«Bibliotime», anno XIX, numero 1 (marzo 2016)


Precedente Home Successiva



La linea dell'open access



Che il mondo delle biblioteche (e segnatamente delle biblioteche accademiche) sia stato da sempre interessato alle problematiche dell’accesso aperto, è cosa nota. E non soltanto perché esse hanno sopportato le pesanti conseguenze dell’aumento dei costi dei periodici, dovute alla creazione di un vero e proprio oligopolio da parte degli editori internazionali, i quali hanno dato vita a grandi concentrazioni di testate determinandone il prezzo senza alcun vincolo di mercato. Né, d’altra parte, ciò è avvenuto perché le biblioteche hanno vissuto il paradosso (per non dire la beffa) di dover ri-acquistare dei beni – i periodici scientifici – prodotti dalle stesse istituzioni di cui il più delle volte esse fanno parte.

Per contro, le biblioteche si sono da subito configurate come un elemento fondamentale e propulsivo, essendo state tra le prime a prendere consapevolezza dei vantaggi dell’accesso aperto, avendo contribuito a diffonderne i principi presso fasce assai vaste di studiosi, ed operato attivamente per favorirne gli sviluppi.

Anche in Italia, com’è noto, il movimento per l’accesso aperto ha avuto un notevole seguito: e di tale situazione la nostra rivista è stata spesso testimone, pubblicando una quantità di articoli di cui il numero speciale realizzato in occasione del decennale della Dichiarazione di Messina non è che l’ultimo esempio.

Proseguendo su questa linea, il corrente numero di Bibliotime ospita due contributi di rilevante interesse: il primo è dato dall’ampio saggio di Elena Giglia, volto a “presentare alcune novità significative” dirette a “facilitare la discussione nel momento di transizione dall'Open Access alla Open Science, nella convinzione che una scienza aperta che risponda a logiche collaborative invece che esasperatamente competitive sia funzionale alla crescita della conoscenza e all'innovazione”. Il secondo, a firma di Luca Scalco, prende in considerazione le riviste italiane ad accesso aperto e la loro valutazione in area umanistica, mettendo in luce i vantaggi ma anche i problemi che tale pratica comporta ancora nel nostro paese.

Di diverso argomento – ma altrettanto significativi – sono gli interventi di Antonella De Robbio e Fernando Venturini, teso a indagare le tematiche della biblioteconomia giuridica in Italia, e di Maria Cristina Lavazza che, nell’esplorare gli innovativi territori dell’economia dell’esperienza, discute della biblioteca come prodotto, come servizio e come esperienza.

Gli aspetti specifici della digitalizzazione dei documenti – e segnatamente dei testi antichi – sono invece analizzati nell’articolo di Annarita Liburdi, mentre Maria Rosaria Califano descrive un'esperienza di apprendimento organizzativo attraverso l'uso di Wikipedia. Di seguito, Anna Galluzzi recensisce uno stimolante volume “a sei mani” sulle innovative frontiere della cultura partecipativa nell’età della rete.

E' infine con grande piacere che salutiamo l'ingresso nel Comitato scientifico della nostra rivista di Claudio Gnoli, referente per l'Italia dell'International Society for Knowledge Organization e autore di numerose pubblicazioni nel campo dell'organizzazione della conoscenza, oltre che attivo collaboratore di Bibliotime.

Michele Santoro



«Bibliotime», anno XIX, numero 1 (marzo 2016)


Precedente Home Successiva