«Bibliotime», anno XIII, numero 3 (novembre 2010)

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Paola Galimberti

Il paradigma dell'Open Access: per una gestione più equa dei diritti d'autore in ambito accademico



1. Premessa

Le questioni legate ai diritti d'autore sono di primaria importanza per il popolamento degli archivi istituzionali, e spesso rappresentano per gli autori l'ostacolo maggiore all'autoarchiviazione.

Quando parliamo di editoria scientifica intendiamo quei lavori frutto di finanziamenti pubblici perché prodotti dai ricercatori, validati dai ricercatori e la cui pubblicazione in alcuni casi, soprattutto in ambito umanistico, è finanziata dalle istituzioni. Intendiamo dunque un segmento di letteratura che non è prodotta per ottenere un vantaggio economico, ma visibilità, reputazione e, in conseguenza di ciò, avanzamento nella carriera accademica. Per questo motivo, dunque, è fondamentale che l'opera possa essere letta, discussa, e in alcuni casi, anche criticata dal maggior numero possibile di persone.

L'attuale sistema di disseminazione dei lavori di ricerca è insoddisfacente sotto diversi punti di vista. Nell'ambito delle scienze dure l'aumento del prezzo dei periodici esclude dall'accesso una grossa fetta di ricercatori (ad esempio quelli dei paesi del terzo mondo), i tempi di pubblicazione restano lunghissimi, la pubblicazione online risulta spesso una trasposizione del formato cartaceo in formato elettronico, senza che vengano sfruttate appieno le potenzialità del web. Nell'ambito delle scienze umane i tagli ai bilanci delle biblioteche si ripercuotono sugli acquisti di materiale non vincolato (da contratti pluriennali), tipicamente il materiale prodotto dai ricercatori di ambito umanistico.

Una maggiore disponibilità in rete dei lavori di ricerca sarebbe fondamentale sia nell'ambito delle scienze dure che in quello delle scienze umane, ma per poter assicurare a tutti questa disponibilità gli autori devono essersi riservati il diritto di farlo.

I ricercatori dovrebbero essere convinti del valore del proprio lavoro al punto da voler controllare quali usi ne vengono fatti e, soprattutto, da riservarsi la possibilità di riutilizzo a fini scientifici e didattici. Eppure, nella maggior parte dei casi, essi cedono il controllo esclusivo della propria produzione agli editori. Ciò crea una serie di limiti alla diffusione delle conoscenze scientifiche e al loro impatto.

Cedendo l'esclusiva sui diritti economici fondamentali (riproduzione, distribuzione, diffusione), gli autori si negano la possibilità di riutilizzare i propri lavori a scopi didattici o scientifici, come ad esempio depositarle nell'archivio istituzionale dell'ateneo, ripubblicarle in lavori successivi, distribuirle a lezione ai propri studenti, etc.

Il contratto di edizione, lo strumento che gestisce il rapporto fra autore ed editore e che determina quanti e quali diritti vengono ceduti, viene di solito firmato senza che vi sia stata data neppure una scorsa veloce. Una lettura attenta e consapevole dei contratti di edizione, una gestione responsabile dei diritti d'autore e la capacità di discuterli con l'editore appaiono requisito fondamentale per poter assicurare un accesso globale e diffuso alla ricerca scientifica.

La maggior parte degli editori in ambito internazionale ha accolto l'istanza di disseminazione dei risultati della ricerca portata avanti dai ricercatori e che, con diverse modulazioni, permette l'autoarchiviazione. Gli editori italiani invece (con cui pubblicano per lo più gli studiosi di ambito umanistico) non hanno ancora formulato, salvo rare eccezioni, una politica chiara rispetto al riutilizzo dei testi negli archivi istituzionali.

Se poniamo l'autore al centro del circuito della comunicazione scientifica, tre sono le tipologie di relazioni che egli intrattiene e che devono essere regolamentate dal diritto d'autore: il rapporto con l'editore, quello con l'istituzione e quello con i lettori. Queste relazioni a loro volta sono dipendenti le une dalle altre: quindi, ad esempio, dai diritti ceduti all'editore dipenderanno quelli ceduti all'istituzione e quelli ceduti ai lettori, ovvero, a seconda dei diritti ceduti all'istituzione dipenderà quali diritti l'autore può cedere all'editore.

2. Quali diritti?

La Legge 633/1941 [1] (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) [1] tutela "le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione" (art. 1).

La legge non richiede che l'opera sia stata fissata su un supporto materiale o ne sia avvenuta la pubblicazione, ma solo che abbia trovato piena espressione in una rappresentazione o in una forma compiuta. E' questa forma ad essere tutelata, non le idee che essa veicola e che appartengono a tutti.

La titolarità su un'opera prevede due categorie di diritti: quelli morali (art. 22-24), che sono irrinunciabili e indisponibili in quanto strettamente legati alla persona dell'autore (ad esempio il diritto di paternità, di integrità, di pubblicazione, di inedito) e i diritti patrimoniali, una serie di facoltà esclusive fra cui il diritto di pubblicare, riprodurre, eseguire, rappresentare, tradurre o recitare in pubblico un'opera.

I diritti patrimoniali sono indipendenti l'uno dall'altro, il che significa che l'esercizio di uno non esclude (o comprende) l'esercizio di tutti gli altri (art. 19); inoltre tali diritti riguardano sia l'opera nel suo insieme, che ciascuna delle sue parti. I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno dopo la sua morte. Trascorso questo periodo l'opera entra nel pubblico dominio e può essere liberamente utilizzata da tutti senza il consenso dell'avente diritto. Appartengono alla sfera dei diritti patrimoniali il diritto di riproduzione, quello di distribuzione, quello di diffusione, di comunicazione al pubblico, di traduzione etc. Sono i diritti patrimoniali ad essere oggetto dei contratti di edizione.

E' opportuno ricordare che la trasmissione avviene nella prassi per iscritto. La forma scritta non è obbligatoria, ma è richiesta come prova del trasferimento dei diritti in caso di contenzioso. I diritti patrimoniali possono essere ceduti in forma esclusiva o in forma non esclusiva. Un diritto ceduto in forma esclusiva può essere esercitato esclusivamente dal soggetto titolare che stabilisce:

Nel caso di cessione non esclusiva è possibile trasferire lo stesso diritto a più soggetti

Lo strumento attraverso cui si trasferiscono i diritti patrimoniali (trasferimento che può avvenire a titolo oneroso o meno) è il contratto di edizione [2]. La Legge sul diritto d'autore disciplina i contratti di edizione agli articoli 118-135. Tra le norme contenute negli articoli alcune sono imperative e non ammettono deroghe, altre hanno invece carattere dispositivo e lasciano dunque alle parti una relativa autonomia nel regolamentare alcuni aspetti in maniera diversa (Cecchini, 2000). Una buona gestione dei diritti ed una attenta contrattazione sono il presupposto per l'autoarchiviazione dei lavori di ricerca negli archivi istituzionali.

Un punto importante da tenere presente è il principio di neutralità, vale a dire che la Legge sul diritto d'autore non distingue fra opera e opera, e incentiva maggiormente quelle opere il cui valore sta nella forma. Borghi (2006) fa notare come già i giuristi dell'Ottocento avessero colto questa neutralità della Legge. A questo proposito Antonio Scialoja, nella relazione che accompagna la prima legge unitaria sul diritto d'autore (1865) dice:

Non senza ragione le opere più fruttifere di guadagni sogliono essere quelle in cui predomina il pregio della forma e che perciò tengono più all'arte che alla scienza; perciocché la forma è proprio l'obbietto prodotto sul quale possa esercitarsi il diritto esclusivo della riproduzione e dello spaccio. Tutto ciò che è puro concetto esce dai confini del mio e del tuo estrinseco e materiale, che costituisce la vera materia del mondo economico. E perciò le opere di scienza, essendo più concetto che forma, rendon poco danaro agli autori sebbene possano render loro molta gloria. Il che prova come la ragione del diritto diventi nella pratica la misura dell'utile, e come questa ragione e questa misura, per ciò che concerne le opere dell'ingegno, consistano nella forma che ne individua e ne esterna il concetto [3].

Non esiste dunque, nella legge sul diritto d'autore, uno statuto della conoscenza scientifica, la Legge è neutrale rispetto ad oggetti che hanno finalità e destinazioni molto diverse. Una cosa è l'industria dell'intrattenimento, il cui scopo è l'incentivo dei produttori e dei creatori, altra cosa è la conoscenza scientifica, il cui scopo è la massima diffusione possibile per il progresso della scienza.

Lawrence Lessig (2002), nel suo fortunato testo Il futuro delle idee, scrive che "un sistema giuridico, e più in generale la società, deve fare attenzione a calibrare il tipo di controllo sul tipo di risorsa. La taglia unica non si adatta a tutto" [4].

A questo proposito un recente studio di un giurista dell'Università di Harvard, Steven Shavell (2009), propone l'ipotesi suggestiva dell'abolizione del copyright sui lavori di ricerca. Se scopo del copyright è incentivare la creatività, tale scopo appare poco applicabile in ambito accademico. In assenza di copyright, infatti, i lavori accademici potrebbero godere di una diffusione molto più ampia e i loro autori di un maggiore prestigio. L'eliminazione del copyright porterebbe gli editori ad imporre agli autori (o meglio alle loro istituzioni) il pagamento di una quota per la pubblicazione e ciò potrebbe servire da incentivo agli autori.

Secondo Shavell una modifica della legge sarebbe presupposto per un accesso illimitato alle pubblicazioni accademiche, che è molto più di quanto non sia riuscito ad ottenere fino ad oggi il movimento dell'Open Access [5]. La motivazione principale è che l'adesione all'Open Access di singoli ricercatori non cambia l'assetto attuale del sistema delle opere sotto copyright, che continua ad esistere, impedendo magari a quegli stessi ricercatori l'accesso alle opere di altri che non hanno optato per l'Open Access.

3. Il rapporto autore-editore

Per poter riprodurre un'opera, in Internet o con altro mezzo, e per diffonderla, l'autore deve dunque aver trattenuto per sé alcuni diritti che, nella prassi comune, vengono ceduti all'editore. Agli autori manca totalmente la consapevolezza dei propri diritti. Spesso firmano i contratti in maniera automatica, senza leggerli, e cedono agli editori in forma esclusiva tutti i diritti di sfruttamento economico, anche quelli non strettamente necessari per la pubblicazione [6].

Se la legge prevede che il contratto di edizione sia frutto di una trattativa bilaterale, di fatto gli autori, fino ad oggi, hanno considerato il contratto di edizione una incombenza burocratica a cui prestare l'attenzione necessaria per una firma. Questo comportamento ha però una ricaduta tutt'altro che insignificante sulla possibilità di riutilizzo dei propri testi. La cessione in forma esclusiva dei diritti preclude una serie di riutilizzi delle proprie opere (a scopo didattico o scientifico), per i quali dovrà essere richiesto il permesso agli editori i quali possono concederlo o meno, a titolo oneroso o meno.

Il progetto Sherpa/Romeo

I maggiori editori internazionali acconsentono a una qualche forma di autoarchiviazione. Il fenomeno dell'accesso aperto si è infatti diffuso velocemente in ambito internazionale. Sono parecchi (e prestigiosi) gli enti finanziatori della ricerca che prevedono l'obbligo di deposito dei lavori finanziati in un repository disciplinare o istituzionale, per cui gli editori sono stati costretti a prendere una posizione al riguardo. Il progetto Sherpa/RoMEO [7], finanziato da JISC (Joint Information System Committee), analizza e censisce le politiche di oltre 780 editori che rappresentano circa il 90% delle riviste peer reviewed (per lo più di lingua inglese).

Ad ogni editore viene assegnato un colore che corrisponde ad una minore o maggiore apertura verso l'autoarchiviazione. Gli editori verdi consentono l'archiviazione di pre- e post-print [8]. Gli editori blu consentono l'archiviazione del post- print. Gli editori gialli consentono l'archiviazione del pre-print. Gli editori bianchi non consentono alcuna archiviazione (anche se è sempre possibile richiedere individualmente il permesso di autoarchiviazione e vedere cosa risponde l'editore).

Fig. 1 La distribuzione dei colori con numeri e percentuali degli editori censiti da Sherpa/RoMEO

 

Il database permette di effettuare la ricerca per editore ma anche per singolo titolo della rivista. Per ogni editore o titolo individuato vengono poi rese esplicite le condizioni a cui l'autoarchiviazione è concessa:

Quando si consulta la banca dati è opportuno controllare non solo la politica dell'editore ma anche quella della rivista. Alcuni editori, infatti, prevedono politiche differenti a seconda delle testate. Nella banca dati è possibile anche controllare quali editori prevedono l'autoarchiviazione della versione editoriale [10].

Per quegli editori di cui non si conosce la politica (per esempio la maggior parte degli editori italiani), e qualora siano stati ceduti in maniera esclusiva i diritti necessari alla riproduzione e alla distribuzione, è necessario inoltrare di volta in volta richiesta scritta. Alcuni Atenei forniscono questo servizio in maniera centralizzata, altri invece lasciano che siano gli autori stessi a risolvere la questione e a contattare individualmente gli editori. Manca per gli editori italiani un archivio che raccolga le politiche degli editori che, in questo momento, risultano ancora piuttosto confuse.

Sherpa/RoMEO è un database internazionale che contiene principalmente riviste di lingua inglese. In alcune nazioni è sorta la necessità di integrare l'archivio con le policy degli editori locali. Sono nate così esperienze come OAKlist (Australia) [11], Sherpa/RoMEO Deutsch [12] e Dulcinea (Spagna) [13].

4. Forme alternative di gestione dei diritti

Per pubblicare i lavori di ricerca gli editori non hanno bisogno della cessione esclusiva di tutto il fascio di diritti di sfruttamento economico. Gli autori, dal canto loro, non hanno bisogno di tutti i diritti di sfruttamento economico per poter rendere accessibile la propria opera ad un pubblico che sia il più ampio possibile. In teoria, dunque, un bilanciamento nella distribuzione dei diritti è realizzabile.

La cosa migliore per una gestione equa e bilanciata dei diritti è che autori ed editori chiariscano fin dall'inizio quali diritti vengono ceduti e in che forma (esclusiva o no). Vi sono alcun strumenti che permettono di gestire i diritti in maniera complementare o alternativa al contratto di edizione. Gli autori dovranno considerare con attenzione se proporre un addendum ai contratti standard o sottoporre all'editore un contratto alternativo.

Addenda

Vi sono varie possibilità per l'autore di riservare per sé e per la propria istituzione una parte dei diritti di sfruttamento economico. Una di queste è l'addendum al contratto di edizione. Dal punto di vista tecnico l'addendum è uno schema contrattuale che mira a modificare il contratto di edizione; dal punto di vista del contenuto esso riserva all'autore alcuni diritti che gli permettono di riutilizzare la propria opera (ad esempio autoarchiviarla nel repository istituzionale).

Vi sono varie tipologie di addenda. Science Commons [14] ha sviluppato il programma SCAE (Scholar's Copyright Addendum Engine [15]), che propone varie opzioni. In base a queste, vengono generati automaticamente quattro diversi modelli di addendum che l'autore può far includere nel contratto di edizione.

L'addendum di SPARC e Science Commons (uno dei quattro addenda generati dal motore) prevede anche l'obbligo per l'editore di consegnare all'autore la versione finale in PDF entro 15 giorni dalla pubblicazione. Gli addenda si riferiscono in particolare agli articoli, ma anche per quanto riguarda altre tipologie di materiali ci sono degli esempi interessanti. Fra questi, Ohiolink [16] ha sviluppato una propria versione dell'addendum [17] che viene applicata anche a libri, saggi, capitoli, atti di convegno.

Con l'addendum l'autore trattiene per sé alcuni diritti, fra cui il diritto di riprodurre, distribuire, rappresentare e comunicare l'articolo con ogni mezzo e a scopi non commerciali, di creare opere derivate e di autorizzare dei soggetti terzi ad utilizzi non commerciali dell'articolo. Va sottolineato che, nel caso dell'addendum, i diritti restano all'editore, a cui l'autore richiede quei diritti necessari per riutilizzi a fini didattici o scientifici.

Si fa presente che, soprattutto per quanto riguarda la situazione italiana, non in tutti i casi gli autori sottoscrivono un contratto. In assenza di contratto scritto vale quanto stabilito dalla legge 633/1941 all'art. 42:

L'autore dell'articolo o altra opera che sia stato riprodotto in un'opera collettiva ha diritto di riprodurlo in estratti separati o raccolti in volume, purché indichi l'opera collettiva dalla quale è tratto e la data di pubblicazione. Trattandosi di articoli apparsi in riviste o giornali, l'autore, salvo patto contrario, ha altresì il diritto di riprodurli in altre riviste o giornali.

Un autore che non ha sottoscritto alcun contratto può dunque depositare il proprio lavoro in un archivio istituzionale, previe le menzioni d'uso.

La Licence to publish di Jisc e Surf

Alcune università straniere hanno preferito elaborare una propria licenza da sottoporre all'editore piuttosto che utilizzare uno degli addenda generabili con SCAE. Con la LtP (License to Publish) l'autore concede all'editore l'utilizzo - in via non esclusiva o in via esclusiva per limitate finalità - della propria opera relativamente alla pubblicazione della stessa. Così il punto di vista cambia totalmente. In questo caso è infatti l'autore a mantenere tutti i diritti e a concederne alcuni all'editore. JISC e SURF hanno elaborato una License to publish [18] che prevede che:

La License to Publish è stata tradotta e armonizzata in diversi paesi europei (Germania, Francia, Olanda, Spagna, Portogallo, Svezia, Finlandia, Norvegia) e un gruppo di studio ne prevede delle modifiche periodiche.

Sono parecchi gli editori che ormai prevedono una License to publish [19] al posto del copyright transfer agreement. Gli editori open access come Biomedcentral [20] o PLoS [21] prevedono una cessione dei diritti limitata alla pubblicazione dell'articolo, ma di recente anche un editore come Nature Publishing Group ha cominciato a non richiedere più agli autori di ricerche originali la cessione dei diritti d'autore: è prevista la cessione esclusiva dei diritti limitatamente alla pubblicazione, lasciando l'autore libero di riutilizzare la propria opera senza chiedere il permesso. NpG mantiene invece i diritti esclusivi per le opere commissionate, ad esempio le reviews [22].

5. Il rapporto autore-istituzione

è importante che l'autore garantisca (anche in forma scritta) a chi gestisce il repository istituzionale di essere effettivamente l'autore dell'articolo, di avere il diritto di riprodurlo e diffonderlo attraverso l'archivio istituzionale e di avere assolto ad eventuali obblighi nei confronti di terzi. è anche importante definire chiaramente quali sono gli utilizzi consentiti agli utenti. In assenza di licenze o di un testo di copyright varrà quanto previsto dalla legge sul diritto d'autore.

Gli autori che ne possiedono il diritto possono autorizzare le proprie istituzioni a esercitare il diritto di riproduzione e distribuzione delle loro opere attraverso una licenza di archivio, così come il diritto di archiviare e conservare l'opera. Le licenze differiscono in base ai diritti concessi, al periodo di vigenza e al luogo in cui tale licenza è valida. Molte università straniere hanno già predisposto un loro modello di licenza attraverso il quale l'autore cede all'istituzione alcuni dei diritti sui propri articoli (che deve quindi essersi a sua volta riservato almeno in forma non esclusiva). La cessione dei diritti al proprio ateneo avviene sempre in forma non esclusiva. Tale forma di licenza permette al licenziatario (l'istituzione) di esercitare tutti i diritti contenuti nella licenza, lasciando però libero il licenziante (l'autore) di garantire gli stessi diritti ad altri o di esercitarli in proprio.

Il modello ottimale è quello di una licenza valida per tutto il mondo, gratuita, non esclusiva e di durata pari a quella del diritto d'autore applicabile all'opera. L'autore concede all'istituzione il diritto di archiviare, riprodurre e migrare l'opera per mantenerla accessibile nel tempo, il diritto di distribuire l'opera attraverso l'archivio istituzionale e di permettere agli utenti di riprodurla e distribuirla con ogni mezzo e in ogni formato purché ne venga riconosciuta la paternità. La licenza di deposito dovrebbe essere irrevocabile [23].

6. Il rapporto autori-lettori

Poiché spesso si crede che di un'opera trovata in Internet si possa fare qualsiasi utilizzo, molti repository hanno predisposto un disclaimer attraverso il quale spiegano ai propri utenti quali sono gli usi consentiti relativamente al materiale contenuto, o testi di copyright validi a seconda della tipologia dell'opera.

Per i post-print contenuti nell'archivio (cioè per quei materiali su cui insistono già i diritti di un terzo, tipicamente l'editore) sarà consentito solo l'uso personale, senza fini di lucro e a scopo di studio o di ricerca. Per quanto riguarda i pre-print e il materiale che trova nell'archivio, l'unica forma di pubblicazione sarà invece opportuna l'associazione di una licenza Creative Commons.

Le licenze Creative Commons [24] si collocano in posizione intermedia fra il regime del copyright ("Tutti i diritti riservati") e quello del pubblico dominio ("Nessun diritto riservato"), adottando la formula più bilanciata di "Alcuni diritti riservati". Queste licenze nascono in un ambito giuridico diverso dal nostro, a regime di copyright. Il primo set di licenze viene pubblicato nel 2002 [25] e presto in tutto il mondo si crea una rete di giuristi che si occupano dell'armonizzazione delle licenze nei diversi paesi. E' del 2004 la prima versione italiana [26], a cura del gruppo di lavoro coordinato dal prof. Marco Ricolfi dell'Università di Torino.

Utilizzando una licenza CC l'autore rinuncia ad alcuni diritti, rendendo la propria opera disponibile ed eventualmente consentendo – in base al tipo di licenza – aggiornamenti e contributi. Esistono sei tipi di licenza Creative Commons, che sono il risultato della combinazione di quattro opzioni base:

Tutte le licenze CC prevedono quindi la libertà di copiare, distribuire, mostrare ed eseguire in pubblico l'opera originale; sono invece soggette ai termini della licenza la possibilità di realizzare opere derivate e la possibilità di farne un uso commerciale. Per qualsiasi riutilizzo o distribuzione è tuttavia necessario indicare i termini della licenza dell'opera originale. Le licenze CC sono revocabili dall'autore, il quale però non può chiedere di cambiare le condizioni per le copie già circolate.

Da un punto di vista giuridico-formale, le licenze CC si presentano in tre diversi formati:

  1. commons deed: versione sintetica in linguaggio comune;
  2. legal code: versione completa in linguaggio giuridico, che costituisce il testo di riferimento in caso di controversie legali;
  3. digital code: versione elettronica, con metadati che permettono ai motori di ricerca di identificare l'opera in base alle condizioni di utilizzo definite nella licenza.

Sul sito Creative Commons Italia è possibile non solo generare la licenza che si desidera a partire da una serie di opzioni che possono essere scelte [27], ma si può anche ricercare fra migliaia di documenti disponibili in rete con licenza CC. Lo stesso tipo di ricerca è effettuabile anche nella modalità ricerca avanzata di Google utilizzando il filtro diritti di utilizzo.

7. Obbligo di deposito

Sono oltre 230 gli enti finanziatori della ricerca, università, dipartimenti e facoltà che attualmente impongono ai propri ricercatori l'obbligo di deposito dei lavori di ricerca in un repository istituzionale e/o disciplinare. L'esigenza di imporre l'obbligo di deposito nasce dal fatto che molti ricercatori sarebbero disposti ad autoarchiviare i propri lavori se fosse loro imposto, mentre solo pochi lo fanno spontaneamente (Swan, Brown, 2005).

Ci sono diversità fra le varie politiche di obbligo di deposito. Esse riguardano:

In presenza di una politica di obbligo di deposito istituzionale gli autori devono riservare per sé alcuni dei diritti di sfruttamento economico invece che cederli in esclusiva agli editori. Dovranno dunque scegliere editori le cui policy siano compatibili con le clausole previste dagli enti finanziatori o negoziare tali clausole con gli editori.

Ha fatto abbastanza scalpore la decisione della Faculty of Arts and Sciences di Harvard (2008), in cui ogni membro concede al Preside e ai colleghi il permesso (licenza non esclusiva) di rendere disponibili i propri lavori di ricerca attraverso l'archivio istituzionale. Tale licenza ha valore e prevale rispetto ad ogni successiva cessione dei diritti a un editore, a meno che gli autori non chiedano che venga fatta una eccezione (opt-out option). Questo tipo di licenza capovolge del tutto la attuale prospettiva. L'editore che non accetta l'autoarchiviazione deve chiedere che l'autore inoltri domanda di opt-out alla facoltà a cui alcuni diritti sono già stati ceduti in forma non esclusiva.

Non è detto che l'obbligo di deposito debba essere deciso a livello di ateneo. è possibile, come avvenuto ad Harvard, Stanford e Southampton, partire da un vincolo dipartimentale o di facoltà (o per certe tipologie di materiali, ad esempio le tesi di dottorato), che può poi estendersi ad altri dipartimenti o ad altre tipologie di materiale (il cosiddetto "patchwork mandate") [28].

Sull'efficacia dell'obbligo di deposito imposto dalle istituzioni e sulla differenza fra obbligo di deposito e obbligo di rendere accessibili i propri lavori di ricerca Stuart Shieber, ossia colui che ha disegnato la policy di Harvard, ha espresso di recente sul suo blog una serie di considerazioni interessanti. Le istituzioni con le loro policy hanno a disposizione una carota, vale a dire che il vincolo che possono imporre presenta comunque una serie di scappatoie. Chi invece ha a disposizione il bastone sono gli enti finanziatori della ricerca, i quali possono negare, in caso di rifiuto di deposito, la concessione del finanziamento.

Non sto affermando che nella Facoltà non possa esserci un vero obbligo di deposito, ma piuttosto che tale obbligo debba venire da fuori, dall'esterno dell'Accademia. Gli enti finanziatori della ricerca e i governi possono prevedere l'obbligo di deposito perché essi possono rifiutare il finanziamento a chi non accetta la clausola. Hanno un bastone. Mentre invece l'università ha in definitiva solo una carota [29].

Shieber ha ragione e il suo ragionamento parte dalla considerazione che, a più di un anno dalla definizione dell'obbligo di deposito, i risultati ottenuti sono molto meno brillanti di quanto si sarebbe sperato. Certamente però, una cosa è che un ricercatore si presenti ad un editore con alle spalle l'istituzione a sostenerlo, altra cosa è invece se si presenta da solo con la sua istanza di forme contrattuali alternative.

Anche se non ci sarà mai una adesione totale di tutti i membri dell'istituzione (ateneo, facoltà, dipartimento), tuttavia è importante che gli autori si sentano appoggiati dalla propria istituzione, questo potrà dare loro una forza contrattuale rispetto agli editori che da soli non potrenbbero mai avere.

8. Strumenti a supporto delle policy delle istituzioni

Roarmap [30]

La Roarmap (Registry of Open Access Repository Material Archiving Policies) è il luogo dove vengono raccolte le politiche di tutti gli enti che hanno già decretato una politica di obbligo di deposito nei repository (istituzionali o disciplinary). Il registro segue l'ordine alfabetico per nazione e sotto ogni nazione elenca tutti gli enti con il relativo link all'archivio e alla policy, specificando se si tratta di enti finanziatori della ricerca o di facoltà, dipartimenti etc., e se l'obbligo di deposito riguarda solo alcuni materiali (ad esempio le tesi di dottorato).

Heather Morrison, nel suo blog The imaginary journal of poetic economics [31] sottolinea anche con un bel grafico l'incremento negli ultimi due anni delle policy istituzionali che prevedono l'obbligo di deposito, incremento a cui ha contribuito molto l'adozione di una policy di accesso aperto da parte delle 26 università finlandesi delle scienze applicate [32].

 

Fig. 2, tratta dal blog di H. Morrison: Dramatic Growth of Open Access (11 December 2009, early year-end edition

Juliet [33]

Juliet è uno dei servizi di Sherpa, e il suo scopo è quello di raccogliere e censire le policy degli enti finanziatori della ricerca che prevedono, come condizione per il finanziamento dei progetti, il libero accesso ai prodotti generati dalla ricerca (dati grezzi e/o pubblicazioni). Gli ambiti presi in considerazione sono l'autoarchiviazione in repository istituzionali o disciplinari, la pubblicazione in riviste OA, la pubblicazione dei dati grezzi di ricerca.

Rispetto all'autoarchiviazione, Juliet assegna una sorta di segno di spunta rispetto ai requisiti ideali: un segno indica che la policy dell'ente finanziatore prevede l'obbligo di deposito, un altro segno indica che la versione da autoarchiviare è quella dell'editore (o il post-print dell'autore), e un terzo segno prevede che l'autoarchiviazione avvenga nel momento in cui l'articolo è accettato per la pubblicazione. Per quanto riguarda le pubblicazioni, Juliet indica se la policy dell'ente finanziatore prevede la pubblicazione in una rivista ad accesso aperto (e dunque il finanziamento della stessa).

Rispetto ai dati grezzi le indicazioni date riguardano l'obbligo di deposito entro 5 anni dalla produzione. I dati di Juliet sono integrati in Sherpa/RoMEO, che per ogni editore comunica se e con quante policy degli enti finanziatori è compatibile la politica dell'editore.

9. Conclusioni

Abbiamo visto come la legge (sia la Legge italiana sul diritto d'autore, sia la legge sul copyright) non distingua fra prodotti di intrattenimento e produzioni di ricerca, e come non esista nei diversi ambiti legislativi uno statuto della conoscenza scientifica. Si punta molto sulla riforma della legge sul diritto d'autore, che però non sembra di immediata realizzazione. La corposa proposta di riforma presentata alla fine del 2007 [34] non ha avuto ad oggi alcun riscontro.

La comunità Europea ha di recente bandito una call for comments sulla direttiva 29/2001 [35], a cui hanno risposto molti enti, associazioni no profit e commerciali, istituzioni, gruppi di utilizzatori, e in cui si affrontano nel dettaglio i temi delle eccezioni e limitazioni al diritto d'autore. Una parte del documento era dedicata anche al riutilizzo ai fini didattici, scientifici e di ricerca. Ovviamente le risposte degli editori vanno nella direzione opposta di quelle date dai ricercatori, tuttavia pare importante che la questione sia stata messa in discussione.

Va comunque sottolineato che, anche nella sua forma attuale, la Legge sul diritto d'autore offre tutti gli strumenti per una gestione più equilibrata dei diritti d'autore stessi, perché le università possano riappropriarsi del controllo della conoscenza scientifica. Una maggiore consapevolezza da parte di autori e istituzioni, ma soprattutto una presa di posizione decisa da parte degli atenei e degli enti di ricerca potrebbe fornire un valido supporto ai ricercatori, ma soprattutto potrebbe portare anche gli editori italiani a prendere una posizione chiara nei confronti dell'Open Access.

Paola Galimberti, Biblioteca di Scienze Dell'Antichità e Filologia Moderna - Università degli studi di Milano, e-mail: paola.galimberti@unimi.it


Bibliografia

Maurizio Borghi, Il diritto d'autore tra regime proprietario e "interesse pubblico", in Proprietà digitale. Diritti d'autore, nuove tecnologie e digital rights managment, Milano, Egea, 2006, p. 1-21.

Ivan Cecchini, I contratti dell'editore, Milano, Guerini, 2000.

Lawrence Lessig, The future of ideas. The fate of the Commons in a connected world, New York, Vintage, 2000.

Steven Shavell, Should copyright of academics works be abolished? [Forthcoming in 2010 in the "Journal of Legal Analysis"], <http://ssrn.com/abstract=1459028>

Alma Swan - Sheridan Brown, Open access self-archiving: an author study, "Key Perspectives", 2005, <http://eprints.ecs.soton.ac.uk/10999/01/jisc2.pdf>

Note

[1] <http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm>.

[2] Nella redazione di questa parte si è tenuto presente il libro di Ivan Cecchini (2000) che rappresenta un contributo fondamentale allo studio sull'argomento, anche se non affronta esplicitamente la tematica dei contratti di edizione per le pubblicazioni scientifiche.

[3] Atti del Senato, 1864, 1136.

[4] The future of ideas, cit. p. 95.

[5] Portando anche al superamento dei problemi legati alla versione magari non direttamente identificabile o non citabile e a quelli legati all'embargo.

[6] Il contratto di edizione di solito specifica ciascuno dei diritti ceduti. Di solito vengono ceduti tutti i diritti utili per l'autoarchiviazione.

[7] <http://www.sherpa.ac.uk/romeo/>.

[8] La definizione di pre e post print non è univoca. Sherpa/RoMEO definisce pre-print il manoscritto inviato all'editore prima della peer-review, e post-print l'articolo che comprende già tutte le revisioni. Il post print può essere nella versione dell'editore (con il layout editoriale) o in quella dell'autore.

[9] Per embargo si intende un periodo in cui l'articolo o l'opera, pur autoarchiviata, non viene resa disponibile. Tale periodo ha una durata variabile a seconda degli editori. Generalmente fra i 6 e i 18 messi ed è pensato per dare loro la possibilità di ottenere un ritorno economico dall'investimento fatto.

[10] <http://www.sherpa.ac.uk/romeo/PDFandIR.html>.

[11] <http://www.oaklist.qut.edu.au/>.

[12] <http://www.dini.de/dini-zertifikat/sherparomeo/>.

[13] <http://www.accesoabierto.net/dulcinea/>.

[14] <http://sciencecommons.org/>. Science Commons è un progetto internazionale che ha lo scopo di eliminare o ridurre le barriere di accesso alla ricerca. In tal senso elabora strumenti legali, tecnologici e "politici" che favoriscono "la traduzione dei dati di ricerca in scoperte" a beneficio di tutti.

[15] <http://scholars.sciencecommons.org/>.

[16] Ohiolink è un consorzio di 88 fra biblioteche di college e universitarie che fornisce a studenti e ricercatori l'accesso a migliaia di periodici elettronici, ebooks, database, immagini, viedo, tesi e dissertazioni.

[17] <http://www.ohiolink.edu/journalcrisis/intellproprecsaug06.pdf>.

[18] <http://copyrighttoolbox.surf.nl/copyrighttoolbox/authors/licence/>.

[19] Uno studio del 2007 sul livello di accoglimento della LtP presso 47 grandi editori tradizionali aveva riscontrato che molti editori fornivano già agli autori una LtP, in alcuni casi più restrittiva di quella di Jisc e Surf, in altri più liberale (<http://www.surffoundation.nl/SFDocuments/LtP-final-report-dec07.pdf>).

[20] La license di Biomedcentral è rinvenibile all'Url <http://www.biomedcentral.com/info/authors/license>.

[21] <http://www.plos.org/journals/license.html>.

[22] "NPG does not require authors of original (primary) research papers to assign copyright of their published contributions. Authors grant NPG an exclusive licence to publish, in return for which they can reuse their papers in their future printed work without first requiring permission from the publisher of the journal. For commissioned articles (for example, Reviews, News and Views), copyright is retained by NPG".

[23] Alcuni software di gestione degli archivi istituzionali prevedono già una licenza di cessione non esclusiva dei diritti sopra elencati, che l'autore che deposita è tenuto ad accettare per poter depositare.

[24] <http://creativecommons.org/>. Una introduzione esaustiva e molti materiali esplicativi si trovano nel sito <http://www.copyleft-italia.it/> curato da Simone Aliprandi, il quale è anche autore di alcuni volumi sul tema CC e copyleft, liberamente scaricabili.

[25] Il progetto nasce nel 2001 ed è avviato da Lawrence Lessig, professore di diritto a Stanford e considerato fra i massimi esperti in tema di diritto d'autore negli Stati Uniti.

[26] <http://creativecommons.it/Licenze>. La versione armonizzata attualmente disponibile è la 2.5. Si sta comunque lavorando alla armonizzazione della 3.0.

[27] <http://creativecommons.org/choose/?lang=it>.

[28] A. Sale, The patchwork mandate, "D-Lib Magazine", 13/1-2, <http://www.dlib.org/dlib/january07/sale/01sale.html>.

[29] <http://blogs.law.harvard.edu/pamphlet/2009/06/30/university-open-access-policies-as-mandates/>.

[30] <http://www.eprints.org/openaccess/policysignup/>.

[31] <http://poeticeconomics.blogspot.com/>.

[32] <http://theseus.fi/en/julkilausuma.html>.

[33] <http://www.sherpa.ac.uk/juliet/>.

[34] <http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf>.

[35] Green paper Copyright in the Knowledge economy, <http://ec.europa.eu/internal_market/copyright/docs/copyright-infso/greenpaper_en.pdf>.




«Bibliotime», anno XIII, numero 3 (novembre 2010)

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