«Bibliotime», anno XIII, numero 1 (marzo 2010)

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Maria Cassella

Tendenze ed evoluzione dei periodici elettronici nell'era post-Gutenberg *



The ignorant try to appropriate the productivity of society for personal goals of profit, power or domination unaware that this inevitably chokes the source of that productivity, which is social energy. If the corrupt "succeed" then social synergy collapses and everyone becomes poor (Whitworth, Friedman, 2009)

1. Premessa

A più di venti anni dalla nascita del primo periodico elettronico in full text [1], e a quindici anni dal lancio delle prime grandi piattaforme digitali editoriali, i periodici elettronici mostrano segni di invecchiamento. Le sfide poste dall'e-science sono molteplici e complesse: i ricercatori del terzo millennio hanno bisogno di gestire, riutilizzare, aggregare una grande mole di informazioni e di dati, di scambiare velocemente le informazioni e i risultati delle loro ricerche scientifiche, di lavorare in modo collaborativo. Le scienze sono diventate transnazionali e "cross-fertilizzate", l'Open Access, il Web 2.0, tutti gli strumenti e le piattaforme di social networking hanno aperto nuove prospettive allo scambio di idee, alla condivisione delle risorse, al loro riutilizzo.

In un contesto di questo tipo i periodici elettronici escono dalla prospettiva cartocentrica e si evolvono nella struttura e nel contenuto. Cambiano le funzioni stesse del periodico scientifico. In questo articolo discuteremo di alcune forze interne alla comunicazione scientifica che stanno trasformando profondamente i periodici elettronici e daremo alcuni esempi di quelli che, cedendo alla moda imperante del web sociale, abbiamo definito e-journals 2.0. Nella parte finale dell'articolo vedremo come la tecnologia, avanzando velocemente e portando alle estreme conseguenze le caratteristiche di multimedialità e di aggregazione che molti periodici elettronici già possiedono, finirà per modificare in futuro il concetto stesso di periodico (o monografia), sostituendolo con quello di "oggetto digitale composto".

2. Nascita e funzioni del periodico scientifico

Il periodico scientifico nasce a Londra nel 1665, anno nel quale Henry Oldenburg, segretario della Royal Society of London, pubblicava il primo fascicolo di The Philosophical Transactions. L'idea di Oldenburg era quella di creare una specie di "ufficio brevetti delle idee scientifiche", allo scopo di evitare le controversie di priorità e le polemiche intellettuali [2] , contenere la dispersione di idee e aggregare una comunità di studiosi che riflettessero su temi di natura scientifica.

La svolta commerciale nell'informazione scientifica avviene trecento anni dopo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, allorché si ha una crescita enorme del volume della ricerca scientifica prodotta nel mondo occidentale. La disseminazione della ricerca viene ceduta dagli autori, dalle società scientifiche o professionali agli editori for-profit, che fanno della scienza un affare redditizio: " gli editori commerciali non ci misero molto a comprendere che si era appena venuta a configurare una nuova situazione potenzialmente lucrativa" [3].

Negli ultimi quaranta anni questa situazione redditizia è stata ulteriormente aggravata dallo strapotere che nella valutazione delle pubblicazioni scientifiche ha assunto il fattore di impatto calcolato dall'Institute for Scientific Information (ISI): l'Impact Factor. "Si osservi […] che se fino alla prima metà del secolo scorso la pubblicazione scientifica non era redditizia, l'affermazione del catalogo ISI ha trasformato questa situazione producendo un nucleo di core journals che le biblioteche scientifiche dovevano avere a qualsiasi costo" [4] e, soprattutto, a qualsiasi prezzo.

Dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi il numero delle riviste è cresciuto in modo esponenziale. Si calcola che nel 2009 fossero 24.500 i periodici scientifici peer-reviewed attivi. Tali periodici pubblicano in totale annualmente un milione e mezzo di articoli [5]. Questo numero è già incredibilmente alto e tende ad aumentare di un 3.5% ogni anno [6] .

Secondo Roosendaal e Geurts [7] le pubblicazioni scientifiche, in modo particolare i periodici, svolgono le seguenti funzioni:

Questa funzione è l'unica delle quattro sopra citate ad essere condivisa tra editori e biblioteche [8].

In un contesto informativo estremamente ricco, frammentato e complesso quale è quello attuale il tradizionale paradigma della comunicazione scientifica sopra descritto, sostanzialmente incardinato intorno a due tipologie di documento, periodici e monografie, sta diventando obsoleto e mostra segni di profondi cambiamenti. Cope e Kalantzis [9] identificano alcune forze dirompenti che stanno trasformando in maniera radicale i canali e gli strumenti della comunicazione scientifica:

  1. La tecnologia. E' di gran lunga la forza dirompente più visibile, anche se in alcuni casi non è la principale, dal momento che è possibile utilizzare la tecnologia per replicare in modo automatico i processi del mondo analogico. I nuovi mezzi di comunicazione sono di fatto ambienti nuovi e i nuovi ambienti, scrive McLuhan, "sono impercettibili e ciò che è percettibile nelle condizioni normali è il vecchio ambiente" [10].
  2. L'editoria elettronica è un "ambiente nuovo" nel quale, nonostante l'evoluzione dei formati e dei linguaggi di marcatura (XML), ha prevalso negli ultimi quindici anni la "metafora cartocentrica". Gli editori, anche quelli più innovativi, hanno adottato in modo pressoché uniforme il portal document format (PDF) per riprodurre in formato digitale la forma e i contenuti della carta.

    I periodici elettronici hanno così ceduto al PDF una parte della loro carica innovativa: "E-journals published in portable document format (PDF) have missed a great opportunity for change and brought little value to the scientific community (in this sense, portable really means print anywhere rather than re-use anywhere" [11].

  3. L'economia aperta della produzione della conoscenza. Nel mondo digitale la produzione della conoscenza è aperta, l'accesso alla documentazione è libero. "Un elemento chiave della crescita di Internet è stato l'accesso libero e aperto alla documentazione di base, e in special modo alle specifiche dei protocolli" [12]. Non tutta la conoscenza ovviamente è ad accesso aperto in Internet. L'informazione scientifica resta saldamente nelle mani degli editori commerciali, ma nell'ultimo decennio il movimento dell'accesso aperto (OA) ha rimesso in discussione il primato dell'editoria commerciale sull'informazione scientifica. Nonostante l'acceso dibattito sui vantaggi dell'OA, la forte inerzia delle comunità scientifiche e la disponibilità tutto sommato ancora limitata, anche se crescente, di contenuti ad accesso aperto [13], il movimento dell'Open Access sta avendo un impatto enorme sulla comunicazione scientifica, sugli strumenti, sui modelli e i canali di disseminazione della scienza, sui criteri di valutazione della ricerca.
  4. La distribuzione dei centri di produzione della conoscenza. Nel mondo digitale la produzione della conoscenza è distribuita, ossia non è più prodotta in modo esclusivo da università e/o centri di ricerca: "more knowledge is being produced in hospitals, in schools, in lawyers' offices, in business consultancies, in local government, and in amateur associations whose members are tied together by common interest" [14], e, pertanto, non è più appannaggio esclusivo di docenti e di ricercatori universitari. Nel Web 2.0, infatti, la produzione della conoscenza è sociale e si democratizza. Si può discutere sulla qualità e rilevanza di questo tipo di conoscenza ma è un fatto che gli strumenti del web sociale abbiano una potenzialità comunicativa enorme, ancorché informale e pseudoscientifica. "What will academic journals be like when they escape their heritage constraints? There will be more knowledge collaborations between knowledge creators and knowledge users, in which user commentary perhaps can become part of the knowledge itself. Knowledge making will escape its linear, lock-step, beginning–to–end process. The end point will not be a singular version of record – it will be something that can be re–versioned as much as needed. Knowledge making will be more recursive, responsive, dynamic and above all, more collaborative and social than it was in an earlier modernity that payed greater obeisance to the voice of the heroically original author [15].
  1. La geografia della conoscenza. La geografia della conoscenza favorisce i paesi ricchi a discapito dei paesi poveri, i paesi anglofoni a discapito dei non anglofoni, il centro a discapito delle periferie. Questa geografia sta comunque cambiando visibilmente man mano che i paesi asiatici e la Cina guadagnano posizioni di forza in campo economico.
  2. L'interdisciplinarietà. L'interdisciplinarietà è un requisito fondamentale per l'avanzamento della scienza. Una serie di studi incentrati sull'argomento hanno dimostrato, in anni più o meno recenti, la veridicità di questa affermazione. Ne propongono una breve rassegna Adamic et al. [16]:

Grazie allo sviluppo della tecnologia e alla pervasività della rete la scienza è dunque diventata transnazionale, interdisciplinare e collaborativa e si è arricchita di elementi e punti di vista diversificati. L'Open Access, il Web 2.0, l'e-science stimolano la partecipazione aperta e lo scambio di idee, che a sua volta favorisce la cross-fertilizzazione delle discipline, nelle scienze esatte così come nelle arti creative.

3. Dagli e- journals 1.0 agli e-journals 2.0

Per i periodici elettronici le conseguenze di queste nuove forze che stanno scardinando le trame del tradizionale paradigma della comunicazione scientifica sono molteplici e riguardano le funzioni, così come la struttura e il contenuto stesso del periodico scientifico.

3.1. Le funzioni

Nella complessità, varietà e pervasività dell'ambiente digitale, i periodici elettronici diventano solo una delle innumerevoli forme attraverso le quali si "solidifica" [20] la comunicazione scientifica, mentre perdono il loro primato rispetto alla funzione di disseminazione della ricerca, che viene in gran parte ceduta a strumenti di tipo più immediato e diretto quali, ad esempio, i repositories. "Informal pre–publication is eroding the significance of the post–publication text as both authors and readers find the immediacy of open discipline–based repositories more powerful and relevant than eventual publication"[21]. Lo scivolamento di tale funzione verso gli archivi aperti è di fatto dovuto alla sostanziale incapacità dell'editoria elettronica commerciale di migliorare i tempi [22] e le modalità di disseminazione dei risultati della ricerca scientifica. Non è un caso, infatti, che la nascita del primo deposito disciplinare (ArXiv) sia avvenuta in seno alla comunità dei fisici, che già da tempo praticavano un fecondo scambio di preprint [23].

Allo stato attuale i periodici scientifici conservano in modo esclusivo la sola funzione di certificazione [24], e il loro valore nel contesto universitario e della ricerca scientifica è legato in modo prevalente al marchio editoriale e all'avanzamento nella carriera accademica: "publishing today is the primary screening mechanism for academic appointments, grants and promotions (Katerattanakul, et al., 2003). To say the goal of academic publishing is to develop, select and diffuse knowledge is naïve when scholarly journals drive all university hiring and firing" [25] .

3.2. La struttura

Nel mondo digitale le tradizionali categorie del periodico cartaceo perdono il loro significato. I tempi di pubblicazione si annullano nei preprint e negli "Article in press" (Elsevier) o negli "As Soon As Publishable" (ACS); il concetto di sottoscrizione al singolo titolo diventa obsoleto e cede il passo alla logica delle licenze per l'accesso ai pacchetti di periodici, il cui costo viene ripartito sulla base di parametri tra loro diversi ma progressivamente sempre più lontani dalla carta (ad esempio sul criterio dell'uso); sfumano inoltre le differenze tra le varie tipologie di documento: tra e-journals e repositories, tra monografie e e-journals, tra e-journals e blogs [26].

La struttura stessa del periodico cartaceo in annate e fascicoli si disintegra e l'attenzione di chi ricerca, scrive o valuta si concentra a livello dell'articolo. Più sperimentali e innovativi appaiono essere, in questo caso, i periodici Open Access, ma vedremo come, a ruota, anche gli editori commerciali propongono ormai una serie di servizi a valore aggiunto a livello dell'articolo.

Tra i periodici Open Access emblematico è il caso di PLoS ONE [27], una delle sette riviste peer-reviewed della Public Library of Science. PLoS ONE è una rivista concepita come un grande contenitore di contenuti scientifici. Adotta al posto della suddivisione in fascicoli la logica delle collezioni. Ogni articolo viene pubblicato in almeno una collezione, ma può anche essere inserito in più collezioni [28]. Le collezioni sono in continua espansione e possono accogliere anche articoli pubblicati nelle altre sei riviste edite da PLoS.

A luglio 2009 PLoS ONE ha raggiunto la ragguardevole quota di 4800 articoli pubblicati con un tasso di crescita impressionante per una rivista nata solo tre anni prima (2006): "In 2007, the journal published 1,231 articles; in 2008 it published 2,722 articles. At current rates of growth, the journal is on track to publish over 4,300 articles in 2009 and assuming this growth continues at the same rate, in 2010 PLoS ONE could be publishing around 1% of all the articles listed in PubMed" [29].

A marzo 2009 la Public Library of Science ha anche indicato la strada per un servizio di aggregazione di metriche a livello dell'articolo, aprendo la prospettiva alla combinazione della valutazione qualitativa svolta a posteriori attraverso i blogs (Postgenomics, Nature Blogs e Bloglines), gli strumenti di social bookmarking (Connotea e CiteULike) e i commenti e le note lasciate dai lettori sulla piattaforma di PLoS con la valutazione quantitativa basata sulla logica dell'analisi citazionale, derivata dagli indici di SCOPUS e PubMed Central.

Nella direzione dei servizi offerti a livello dell'articolo si stanno muovendo anche alcuni editori commerciali, spinti in parte dalle esigenze degli utenti della rete e dalla volontà di allettarli con nuovi servizi, in parte dalla logica della concorrenza, in parte da ancora ignoti, ma molto probabili, motivi di natura economica (sezionare l'informazione scientifica per creare nuovi e diversificati canali di profitto?).

A luglio 2009 Elsevier ha annunciato il lancio di un nuovo progetto, "Article of the Future". In collaborazione con Cell Press - e quindi per i titoli Cell - il progetto prevede per i numeri pubblicati nel 2010 una rappresentazione gerarchica dell'articolo, a partire dal quale si attivano dei links alle figure, ai dati primari, alle mappe, alle citazioni, alle procedure sperimentali, alle discussioni e ai commenti correlati, consentendo all'utente di navigare in modo analitico tra le funzioni attivate [30].

Il 15 febbraio 2010 anche la Nature Publishing Group ha annunciato il lancio di un nuovo layout per le riviste del pacchetto Nature: l'articolo viene suddiviso in varie sezioni, cui si accede attraverso i links che rimandano alla metodologia di analisi, alle figure, alle immagini, ai composti chimici. Il nuovo layout consentirà l'accesso ad una serie di informazioni supplementari a livello dell'articolo, informazioni che lo corredano e lo completano (articoli correlati, video, blogs, podcasts, link al full text dell'articolo su ISI ecc…). Nell'annuncio dell'iniziativa sul sito dell'editore si legge tra l'altro che il nuovo layout "will create a flexible framework and infrastructure for future enhancements".

Per quanto innovative, queste sperimentazioni rimangono tuttavia ancora incardinate in un impianto editoriale tutto sommato tradizionale, dove l'attenzione al prodotto finale finisce per prevalere sull'aspetto comunicativo della pubblicazione scientifica: "Even the announcement of Elsevier's 'Article of the Future' does not appear to be as promising as had been expected. Its end-product is still a publication rather than a communication object" [31].


A corredo della struttura più o meno tradizionale del periodico scientifico gli editori scientifici, in modo particolare quelli appartenenti al segmento Scientifico Tecnico e Medico, propongono strumenti del web sociale di vario tipo (il più comune è il blog che affianca la testata), per consentire ai lettori - che nel contesto editoriale scientifico si identificano sostanzialmente ma non esclusivamente con i ricercatori - di commentare, votare, taggare il loro articolo preferito.

Secondo Cox e Cox [32], nel 2008 circa il 25% dei periodici scientifici offriva alcune delle tecnologie Web 2.0 (blogs, wikis, podcasts, possibilità di inserire commenti e di taggare i documenti). Tali strumenti possono essere implementati a livello di singola testata (di nuovo il caso di PLoS ONE), oppure come vere e proprie piattaforme collaborative, il cui scopo precipuo è quello di costruire intorno ad un marchio una robusta e vivace comunità di pratica. Quanto a PLoS ONE, la rivista consente ai ricercatori di commentare, votare e condividere gli articoli preferiti e incorpora EveryONE, il blog di PLoS ONE [33].

Leader nell'offerta di piattaforme collaborative è il marchio Nature Publishing Group (NPG), che per primo ha sviluppato e mantiene attivi diversi servizi Web 2.0 per le comunità di ricercatori dell'area scientifica:

Aggregano in una soluzione one-stop-shop quasi tutte le funzionalità offerte dalle piattaforme del marchio NPG Faculty of 1000 Biology [35] e Faculty of 1000 Medicine, due servizi a pagamento dell'editore Open Access BioMedCentral. Le due piattaforme sono state costruite per offrire "a next-generation literature awareness tool" [36] ai ricercatori che selezionano gli articoli più rilevanti pubblicati nelle scienze della vita e nella medicina, li commentano, assegnano loro un giudizio di qualità sulla base di una scala a tre livelli (Recommended, Must Read e Exceptional), li classificano in sette categorie (new finding, technical advance, interesting hypothesis, important confirmation, controversial findings, refutation, novel drug target) per poi inserirli in sezioni che aiutano i ricercatori ad aggregare gli articoli per aree di interesse.

Per quanto sia diffusa la sensazione che gli strumenti del Web 2.0 proposti dagli editori siano ancora sottoutilizzati, nondimeno l'approccio collaborativo sta dimostrando di possedere una carica innovativa enorme, in grado di trasformare prima la struttura, quindi il contenuto stesso delle pubblicazioni digitali.

3.3. Il contenuto

Lo scardinamento della struttura del periodico porta con sé ineludibilmente anche una trasformazione del contenuto. Per quanto possa essere arduo fare un'analisi del contenuto veicolato allo stato attuale dai periodici elettronici, nondimeno alcuni segnali di cambiamento stanno emergendo anche in relazione ai loro contenuti.

Tre i fattori che stanno avendo un impatto sul contenuto stesso degli e-journals:

  1. la già citata tendenza alla interdisciplinarietà, multidisciplinarietà e cross-fertilizzazione delle scienze;
  2. la multimedialità;
  3. il forte interesse delle comunità scientifiche verso l'aggregazione di contenuti testuali e non testuali.

Il primo punto è già stato discusso in precedenza. Ci soffermeremo quindi brevemente sui due punti successivi.

Nella realtà quotidiana la multimedialità pervade la vita delle comunità sociali e professionali. L'approccio multimediale è un tratto distintivo delle generazioni nate con Internet (Net Gen o Millennium Gen), "given that this generation of college students has grown up with computers and video games, the students have become accustomed to multimedia environments: figuring things out for themselves without consulting manuals; working in groups; and multitasking" [37], ma sta assumendo un'importanza crescente nella comunicazione scientifica nelle discipline di area scientifica e per alcune discipline di area umanistica (arti visive, antropologia, archeologia, sociologia). La creazione di una robusta infrastruttura a sostegno della creazione e archiviazione di oggetti multimediali (le piattaforme di e-learning, i repositories), la diffusione dei servizi e degli strumenti (devices) per la "mobilizzazione" delle collezioni (m-collections), il successo di YouTube in ambito accademico [38], sostengono la tendenza corrente di studiosi e ricercatori a creare e condividere in rete output multimediali a scopo di ricerca, più spesso per scopi didattici.

Nel contesto dei periodici elettronici di area scientifica, un caso di multimedialità avanzata è rappresentato dal Journal of Visualized Experiments (JoVE) [39], una rivista open access e peer-reviewed che pubblica esclusivamente video su argomenti relativi alle scienze della vita.

Come si legge sul sito della rivista, scopo di JoVE è quello di "facilitare la comprensione e la riproduzione efficace di tecniche sperimentali, dalle più semplici alle più complesse, in modo da affrontare due delle più grandi sfide poste al momento alle comunità di ricerca nelle scienze della vita: 1) la mancanza di trasparenza e la scarsa riproducibilità degli esperimenti biologici; 2) il tempo ed il lavoro necessari per apprendere nuove tecniche sperimentali" [40].

Un terzo elemento che sta avendo un impatto significativo sulla trasformazione dei contenuti delle riviste scientifiche è la necessità, fortemente sentita dalle comunità di ricercatori, di integrare nel testo dell'articolo elementi non testuali: immagini, formule, mappe, mappe concettuali, video e dati primari della ricerca (raw data).

Su questi ultimi si sta polarizzando di recente l'attenzione delle comunità scientifiche. Lo scopo di questo articolo non è di approfondire il tema complesso e attualissimo dei dati primari della ricerca, con tutte le problematiche a questi correlate (scalabilità, gestione dei diritti, attribuzione di un identificativo standard per favorire la registrazione, l'archiviazione ecc.). Basterà dunque sottolineare che la mole di dati grezzi cresce in modo esponenziale quotidianamente nelle diverse discipline, ponendo per i ricercatori, che li producono, e per le istituzioni, che dovrebbero mantenerli, problemi di gestione, manutenzione, validazione e conservazione. Non è un caso che Hey e Trefethen parlino di "diluvio di dati" (data deluge), osservando che "scientists currently generate several orders of magnitude more data than has been collected in the whole of human history" [41].

Per i ricercatori le principali problematiche relative ai raw data sono:

Con riferimento ai periodici elettronici la tendenza emergente è quella di collegare alla pubblicazione dell'articolo i dati primari soggiacenti. Si muove in questa direzione l'esperimento della rivista open access Environmental Research Letters dell'Institute of Physics Publishing (IoPP). L'IoPP ha annunciato a febbraio 2010 che consentirà agli autori che pubblicano in ERL di collegare agli articoli i dati primari delle loro ricerche. I dati relativi alle procedure sperimentali discusse nell'articolo saranno quindi liberamente scaricabili a partire dal testo dell'articolo [43].

Decisamente più innovativo è, invece, il modello di periodico proposto dal progetto Overlay Journal Infrastructure for Meteorological Sciences (OJIMS) del JISC, che combina l'idea degli overaly journal [44] con la necessità, fortemente sentita dalle comunità scientifiche, di selezionare, validare ed arricchire di contenuti (ad esempio commenti esplicativi) i dati primari della ricerca. Il progetto OJIMS ha come scopo quello di utilizzare il software open source Open Journal System per la pubblicazione di un overlay journal – il Journal of Meteorological Data – per raccogliere e validare i dati meteorologici contenuti nei repositories.

Per le comunità scientifiche il valore aggiunto di un periodico di questo tipo sta nell'opportunità di vedere riconosciuto (e citato) il proprio lavoro di ricerca sperimentale. Il prerequisito per pubblicare un overlay data journal è che i dati primari della ricerca siano resi liberamente accessibili nell'infrastruttura degli archivi ad accesso aperto [45]. Quanto all'integrazione tra articolo e video vale la pena di segnalare la piattaforma SciVee [46], che offre agli autori che depositano i loro articoli in un archivio ad accesso aperto la possibilità di integrare nel testo dell'articolo un video che ne riassume i principali argomenti.

4. Uno sguardo al futuro: gli "oggetti digitali composti" e le "enhanced publications"

Appare ormai chiaro che, per sostenere le sfide dell'e-science, il passaggio dalla carta al digitale non può più continuare ad essere la mera trasposizione da un formato all'altro, ma impone di riconsiderare completamente le modalità attraverso le quali la comunicazione scientifica è prodotta e consumata.

Al momento attuale diversi progetti [47] stanno sperimentando la realizzazione di nuovi schemi di periodici elettronici in risposta alla sopra citata esigenza di integrare nel testo elementi non testuali. L'idea intorno alla quale si incardinano questi modelli sperimentali di e-journals è quella della modularità del documento, la cui logica è stata avanzata a livello teorico alla fine degli anni Novanta da Harmsze, Van der Tol e Kircz [48]. Gli autori scompongono in moduli il corpus di un articolo scientifico: uno degli argomenti a favore della modularità, scrivono Harmsze, Van der Tol e Kircz, è il comportamento di lettura dei ricercatori: "readers hardly read articles sequentially but browse through them, looking for useful bits and pieces. In our approach, we take that behaviour as our starting point and define our modules as entities that can be read independently. Thus, every module represents only one well-defined aspect of the article".

Lo schema modulare è stato successivamente ripreso da Jane Hunter [49] nel 2006. L'autrice australiana propone di sostituire il modello tradizionale di periodico scientifico con il "scientific publication package", un pacchetto informativo che incapsula al suo interno, e mette in relazione, tutti gli elementi prodotti nello svolgimento di un'attività di ricerca: i dati primari, le condizioni sperimentali, le formule, i modelli concettuali, i software utilizzati per le analisi, i grafici, le immagini, etc.

A livello sperimentale, la tecnologia ha introiettato l'idea della modularità dei documenti nel framework Open Archives Initiative – Object Reuse and Exchange (OAI-ORE) [50]. Evoluzione tecnologica di OAI-PMH [51], il framework per eccellenza dell'interoperabilità sviluppato nel 2001 da Carl Lagoze e Herbert van De Sompel presso il Los Alamos National Laboratory (LANL), OAI-ORE definisce gli standard per la descrizione e lo scambio delle aggregazioni di risorse web. Le risorse sono descritte e scambiate "indipendentemente dalla loro localizzazione e dagli archivi che le contengono, attraverso il concetto di aggregazione. Si tratta di un approccio che permette la piena integrazione del contenuto delle biblioteche digitali nell'architettura del web, permette di sfruttare le potenzialità legate alle evoluzioni del web semantico e consente nuove modalità sia per il riuso delle risorse digitali che per il loro trasferimento tra repository" [52].

Nel framework OAI-ORE le relazioni tra le risorse hanno un peso maggiore delle risorse stesse, che sono delocalizzate e vengono aggregate on the fly su richiesta dell'utente. Tali relazioni vengono descritte attraverso una mappa relazionale: la Resource Map che esprime i rapporti semantici tra le risorse dell'aggregazione e le risorse esterne.

Una prima applicazione pratica del concetto di pubblicazione modulare sono le "Enhanced Publications" (EP), che vengono definite come "compound digital objects which combine ePrints with one or more data resources, one or more metadata records, or any combination of these. ePrints are understood as a textual resource with original scholarly work which are intended to be read by human beings, and which put forward certain academic claims. It usually contains an interpretation or an analysis of certain primary data" [53].

Si tratta di oggetti digitali composti da un testo (ePrint) arricchito dai dati grezzi, i commenti, le annotazioni, i video, le immagini, i link esterni etc., e dai metadati che descrivono le caratteristiche delle singole parti che compongono un EP. I ricercatori possono scomporre, riaggregare e riutilizzare all'infinito (riuso, multiuso) le diverse parti di un EP, abbattendo così ogni barriera temporale, logistica e disciplinare nella produzione della ricerca.

Il "D4.2 report on object models and functionalities" del progetto europeo Digital Repository Infrastructure Vision for European Research (DRIVER) II [54] definisce dieci requisiti funzionali necessari alla costruzione di un EP:

Un "dimostratore" di EP è stato realizzato da DRIVER II all'interno del work package "Discovery", il cui scopo è quello di investigare la possibilità di integrare le "Enhanced Publications" nell'infrastruttura di repositories sostenuta da DRIVER II.

5. Conclusioni

Gli "oggetti digitali composti" sono ancora in una fase di prima sperimentazione. Numerose sono le problematiche da affrontare affinché si raggiunga una loro piena funzionalità. I principali problemi con questo tipo di risorse aggregate sono i seguenti:

A questi limiti di natura tecnica e legale si aggiungono i problemi della conservazione a lungo termine di una risorsa che è sostanzialmente un'aggregazione di risorse delocalizzate in diversi repositories e, infine, il problema del versioning di un EP.

E' essenziale che le comunità di ricercatori prendano parte attiva a queste sperimentazioni, che devono poter rispondere a delle precise esigenze di ricerca. "It is a matter of the highest importance that the scientific community takes this experimentation seriously and neither bows to conservative forces that try to restrict the developments to the known and established practices of the paper world, nor surrenders to the charms and advertising power of software package manufacturers that do not guarantee interoperability between different computer systems" [55].

E' difficile immaginare come si evolveranno nella forma e nel contenuto i periodici elettronici tra dieci anni ma, quale che sia la loro evoluzione, l'adozione di nuovi modelli di periodici elettronici sarà comunque sempre subordinata alla loro capacità di rispondere alle esigenze della ricerca del Ventunesimo secolo.

Maria Cassella, Sistema bibliotecario di ateneo - Università di Torino, e-mail: maria.cassella@unito.it


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario I periodici in biblioteca tra crisi e opportunità, Modena, Biblioteca della Fondazione San Carlo, 10 dicembre 2009.

[1] Secondo Ann Okerson si tratterebbe di New Horizons in Adult Education, vol. 1, n.1, (autunno 1987). Corrado Pettenati, invece, individua come primo periodico comparso in formato elettronico, la pubblicazione dell'APA, American Psychological Association, Psycoloquy, Vol 1, issues 1-7 1990.

[2] Kircsz scrive a tal proposito che Henry Oldenburg "emphasizes in a letter to the great chemist Boyle, the role of the Society in safeguarding the integrity and intellectual ownership of scientific reports, which he vested in the Transactions", (Joost G. Kircz, Modularity: the next form of scientific information presentations?, "Journal of Documentation", 54 (1998) 2, p. 210-235, disponibile come preprint all'indirizzo <http://www.science.uva.nl/projects/commphys/papers/jkmodul.htm>.

[3] Jean-Claude Guédon, Per la pubblicità del sapere: i bibliotecari, i ricercatori, gli editori e il controllo dell'editoria scientifica, traduzione dall'originale inglese di Maria Chiara Pievatolo, Brunella Casalini e Francesca Di Donato, Pisa, Plus-Pisa University Press, 2004. La citazione è a pagina 40 del volume che è disponibile alla URL <http://bfp.sp.unipi.it/ebooks/guedon.html>.

[4] Francesca Di Donato, La scienza e la rete: l'uso pubblico della ragione nell'età del web, Firenze, Firenze University Press, 2009, p. 30 <http://www.fupress.com/Archivio/pdf%5C3867.pdf>.

[5] Tale cifra è assolutamente indicativa. Ad esempio, secondo Stevan Harnad il numero di articoli pubblicati annualmente nelle riviste scientifiche ammonterebbe a due milioni e mezzo (Stevan Harnad, The PostGutenberg open access journal, in The future of the academic journal, edited by Bill Cope and A. Phillips, Oxford, Chandos, 2009. Il contributo di Harnad è disponibile alla URL <http://eprints.ecs.soton.ac.uk/15617/>).

[6] Mark Ware - Michael Mabe, The STM report: an overview of scientific and scholarly journal publishing, September 2009.

[7] Hans Roosendaal - Peter Geurts, Forces and functions in scientific communication: an analysis of their interplay, "Cooperative Research Information Systems in Physics", August 31 - September 4 1997, Oldenburg, Germany, <http://www.physik.uni-oldenburg.de/conferences/crisp97/roosendaal.html>. John Willinsky, al contrario, propone tre funzioni per le pubblicazioni scientifiche: sviluppo di conoscenze innovative, valutazione della qualità e disseminazione (John Willinsky, Proposing a knowledge exchange model for scholarly publishing, "Current Issues in Education", 3 (2000) 6, pp. 1-6 disponibile alla URL <http://educ.ubc.ca/faculty/ctg/pkp/kem/kem.pdf >).

[8] Il digitale ha rafforzato questa sinergia tra editori e biblioteche. Le principali iniziative di conservazione di periodici elettronici (LOCKSS, CLOCKSS, Portico) nascono infatti da un'efficace e attiva collaborazione tra editori e biblioteche.

[9] Bill Cope - Mary Kalantzis, Signs of epistemic disruption: transformations in the knowledge system of the academic journal, "First Monday", 14, 6 April 2009.

[10] H. Marshall McLuhan, Media e nuova educazione: il metodo della domanda nel villaggio globale, a cura di Ester Gandini Gamaleri, Roma, Armando, 1998, p. 21.

[11] Peter Murray-Rust - Henry S. Rzepa, The Next Big Thing: from hypermedia to datuments , "Information Design Models and Processes", 5 (2004) 1 <http://www.informatik.uni-trier.de/~ley/db/journals/jodi/jodi5.html>.

[12] B. M. Leiner - V. G. Cerf - D. D. Clark - R.E. Kahn - L. Kleinrock - D. C. Lynch - J. Postel, L. G. Roberts - S. Wolf, A Brief History of the Internet, 10 December 2003, online alla URL: <http://www.isoc.org/internet/history/brief.shtml>.

[13] "The status quo in 2008 is that about 15% of the 2.5 million peerreviewed articles published annually are spontaneously being made OA by their authors" (Stevan Harnad, 2009, cit.).

[14] Bill Cope - Mary Kalantzis, 2009, cit.

[15] Ibid.

[16] Lada A. Adamic et al., Individual focus and knowledge contribution, "First Monday", 15, 1, March 2010, <http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/view/2841/2475>.

[17] J. S. Katz - Diana Hicks, How much is a collaboration worth? A calibrated bibliometric model, "Scientometrics", 40 (1997) 3, p. 541-554.

[18] Stefan Wuchty - Benjamin F. Jones - Brian Uzzi, The increasing dominance of teams in production of knowledge, "Science", 316 (2007) 5827, p. 1036–1039 <http://www.sciencemag.org/cgi/content/full/316/5827/1036>.

[19] Benjamin F. Jones, Stefan Wuchty, Brian Uzzi, Multi–university research teams: Shifting impact, geography, and stratification in science, "Science", 322, (2008) 5905, p. 1259–1262 <http://www.sciencemag.org/cgi/content/full/322/5905/1259>.

[20] La splendida metafora della liquidità delle pubblicazioni scientifiche fa riferimento all'articolo di Fabio Casati, Fausto Giunchiglia e Maurizio Marchese, Liquid Publications: scientific publications meet the web: changing the way scientific knowledge is produced, disseminated, evaluated and consumed, <http://eprints.biblio.unitn.it/archive/00001313/01/073.pdf>, evoluzione del paper di Fabio Casati, Fausto Giunchiglia e Maurizio Marchese, Publish and perish: why the current publication and review model is killing research and wasting your money, "ACM Ubiquity" 8 (2007) 3, <http://eprints.biblio.unitn.it/archive/00001086/01/066.pdf>.

[21] Bill Cope - Mary Kalantzis, 2009, cit.

[22] Vorrei sottolineare che l'idea di rendere accessibili gli articoli mentre sono ancora in fase di pubblicazione è stata introdotta dai principali editori internazionali da qualche anno e, comunque, solo dopo il successo della condivisione dei preprint in rete attraverso i subject repositories.

[23] Luisella Goldschmidt-Clermont, Communication Patterns in High-Energy Physics, february 1965. Ripubblicato in "High Energy Physics Libraries Webzine", 6, March 2002, <http://library.cern.ch/HEPLW/6/papers/1/> e in traduzione italiana a cura di Fiorella Paino, revisione e adattamento di Antonella De Robbio con il titolo Modelli di comunicazione nella fisica della alte energie, "Bibliotime", 7 (2004) 2, <http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vii-2/goldschm.htm>.

[24] Per quanto ciò sia vero, nondimeno si sta discutendo in seno alle comunità scientifiche più avanzate della possibilità che la funzione di certificazione venga svolta in modo differente e, possibilmente, sottratta al controllo degli editori. Rodriguez et al., ad esempio, propongono che tale funzione venga svolta con procedure automatiche all'interno dei repositories o tra i repositories. Cfr. Marko Rodriguez - Johan Bollen - Herbert Van de Sompel, The convergence of digital libraries and the peer-review process, "Journal of information science", 32 (2005) 2, p. 149-159 <http://arxiv.org/abs/cs.DL/0504084>.

[25] Brian Withworth - Rob Friedman, Reinventing academic publishing online. Part I: rigor, relevance and practice, "First Monday", 14, 3 August 2009 <http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/view/2609/2248>.

[26] Questa mia affermazione è stata confermata da Jean-Claude Guédon nella una sua prolusione tenuta a Torino in occasione dell'OpenAccesDay@polito, il 27 novembre 2009. Un esempio di funzione mista tra e-journal e repository è eScholarship, il repository dell'University of California <http://escholarship.org/>.

[27] <http://www.plosone.org/home.action>.

[28] Alla data di marzo 2010 le collezioni attivate da PLoS ONE sono: the TOPP collection, the stress-induced depression and comorbidities: from bench to bedside collection, the paleontology collection, the prokaryotic genome collection, the structural biology and human health collection. Ultima nata la Dream3 collection.

[29] Peter Binfield, PLoS One: background, future development, and article-level metrics, in Proceedings of the 13th International Conference on Electronic Publishing held in Milano, Italy 10-12 June 2009, edited by Susanna Mornati and Turid Hedlund, <http://elpub.scix.net/cgi-bin/works/Show?114_elpub2009 > disponibile anche alla URL <http://conferences.aepic.it/index.php/elpub/elpub2009/paper/view/114/51>.

[30] Per approfondimenti sul progetto "Article of the Future" rimando all'home page del sito di Cell sul quale si trova anche un video esplicativo sulle nuove funzioni che corredano l'articolo, <http://beta.cell.com/index.php/2010/01/cell-launches-article-of-the-future-format>.

[31] Arjan Hogenaar, Enhancing scientific communication through aggregated publications environments, "ARIADNE", 61 October 2009, <http://www.ariadne.ac.uk/issue61/hogenaar/>. Se ciò che scrive Hogenaar è vero, è altresì vero che l'Elsevier sta investendo massicciamente negli ultimi tempi nella sperimentazione relativa alla struttura dei periodici elettronici di area scientifica. A novembre 2009, infatti, l'editore olandese ha annunciato, sempre per le riviste Cell, il lancio di un nuovo research tool: Reflect. Reflect indentifica le proteine, i geni e le piccole molecole menzionate negli articoli e genera delle finestre pop-up contenenti informazioni e link addizionali relativi a queste entità.

[32] John Cox - Laura Cox, Scholarly publishing practice 3: academic journal publishers' policies and practices in online publishing. Third survey, 2008.

[33] <http://everyone.plos.org/>

[34] <http://www.connotea.org/>; <http://precedings.nature.com/>; <http://network.nature.com/>; <http://blogs.nature.com/>; <http://www.nature.com/scitable>.

[35] <http://f1000biology.com/> ; <http://f1000medicine.com/>.

[36] La citazione è tratta dai siti delle due piattaforme.

[37] Joan K. Lippincott, Net generation students and libraries, in Educating the net generation, edited by Diana G. Oblinger and James L. Oblinger, EDUCAUSE, 2005, <http://www.educause.edu/educatingthenetgen>.

[38] Mi riferisco a YouTube.edu, canale YouTube dedicato a video didattici e educativi <http://www.youtube.com/education?b=400>.

[39] <http://www.jove.com/>.

[40] <http://www.jove.com/index/About.stp>.

[41] Tony Hey - Anne E. Trefethen, The Data deluge: an e-Science perspective, in Grid Computing: making the global infrastructure a reality, edited by F. Berman, G. C. Fox and A. J. G. Hey, Wiley and Sons, 2003, p. 809-824.

[42] Si muove nella direzione del libero riutilizzo dei dati primari il movimento Open Data. Fondato dal chimico Peter Murray-Rust, il movimento condivide gli obiettivi dell'Open Access e dell'Open Source. Si propone di rendere immediatamente "accessibili a chiunque i dati primari della ricerca, senza limitazione di copyright, brevetti o altri meccanismi di controllo". Su Open Data si legga la relativa voce su Wikipedia, <http://en.wikipedia.org/wiki/Open_Data>. Per approfondimenti sui raw data si legga anche l'articolo di Peter Murray-Rust, Open Data in science, "Serials review", 34 (2008) 1, p. 52-64 disponibile all'indirizzo <http://precedings.nature.com/documents/1526/version/1> .

[43] <http://www.knowledgespeak.com/newsArchieveviewdtl.asp?pickUpID=9707&pickUpBatch=1375#9707>.

[44] Peter Suber nella sua "Guide to Open Access Movement" definisce un overlay journal come "an open-access journal that takes submissions from the preprints deposited at an archive (perhaps at the author's initiative), and subjects them to peer review.[…] Because an overlay journal doesn't have its own apparatus for disseminating accepted papers, but uses the pre-existing system of interoperable archives, it is a minimalist journal that only performs peer review" (<http://www.earlham.edu/~peters/fos/guide.htm>).

[45] Si legga sul progetto OJIMS l'articolo di Sarah Callaghan, Sam Pepler, Fiona Hewer, Paul Hardaker and Alan Gadian, How to publish data using overlay journals: the OJIMS project, "ARIADNE," 61 October 2009, <http://www.ariadne.ac.uk/issue61/callaghan-et-al/>.

[46] <http://www.scivee.tv/journal>.

[47] Mi riferisco ai progetti ESCAPE (<http://escapesurf.wordpress.com/about/>); eSciDoc (<https://www.escidoc.org/>); SCOPE (Scientific Compound Object Publishing and Editing). Su quest'ultimo si legga: Kwok Cheung - Jane Hunter - Anna Lashtabeg - John Drennan, SCOPE: a scientific compound object publishing and editing system, "The international journal of digital curation", 3 (2008) 2, p. 4-16 <http://www.ijdc.net/index.php/ijdc/article/view/84/0>.

[48] F.A.P. Harmsze., M.C. Van der Tol, J.C. Kircz, A modular structure for electronic scientific articles, "Proceedings of the Conference on Information Sciences", Amsterdam, 1999, <http://www.science.uva.nl/projects/commphys/papers/infwet/infwet.html>.

[49] Jane Hunter, Scientific Publication Packages: a selective approach to the communication and archival of scientific output, "The international journal of digital curation", 1 (2006) 1, p. 3-16, <http://www.ijdc.net/index.php/ijdc/article/viewFile/8/4>.

[50] <http://www.openarchives.org/ore/>.

[51] <http://www.openarchives.org/OAI/2.0/openarchivesprotocol.htm>.

[52] Valdo Pasqui, Evoluzione dei sistemi di gestione bibliotecaria tra vecchi e nuovi paradigmi, "Bollettino AIB", 49 (2009) 3, p. 289-305. La citazione è a pagina 296. <https://www.aib.it/aib/boll/2009/0903289.htm>.

[53] DRIVER II: grant agreement 212147, D24.2 report on object models and functionalities, November 2008, p. 7, <http://www.driver-repository.eu/component/option,com_jdownloads/Itemid,58/task,summary/cid,54/catid,8/>. In realtà non c'è accordo sulla definizione di EP. Per alcuni un EP deve includere necessariamente una pubblicazione testuale; per altri, invece, un EP può anche essere costituito, ad esempio, solamente da un video e da dati.

[54] <http://www.driver-community.eu/>.

[55] Joost G. Kircz, New practices for electronic publishing 2: new forms of the scientific paper, "Learned publishing", 15 (2002) 1, p. 27-32 <http://www.ingentaconnect.com/content/alpsp/lp/2002/00000015/00000001/art00004>.




«Bibliotime», anno XIII, numero 1 (marzo 2010)

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