultano condizionate da una quantità di elementi che la studiosa enumera puntualmente:

mancanza di un quadro organico degli interventi, personale impreparato, dapprima volontario e comunque sempre mal retribuito; permanenza della vigilanza censoria sulla scelta del repertorio; indicazioni didattico-educativo-formative formulate con criteri non felici; nessun aggancio, ad esempio, alla realtà locale; scarsa attuazione del ricambio; subordinazione alle pressioni delle case editrici e dei partiti di governo, per cui spesso ai posti di prestito arrivavano pubblicazioni rimaste sepolte nei depositi o comunque estranee ai reali interessi delle popolazioni servite. [22]

Ma di fianco a questa serie di carenze, ritardi e condizionamenti, l'indagine di Maria Gioia Tavoni propone anche esempi positivi che, specie a partire dagli anni Sessanta, faranno da battistrada nello sviluppo di una nuova e più moderna sensibilità. Fra questi, si ricorda la nascita dei primi sistemi bibliotecari locali (in particolare quello, assai rilevante, di Torino-Pinerolo), ma anche l'esperienza della Biblioteca provinciale di Foggia la quale, proprio perché realizzata sulla base di accurate indagini sulla realtà locale e i relativi bisogni culturali, segna "definitivamente il passaggio da un insieme di situazioni scollegate fra loro a sistemi bibliotecari organizzati sul territorio, e inaugura il nuovo corso delle biblioteche italiane". [23]

Nel contributo successivo Maria Gioia Tavoni torna all'analisi delle biblioteche storiche, prendendo in esame la raccolta libraria posseduta dal Seminario vescovile di Sarzana ed intitolata al papa Niccolò V, "in ricordo di uno dei più illustri figli di questa terra generosa, considerato fondatore della Biblioteca apostolica vaticana". [24] L'autrice dunque delinea i contorni di una collezione che

è oggi meta di studenti e studiosi per la vastità dei fondi [...], per l'importanza dei suoi sedimenti soprattutto teologici, per le raccolte imponenti di testate di periodici, sia cessati sia in corso, per gli archivi che in essa sono confluiti, per la documentazione manoscritta e a stampa che fa luce non solo sulla vita della diocesi, come dimostrano le ricerche in atto, ma anche sul complesso intreccio delle vicende demografiche e sociologiche legate alle numerose parrocchie che hanno fatto ivi confluire i loro archivi. [25]

La descrizione dei fondi della biblioteca è poi accompagnata da un'accurata analisi del suo catalogo, la cui impostazione risente del paradigma bibliografico stabilito da Antonio Possevino nella sua Bibliotheca selecta, e del suo stesso sistema di classificazione, adottato nel XIX secolo e costituito da 13 classi; ed è proprio grazie a questi strumenti che la studiosa può mostrare - anche graficamente - la distribuzione dei volumi tanto per materia che per luogo di edizione e formato tipografico.

Nel successivo lavoro, intitolato Di una biblioteca e di un libro in mostra, Maria Gioia Tavoni rivolge la sua attenzione alla Biblioteca civica di La Spezia, fondata verso la metà del XIX secolo da Ubaldo Mazzini e caratterizzata da una visione essenzialmente "moderna", intesa cioè "a far partecipe con sempre maggior consapevolezza al processo produttivo l'operaio industriale così come l'artigiano, per i quali comincia ad attrezzarsi anche una particolare editoria che sfocerà nella manualistica del secondo Ottocento con il diffondersi delle biblioteche popolari". [26]

E il libro in mostra di cui dà notizia l'autrice è niente meno che la seconda edizione dell'Hypnerotomachia Poliphili: [27] un volume che, per la sua origine cinquecentesca, costituisce una "impressione assai rara da trovarsi nelle biblioteche pubbliche, così come nelle raccolte private, di cui si è a conoscenza". La studiosa quindi si sofferma su questo esemplare, condannandone gli "inqualificabili restauri che hanno fatto perdere eventuali segni della sua storia", ma rilevando che "il possesso di questa edizione dà 'decoro e lustro' a tutte le raccolte fino a noi pervenute, e che di essa la Biblioteca civica 'U. Mazzini' può andare assai fiera". [28]

La città di Comacchio è invece oggetto del contributo che segue, intitolato Alle radici della biblioteca "L. A. Muratori" e volto a esplorare le vicende di una istituzione la cui origine risale almeno al XVIII secolo: dall'analisi del catalogo storico infatti Maria Gioia Tavoni può ricostruire le provenienze di gran parte dei volumi di questa raccolta, acquisita dal comume di Comacchio in seguito alla soppressione di alcune congregazioni religiose, ed arrichita con i fondi dell'erudito Antonio Buonafede, consistenti in ben 2.450 unità.

E di particolare interesse è il fatto che, nelle intenzioni delle autorità cittadine, tali documenti dovessero costituire il primo nucleo di una vera e propria biblioteca civica, volta a "combattere l'analfabetismo", e quindi "dotata di testi in grado di renderla fruibile e conosciuta a tutta la comunità" [29]: una struttura, a parere dell'autrice, che sembra caratterizzarsi più come una biblioteca "pubblica" nel senso moderno del termine che come una biblioteca "popolare", ossia come "un mezzo di promozione della cultura diretta a ceti meno avvantaggiati", concepita dunque "come integrativa e complementare dell'istruzione popolare". [30]

La dettagliata analisi della studiosa dimostra tuttavia che tale progetto stenterà a realizzarsi, e che bisognerà arrivare agli anni Ottanta per assistere ad una effettiva rinascita della biblioteca e del suo ruolo "di motore dei processi di educazione favoriti dalla scelta di autonomi percorsi di lettura". È dunque in questo senso, conclude l'autrice, che la biblioteca può ritrovare "la sua vera cifra", e al tempo stesso "guardare lontano e cercare nel passato le ragioni della attuale capacità di esprimersi e di rapportarsi ad un pubblico giovane, ma anche formato da tutti coloro che nella biblioteca ravvisano una delle finalità prime del libero e consapevole processo di autoapprendimento". [31]

Più di cento biblioteche storicamente inesplorate è il titolo del saggio dedicato alla multiforme e composita realtà bibliotecaria dell'Università di Bologna: obiettivo dell'autrice infatti è non solo di delineare un quadro d'insieme delle strutture bibliotecarie dell'Alma Mater, ma di interrogare i documenti di archivio che ancora ne trasmettono la storia per restituire le peculiarità e sottolineare il valore di una larga parte dei suoi fondi librari e documentari. Ne scaturisce un'analisi di grande interesse, che da un lato fornisce al lettore precisi punti di riferimento nel complesso mondo delle biblioteche dell'Ateneo, dall'altro consente alle stesse biblioteche "di ripercorrere il proprio passato, forti della consapevolezza che ciò non valga a costituire un comodo rifugio nei fasti ormai trascorsi, ma anzi a comprendere e meglio guidare le tappe del loro cammino". [32]

Avviandosi alla conclusione, il volume propone una serie di contributi "minori" per dimensioni, ma non certo per l'interesse che rivestono nell'odierno dibattito professionale. Ad esempio, lo scritto intitolato Se biblioteca è favola discute della necessità di realizzare nuove biblioteche che tengano conto delle mutate esigenze socioculturali della nostra penisola. Una cattedrale, un deserto, un fiore è invece la testimonianza - che non si unisce al mero coro degli elogi - del primo soggiorno di studio effettuato dalla studiosa presso la Bibliothèque nationale de France, all'indomani dell'inaugurazione della nuova sede di Tolbiac. In lingua francese è poi il contributo dal titolo Italie, bibliothèques, breve storia delle biblioteche italiane pubblicata sul Dictionnaire encyclopédique du livre. Le biblioteche della Sassonia, visitate dall'autrice nel 2005, sono infine descritte in Da un viaggio: una biblioteca, un gesto; fra le tante, non si può non ricordare quella di Weimar, fondata da Anna Amalia nel 1781 e distrutta da un incendio i1 2 settembre 2004. Al riguardo, scrive Maria Gioia Tavoni,

i1 cocente dispiacere davanti alle fotografie del rogo si è in parte attenuato per un'espressione di raro coinvolgimento che ci ha scosso dall'anemia dei nostri gesti abituali. Non c'era caffè, negozio, store, chiosco della festa del vino, che non avesse un contenitore di plastica trasparente entro cui tutti, dico proprio tutti, gettavano euro di metallo o di carta, e sul quale campeggiava la scritta "Für den Wiederaufbau der Stadtbibliothek". [33]

E forse, non c'è commento migliore per prendere congedo da questo coinvolgente excursus nel mondo delle biblioteche e della loro storia.

Michele Santoro, Coordinamento dell'Area Scientifico-tecnica del Sistema Bibliotecario di Ateneo - Università di Bologna, e-mail michele.santoro@unibo.it


Note

[1] Provenienti da numerose sedi editoriali e pubblicati in un arco di tempo che va dal 1987 al 2006.

[2] Come si legge sulla quarta di copertina dei volumi della collana.

[3] Precedenti contributi su questo argomento sono presenti in Maria Gioia Tavoni, Libri e lettura da un secolo all'altro, Modena, Mucchi, 1987.

[4] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 11.

[5] Ibid., p. 12.

[6] Ibid., p. 25.

[7] Tale querelle si ripresenterà in forme assai più intense con l'avvento delle tecnologie digitali; al riguardo si rinvia al nostro Biblioteche e innovazione. Le sfide del nuovo millennio, Milano, Editrice Bibliografica, 2006.

[8] Riccardo Bacchelli, Giorno per giorno dal 1922 al 1966, Milano, Mondadori, 1968, in Percorsi minimi, cit., p. 29.

[9] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 38.

[10] Ibid., p. 39-40.

[11] Ibid., p. 40.

[12] Paolo Traniello, La biblioteca pubblica. Storia di un istituto nell'Europa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 10.

[13] Su questa "ibridazione" si rinvia alle lucide considerazioni di Luigi Crocetti, Una cultura di servizio per le biblioteche storiche?, "IBC. Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali", 12 (2004), 3, p. 60-63.

[14] Delio Cantimori, cit. in Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 68.

[15] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 68, citazione leggermente modificata.

[16] Ibid., p. 81.

[17] Ibid., p. 74.

[18] Fra questi, ricordiamo almeno Giulia Barone - Armando Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1986 ai nostri giorni, Milano, Mazzotta, 1976.

[19] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 107.

[20] Ibid., p. 110-111.

[21] Su questa importante protagonista della vicenda bibliotecaria italiana si veda in particolare Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra. Atti del convegno, Udine, 8-9 dicembre 1999, a cura di Angela Nuovo, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2002.

[22] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 113.

[23] Ibid., p. 118.

[24] Ibid., p. 131.

[25] Ibid., p. 131-132.

[26] Ibid., p. 153.

[27] Già oggetto dell'attenzione dell'autrice: cfr. al riguardo Un libro in mostra. L'Hypnerotomachia Poliphili cioè La pugna d'amore in sogno. Edizione cinquecentesca di un capolavoro tipografico posseduto dalla Biblioteca "Ubaldo Mazzini" della Spezia, a cura di Maria Gioia Tavoni, con una sezione di opere pittoriche di Serena Pruno ispirate al Polifilo, La Spezia, Istituzione per i servizi culturali - Comune della Spezia, 2001.

[28] Maria Gioia Tavoni, Percorsi minimi, p. 163-164.

[29] Ibid., p. 174.

[30] Ibid., p. 175-176.

[31] Ibid., p. 191, citazione leggermente modificata.

[32] Ibid., p. 217.

[33] Ibid., p. 243.




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