«Bibliotime», anno XVII, numero 2 (luglio 2014)

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Michele Santoro

Biblioteche e conservazione: un'indagine diacronica



Abstract

The relationships between libraries and conservation are discussed in their historical context, on the basis of the different media on which, over the centuries, the information was recorded. Therefore, we analyzed the criteria of conservation typical of the ancient and medieval world, until the invention of printing and the massive expansion of books all over the Western world. Finally, we highlighted the risks of loss of documentary heritage caused by new digital technologies.

1. L'idea di conservazione nella biblioteca contemporanea

Il dibattito bibliotecario degli ultimi decenni, com'è noto, ha assegnato un risalto straordinario ai nuovi supporti dell'informazione, mettendo in luce i rilevanti effetti che essi hanno avuto su tutto ciò che riguarda l'organizzazione e la trasmissione delle conoscenze. Ma se usciamo per un attimo dall'ambito delle biblioteche, ci accorgiamo che tali cambiamenti non sempre sono avvertiti in tutta la loro ampiezza: infatti da più parti (e in misura maggiore nel nostro paese), è raro che le biblioteche siano viste come istituzioni al passo con i tempi, capaci di impiegare le nuove tecnologie per offrire servizi avanzati agli utenti; [1] per contro, esse sono intese come luoghi in cui sono raccolti e conservati dei documenti, che nella maggior parte dei casi, si identificano con i libri. [2]

Siamo di fronte a un'idea che è fortemente radicata nell'immaginario collettivo, e proprio per questo – non sembri un paradosso – può essere assunta come una prima definizione di biblioteca. Ma è ovvio che essa ci appaia sommaria e superficiale, insufficiente a spiegare le reali caratteristiche di una struttura bibliotecaria, e inadeguata a rappresentarne tanto le connotazioni tecniche quanto gli obiettivi funzionali. Se dunque si vuol arrivare ad una rappresentazione capace di mettere a fuoco le reali peculiarità di questa istituzione, è necessario introdurre una definizione più articolata, che veda la biblioteca come una raccolta organizzata di libri ed altri materiali documentari (manoscritti, a stampa, audiovisivi, elettronici), disponibili per la lettura, la consultazione e il prestito. [3]

Fra le due denotazioni le differenze sono notevoli: difatti la seconda non solo amplia notevolmente la gamma dei supporti documentari, ma implica il passaggio da una visione per così dire statica della biblioteca, intesa come un semplice deposito, un magazzino pieno di libri, ad una decisamente dinamica, finalizzata a dare la massima soddisfazione alle esigenze degli utenti. Quest'ultima definizione dunque risulta di gran lunga più soddisfacente, riuscendo a cogliere gli aspetti essenziali dell'attività bibliotecaria o, se si preferisce, i presupposti concettuali e metodologici che stanno alla base della sua disciplina di riferimento, vale a dire la biblioteconomia. [4]

E tuttavia, in questo passaggio ci accorgiamo che qualcosa è andato perduto, che un elemento fondamentale della precedente visione della biblioteca sembra essere stato assorbito dal maggior tecnicismo presente nella successiva: e a venir meno è proprio l'idea della conservazione, ossia la capacità, connessa a qualsiasi raccolta documentaria, di preservare le proprie collezioni e mantenerle il più possibile inalterate nel tempo.

Si tratta di un aspetto cruciale, che non riguarda soltanto la vita quotidiana delle biblioteche ma la loro stessa storia, il percorso che dalle prime raccolte di tavolette d'argilla le ha condotte alle attuali dimensioni digitali e multimediali. Non è un caso, nota acutamente Luciano Canfora, se all'idea di biblioteca sia naturalmente associata un'incessante spinta all'espansione: difatti è proprio in relazione alla sua natura e alle sue finalità che essa "rivela una infinita capacità di incremento", [5] avendo come obiettivo quello di accrescere le proprie raccolte per tramandarle alle generazioni future.

Ed è in questo senso, chiosa a sua volta Piero Innocenti, che appaiono "ridotte ad unità le due anime storiche della biblioteca: sia quella di immagine e sacrario della memoria, che va al di là dell'esistenza individuale, sia quella di raccolta di esperienze e testimonianze altrui, in grado di illuminare la via della conoscenza"; esse infatti, prosegue l'autore, appaiono come le due facce "di una stessa personalità", se è vero che la biblioteca "vive nella simultaneità, che perennemente si rinnova, la successione storica rappresentanta da un concretissimo, e caducabile testimone: il suo patrimonio". [6]

La conservazione quindi è ben più di una caratteristica tecnica in grado di connotare in modo specifico le biblioteche: essa infatti si configura come un aspetto costitutivo, fondante, geneticamente legato ad esse. Lo ha rilevato in maniera assai lucida Luigi Crocetti, secondo il quale "la conservazione è indissolubilmente connessa al modo di gestire le biblioteche", per cui "non esiste una conservazione astratta: deve esistere una conservazione come funzione del servizio". [7]

Per molto tempo invece si è guardato a questo nucleo essenziale dell'idea di biblioteca come a "un affare da specialisti", [8] riservato a una ristretta élite di tecnici e studiosi; [9] ed anche oggi, affascinati dalle innovative frontiere dell'Information and Communication Technology, avremmo probabilmente continuato a porre in secondo piano gli aspetti relativi alla conservazione, se non fosse stato per una nuova e assai drammatica evenienza, legata al fatto che l'intero patrimonio documentario su supporto elettronico appare soggetto a un forte rischio di perdita, e che sono assai elevate le probabilità di scomparsa di quanto è stato prodotto in formato digitale, o convertito dal supporto analogico a quello numerico. [10]

Sulla base di questi presupposti, possiamo comprendere perché alla funzione conservativa venga assegnata una particolare importanza nell'odierna realtà documentaria: negli ultimi anni infatti sono stati evidenziati gli aspetti di fragilità e provvisorietà tipici dei supporti elettronici, così come quelli legati alla continua obsolescenza dei sistemi informatici che ne rendono possibile la fruizione, mentre un numero elevato di istituzioni a livello internazionale è sceso in campo per individuare le possibili soluzioni a un problema di così grande vastità e portata.

In queste note dunque si intendono porre in rilievo alcuni aspetti – di natura tecnologica e culturale – legati al tema della conservazione, attraverso un excursus sul ruolo svolto dalle biblioteche nel raccogliere, organizzare e trasmettere l'eredità del passato.

2. La biblioteca tra conservazione e fruizione

Iniziamo allora la nostra indagine dalla maniera con cui, nel corso della sua storia millenaria, la biblioteca è stata in grado di realizzare il proprio mandato, teso da un lato alla raccolta e alla conservazione dei documenti, dall'altro alla loro più ampia diffusione fra la comunità degli utenti.

E per far ciò, possiamo rifarci all'interessante analisi di Pietro Rossi il quale, nell'affrontare i temi relativi alla salvaguardia e alla trasmissione del sapere dall'antichità ai giorni nostri, assegna un'importanza cruciale a tre istanze o funzioni culturali, che egli individua nella produzione, nella conservazione e nella circolazione delle conoscenze. [11] Si tratta, a parere dello studioso, di funzioni strettamente connesse fra loro, e che sono all'origine dei fenomeni socioculturali verificatisi nelle diverse epoche storiche; in particolare, sostiene Rossi, la conservazione assume una posizione intermedia, trovando il proprio presupposto nella produzione e costituendo a sua volta il requisito per la circolazione delle conoscenze: difatti, scrive l'autore,

che tra queste funzioni sussistano rapporti di continuità assai stretti, e anche di condizionamento reciproco, è talmente ovvio da non richiedere una dimostrazione; così come evidente è il fatto che i luoghi della conservazione (e della trasmissione) del sapere spesso coincidono con quelli della sua produzione, mentre d'altra parte la conservazione si realizza soltanto se il sapere acquista una sua circolazione […]. Anzi, la stessa distinzione tra queste funzioni è, sotto il profilo istituzionale, il risultato di un processo storico molto complesso, che ha messo capo a esiti differenti nelle varie società. [12]

E' dunque innegabile che queste funzioni abbiano una loro "epifania", una concreta manifestazione in luoghi ben definiti (musei, archivi e, nel nostro caso, biblioteche), istituzionalmente deputati a dar loro una finalizzazione pratica, a organizzarle, a trasformarle da mere istanze concettuali in vere e proprie attività tecniche. Il passaggio è evidente, e si verifica ogni qualvolta abbiamo a che fare non più con i correlati simbolici, ma con le rappresentazioni materiali di queste funzioni: in altre parole, nel momento in cui non ci rivolgiamo più alla produzione, conservazione e circolazione delle conoscenze ma dei supporti sui quali tali conoscenze sono registrate, assistiamo ad uno spostamento verso una dimensione più tecnica, più operativa, una dimensione, nel nostro caso, squisitamente biblioteconomica.

Peraltro è fuor di dubbio che tale dimensione abbia assunto connotazioni differenti nelle diverse epoche e nelle diverse fasi socioculturali, in un rapporto di feconda sintesi che continua a riproporsi ancora oggi. [13] Difatti, se è vero che la storia dei supporti e della loro conservazione è intimamente connessa a una più vasta "storia del sapere", [14] è altresì vero che questa storia non può andare disgiunta dalle vicende legate ai supporti grazie ai quali tali conoscenze sono state veicolate. [15] Allo stesso tempo, un approfondimento sub specie biblioteconomica non esclude un esame degli aspetti più propriamente culturali, consistenti nell'insieme dei fenomeni che – in tutte le epoche, dentro e fuori le biblioteche – hanno contribuito a consolidare le conoscenze e tramandarle alle generazioni future.

Così la storia del libro e delle biblioteche s'inscrive nel contesto rappresentato "dalle scuole filosofiche antiche, dagli 'studi' medievali, dalle accademie e dalle società scientifiche sei-settecentesche, dalle università ottocentesche, dai laboratori e dai centri di ricerca che sono sorti nell'università o fuori di essa". [16] Analogamente, un discorso sui supporti elettronici – e sulla possibilità di sottrarli ad una dolorosa scomparsa – non può in alcun modo prescindere da un'indagine sui contesti tecnologici, culturali e sociali in cui essi hanno avuto origine e in cui trovano la propria più evidente manifestazione.

Se condotto in questi termini, il discorso sulla conservazione può essere dunque inserito in una visione più ampia, nella quale le problematiche di natura biblioteconomica relative alla conservazione e fruizione dei documenti s'incrociano con quelle specificamente culturali legate alla conservazione e alla diffusione delle conoscenze, [17] dando così vita a una diversa immagine della nostra storia documentaria passata e recente.

Per affrontare queste tematiche, ci sembra opportuno richiamare l'opinione di Alfredo Serrai, secondo il quale

la biblioteca nasce quando si raccolgono gli oggetti che costituiscono il supporto fisico delle registrazioni dei simboli che stanno al posto della comunicazione orale, o per evocarla o per rappresentarla. Tali oggetti sono i documenti: le tavolette di argilla, i rotoli di papiro, i libri a stampa, i dischi fonografici, le pellicole fotografiche, i nastri magnetici. Con le biblioteche quali depositi di simboli l'umanità ha fissato chiaramente e stabilmente le linee del proprio sviluppo, e, rendendosene consapevole, ha creato le condizioni per una storia [...]. Alla memoria biologica che appartiene alla specie, e alla memoria cerebrale che è dell'individuo, si è aggiunta la biblioteca quale memoria collettiva delle esperienze esistenziali, scientifiche e culturali, sia dell'individuo che della società. [18]

L'autore insomma non soltanto rende esplicito il ruolo della biblioteca, volto a perpetuare le memorie dell'umanità attraverso l'ordinata raccolta, l'idonea organizzazione e l'ampia diffusione dei supporti fisici dell'informazione, ma dimostra come non si possa delineare alcuna prospettiva storica senza un'adeguata conservazione delle raccolte bibliotecarie e dei documenti che le compongono. Sulla base di questi presupposti, e tenendo conto dell'importanza delle tre funzioni sopra enunciate, è allora possibile definire un percorso che riesca davvero a configurarsi come una storia - culturale e documentaria insieme - "dell'individuo e della società".

3. Biblioteche e conservazione nel mondo antico e medievale

Se dunque vogliamo risalire alle origini delle biblioteche, tradizionalmente legate alle culture fiorite nella penisola mesopotamica a partire dal 3° millennio avanti Cristo, [19] possiamo notare come "l'alba della civiltà" [20] abbia dato vita a una serie di strutture il cui scopo era quello di raccogliere e conservare le diverse forme di sapere presenti all'epoca. [21]

Ed è interessante osservare come queste strutture abbiano elaborato dei criteri che ci appaiono sorprendentemente moderni: [22] un esempio viene dalla raccolta allestita da Assurbanipal nel palazzo reale di Ninive – la più conosciuta perché ritrovata quasi integralmente [23] – nella quale le tavolette venivano conservate all'interno di vasi di terracotta, ordinatamente allineati su scaffali in base a ciò che oggi si direbbe una vera e propria organizzazione sistematica. [24] Siamo di fronte a una prima rappresentazione di quel nesso fra conservazione e fruizione dei documenti che si riproporrà quasi senza eccezione nei secoli successivi, e che si esplica nella capacità di combinare un'idonea tutela dei materiali con sistemi il più possibile efficaci di recupero e diffusione delle informazioni. [25]

Si tratta peraltro di criteri che non vengono modificati dall'avvento di un nuovo supporto, il rotolo di papiro, ma che anzi sembrano diffondersi per tutta l'antichità con caratteristiche simili a quelle ora descritte. Sappiamo infatti che nelle biblioteche dell'antico Egitto i rotoli erano conservati in vasi o cofani collocati all'interno di nicchie o su scaffali, secondo un ordine rispondente a determinati modelli di ripartizione; [26] sappiamo che analoghi sistemi erano presenti nei palazzi di Micene e di Pilo; [27] sappiamo infine che la biblioteca di Alessandria era basata su un principio affine, [28] in grado di coniugare un'appropriata salvaguardia a un adeguato recupero dell'immenso numero di rotoli posseduti. [29]

E proprio i criteri di conservazione della più grande biblioteca dell'antichità s'intrecciano con le funzioni – culturali, sociali, ma soprattutto simboliche – che ad essa sono connesse: difatti, se per un verso la biblioteca risponde alla volontà dei sovrani ellenistici di "possedere, hic et nunc, il sapere di tutti i tempi e di tutta l'ecumene nota", essendo "formata sostanzialmente da stanze-magazzino" [30] finalizzate alla migliore conservazione dei volumi, per un altro verso diventa essa stessa un luogo di produzione del sapere, ad opera di quella ristretta élite di eruditi, filologi e poeti che ne costituisce l'utenza.

Ciò tuttavia non impedisce che proprio in questo ambiente vengano introdotti o perfezionati tutti quegli strumenti, di natura squisitamente biblioteconomica, volti a rendere sempre più soddisfacente il nesso conservazione/fruizione, e che vanno dal consolidamento dell'ordine sistematico alla meticolosa descrizione delle opere possedute, fino alla realizzazione di nuove forme di catalogazione per autori e per materie. [31]

Ma è il mondo romano che assegna alle biblioteche un ruolo marcatamente "pubblico", cosa che avviene attraverso un'ampia apertura ai cittadini colti, ossia a coloro che sono in grado di utilizzarne il patrimonio per scopi d'istruzione e di diletto; [32] tale obiettivo, d'altra parte, è reso possibile proprio grazie a meccanismi di conservazione e di fruizione analoghi, se non superiori, a quelli alessandrini.

Si assiste dunque ad una moltiplicazione delle strutture bibliotecarie e alla presenza di un numero sempre più elevato di volumi, e questo – specie in età imperiale – trasforma le biblioteche nel "luogo istituzionale della conservazione del sapere, di qualsiasi sapere". [33] Al tempo stesso viene perfezionata la loro capacità di tutela, attraverso la collocazione dei libri "in armadi rialzati, che si ritrovano entro nicchie": "un sistema di conservazione", nota Guglielmo Cavallo, "ispirato a precisi criteri di distribuzione dei saperi, di economia e di funzionalità". [34]

Il passaggio dall'antichità al Medioevo rappresenta una fase cruciale nelle vicende legate alla conservazione delle conoscenze: [35] difatti, scrive ancora Cavallo, sarebbe un grave equivoco ritenere che

l'immenso complesso delle opere antiche si sia trasmesso integralmente o quasi fino all'incirca il secolo II d. C. e che a partire da quest'epoca sia stato travolto dalla più generale crisi del mondo antico, avendo provocato quest'ultima tutta una serie di naufragi senza ritorno. Invece, il patrimonio di sapere che la tarda antichità si trovò di fronte era un patrimonio che già i secoli precedenti avevano sfoltito, selezionato o semplicemente dimenticato o perduto; anzi, fu proprio la tarda antichità, da considerare perciò una delle epoche-cardine nella storia della conservazione, che prese coscienza della crisi in atto e mise in opera meccanismi intesi a recuperare quanto ancora sopravviveva di quel patrimonio. [36]

Com'è noto, quest'opera di salvaguardia e recupero del patrimonio culturale del mondo antico avviene gradualmente, intorno ai monasteri, alle cattedrali e alle corti, presso cui sorgono quei nuclei librari che assicureranno la salvaguardia e la trasmissione delle conoscenze alle generazioni successive. [37] Ciò sarà possibile anche grazie all'avvento di una nuova, importante materia scrittoria, la pergamena, la cui presenza segna il definitivo passaggio dal libro in forma di rotolo a quello in forma di codice: grazie ai suoi requisiti di solidità e maneggevolezza, ma soprattutto perché dà vita a nuove e più efficaci modalità di lettura, [38] il codice di pergamena rappresenta un supporto chiave, sul quale viene trasferita la totalità del sapere o, per meglio dire, la totalità del sapere presente all'epoca.

Così nelle biblioteche altomedievali è la funzione della produzione a venire esaltata, in quanto le comunità monastiche, sulla scorta della regola benedettina, sono sollecitate a trascrivere – e dunque a riprodurre – i codici in loro possesso. Ma d'altra parte si assiste alla rottura del nesso tra conservazione e fruizione che abbiamo visto essere tipico delle biblioteche del mondo antico: in questo periodo infatti le raccolte sono finalizzate ad un uso strettamente interno, funzionali alle necessità spirituali o pratiche delle comunità religiose, per cui la collocazione dei libri negli armaria presenti nel coro, in refettorio, in sacrestia o nelle celle attesta una forma di conservazione strettamente legata alla vita del convento e alle varie parti in cui è divisa la giornata del monaco.

Nei secoli successivi, a partire almeno dalla "rinascita del dodicesimo secolo", [39] si entra in una fase nuova, in cui si assiste alla crisi del precedente modello di conservazione, finalizzato "non tanto alla fruizione ma piuttosto alla pura salvaguardia del libro-patrimonio". [40] E' infatti in questo periodo che si verifica il passaggio da una forma di conservazione essenzialmente quantitativa, fondata sulla semplice acquisizione dei codici, ad una maggiormente qualitativa, funzionale alle rinnovate esigenze delle biblioteche; [41] il numero più elevato di codici consente infatti una maggiore circolazione delle conoscenze e quindi una più ampia frequentazione delle biblioteche, e ciò impone una radicale trasformazione nei criteri di collocazione, con l'uso di incatenare ai banchi i libri di utilizzo più frequente, divenendo così esplicita la finalità di consultazione – e non più o non solo di mera conservazione – assegnata alle raccolte. [42]

4. Biblioteche e conservazione nell'età moderna

Il passo successivo è ovviamente legato all'invenzione della stampa ed alle spettacolari trasformazioni da essa apportate in tutti i campi della società, dell'economia e della cultura: [43] a partire dalla seconda metà del Quattrocento infatti il vertiginoso aumento nel numero dei libri dà vita a cambiamenti assai rilevanti per le biblioteche, [44] che si aprono sempre più alla consultazione e alla lettura, accentuando di conseguenza il proprio carattere pubblico. Il problema della grande quantità di libri che affluiscono alle biblioteche viene affrontato e risolto sulla base di radicali modifiche architettoniche: difatti la biblioteca si organizza in una grande sala-magazzino, nella quale i libri sono collocati su ampi scaffali che ricoprono per intero le pareti, diventando in tal modo non solo oggetti da conservare, ma "strumenti" esplicitamente rivolti allo studio e alla lettura. [45]

Da Gutenberg in avanti, dunque, l'idea della conservazione è associata a quella della moltiplicazione seriale delle pubblicazioni, che permette di non disperdere le conoscenze proprio grazie all'elevato numero degli esemplari in circolazione. Questo straordinario incremento documentario peraltro spinge le biblioteche ad adottare criteri di organizzazione sempre più rigorosi: se infatti da un lato si introducono nuovi e più funzionali sistemi di ripartizione, che agevolano la ricerca e il recupero da parte degli utenti, dall'altro lato nascono – o per meglio dire si consolidano – i cataloghi, sia alfabetici sia sistematici, il cui obiettivo è quello di guidare i lettori lungo un itinerario di conoscenze assai più vasto e complesso che in passato. [46]

Inoltre in questo periodo si assiste alla nascita dei grandi repertori bibliografici, fra cui ricordiamo ancora una volta la Bibliotheca universalis di Conrad Gesner, che si pone – e realizza – l'obiettivo di censire la totalità delle pubblicazioni esistenti al suo tempo; [47] ed è proprio dalla grande stagione delle "biblioteche senza pareti" [48] che si svilupperà l'idea del controllo bibliografico universale, vale a dire la necessità di "rendere universalmente disponibili [...] le registrazioni bibliografiche delle pubblicazioni prodotte in tutti i paesi". [49]

Si tratta di un concetto essenziale non solo per la storia della bibliografia, ma anche per quella della conservazione bibliotecaria: difatti, se è vero che solo una capillare registrazione dell'immenso numero di pubblicazioni esistenti può permettere la fruizione delle conoscenze in esse contenute, è altrettanto vero che tale registrazione è in grado di incidere a fondo sulla funzione conservativa, in quanto conoscere ciò che è stato pubblicato equivale a sapere che certi documenti esistono, e che di conseguenza vanno tutelati. Come ha efficacemente osservato Michael Gorman,

è importante notare che tutti i sistemi di controllo bibliografico hanno due funzioni primarie. Queste sono: a) fornire un accesso veloce ed efficiente ai materiali desiderati, e b) assistere nella conservazione e nella trasmissione ai posteri delle registrazioni umane. Nell'ultimo caso, è ovvio che, se non sappiamo cosa abbiamo, non possiamo conservare quei documenti. [50]

Fra Sette e Ottocento poi si afferma il diritto di stampa, un principio cruciale della storia culturale recente, che impone a editori e tipografi di depositare una copia di ogni libro da essi prodotto presso una determinata biblioteca, di solito la più importante della nazione.

Il deposito obbligatorio degli stampati, associato alla grande disponibilità documentaria derivata dalla soppressione degli ordini religiosi, contribuisce alla nascita delle biblioteche nazionali, che acquisiscono ben presto una duplice funzione: da un lato diventano responsabili della raccolta e della conservazione dell'intera produzione editoriale della nazione in cui hanno sede; dall'altro assumono il compito di redigere le bibliografie nazionali, ossia la registrazione estensiva di tutto ciò che è stato pubblicato nel proprio paese. [51]

Ed è evidente che la nascita di questa tipologia di biblioteche dà vita a un'idea completamente nuova di conservazione, legata non solo alla salvaguardia fisica del patrimonio documentario, [52] ma a una sua reale "conoscenza bibliografica", finalizzata a una migliore fruizione da parte degli utenti, oltre che a una più organica difesa ad opera delle istituzioni. [53]

I secoli successivi sono caratterizzati dall'aumento esponenziale delle pubblicazioni, e ciò pone alle biblioteche rilevanti problemi di conservazione, i quali vengono affrontati con una serie di politiche e strategie che vanno dalla tutela in idonee condizioni di temperatura e umidità fino al restauro degli esemplari più deteriorati. Ma non per questo cessano i problemi volti a un'idonea salvaguardia dei documenti, come dimostra l'avvento di una qualità di carta a composizione acida che, nei primi decenni del Novecento, provoca numerosi problemi di conservazione che non riguardano solo i libri, ma anche i quotidiani, i periodici e le altre tipologie documentarie. [54] Queste difficoltà sono state affrontate con una serie di soluzioni che a volte hanno condotto le biblioteche a scelte a dir poco controverse, ma che costituiscono un'ulteriore testimonianza dell'importanza che la funzione conservativa continua a mantenere anche per i documenti più recenti. [55]

Michele Santoro, Biblioteca Interdipartimentale di Matematica, Fisica, Astronomia e Informatica - Università di Bologna, e-mail: michele.santoro@unibo.it


Note

La funzionalità dei legami ai siti web è controllata a 2 luglio 2014; la traduzione di brani di testi stranieri è dell'autore.

[1] Si veda ad esempio il rapporto dal titolo Buildings, books, and bytes, il quale offre un'interessante prospettiva dei criteri con cui si guarda alla biblioteca nell'epoca odierna (il rapporto è disponibile all'indirizzo <http://www.benton.org/publibrary/kellogg/buildings.html>).

[2] Lo rileva con precisione Maria Gioia Tavoni, per la quale "il termine biblioteca richiama all'istante l'idea di un luogo destinato alla conservazione dei libri. Non vi è dubbio che per un lungo periodo le biblioteche hanno svolto una simile funzione e che ancor oggi molti istituti ci appaiono soprattutto come musei che accolgono, coordinano e conservano tutti i prodotti del pensiero umano per tramandarlo vivo nelle sue fonti all'avvenire" (Maria Gioia Tavoni, Libri e lettura da un secolo all'altro, Modena, Mucchi Editore, 1987, p. 207).

[3] Più precisamente Alfredo Serrai scrive che "la biblioteca è una organizzazione di documenti e delle notizie che li riguardano, tale che sia possibile e facilitato il reperimento dei documenti cercati, in quanto già noti e identificati, o l'incontro con quei documenti che si presume possano risultare utili o giovevoli" (Alfredo Serrai, Guida alla biblioteconomia, Firenze, Sansoni, 1983, p. 20).

[4] Una disciplina che, secondo la classica definizione di Serrai, è costituita "dall'insieme delle conoscenze e delle tecniche occorrenti per allestire, ordinare e amministrare una raccolta documentaria" (ibid., p. 7).

[5] Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, Palermo, Sellerio, 1990, p. 198.

[6] Piero Innocenti, La biblioteca tra conservazione e fruizione sociale, "Bollettino per biblioteche", 32, (1987), p. 113-117; cfr. anche, nello stesso fascicolo, Bruno Passamani, Il museo tra conservazione e fruizione, p. 110-112.

[7] Luigi Crocetti, Biblioteche e conservazione, in Dal 1966 al 1986. Interventi di massa e piani di emergenza per la conservazione del patrimonio librario e archivistico. Atti del Convegno e catalogo della mostra. Firenze, 1986, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1991, p. 24.

[8] Carlo Revelli, Di alcuni aspetti della conservazione, "Biblioteche oggi", 18 (2000), 10, p. 51; dello stesso autore si veda anche Problemi di conservazione, 1, "Biblioteche oggi", 14 (1996), 8, p. 46-51; Problemi di conservazione, 2, "Biblioteche oggi", 14 (1996), 9, p. 42-49.

[9] La bibliografia (sia cartacea che in rete) sui diversi aspetti della conservazione è davvero sterminata. Per una prima ricognizione cfr. Chiara Carlucci - Cristina Cavallaro - Piero Innocenti, La conservazione in biblioteca: come informarsi, "Biblioteche oggi", 18 (2000), 3, p. 46-55; l'analisi dei siti web è poi proseguita in Chiara Carlucci, Le fonti elettroniche della conservazione e del restauro librario, "Biblioteche oggi", 18 (2000), 9, p. 26-28; una panoramica internazionale è offerta dai contributi di Carlo Revelli, cit. Fra i numerosi siti Internet dedicati al tema il più consistente è probabilmente CoOL, Conservation On Line. Resources for Conservation Professionals, <http://palimpsest.stanford.edu/>. In lingua italiana si veda tra l'altro: Carlo Federici – Libero Rossi, Manuale di conservazione e restauro del libro, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1983; Oltre il testo. Unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di Rosaria Campioni, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1985; Antonio Giardullo, La conservazione dei libri. Materiali, tecniche e impianti, Milano, Editrice Bibliografica, 1999; Carlo Federici, A, B e C. Dialogo sulla conservazione di carte vecchie e nuove, Roma, Carocci, 2005; Libri e documenti. Le scienze per la conservazione e il restauro, a cura di Mariagrazia Plossi e Antonio Zappalà, Gorizia, Biblioteca Statale Isontina - Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2007; Paola F. Munafò - Assunta Di Febo -Giulia Egidi, I cento passi della prevenzione in biblioteca, Roma, Istituto centrale per la patologia del libro, 2008; Carlo Pastena, Note di conservazione negli archivi e nelle biblioteche. Presentazione di Adele Mormino, Palermo, Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali ed ambientali, 2009.

[10] Le numerose problematiche relative alla conservazione dei documenti in formato sia cartaceo che elettronico sono esplorate in L'eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory e Marcello Morelli, prefazione di Giorgio Salvini, Roma-Bari, Laterza, 1994.

[11] Pietro Rossi, Prefazione a La memoria del sapere. Forme di conservazione e strutture organizzative dall'antichità a oggi, a cura di Pietro Rossi, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. V.

[12] Ibid.

[13] Tuttavia è indubbio che di fianco a queste funzioni per così dire positive ve ne sia una quarta, decisamente negativa ma senza la quale non è possibile comprendere a fondo questo argomento: si tratta ovviamente della distruzione, della scomparsa, della perdita delle memorie. Tale perdita è dovuta alle cause più diverse, fra cui alcune naturali o accidentali (terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni, etc.), altre provocate dall'uomo (guerre, saccheggi, etc.). A entrambe le categorie peraltro fa riferimento la principale causa di scomparsa delle memorie dall'antichità a oggi, vale a dire gli incendi. Come ha scritto efficacemente Luciano Canfora, "gli incendi non nascono dal nulla. È come se una forza maggiore intervenisse ad un certo punto a sopprimere un organismo non più controllabile: incontrollabile perché rivela un'infinita capacità d'incremento" (Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, cit., p. 198). Su questi temi si rinvia al ben documentato volume di Lucien X. Polastron, Livres en feu. Historie de la destruction sans fin des bibliothèques, Paris, Denoël, 2004, ed al nostro Conservazione e perdita delle memorie. Breve storia per immagini, "Bibliotime", 9, (2006), 3, <https://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-ix-3/santoro.htm>.

[14] Si veda il già citato La memoria del sapere, e in particolare l'introduzione di Pietro Rossi.

[15] Per una breve sintesi storica cfr. Paul N. Banks, Conservation and preservation, in Encyclopedia of library history, edited by Wayne A. Wiegand and Donald G. Davis, Jr., New York, Garland Publishing, 1994, p. 167-169.

[16] Pietro Rossi, cit., p. VIII.

[17] Cfr. al riguardo Piero Innocenti, La biblioteca tra conservazione e fruizione sociale, cit.; Michèle Valerie Cloonan, The preservation of knowledge, "Library Trends", 41 (1993), 4, p. 594-605.

[18] Alfredo Serrai, Storia della biblioteca come evoluzione di un'idea e di un sistema, in Sistemi bibliotecari e meccanismi catalografici, Roma, Bulzoni, 1980, p. 39-40.

[19] Cfr. fra l'altro Handbuch der Bibliothekswissenschaft, fondato da Fritz Milkau, a cura di Georg Leyh, 2. ed., Wiesbaden, Harrasowitz, 1953-65, 3 v.; James W. Thompson, Ancient libraries, Berkeley, University of California Press, 1940; Alfred Hessel, A history of library, New Brunswick, The Scarecrow Press, 1955; James Thompson, A history of the principles of librarianship, London, Bingley, 1977; Michael H. Harris, History of libraries in the western world, Metuchen-London, The Scarecrow Press, 1984 (ediz. riveduta di E. D. Johnson, History of libraries in the western world, 3. ed., 1976).

[20] Il riferimento è all'importante studio L'alba della civiltà. Società, economia e pensiero nel vicino Oriente antico, 3 v., Torino, Utet, 1976.

[21] Per un approfondimento sul tema si veda fra l'altro Giorgio Raimondo Cardona, Il sapere dello scriba, in La memoria del sapere, cit., p. 3-28.

[22] Cosa che, a parere di Alfredo Serrai, in realtà non deve destare meraviglia, se si pensa che "le raccolte dei supporti dei simboli linguistici hanno dovuto creare, fin dagli inizi, problemi di deposito, di ordinamento, di recupero; tra i criteri adottati ci saranno stati quelli che si riferivano alla destinazione, al genere, alla promanazione, alla cronologia dei documenti. Con le raccolte nascevano, quindi, i problemi biblioteconomici" (Alfredo Serrai, Biblioteconomia come scienza, cit., p. 9)

[23] La raccolta, conservata al British Museum, risale al periodo che va dal 668 al 627 a. C. Al riguardo cfr. Mogens Weitemeyer, Archive and library technique in ancient Mesopotamia, "Libri", 6 (1956), 3, p. 227-243; Filippo Garbelli, Le biblioteche in Italia all'epoca romana: con un'appendice sulle antiche biblioteche di Ninive ed Alessandria, Sala Bolognese, Forni, 1989 (ristampa anastatica dell'ed. originale, Milano, Hoepli, 1894). Si veda infine Mario Liverani, L'alba della civiltà, cit., v. 3, Il pensiero, p. 499-513.

[24] Cfr. in particolare Evgenij I. Šamurin, Geschichte der bibliothekarisch - bibliographischen Klassifikation, 2 v., Leipzig, Veb Bibliographisches Institut, 1964-1967 (trad. dal russo di W. Hoepp); Alfredo Serrai, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia, Firenze, Olschki, 1977.

[25] Si veda tra l'altro Edward Edwards, Memoirs of libraries, v. 1., London, Trübner & Co., 1859.

[26] Su questo tema si rinvia a John A. Sperry, Egyptian libraries: a survey of the evidence, "Libri", 7 (1957), 2-3, p. 145-155.

[27] Michael H. Harris, cit., p. 33.

[28] Cfr. Giorgio Pasquali [et al.], Biblioteca, in Enciclopedia Italiana, vol. VI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1930, p. 942-969; Luciano Canfora, Le biblioteche ellenistiche, in Le biblioteche nel mondo antico e medievale, a cura di Guglielmo Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 7.; Id., La biblioteca scomparsa, cit.; Guglielmo Cavallo, Introduzione a Le biblioteche nel mondo antico e medievale, cit., p. VIII; Id., Cultura scritta e conservazione del sapere: dalla Grecia antica all'Occidente medievale, in La memoria del sapere, cit. p. 29-67; Gaetano Messina, Callimaco e la biblioteca di Alessandria, in Il linguaggio della biblioteca: scritti in onore di Diego Maltese raccolti da Mauro Guerrini, Firenze, Regione Toscana, Giunta regionale, 1994, p. 485-504; Christian Jacob, Navigations Alexandrines, in Le pouvoir des bibliothèques. La mémoire des livres en Occident, sous la direction de Marc Baratin et Christian Jacob, Paris, Albin Michel, 1996, p. 57-83.

[29] James O'Donnell ad esempio sottolinea l'importanza delle cosiddette "nicchie a colombaia" presenti presso la bibliotecha di Alessandria e destinate a contentere i rotoli di papiro: esse infatti, osserva l'autore, costituiscono una "forma di organizzazione economica e facilmente gestibile, in grado di velocizzare l'accesso secondo le necessità dei lettori" (James O'Donnell, Avatars of the words. From papyrus to cyberspace, Cambridge, MA – London, Harvard University Press, 1998, p. 33).

[30] Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere, cit., p. 34.

[31] Difatti, ha scritto Hans Wellisch, la biblioteca di Alessandria "per la prima volta ha dato vita a strumenti bibliografici usati ancora oggi, allo scopo di creare l'ordine dal caos di una vasta e sempre crescente raccolta di libri: fra questi, l'ordinamento alfabetico per nome degli autori, accompagnato dai titoli delle loro opere; il catalogo sistematico per soggetti, suddiviso per nome degli autori e per titolo; e infine la meticolosa descrizione fisica dei libri e delle loro caratteristiche" (Hans H. Wellisch, Alexandrian Library, in Encyclopedia of library history, cit., p. 21).

[32] Per le biblioteche a Roma si veda Filippo Garbelli, cit.; Giorgio Pasquali, cit.; Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere, cit., p. 38-45; Paolo Fedeli, Biblioteche private e pubbliche a Roma e nel mondo romano, in Le biblioteche nel mondo antico e medievale, cit., p. 31-64.

[33] Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere, cit., p. 40.

[34] Ibid., p. 41.

[35] Sull'argomento si veda fra l'altro Luciano Canfora, Conservazione e perdita dei classici, Padova, Antenore, 1974.

[36] Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere, p. 45. Anche per Armando Petrucci "la distruzione dello scritto è una componente della strategia stessa della conservazione [...]. Alla base della distruzione dello scritto, come della sua conservazione, esiste un problema di scelta" (Armando Petrucci, Logiche della conservazione e pratiche conoscitive, in Mercurius in trivio. Studi di bibliografia e biblioteconomia in onore di Alfredo Serrai nel 60° compleanno, a cura di Maria Cochetti, Roma, Bulzoni, 1993, p. 147).

[37] Sulle biblioteche medievali cfr. in particolare Karl Christ, Das Mittelalter, in Handbuch der Bibliothekswissenschaft, cit., p. 234-498; James W. Thompson, The medieval library, New York, Hafner, 1957; Armando Petrucci, Le biblioteche antiche, in Letteratura Italiana, II, Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, p. 527-554; Libri e lettori nel Medioevo. Guida storica e critica, a cura di Guglielmo Cavallo, Roma-Bari, Laterza, 1989.

[38] Lo si è visto nel capitolo terzo di questo volume. Al riguardo si veda inoltre James O'Donnell, Avatars of the word, cit., p. 54.

[39] Charles H. Haskins, La rinascita del XII secolo, Bologna, Il Mulino, 1972.

[40] Guglielmo Cavallo, Cultura scritta e conservazione del sapere, cit., p. 58.

[41] Dorothy M. Norris, A history of cataloguing and cataloguing methods, 1100-1850. With an introductory survey of ancient times, London, Grafton & Co., 1939; Jan De Ghellinck, Les catalogues des biliothèques médiévales chez les Chartreux et un guide de lectures spirituelles, "Revue d'ascétique et de mystique", 25 (1949), p. 284-298. Al riguardo cfr. anche Armando Petrucci, Le biblioteche antiche, cit.

[42] Sull'argomento si veda almeno Donatella Nebbiai Della-Guardia, Classifications et classements, in Histoire des bibliothèques françaises, I, Les bibliothèques médiévales. Du VI siècle à 1530, Paris, Promodis, 1989, p. 373-393.

[43] Ricordiamo ancora una volta i fondamentali testi di Lucien Febvre - Henri-Jean Martin, La nascita del libro; Elizabeth L. Eisenstein, La rivoluzione inavvertita; Marshall McLuhan, La Galassia Gutenberg. Per l'ambito italiano si veda almeno Marco Santoro, Storia del libro italiano. Libro e società in italia dal Quattrocento al Novecento, Milano, Editrice Bibliografica, 1995.

[44] Cfr. fra l'altro Libri, editori e pubblico nell'Europa moderna, a cura di Armando Petrucci, Roma-Bari, Laterza, 1977; Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento, a cura di Armando Petrucci, Roma-Bari, Laterza, 1979.

[45] Cfr. Maurizio Boriani, Conservazione e accesso al patrimonio librario nella storia dello spazio delle biblioteche, in Abitare le biblioteche. Arredo e organizzazione degli spazi nella biblioteca pubblica, a cura di Massimo Accarisi e Massimo Belotti, Roma, Oberon, 1984, p. 8-22; Giovanni Solimine, Struttura dello spazio e tipologia dei servizi: analisi storica e prospettive della lettura e della consultazione in biblioteca, "Il Bibliotecario", 15 (1998), 2, p. 41-91.

[46] I cataloghi in realtà si sviluppano a partire almeno dal XIII secolo, trasformandosi, con l'aggiunta della segnatura di collocazione, da semplice registro inventariale in vero e proprio strumento di localizzazione e recupero dei volumi sugli scaffali; al riguardo cfr. fra l'altro Richard H. Rouse - Mary A. Rouse, Preachers, florilegia and sermons: studies on the Manipulus florum of Thomas of Ireland, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1979, p. 24-26; Michael Carpenter, Catalogs and cataloging, in Encyclopedia of library history, cit., p. 108.

[47] Luigi Balsamo, La bibliografia. Storia di una tradizione, Firenze, Sansoni, 1984; Alfredo Serrai, Conrad Gesner, a cura di Maria Cochetti, con una bibliografia delle opere allestita da Marco Menato. Roma, Bulzoni, 1990.

[48] Questa espressione, con cui l'autore indica i grandi repertori sei-settecenteschi, è di Roger Chartier e dà il titolo al saggio compreso nel già citato L'ordine dei libri, alle p. 75-101.

[49] Giovanni Solimine, Controllo bibliografico universale, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 1995, p. 5; cfr. anche Donald E. Davinson, Bibliographic control, London, Bingley, 1975.

[50] Michael Gorman, Metadati o catalogazione? Una falsa alternativa, "Biblioteche oggi", 19 (2001), 6, p. 17.

[51] Tâches et problèmes des bibliothèques nationales. Colloque des bibliothèques nationales d'Europe, Vienne, 8-27 septembre 1958, Paris, Unesco, 1960.

[52] Diego Maltese, Natura e formazione dell'archivio nazionale del libro, "Bollettino d'informazioni AIB", 17 (1977), 4, p. 286-294; Id., Sistema bibliografico nazionale e deposito legale, "Bollettino d'informazioni AIB", 19 (1979), 4, p. 264-270.

[53] Kenneth W. Humphries, The rôle of the National Library: a preliminary statement, "Libri", 14 (1964), 4, p. 356-368; Id., Les fonctions d'une bibliothèque nationale, "Bullettin de l'Unesco à l'intention des bibliothèques, 20 (1966), 4, p. 170-183; Id., National library function, in National Libraries, edited by M. B. Line and J. Line, London, ASLIB, 1979, p. 64-75.

[54] Al riguardo si rinvia al già citato L'eclisse delle memorie.

[55] Difatti, scrive Tiziana Plebani, "i libri moderni vanno protetti, forse ancor più degli antichi, dalla luce, dal calore, dall'umidità e dagli attacchi dei microrganismi, vanno manipolati con attenzione, ben allineati su scaffali adeguati, sorretti, trasportati con cura, letti con pratiche corrette. Più di qualsiasi ricetta magica valgono, come sappiamo, gli atti quotidiani di gestione delle raccolte che o vanno nella direzione della conservazione e del buono stato dei volumi oppure accelerano i processi di degrado" (Tiziana Plebani, Il libro moderno: quell'oscuro oggetto di (non) desiderio, in Conservare il Novecento, Convegno nazionale, Ferrara, 25-26 marzo 2000. Atti a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2001, p. 116).




«Bibliotime», anno XVII, numero 2 (luglio 2014)

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