«Bibliotime», anno XIX, numero 2 (luglio 2016)

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Valentina Galante

La biblioteca pubblica attraverso gli occhi dei 'non addetti ai lavori'. Uno scenario di luci ed ombre



Abstract

My master's degree thesis is focused on the issue of the 'perception' of the public library, i. e. the position that it occupies in people's minds. This work tries to answer the following questions: do users really know and make use of the potential that the library service makes available? Can we consider the library service an essential 'ingredient' of everyday life in today's society? What kind of library will be the so-called 'library of the future'? In order to answer to these questions, I decided to involve a sample of 197 units, selected among active users of the Public Library of Spinea (Venice) and interviewed through a self-administered questionnaire, distributed from October 21st to November 30th 2015.

1. Premessa

Biblioteche e bibliotecari, questi sconosciuti. Quante volte ci siamo sentiti chiedere dai "non addetti ai lavori" che cos'è una biblioteca pubblica, cosa si può (e non si può, e se si può) fare al suo interno; quante volte ci siamo sentiti chiedere quali compiti ha un bibliotecario, tutto il giorno seduto dietro al bancone. Perché nell'immaginario collettivo del nostro Paese – dove l'istituzione è meno radicata rispetto ad altre realtà, si pensi solo a quelle anglosassoni e scandinave – biblioteche e bibliotecari rappresentano ancora oggi due intramontabili stereotipi di cui s'ignorano fortemente ruoli, competenze, potenzialità.

Questa visione così distorta della realtà mi ha spinto a volgere lo sguardo, per la mia tesi magistrale [1], verso quella branca della biblioteconomia definita biblioteconomia sociale ed, in particolar modo, verso un interessante filone di studi che, da qualche anno a questa parte, è volto ad indagare la percezione che i "non addetti ai lavori" hanno della biblioteca pubblica, sondando le effettive conoscenze circa un mondo ancora tragicamente sospeso tra mito e realtà. A differenza di quanto accade per la user satisfaction o l'impatto socio-economico delle biblioteche, i cui studi, volti ad esibire prove concrete della reale utilità dell'istituzione, hanno raggiunto oggi un buon grado di maturazione, le indagini focalizzate sulla percezione della biblioteca pubblica sono di gran lunga meno frequenti, sebbene certamente in crescita [2].

Nel mio lavoro di tesi magistrale, prima di procedere alla discesa sul campo vera e propria per dare spazio alla voce dei "non addetti ai lavori", ho analizzato quattro notevoli studi che, nonostante le significative differenze che li contraddistinguono, non solo esplorano lo stesso oggetto – sensazioni, pensieri, percezioni dei destinatari del nostro lavoro – ma giungono, dato estremamente interessante, alle medesime conclusioni.

2. Le indagini di OCLC

OCLC ha avviato due corpose indagini a distanza di cinque anni l'una dall'altra, tra maggio e giugno 2005 (Perception of libraries and information resources) e nel gennaio 2010 (Perception of libraries 2010), con l'obiettivo di indagare ed approfondire il rapporto tra società ed "infosfera" [3]: in un mondo sovraccaricato da un flusso continuo di informazioni, OCLC mira a individuare comportamenti ed abitudini di un pubblico che, oggi più che mai, dispone di un considerevole numero di strumenti d'informazione.

Le indagini sono state condotte in un contesto prettamente anglofono (Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Singapore, India – questi ultimi tre non coinvolti nel corso dell'indagine del 2010), su un campione di utenti reali di sesso maschile e femminile e con un'età minima di 14 anni. La metodologia scelta – date anche le proporzioni su vasta scala dell'indagine – è quella tipo quantitativo: più precisamente, OCLC si è avvalsa di un questionario elettronico, costituito da domande (83 nel 2005, 100 nel 2010) dicotomiche multiple, con opzioni da mettere in ordine, a scala ed aperte – queste ultime inserite per garantire agli intervistati la possibilità di esprimere apertamente giudizi e sensazioni personali, che non sarebbe stato possibile racchiudere in una check-list di risposte predefinite.

3. L'indagine di Anna Galluzzi

In Public and libraries perception. A comparative analysis of the European press, Anna Galluzzi si pone come obiettivo quello di sondare l'opinione pubblica circa la rilevanza delle biblioteche nella nostra società, per capire se e quanto il servizio bibliotecario sia sentito oggi come indispensabile. La lente scelta da Galluzzi per carpire le sensazioni del pubblico è piuttosto innovativa: la ricercatrice, infatti, non si avvale di persone, ma della stampa europea, che a buon diritto può essere annoverata tra i principali canali di sbocco dell'opinione pubblica, a maggior ragione in un periodo storico come quello attuale in cui i quotidiani – più che ad informare – sono propensi a commentare, suscitando dibattiti e riflessioni.

La vastità del materiale a disposizione ha obbligato Galluzzi ad operare alcune scelte: da un punto di vista cronologico, si è optato per un arco temporale compreso tra il 2008 (l'anno in cui convenzionalmente viene collocata l'esplosione della crisi economica) e il 2012; da un punto di vista geografico, si è optato per quattro Paesi (Regno Unito, Francia, Spagna ed Italia) facenti parte dell'Unione Europea e, dunque, fortemente legati da fattori economici e politici; da un punto di vista editoriale, si è optato per otto quotidiani [4], la cui selezione è stata guidata dai criteri di rilevanza nazionale, diffusione ed anzianità, adottando la modalità bipartisan "in modo da ottenere differenti punti di vista su temi analoghi" [5] ed escludendo quotidiani rappresentanti di partiti politici e quelli di carattere economico e sportivo.

L'analisi dei quotidiani, avvenuta attraverso due databases e keywords come librar*, bibliot* e per i giornali francesi mediat*, ha portato alla luce oltre 40.000 articoli, di cui tuttavia solo l'8,7% si è rivelato utile allo studio. È su questo restante 8,7%, corrispondente a 3659 articoli, che Galluzzi ha operato – senza l'ausilio di software informatici di analisi testuale in quanto "nessun software può sostituire il ragionamento umano" [6] – un proprio analysis content, così da estrapolare gli argomenti più ricorrenti, per capire se e come questi sono cambiati nel corso del tempo, e se differiscono da Paese a Paese e da quotidiano a quotidiano.

4. L'indagine di Chiara Faggiolani

In Posizionamento e missione della biblioteca. Un'indagine su quattro biblioteche del Sistema bibliotecario comunale di Perugia, Chiara Faggiolani si pone come obiettivo quello di delineare il "posizionamento" della biblioteca, intendendo con questo termine "la collocazione che un prodotto/servizio ha nella mente del suo potenziale consumatore" [7]. Faggiolani dunque, sondando l'opinione di utenti reali e potenziali, e provando a capire se la frequentazione e la non-frequentazione possano essere considerati fattori determinanti per la formazione, nella mente delle persone, di una determinata immagine di "biblioteca", affronta il problema dell'identità e della reputazione delle biblioteche pubbliche.

La metodologia utilizzata per condurre quest'indagine è di tipo prettamente qualitativo (dunque focus groups ed interviste); l'unica eccezione è costituita dal questionario autosomministrato agli utenti reali, utilizzato per indagarne il grado di soddisfazione circa i servizi offerti dalle biblioteche. Il contesto di riferimento è il sistema bibliotecario del Comune di Perugia, di cui la ricercatrice propone una dettagliata descrizione [8], ed il campione – individuato tramite campionamento a scelta ragionata – è costituito da tre categorie, rappresentate dagli opinion leaders (intervistati che, in quanto attivamente coinvolti nella gestione di diversi aspetti della vita culturale cittadina, sono ampiamente informati sull'argomento), utenti reali (intervistati che, in quanto più o meno assidui frequentatori delle biblioteche, hanno cognizione di causa circa il tema indagato) e utenti potenziali (intervistati del tutto estranei al servizio bibliotecario).

5. La biblioteca pubblica: un universal brand.

Questi quattro studi – come abbiamo potuto notare – sono il frutto di indagini condotte entro contesti socio-culturali molto differenti; lo stesso approccio metodologico costituisce fattore di divergenza, così come il tipo di campione analizzato; tuttavia, dall'analisi condotta sui risultati, si può facilmente comprendere come agli occhi dei "non addetti ai lavori" la biblioteca pubblica assuma sembianze omogenee ed uniformi. Provando ad immaginare la biblioteca pubblica come un puzzle costituito da diversi pezzi, infatti, noteremo come questi siano sempre gli stessi, anche se combinati diversamente e con differenti livelli di priorità: la biblioteca pubblica, cioé, viene percepita ed immaginata in maniera molto simile a prescindere dalla cornice storica, geografica, sociale o culturale entro cui si collocano gli intervistati. Tra i tasselli del puzzle che ricorrono sistematicamente ne ricordiamo in particolar modo quattro:

Sarà interessante – eppure non inaspettato – notare come questi quattro tasselli si ripresenteranno, immutati, anche nella realtà da me indagata nel corso di questo studio.

6. Il futuro della biblioteca pubblica: il dibattito nel panorama italiano

Nel nostro Paese dobbiamo fare i conti non solo con un'immagine ancora fortemente stereotipata della biblioteca (un retaggio storico difficile da lasciarsi alle spalle) ma, a causa della totale indifferenza nei confronti del settore bibliotecario – cosa che si traduce inevitabilmente in mancaza di risorse economiche ed umane – i bibliotecari italiani sono chiamati ad affrontare sfide nuove e difficili.

Una di queste consiste nel delineare, o tentare di delineare, quello che si è soliti chiamare "il futuro della biblioteca pubblica", individuando la strada da intraprendere, per evitare, o almeno arginare, un drammatico collasso dell'istituzione. Riflessioni strategiche, dunque, volte a distinguere un efficace modello di servizio, che sia capace di vivere e sopravvivere in un mondo travolto dal (fantomatico) concetto di web 2.0.

Il prototipo di "biblioteca del futuro" – la cosiddetta library 2.0 [9] – sembra gravitare attorno a due principali modelli, che possiamo identificare – prendendo in prestito la definizione proposta da Riccardo Ridi [2005] – nella library 2.0 in senso debole, il primo, e nella library 2.0 in senso forte, il secondo.

La library 2.0 in senso debole si configura come una biblioteca che, pur accettando ed accogliendo – ove possibile – le nuove tecnologie e i nuovi strumenti che il web 2.0 mette a disposizione, rimane fedele alla mission tradizionale. Lo scopo, dunque, continua ad essere "quello di far leggere [...], di diffondere la lettura e la conoscenza", come suggerisce Petrucciani [2006, p. 378], per il quale gli elementi centrali del servizio bibliotecario erano, sono e saranno sempre il libro e la lettura, anche se aggiornati all'ambiente digitale.

La library 2.0 in senso debole trova, quindi, piena attuazione in quei servizi volti alla soddisfazione delle tradizionali richieste del pubblico (desideri di lettura, bisogni d'informazione, necessità di studio, esigenze di ricerca): a subire una metamorfosi, in conclusione, non sono i fini della biblioteca, ma semplicemente gli strumenti attraverso cui questi fini vengono conseguiti. Tre, dunque, le direzioni verso le quali la library 2.0 in senso debole sembrerebbe dirigersi:

  1. un potenziamento e un miglioramento dei servizi di base, cosa che, tradotta, significa operare su quei servizi che, seppur fondamentali, risultano ancora oggi estremamente deboli, soprattutto se paragonati al panorama internazionale. Si pensi semplicemente alle ore di apertura settimanali, una criticità che nel nostro Paese fatica a trovare risoluzione; si pensi, ancora, al prestito interbibliotecario e al document delivery, che potrebbero essere molto potenziati; si pensi, infine, alla semplice "cortesia di rispondere tempestivamente agli e-mail degli utenti, abitudine non ancora diffusa in tutte le biblioteche" (Ridi [2006, p. 88]);
  2. un ampliamento dell'offerta senza, per questo, allontanarsi dalla naturale vocazione, cosa che implica la progettazione e l'organizzazione di attività legate al mondo della lettura e del libro e, più in generale, alla sfera dei bisogni informativi. Se, e solo se, tempo e risorse lo permettono, la biblioteca può dedicarsi alla promozione di eventi quali le letture ad alta voce per i bambini, le "maratone di lettura" per i più grandi, le mostre bibliografiche e gli incontri con gli autori. Attività, queste, indirizzate a quello che – tradizionalmente – è, o dovrebbe essere, il target prioritario di ogni biblioteca pubblica: lettori ed amanti della lettura;
  3. un utilizzo consapevole di strumenti e servizi che la tecnologia ha dato alla luce, le cui sconfinate potenzialità, se sfruttate con giudizio, potrebbero giovare alla causa delle biblioteche pubbliche senza deformarne l'essenza: del resto, "fare biblioteca al tempo della crisi non significa soltanto o soprattutto risparmiare finanziariamente [...], ma investire, innovare e diversificare" (Ferrieri [2010, p. 8]). Si pensi, fra l'altro, agli eBook readers, da tenere in prestito per 30 giorni, esattamente come per i libri cartacei; tra i servizi, invece, possiamo (e dobbiamo) ricordare il reference digitale, un servizio che – coerentemente con i fini della library 2.0 in senso debole – si pone sulla medesima scia del reference tradizionale, dal quale si differenzia semplicemente per il fatto che utente e bibliotecario, poiché fisicamente in due luoghi diversi, comunicano telematicamente, in modalità asincrona o sincrona.

La library 2.0 in senso debole dunque, guardando al futuro, investe le proprie risorse per potenziare e promuovere servizi sia tradizionali che innovativi, ma – ed è questo il suo tratto distintivo – che siano anzitutto fondamentali e collocati entro quella sfera di competenze che spetta, da sempre, ad una biblioteca pubblica.

Al contrario il secondo modello, quello della library 2.0 in senso forte, rappresenta un tipo di biblioteca che – almeno nei presupposti – sembra allontanarsi sensibilmente dalla mission tradizionale, adottando e proponendo nuovi fini ed obiettivi. Molteplici le definizioni che, di volta in volta, le sono state attribuite: dalla "multipurpose library" (Galluzzi [2006]), luogo in cui vivono e convivono le inevitabili contraddizioni che caratterizzano la nostra società; alla "piazza del sapere" (Agnoli [2009]), perché la biblioteca, come la piazza di ogni città di ogni epoca, vuole essere cuore pulsante della comunità, luogo d'incontro, di scontro e di scambio; alla "biblioteca fusion" (Rasetti [2006]), che individua ed amalgama, come fosse un alchimista, i molteplici elementi che costituiscono i diversi bisogni della società; al "supermaket model" (Salarelli [2011]), perché fortemente sensibile al linguaggio e alle strategie di marketing dei grandi centri commerciali.

Questo modello, allentando il legame con quello che Ridi [2006b, p. 15] definisce il "nocciolo più autentico della mission bibliotecaria", si pone come obiettivi primari: a) la soddisfazione dei propri utenti e b) l'ampliamento del pubblico, attirando chi in biblioteca non si è mai recato o addirittura ne ignora completamente l'esistenza.

In questo modo, sembra che la biblioteca sia disposta a concedere al proprio pubblico – pur di compiacerlo e di accattivarselo – tutto ciò che desidera, progettando e favorendo attività che, nella maggior parte dei casi, invadono "territori" di altri soggetti: il nuovo fine che la library 2.0 in senso forte si pone, infatti, implica l'attuazione di un ventaglio di attività molto più diversificato rispetto a quello tradizionale. Non necessariamente, dunque, o comunque non in via esclusiva e prioritaria, attività meramente "culturali" o legate direttamente o indirettamente al mondo dei libri e della lettura. Anzi: sembra che la library 2.0 in senso forte, incoraggiando funzioni di svago e del cosiddetto edutainment, miri "alla conoscenza nel senso più ampio della parola" (Revelli [2009, p. 8]).

E così, la biblioteca – provando a suscitare stupore nei propri utenti, quasi a "farli innamorare" (Galluzzi [2006, p. 96]) – si trasforma in un luogo ricco di offerte che vanno (per citarne solo alcune) dai corsi di ikebana, uncinetto e giardinaggio, come suggerisce Agnoli [2014, p. 39], ai corsi di danza del ventre ed assaggi di cioccolato (Rasetti [2006, p. 8]), ai servizi di aiuto nei compiti scolastici (Agnoli [2014, p. 138]).

Ed è in questo contesto di così radicale innovazione che sembra di sentire l'eco della voce di Lankes [2014, p. 13], per cui "la biblioteca non è solo catalogazione, libri, spazi fisici o commissioni: la biblioteca è apprendere, è conoscenza e attività sociale". Le collezioni, dunque, se giocano un ruolo centralissimo nella library 2.0 in senso debole, diventano, qui, solo una delle tante esperienze che è possibile vivere all'interno della biblioteca, il cui centro nevralgico non è più costituito dalle raccolte, ma dagli utenti e dal loro pieno coinvolgimento. Ci troviamo dinanzi ad un luogo esperienziale, un laboratorio, in cui ogni singolo membro della comunità, lasciato libero di "sviluppare i propri talenti" (Galluzzi [2014a, p. 4]), dà sfogo a fantasia e creatività.

Questo modello di biblioteca, ancora, proponendosi quale centro di aggregazione di persone che non sono solo utenti, ma membri di una stessa grande famiglia, vuole essere social; un luogo ospitale, confortevole, amichevole, in cui "la possibilità di incontrare gli amici sia altrettanto importante dell'opportunità di prendere in prestito un libro o un film" (Agnoli [2009, p. XII]).

Vuole essere social anche (e soprattutto) attraverso i molteplici canali di comunicazione 2.0, da Facebook a Twitter ai blog, che – più in teoria che in pratica – dovrebbero pubblicare notizie e comunicazioni riguardanti solo ed esclusivamente la biblioteca e le relative attività (informazioni che, comunque, dovrebbero essere riportate in primis sul sito istituzionale), coinvolgendo attivamente gli utenti. La realtà, tuttavia, non è questa: blog e social network fanno fatica ad affermarsi e a decollare, in quanto iniziative che quasi mai nascono da riflessioni pratiche e teoriche approfondite e raramente si basano su programmazioni a lungo termine.

Dai sostenitori di questo modello così radicalmente innovativo provengono proposte ancora più "forti": dalla trasformazione della biblioteca in un rifugio accogliente per chi, come i senza fissa dimora, è costretto a combattere il freddo d'inverno o l'eccessiva calura estiva, alla possibilità di un servizio di reference che non risponda più in maniera esclusiva a domande di tipo bibliografico: c'è chi ipotizza un futuro in cui il reference librarian risponda a domande come "sono incinta e il mio ragazzo mi ha lasciato: come devo fare?" (Agnoli [2009, p. 143]).

La stessa figura del bibliotecario, del resto, viene messa in discussione dai sostenitori della library 2.0 in senso forte. Il suo ruolo subisce un riposizionamento: al "bibliotecario 2.0", cioè, non è più sufficiente il possesso di una semplice erudizione in campo biblioteconomico; le sue competenze professionali devono essere il frutto di conoscenze diverse, dall'informatica alle scienze della comunicazione, dalla sociologia al marketing; immaginazione e creatività, poi, sembrano essere requisiti imprescindibili. Nella biblioteca 2.0, insomma, "la figura del bibliotecario sacerdote e custode della conoscenza – il venerabile Jorge del Nome della rosa, per intenderci" (Salarelli [2011, p. 26]) non esiste più.

La library 2.0 in senso forte, in conclusione, vuole essere un luogo di riferimento per la comunità locale; un luogo in cui il cittadino si trova a proprio agio e, dunque, si reca e vuole recarsi per il semplice piacere di farlo; un luogo capace di suscitare e trasmettere impressioni e sensazioni positive; un luogo di incontro tra gli utenti più diversi, da soddisfare attraverso l'erogazione di un servizio non più solamente di tipo strettamente culturale.

7. L'indagine sull'utenza della Biblioteca Comunale di Spinea: i criteri metodologici

Alla luce di queste riflessioni, il mio lavoro di tesi magistrale si è posto come obiettivi quelli di:

  1. comprendere se il servizio bibliotecario sia realmente conosciuto nella sua interezza, a partire dai servizi di base;
  2. comprendere se il servizio bibliotecario possa essere considerato parte integrante della quotidianità nella società di oggi;
  3. comprendere quale forma, sulla base delle opinioni e delle aspettative dei "non addetti ai lavori", debba assumere la cosiddetta library 2.0.

Il contesto entro cui si colloca l'indagine è il Comune di Spinea, cittadina in provincia di Venezia di quasi 30.000 abitanti. Nel cuore della città, lungo l'arteria principale che l'attraversa, ha sede, nella sette-ottocentesca Villa Simion, la Biblioteca Comunale di Spinea [10] – aperta al pubblico nel 1978 e ancora oggi cuore pulsante della comunità locale – scelta come studio di caso [11] perché frequentata e vissuta da una pluralità di pubblici, cosa che mi ha permesso di ottenere un'altrettanta (preziosissima) pluralità di punti di vista.

Una precisazione metodologica. Nonostante il tema della ricerca potesse essere trattato anche da un punto di vista qualitativo, ho optato per un approccio di tipo quantitativo [12]: più precisamente, mi sono avvalsa, come metodo di ricerca del sondaggio, utilizzato per "raccogliere e analizzare informazioni attraverso domande ad individui che sono rappresentativi all'intera popolazione di ricerca" (Pickard [2010, p. 173]); come tecnica di ricerca del questionario, ovvero un'intervista strutturata costituita da una sequenza prestabilita di domande; e come strumento di ricerca, quello "in carne ed ossa", di un questionario cartaceo autosomministrato (self-completion questionnaire), che si caratterizza per l'assenza di qualsiasi forma di mediazione tra ricercatore e intervistato. Circa l'architettura del questionario, ho inserito un totale di 42 questiti, suddivisi in 39 domande chiuse (dicotomiche, dicotomiche multiple, filtro ed a scala) e tre domande aperte, articolando il questionario in quattro sezioni:

  1. Abitudini personali, volta alla comprensione delle abitudini dell'intervistato e alla delineazione del suo profilo rispetto alla frequentazione e alla fruizione della BCS;
  2. Come comunica la biblioteca, volta a determinare il livello di conoscenza sia dei servizi offerti dalla BCS sia dei servizi che comunemente una biblioteca pubblica mette a disposizione dell'utenza;
  3. Percezione della biblioteca pubblica, volta a comprendere se e quanto importante sia, per l'utente, il servizio bibliotecario, quale forma assume oggi nella sua mente e quale gli si vorrebbe far assumere in futuro;
  4. Generalità, volta a tracciare un profilo socio-demografico dell'intervistato.

Le domande sono state precedute da una breve persentazione, in cui ho illustrato il mio ruolo, il progetto di tesi, tempistiche e modalità di compilazione del questionario, e fornito la garanzia di anonimato. Il questionario è stato somministrato in una doppia versione: una con un'impaginazione più compatta (per un totale di 4 fogli) per i più giovani, ed una con un'impaginazione più ampia (per un totale di 8 fogli) per i meno giovani.

Poiché questo tipo d'indagine dovrebbe fondarsi sempre sul presupposto per cui i soggetti abbiano cognizione di causa circa il tema indagato, è necessario che i quesiti si riferiscano ad argomenti conosciuti dagli intervistati: è questo il motivo che mi ha indotto, per la costruzione del campione statistico, ad indirizzarmi verso l'utenza reale della biblioteca, che in quanto più o meno assidua frequentatrice sarebbe stata in grado di affrontare determinati argomenti sui quali, al contrario, l'utenza potenziale non avrebbe potuto esprimersi adeguatamente.

Il tipo di campionamento scelto per questa indagine prende il nome di campionamento per quote: per la sua realizzazione, cioè, viene identificata a priori una data percentuale – la cosiddetta quota – dell'intera popolazione, che viene quindi riprodotta proporzionalmente nel campione. Nel caso specifico, ho scelto di utilizzare i dati sull'utenza attiva della BCS dell'anno 2014 ed in particolar modo quelli relativi alla distinzione per sesso: su 3875 utenti attivi, 1638 (42%) appartengono alla variabile uomini, 2237 (il restante 58%) alla variabile "donne". 42% e 58% sono, dunque, le quote sulle quali ho strutturato il campione finale.

Per stabilire, invece, la numerosità campionaria, mi sono avvalsa di MiglioraPA, il progetto, promosso dal Dipartimento per la Funzione Pubblica, volto alla promozione della cultura della customer satisfaction e dei relativi strumenti di rilevazione. La cassetta degli attrezzi (Tab. 1), realizzata appositamente per i servizi bibliotecari, suggerisce una numerosità pari a 197 quando la popolazione ammonta a 4000 unità.

Tab. 1

Applicando alle 197 unità il campionamento per quote, si giunge al passaggio ultimo di strutturazione: il 42% di uomini e il 58% di donne si traducono rispettivamente in 83 e 114 unità.

Terminata la progettazione definitiva del questionario cartaceo, la ricerca è proseguita con la raccolta dei dati. L'immersione nel campo d'indagine è avvenuta nei mesi di ottobre e novembre 2015; circa il reperimento dei singoli rispondenti, la scelta è stata di volta in volta operata da me stessa, applicando un criterio di selezione il più neutrale ed imparziale possibile, permettendo dunque il coinvolgimento di ogni tipologia d'utente, senza alcun tipo di discriminazione [13]. I dati sono stati raccolti ed organizzati in un foglio Excel, aggiornato quotidianamente con il ritorno progressivo dei questionari.

8. L'indagine sull'utenza della Biblioteca Comunale di Spinea: i risultati

Circa l'identikit dell'utenza sotto un profilo socio-demografico, è possibile affermare complessivamente che la maggioranza del campione è costituito da donne, studentesse universitarie in possesso di un diploma di scuola media superiore, con un'età compresa tra i 19 e i 28 anni, di nazionalità italiana e residenti nella città di Spinea [14].

Relativamente al primo obiettivo dell'indagine – comprendere se il servizio bibliotecario sia conosciuto nella sua interezza, a partire dai servizi di base – l'analisi delle risposte ha permesso di scoprire quanto segue: l'utenza, pur possedendo un buon grado di consapevolezza circa le risorse messe oggi a disposizione, non conosce – e di conseguenza utilizza poco o per nulla – il sito istituzionale (ne fa uso solo il 32% degli intervistati), la carta dei servizi (letta solo dal 25%), il prestito interbibliotecario (utilizzato solo dal 31,5%), il document delivery (usato da un solo intervistato su 197), il reference digitale (concetto del tutto sconosciuto) e lo scaffale aperto (che molti utenti, pur convivendoci fianco a fianco, spesso non sanno cos'è e come si utilizza).

Quelli appena evidenziati sono sei strumenti base di cui l'utenza dovrebbe essere in grado di avvalersi senza alcuna difficoltà, ma così non è: ricordarlo, forse, risulta lapalissiano, ma è certo che gli utenti non possono utilizzare ciò di cui non sono a conoscenza. Ritengo allora auspicabile, da parte della BCS, la progettazione di solide strategie volte alla promozione e all'uso consapevole dei servizi di base: solo così la biblioteca, scoperta, esplorata ed utilizzata a 360°, potrà assolvere pienamente ai propri doveri.

Il secondo obiettivo del lavoro mirava a comprendere se il servizio bibliotecario potesse essere considerato parte integrante della quotidianità nella società di oggi: in un mondo sovraccaricato di canali d'accesso all'informazione, infatti, risulta quasi doveroso chiedersi se la biblioteca pubblica abbia ancora una reale validità. La risposta a tale domanda ha un effetto che ho definito "chiaroscurale", poiché si alternano zone di luce e zone d'ombra.

Da una parte, infatti, è vero che il tasso di frequenza è risultato molto alto (la maggioranza degli intervistati è costituita da utenti abituali che frequentano la biblioteca almeno 1/2 volte la settimana), così come l'attenzione rivolta alle numerosissime attività organizzate dalla biblioteca (in particolare, i gruppi di lettura e i corsi di alfabetizzazione informatica).

Il 79% degli intervistati, ancora, ha paragonato la biblioteca pubblica ad un bene indispensabile come la sanità, il trasporto pubblico e l'istruzione. Inoltre, risultano meritevoli di un'attenzione particolare le risposte date da 171 utenti – e sulle quali torneremo più avanti – alla domanda aperta "Che cos'è per te la biblioteca pubblica? Come la descriveresti?" in cui i rispondenti, lasciati liberi di esprimere apertamente le proprie sensazioni e le proprie opinioni, hanno dimostrato di aver colto pienamente alcuni tra i valori più importanti per i quali si battono oggi le biblioteche pubbliche: l'uguaglianza, l'abbattimento di ogni forma d'iniquità – soprattutto economica – e la garanzia d'accesso all'informazione e alla cultura.

Dall'altra parte, tuttavia, è anche vero che:

  1. un altissimo 34% degli intervistati ritiene che la biblioteca pubblica possa essere sostituita da internet in un futuro non troppo lontano. Inoltre, incrociando i risultati con i dati anagrafici, si nota come questo 34% sia costituito non, come ci si sarebbe potuto aspettare, da adolescenti – i cosiddetti nativi digitali – ma da adulti d'età compresa tra i 19 e i 48 anni, che un mondo senza internet l'hanno conosciuto e vissuto: un dato sconfortante e del tutto inaspettato;
  2. il debole "stato di salute" in cui attualmente si trova l'istituzione bibliotecaria (e mi riferisco, qui, a problemi quali il blocco delle assunzioni, lo sfruttamento dei volontari, la mancanza di fondi adeguati) rappresenta una criticità solo parzialmente nota;
  3. oltre il 60% degli intervistati, per le proprie ricerche, si affida in primis non alle biblioteche, ma ai motori di ricerca, con tutte le (inevitabili) conseguenze circa i problemi di correttezza ed attendibilità delle notizie reperite in rete.

È proprio su queste zone d'ombra, queste zone più buie che ritengo sia necessario agire prontamente, attraverso strumenti di sensibilizzazione che agiscano su un doppio binario: da una parte, occorrerebbe rafforzare l'idea di biblioteca pubblica come indispensabile motore dell'economia della conoscenza, rendendo realmente visibile le sue potenzialità; dall'altra, promuovere – in collaborazione con altre istituzioni, in primis quella scolastica – servizi di information literacy, che aiutino a navigare nel mare del sempre più affollato mondo delle informazioni e, soprattutto, spronino ad una corretta valutazione e ad un consapevole utilizzo di quanto reperito in rete.

L'ultimo obiettivo del mio lavoro si è focalizzato, infine, sul tema della biblioteca del futuro, mettendo gli intervistati a conoscenza dei due principali modelli di library 2.0 sui quali si discute nel panorama biblioteconomico italiano. Dall'analisi delle risposte, gli intervistati sembrano prediligere nettamente quanto promosso e sostenuto dal modello della library 2.0 in senso debole. Questa predilezione si nota, ad esempio, nel momento in cui gli utenti, per tenersi aggiornati circa le novità della biblioteca (dalle nuove acquisizioni all'organizzazione di eventi), dichiarano di utilizzare i canali tradizionali, quelli di sempre, come le locandine e i volantini, il passaparola con altri utenti, il dialogo con lo staff bibliotecario.

Al contrario, tutti gli strumenti più tecnologici ed innovativi – dalla pagina Facebook all'account Twitter al blog, che sono alcuni degli elementi su cui fa perno la library 2.0 in senso forte – non vengono assolutamente percepiti come importanti né dai più né dai meno giovani e, dunque, scarsamente utilizzati. O ancora, quando si è chiesto che tipo di eventi collaterali si preferisce che la biblioteca organizzi, quasi il 70% degli intervistati ha dimostrato una netta propensione per quelle iniziative che ruotano attorno al mondo dei libri (letture ad alta voce, incontri con gli autori, mostre bibliografiche...), rispetto ad iniziative che poco hanno a che fare con un'istituzione come quella bibliotecaria (dai corsi di giardinaggio a quelli di danza a quelli di cucina).

Certo, quale forma assumerà la biblioteca del futuro lo deciderà solo il tempo; ad oggi, infatti, non ci è dato sapere quale strada, alla fine, verrà imboccata da noi bibliotecari. Personalmente, mi auguro che a fare da guida lungo il cammino siano le lungimiranti parole di Alberto Petrucciani [2006, p. 381], pronunciate ormai dieci anni or sono: "una cosa è promuovere se stessa, la propria identità e le proprie funzioni, e cosa molto differente [...] è ottenere visibilità perchè la biblioteca fa qualcosa di diverso, ossia non fa la biblioteca".

9. "Che cos'è per te la biblioteca pubblica? Come la descriveresti?"

Un'ultima considerazione riguarda quello che potremmo definire l'aspetto qualitativo del questionario, rappresentato dal quesito aperto "Che cos'è la biblioteca pubblica? Come la descriveresti?", in cui gli utenti – da una prospettiva soggettiva e del tutto personale – sono stati invitati ad esprimere liberamente e con sincerità impressioni e sensazioni.

Su 197 questionari compilati, 171 rispondenti – dunque quasi l'87% del totale – hanno lasciato una risposta: un risultato inaspettato, che testimonia un vivace interesse per l'argomento proposto. Le risposte sono costituite da una o due parole (generalmente un aggettivo e un sostantivo) nel 22% dei casi; nel restante 78% si tratta di una frase più o meno complessa. Le singole risposte sono state sottoposte alla cosiddetta analysis content, con l'obiettivo di enucleare le immagini che emergono con più forza, con più prepotenza.

  1. Esattamente come confermato dalle quattro indagini precedentemente prese in esame, quando si parla di biblioteca, ci si riferisce con maggior frequenza ad un luogo più che ad un servizio: l'aspetto "concreto", quello fisico, incarnato nelle parole luogo – posto – spazio – ambiente – contenitore – struttura, emerge 98 volte, contro le 29 in cui si pone l'accento sull'aspetto "astratto", sull'essenza, attraverso le parole risorsa – bene – servizio – strumento – diritto – fonte – percorso – ausilio – accesso;
  2. la biblioteca pubblica viene percepita prevalentemente come luogo d'accesso alla cultura (termine [15] che ricorre 44 volte) e come luogo di studio (termine [16] che ricorre 42 volte). Solo in un secondo momento viene percepita come luogo in cui informarsi-aggiornarsi-documentarsi [17] (attività, questa, ancora una volta prevalentemente svolta attraverso i motori di ricerca) e come luogo di crescita educativa [18], parallelo al sistema d'istruzione;
  3. la biblioteca pubblica percepita solo marginalmente come luogo di incontro e socializzazione: i termini incontro – ritrovo – socializzazione – sociale compaiono, infatti, solo 20 volte;
  4. uno dei termini più ricorrenti è, ancora una volta, libro/i, il "brand image", quell'elemento imprescindibile senza il quale il pubblico fatica ad immaginare una biblioteca. Ne consegue un primato che tende a mettere in secondo piano risorse altrettanto importanti: si pensi alle banche dati, mai menzionate, ai cd (termine che compare una volta soltanto), ai dvd (termine che compare due volte), ai quotidiani/riviste (termini che, complessivamente, compaiono tre volte);
  5. preponderante l'uso di aggettivi (tra cui indispensabile, utile, necessario) da cui emerge, con una certa insistenza, il senso di irrinunciabilità alla biblioteca pubblica;
  6. il concetto di biblioteca pubblica viene spesso correlato anche ad espressioni che pongono l'accento su un senso di calma e beatitudine, attraverso l'uso frequente di parole quali silenzio, tranquillità, rilassatezza, concentrazione, benessere, pace, ristoro; non mancano, inoltre, immagini certamente più poetiche, che vedono ad esempio nella biblioteca pubblica un "giardino" di conoscenza.

Un'ultima, breve considerazione. Analizzando il contenuto delle 171 risposte, è emerso, vivido, un aspetto che, più di tutti, ha colpito la mia attenzione ed è il senso d'appartenenza a tutta la comunità.

La biblioteca pubblica, infatti, viene identificata dagli intervistati non solo come uno dei pochi servizi attraverso il quale ad ogni membro della comunità è assicurato e garantito l'accesso alla cultura e all'informazione, ma anche come "agente" promotore e garante di uguaglianza: l'utenza della BCS – dimostrando di aver compreso il senso di uno dei più importanti compiti che la biblioteca pubblica è chiamata a svolgere – evidenzia più volte come uno degli obiettivi fondamentali del servizio bibliotecario sia proprio quello di aprire le proprie porte all'intera comunità, "sulla base dell'uguaglianza di accesso per tutti" (Foglieni - Rosini [1998, p. 67]), abbattendo, di fatto, ogni forma di discriminazione.

La possibilità garantita ad ogni cittadino di usufruire del servizio bibliotecario è, dunque, un elemento-chiave che compare più volte e quasi sempre – altro dato estremamente interessante – in connessione con il concetto di gratuità.

È proprio su quest'ultima immagine che desidero, infine, focalizzare l'attenzione, a maggior ragione in un periodo storico come quello attuale, in cui il mondo è chiamato ad affrontare inusitate difficoltà. Nel report OCLC del 2010, gli intervistati che hanno dichiarato di essere economically impacted, ovvero cittadini in qualche modo danneggiati dalla great recession esplosa a partire dal 2008, hanno ammesso di essersi avvicinati al servizio bibliotecario perché questo rappresenta uno dei pochissimi canali gratuiti di accesso all'informazione.

Nel mio studio – una realtà così lontana da quella indagata da OCLC, eppure forse non così troppo diversa – il binomio biblioteca-gratuità emerge prepotentemente: non sono stati pochi gli utenti che hanno sottolineato come la biblioteca pubblica venga frequentata proprio in virtù della sua gratuità, difficile da trovare altrove, e come venga preferita ad altri servizi o strutture perché permette di acquisire informazioni senza dover "mettere mano al portafoglio". Uno spunto, questo, di riflessione, poiché testimone del preziosissimo e vitale ruolo sociale ricoperto dalle biblioteche pubbliche. Oggi più che mai.

Conclusioni

Il servizio bibliotecario – per quanto percepito come indispensabile per la comunità, in virtù del suo essere portavoce dei diritti di uguaglianza e di libero accesso all'informazione – è ancora in buona parte sconosciuto, e le sue potenzialità non vengono sfruttate a 360°. Questo accade perché, nel nostro Paese, quanto la biblioteca pubblica offre non è mai stato e non è tuttora adeguatamente valorizzato; perché il suo essere uno degli attori fondamentali del processo volto alla costituzione e al progresso di una società informata ed emancipata non è un'immagine a noi realmente familiare; perché il suo essere fondamentale struttura parallela al sistema d'istruzione non è un concetto radicato nella nostra cultura.

Occorre, allora, lavorare alacremente sulla sfera della percezione, per mostrare e dimostrare il ruolo delle biblioteche pubbliche di motore dell'economia della conoscenza, da una parte, e motore di sviluppo sociale, dall'altra, evidenziando con forza la loro attuale validità, a maggior ragione in un mondo in cui si hanno a disposizione tanti, troppi canali d'accesso all'informazione.

Il compito di noi bibliotecari, nel nostro piccolo, dovrebbe essere quello di ascoltare la voce del nostro pubblico, captandone bisogni ed aspettative, e migliorando ancora di più le strategie di comunicazione verso l'esterno; ma soprattutto, dovrebbe essere quello di cominciare a consolidare la reputazione della biblioteca pubblica, promuovendo fin dalla tenera età e in collaborazione con altre istituzioni, come quella scolastica, una cultura delle biblioteche scevra da stereotipi e falsi miti che aiuti tutti i "non addetti ai lavori", dai più ai meno assidui frequentatori, a vedere la biblioteca pubblica per ciò che realmente è e non più per ciò che si crede che sia.

Valentina Galante, Venezia, e-mail: valentina.chiara.galante@gmail.com


Bibliografia

Note

[1] Valentina Galante, La percezione della biblioteca pubblica oggi. Indagine sull'utenza della Biblioteca Comunale di Spinea, tesi di Laurea Magistrale in Storia e Gestione del Patrimonio Archivistico e Bibliografico, Ca' Foscari (Venezia), anno accademico 2015-2016, relatore prof. Riccardo Ridi.

[2] Per una prima rassegna delle indagini condotte sull'argomento nel nostro territorio si veda: Bibliotecari al tempo di Google: profili, competenze, formazione. Milano, 17-18 marzo 2016: scenari e tendenze, Milano, Editrice bibliografica, 2016, p. 137.

[3] Il termine è stato coniato da Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell'informazione presso l'Università di Oxford: ispirandosi alla biosfera, Floridi attribuisce ad infosfera il significato di "globalità dello spazio e delle informazioni". Un mondo, dunque, che include sia i mass media tradizionali cartacei, che quelli del cyberspazio (Fontana [2010]).

[4] The Times e Guardian per il Regno Unito; Le Figaro e Le Monde per la Francia; El Mundo ed El Pais per la Spagna; il Corriere della Sera e La Repubblica per l'Italia.

[5] Galluzzi [2014b], p. 26 (Testo originale: "in order to have different points of view on similar issues").

[6] Galluzzi [2014b], p. 31 (Testo originale: "no software can replace human reasoning").

[7] Faggiolani [2013], p. 17.

[8] In particolar modo, la ricercatrice si è avvalsa della Sintesi SWOT [acronimo delle parole Strengths (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza), Opportunities (opportunità) e Threats (minacce)], strumento di pianificazione strategica, attraverso cui è possibile individuare i punti di forza e di debolezza, le possibilità e le minacce di un determinato sistema, aiutandolo a raggiungere con maggior efficacia ed efficienza i propri obiettivi, e ha collaborato con il dirigente e lo staff per portare alla luce, per ognuna delle quattro unità facenti parte del sistema bibliotecario, tutti quei punti critici sui quali intervenire con operazioni di miglioramento.

[9] Termine coniato nel settembre 2005 dal bibliotecario Michael Casey nel suo blog Library crunch ed introdotto in Italia da Bonaria Biancu nel suo blog The geek librarian (Ridi [2015]).

[10] D'ora in avanti BCS.

[11] Concetto che – in ambito biblioteconomico – indica la struttura bibliotecaria oggetto d'indagine (Faggiolani [2013], p. 43).

[12] La scelta dell'approccio quantitativo è dovuta alla mancanza, da parte mia, di un bagaglio culturale e di competenze adeguato: per condurre una ricerca qualitativa, infatti, il ricercatore deve possedere ampie conoscenze circa le modalità di conduzione di un'intervista o di un focus group e, possibilmente, una consolidata esperienza; deve essere pronto a fronteggiare l'emersione di temi non previsti, valutandone rapidamente la reale utilità e, quindi, deve avere una profonda familiarità con il tema trattato; la stessa trascrizione dell'intervista è un'operazione delicatissima: basti pensare alla difficoltà nel rendere concreti ed intelligibili elementi quali la postura, la gestualità, la flessione del tono di voce dei singoli partecipanti.

[13] L'unico fattore discriminante è costituito dall'età: ho stabilito – per poter partecipare alla compilazione del questionario - un'età minima di 14 anni.

[14] Scendendo nel dettaglio: circa l'età del campione, le fasce maggiormente rappresentate sono quelle di ragazzi e ragazze tra i 19 e i 28 anni (35%) e quella degli adulti tra i 29 e 48 anni (27%). Seguono, in ordine, utenti aventi un'età compresa tra i 49 e i 68 anni (17%), tra i 14 e i 18 anni (13%), oltre i 69 anni (8%). Per quanto riguarda il dato relativo alla cittadinanza, la quasi totalità del campione è rappresentato, com'era facile intuire, da cittadini italiani; quelli stranieri rappresentano l'8% del campione. Circa il titolo di studio, il 48% degli intervistati dichiara di essere in possesso del diploma di scuola media superiore; segue chi afferma di possedere una laurea (il 25%) e chi un diploma di scuola media inferiore (il 23%); il 4%, infine, è in possesso della sola licenza elementare. Circa l'occupazione attuale, prevalgono tra tutti gli studenti universitari (23,3%), seguiti dagli impiegati (15,7%), di cui solo due bibliotecari, e dai pensionati (15,2%). Dato preoccupante, ma certamente non inaspettato, quello dei disoccupati, che rappresentano l'8% degli intervistati.

[15] In cui si sono fatti confluire anche i termini culturale/i e acculturazione.

[16] In cui si è fatto confluire anche il verbo studiare.

[17] Sono 30 le volte in cui compaiono i termini con la radice inform*, aggior*, document*.

[18] Sono 7 le volte in cui compaiono i termini istruzione ed educazione.




«Bibliotime», anno XIX, numero 2 (luglio 2016)

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