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SEMINARIO SU FRBR (Functional requirements for bibliographic records) - Firenze, 27-28 gennaio 2000

FRBR e utente: considerazioni sulla ricerca

di Paul Gabriele Weston

Fino a che il catalogo è stato concepito come strumento di intermediazione fra il lettore e il patrimonio librario della singola biblioteca, lo sforzo del bibliotecario si è diretto principalmente alla definizione di criteri di descrizione e di indicizzazione che tenessero conto in primo luogo di due caratteristiche specifiche: la tipologia della biblioteca e del materiale ivi contenuto, e le esigenze informazionali del lettore. Nell'organizzazione del catalogo egli ha cercato di prevederne la strategia di ricerca messa in atto ai fini dell'individuazione della notizia bibliografica e di fornire tutti e solo quei dati relativi al libro, inteso come l'insieme del contenente (l'unità fisica) e del contenuto (il messaggio), ritenuti adeguati a presentarlo in modo efficace. Nel corso del tempo l'ordinamento dei cataloghi ha oscillato fra il criterio semantico e quello autorale, riflettendo fra l'altro la fine della unitarietà del sapere e la sua progressiva frammentazione nelle specializzazioni, conseguente alla rivoluzione scientifica, e l'affermarsi della individualità dell'autore, come responsabile primario della genesi dell'opera letteraria.

La decisione di dare vita a dei cataloghi collettivi, con l'ambizione diventata mano a mano più esplicita, di perseguire l'obiettivo di un censimento universale delle pubblicazioni correnti, non è stata priva di conseguenze sulla natura e sull'organizzazione del catalogo. L'attenzione del catalogatore si è infatti progressivamente focalizzata sul documento, sui criteri per la sua rappresentazione e sugli apparati indispensabili al reperimento di quest'ultima. In particolare, si è avvertita sempre più forte l'esigenza di normalizzare le descrizioni, per far sì che le registrazioni potessero convivere, in ragione della propria omogeneità, nel medesimo archivio, e che fossero favorite al tempo stesso quelle procedure di catalogazione partecipata e derivata, miranti a rendere più agevole e veloce il lavoro del catalogatore. Un approccio pragmatico alla questione della standardizzazione ha condotto alla scelta di considerare il documento stesso, nella sua presentazione formale, la fonte primaria degli elementi bibliografici necessari alla redazione della notizia. La prima preoccupazione, infatti, è stata quella di fissare criteri oggettivi di individuazione dei dati rilevanti ai fini della descrizione che eliminassero, o quanto meno riducessero al minimo, la discrezionalità del catalogatore, sia nella scelta delle informazioni da includere, sia nell'organizzazione delle stesse all'interno della notizia. E' evidente, ad esempio, che la presenza di forme diverse di un titolo in parti differenti del documento, richiede non soltanto che si prescriva di preferire comunque uno fra tali titoli, anche qualora esso sia differente da quello con cui l'opera è comunemente conosciuta, citata e forse anche ricercata dai lettori, ma che sia sempre e comunque chiaro al catalogatore quale fra i titoli sia quello da riportare nella notizia. L'obiettivo dichiarato è quello di produrre descrizioni identiche per un medesimo documento in tutte le biblioteche, di qualunque tipologia ed in qualunque paese.

Il passaggio dalla teoria alla prassi dimostra, purtroppo, come la soluzione adottata non risponda sempre adeguatamente alle intenzioni. In primo luogo perché nel passaggio dall'impianto teorico all'apparato normativo, si evidenzia l'estrema difficoltà di fondare una regola generale su una casistica basata sull'esperienza, che non può ovviamente farsi carico di prevedere anche le evenienze future. E' sufficiente che l'editore, di proposito o meno, introduca un elemento nuovo o comunque estraneo al criterio consolidato di confezione del documento, perché le norme abbiano bisogno, per essere applicate, di interpretazioni ed adattamenti, che mettono in pericolo, quando addirittura non contraddicono, il principio dell'oggettività.

Non di rado, poi, l'esigenza di rispettare a tutti i costi una sequenza stabilita nella trascrizione dei dati bibliografici si traduce nell'impossibilità di operare una fedele riproduzione di come il documento si presenta nella fonte prescritta. Il risultato della catalogazione, in questo caso, è una descrizione ibrida, non più definibile di tipo iconico, ma neanche propriamente informazionale. Ed anche in questo caso, cosa garantisce che ogni catalogatore, di fronte a più soluzioni fra loro alternative, scelga inequivocabilmente sempre la stessa?

Vi è poi il caso di informazioni fuorvianti, presentate sul documento in modo tale da non fare dubitare della loro veridicità, la cui trascrizione pura e semplice, tuttavia, si traduce, dal punto di vista del lettore, in un aumento della confusione piuttosto che della chiarezza.

E' pur vero che per fare fronte a tutte queste evenienze il catalogatore dispone di un proprio spazio, l'area delle note, in cui può fare sentire la propria voce e può aggiungere altre informazioni ad integrazione e a chiarimento dei dati bibliografici presenti. Ma si tratta di una soluzione che non sempre garantisce adeguata visibilità ai dati stessi e che non ha necessariamente conseguenze sul modo in cui le notizie vengono poi organizzate all'interno del catalogo.

Tutto ciò è in larga parte conseguenza del fatto che il contesto nel quale vengono elaborate le normative catalografiche è quello che prefigura la creazione di "un sistema per lo scambio internazionale delle informazioni in cui la descrizione normalizzata di ogni pubblicazione sia stabilita e distribuita dall'agenzia nazionale del paese d'origine della pubblicazione".(1) E' comprensibile che l'efficienza di un sistema così concepito dipenda soprattutto dalla massima standardizzazione del contenuto e della forma della descrizione bibliografica. Ed è altresì comprensibile che dovendo coinvolgere il numero più ampio possibile di istituzioni a livello universale e tesaurizzare gli archivi bibliografici già esistenti, ci si preoccupi più di accogliere gli elementi comuni alle tradizioni dei diversi paesi e di mediarne prudentemente le diversità, che di elaborare un impianto nuovo, rispondente a requisiti e funzioni la cui definizione in via preliminare veniva da più parti auspicata.

Neanche l'adozione di procedure informatiche ha comportato significativi cambiamenti, vuoi perché il modello di registrazione che si è affermato, il formato MARC, era stato originalmente concepito come uno strumento per la produzione automatica delle schede, più che in vista della costituzione di cataloghi pubblici elettronici, vuoi perché il formato che è stato successivamente elaborato per consentire lo scambio internazionale delle registrazioni, l'UNIMARC, si è fatto anche esso carico più delle esigenze delle bibliografie nazionali, che di quelle delle singole biblioteche. D'altronde, dovendo sviluppare del software per la gestione elettronica delle biblioteche, i produttori hanno scelto di riprodurre molto da vicino le procedure manuali, limitando, almeno in un momento iniziale, il contributo originale dell'elaboratore all'effettuazione di una più ampia tipologia di ricerche ed alla produzione automatica di indici e liste. La rinuncia a sviluppare modelli nuovi di notizie bibliografiche che consentissero di mettere a frutto le migliori potenzialità del computer si evidenzia anche nell'atteggiamento conservativo per il quale molto spesso le notizie vengono presentate all'utente nel più grande rispetto della forma e con la punteggiatura concepite entrambe per la realizzazione dei cataloghi tradizionali.

Un discorso analogo a quello delle descrizioni bibliografiche può essere fatto a proposito delle intestazioni. I motivi che hanno condotto allo sviluppo di un modello descrittivo normalizzato per consentire alle singole biblioteche la condivisione dei cataloghi, la costituzione dei cataloghi collettivi e la derivazione dei dati dalle agenzie bibliografiche nazionali hanno portato alla ideazione ed alla realizzazione di elenchi normalizzati di intestazioni, cui spesso è stata successivamente data l'organizzazione strutturata dell'authority file. Anche in questo caso tuttavia si è preferito rinunciare fin dall'inizio ad una radicale revisione delle problematiche proprie della forma dell'intestazione e ci si è limitati a definire una struttura e a prescrivere la forma ed il contenuto delle notizie di autorità, anche nel momento in cui è stato messo a punto il formato elettronico delle corrispettive registrazioni. In particolare non risulta chiarito il contrasto fra la responsabilità dell'agenzia nazionale di produrre la registrazione autorevole relativamente agli autori nazionali e l'adozione di criteri internazionali univoci per la forma dei nomi di persona e di ente stranieri. E se è pur vero che la standardizzazione delle intestazioni si scontra, per ovvi motivi, con l'impossibilità di non tenere conto delle differenze di scritture, alfabeti e lingue e delle specificità culturali di cui ciascuna normativa catalografica nazionale è espressione, essa può contribuire alla più volte auspicata cooperazione bibliotecaria solamente se è fondata su principi univoci ed equivalenti accettati da tutti i paesi che vi fanno confluire i propri dati. Il mancato approfondimento iniziale ha fatto sì che il processo di integrazione sia stato molto più lento del previsto, tanto da potersi definire ancora tutt'altro che concluso. Non è un caso che la realizzazione più importante, l'Anglo-American authority file, nasca dalla collaborazione fra paesi che parlano la medesima lingua e adottano, con limitate ma non trascurabili differenze nell'interpretazione, lo stesso codice normativo. E' un fatto, in ogni modo, che nell'ambito di ogni paese, la scelta e la forma delle intestazioni rispondono a prescrizioni che non tengono conto in generale della tipologia della singola biblioteca e della natura del materiale bibliografico.

Intorno a questa irrisolta ambiguità tra bibliografia e catalogo è cresciuta negli anni l'insoddisfazione di coloro che imputavano all'insieme delle ISBD il peccato originale costituito dal mancato preventivo accertamento ed esplicito riconoscimento di funzioni e principi e che sostenevano che l'avere sradicato il catalogo dalla biblioteca, per svilupparlo secondo principi che non prendono adeguatamente in conto la sua natura, se da un lato ha permesso la realizzazione di archivi imponenti di notizie bibliografiche, dall'altro lato ha messo in crisi l'adempimento della funzione primaria dello stesso nei confronti dei lettori in quanto, per usare le parole di Maltese, "il catalogo deve servire alle necessità di chi lo usa".(2)

Proprio per questo motivo, l'aspetto di maggiore rilevanza in FRBR consiste nell'avere privilegiato un approccio focalizzato sulle necessità utenziali - e non esclusivamente su quelle dell'utente del catalogo - cioè nell'avere analizzato in modo sistematico quali informazioni un utente possa aspettarsi di trovare in una notizia bibliografica ed in che modo se ne possa servire. Una volta isolate le entità che sono gli oggetti chiave di interesse per gli utenti delle notizie bibliografiche, lo studio procede ad "identificare le caratteristiche o attributi associati a ciascuna entità, nonché le relazioni esistenti fra le entità che sono l'elemento più importante perché gli utenti siano in grado di impostare ricerche bibliografiche, di interpretare le risposte a tali richieste e di navigare l'universo delle entità descritte nelle notizie bibliografiche".(3) In questo contesto l'uso del termine "navigazione" pare particolarmente appropriato, in quanto definisce una metodologia di ricerca propria dei cataloghi elettronici. Avere, dunque, sviluppato un modello concettuale di registrazione bibliografica basato sull'idea di navigazione fra le entità significa avere pensato per la prima volta ad un catalogo totalmente elettronico, organizzato secondo una struttura a rete e non più soltanto alla riproposizione in forma elettronica del catalogo manuale, che al contrario è organizzato linearmente. Tenendo conto del fatto che "i mezzi di registrazione e di elaborazione elettronica dispongono, in modo specifico, proprio di eminenti capacità di istituire, coordinare e connettere sintassi di segni"(4) e che "questa facoltà, intrinsecamente rielaborativa e ristrutturativa di elementi predisposti, attribuisce alle procedure informatiche una natura particolarmente idonea a soddisfare le esigenze degli impianti indicali"(5) si comprende il ruolo cruciale, ai fini della fruizione ottimale del nuovo catalogo, svolto dall'apparato degli accessi.

Accessi strutturati che esplicitino le relazioni tra l'autore, l'opera, l'espressione, la manifestazione e il singolo esemplare permettono di superare nei fatti la dicotomia opera-pubblicazione e consentono di privilegiare una organizzazione del sistema informativo basata ora sull'una, ora sull'altra, a seconda della natura dell'istituzione o della procedura che tratta la notizia. Per quanto attiene al catalogo di una biblioteca, occorre infatti tenere presente che i bisogni informazionali dei lettori a beneficio dei quali viene allestito il catalogo sono assai difformi. Alcuni si accontentano di verificare l'esistenza di un'opera qualunque ne sia l'edizione, altri ricercano una specifica edizione perché presenta una particolare caratteristica, altri ancora sono interessati ad una particolare manifestazione di un'opera, altri infine esigono l'opera in un particolare formato.(6)

Inoltre, al momento della ricerca gli utenti possono non essere consapevoli, ad esempio, che della medesima opera possono esistere diverse edizioni e/o manifestazioni e la loro richiesta rispecchia questa ignoranza. Un catalogo che non voglia limitarsi a riflettere tautologicamente nelle risposte ciò che già l'utente conosce, e quindi assolvere soltanto alla funzione di localizzazione del documento, dovrebbe presentare, unitamente alle notizie che corrispondono esattamente al criterio di ricerca impostato dall'utente, anche quelle notizie che alla stessa ricerca corrispondono logicamente. Solo in questa maniera il catalogo assolve anche alla funzione bibliografica.

D'altro canto, le funzioni espletate dal catalogo devono fare riferimento a entità di un livello gerarchico inferiore all'opera perché questa in quanto tale è un'entità astratta, che si rende accessibile soltanto laddove ne esista una materializzazione, questa fisicamente reperibile, e in questo contesto l'avverbio "fisicamente" deve comprendere tutti i possibili formati, anche elettronici.

Avere definito l'espressione come entità mediana fra opera e manifestazione, ossia fra l'opera e la pubblicazione, come si sarebbe detto precedentemente, significa avere aggiunto una entità che combina i due approcci. La questione non è tuttavia così semplice e lineare come può apparire a prima vista, in quanto viene definita "espressione" qualsiasi forma intellettuale o artistica che un'opera assuma ogniqualvolta si abbia una sua realizzazione.

E quindi espressione è: la realizzazione dell'opera in forme intellettuali diverse ma nella medesima forma materiale dell'espressione originaria (per esempio, le diverse edizioni di un testo); o una trasposizione dell'espressione originaria nella medesima forma materiale (per esempio, la sua traduzione in lingua differente da quella originale); ma anche la realizzazione dell'opera in una forma materiale diversa da quella originale (per esempio, la recitazione di un testo scritto) in quanto la forma materiale viene considerata una caratteristica inerente l'espressione.

In tutti questi casi, stante la struttura logica della notizia, occorre che la relazione esprima chiaramente per il lettore la sua specifica natura. Le connessioni che verranno conseguentemente stipulate faranno sì che le espressioni che realizzano trasposizioni o cambiamenti di forma materiale, non siano poste in relazione diretta con l'opera, ma con una sua specifica espressione, e talvolta persino con una manifestazione di una specifica espressione.

Al punto di accesso, in totale autonomia dalla descrizione, verrebbe dunque assegnata la funzione di distinguere e aggregare le informazioni relative ad entità omogenee, per cui procedendo dall'opera si distinguerebbero le forme materiali nelle quali l'opera si realizza. A ciascuna di tali forme verrebbero collegate le rispettive forme intellettuali diverse o conseguenti una sua trasposizione. Il passaggio successivo consisterebbe nel collegamento fra ciascuna espressione e le rispettive manifestazioni. A ciascuna di queste ultime verrebbero infine collegate le copie. Ciascuno dei passaggi rappresenta l'istituzione di un nodo le cui ramificazioni sono costituite dai collegamenti fra le entità omogenee, con le entità superiori, con le entità inferiori ed eventualmente con altre entità collegate. La struttura non è dunque quella bidimensionale di un albero classificatorio, all'interno del quale il lettore sarebbe costretto ad un percorso obbligato, in via discendente o ascendente, ma quella spaziale di un reticolo. Il grado di complessità delle connessioni aumenta esponenzialmente quando si prendono in esame anche le opere composite e quelle che fanno parte di altre opere. Attraverso uno qualsiasi dei punti di accesso il lettore può puntare direttamente all'entità collegata e da questa percorrendo una qualsiasi delle ramificazioni puntare ad un'altra entità o ad un altro grappolo di entità e così via, fino all'espletamento della propria ricerca. Il catalogo diventa un archivio la cui organizzazione si definisce dinamicamente a seconda delle scelte via via impostate dal lettore. Ovviamente, per rendere efficacemente percorribile questo universo di ramificazioni, occorre che il lettore venga sistematicamente informato e con la massima chiarezza possibile, della natura delle informazioni che gli vengono presentate, e che gli sia altrettanto chiara l'informazione relativa a tutte le opzioni praticabili dal nodo in cui si trova. Solo con questi accorgimenti, infatti, al lettore sarà evitato di smarrire il senso della propria ricerca, come capita frequentemente a chi, non essendo esattamente consapevole degli obiettivi da conseguire, si avventura all'interno di un ipertesto.

Gli strumenti attraverso i quali "gli utenti formulano le proprie richieste e interpretano i risultati della ricerca nel momento in cui cercano informazioni su una particolare entità"(7) vengono definiti gli attributi dell'entità. Avere la possibilità di effettuare una ricerca utilizzando uno o più attributi di una entità presenta, rispetto alla ricerca in un catalogo tradizionale, una serie di conseguenze. Per citarne solo alcune, in primo luogo fa sì che la risposta ad una ricerca non sia costituita da un numero eccessivo di occorrenze, come avviene ora ogni qualvolta una ricerca per titolo produca sia tutte le edizioni e le manifestazioni dell'opera, sia le opere di altri autori con il medesimo titolo. Questo fenomeno risulta particolarmente penalizzante per la ricerca nel momento in cui gli archivi assumono proporzioni ragguardevoli, oppure nel caso di cataloghi fortemente specializzati. In secondo luogo consente che sia valutata la rilevanza (alta, media o bassa) di ciascun attributo in relazione alla tipologia del materiale e all'obiettivo (espresso dai verbi trovare, identificare, selezionare, ottenere) per il quale l'attributo stesso viene preso in considerazione dall'utente. Ciò comporta che possa essere di volta in volta suggerita la strategia di ricerca più opportuna, considerando accessi principali quelli più probabili in relazione al contesto e superando, specialmente nel caso della multimedialità, le rigidità imposte da strutture logiche di tipo esclusivamente bibliografico. Se nel nuovo modello concettuale non vengono meno il ruolo e l'importanza della responsabilità dell'autore rispetto all'opera, la possibilità di indicare altre responsabilità specificamente in relazione ad una entità o come attributo della manifestazione consente di dare loro adeguato rilievo nel contesto e garantisce loro uno status di maggiore autonomia rispetto a quanto fa invece l'intestazione secondaria. Ciò appare di particolare importanza nel caso di opere multimediali o implicanti responsabilità di differente natura fra le quali sia arduo definire una priorità. Sono casi che i cataloghi tradizionali risolvono di solito in modo controverso o dando comunque la preferenza all'autore del testo scritto. Può essere anche il caso delle opere materialmente prodotte da una persona fisica ma originate da un ente, per le quali la scelta di considerare l'ente come intestazione principale non risulta pienamente convincente.

"Gli strumenti che descrivono il collegamento fra un'entità e l'altra"(8) ed assistono l'utente nell'esplorazione del catalogo vengono invece definiti relazioni fra entità. Sono proprio le connessioni fra opere fra le quali esiste una relazione al di là del fatto che condividano la caratteristica richiesta dal lettore, che forniscono a quest'ultimo una informazione che probabilmente non si attende di trovare o che comunque avrebbe richiesto una indagine supplementare.

La struttura interna e le relazioni proprie delle notizie di autorità non vengono prese in esame in FRBR, anche se viene auspicata l'estensione del modello anche a tale ambito. Si fa riferimento a entità che costituiscono l'oggetto principale delle notizie di autorità, quali persone fisiche, enti collettivi, concetti e così via, soltanto in funzione delle relazioni che possono esistere fra tali entità e le entità che costituiscono la notizia bibliografica. E' tuttavia evidente che l'efficienza del nuovo modello si misurerà sulla precisione e sulla completezza dei dati, al controllo dei quali occorrerà dedicare una indagine capillare, tanto più che, rispetto al lavoro di catalogazione attuale, occorrerà controllare, mediante la costituzione di archivi di autorità, le opere e le espressioni. Per queste ultime, man mano che procede la catalogazione, il lavoro consisterà nell'accertamento di tutte le edizioni e delle trasposizioni in forme intellettuali e materiali diverse in modo che sia sempre stipulabile la connessione tra l'opera e ogni sua manifestazione.

Michael Gorman già nel 1977(9) ha introdotto il concetto di "notizia di controllo della forma dei punti di accesso", pur senza definirlo espressamente, in alternativa a quello di "controllo di autorità" e il medesimo termine è stato ripreso nel 1988 da Barbara Tillett in Access control: a model for descriptive, holding and control record(10)0 e sviluppato successivamente dalla stessa Tillett(11)1 e da Linda Barnhart(12)2 nell'ambito di un convegno organizzato da OCLC sul controllo di autorità nel XXI secolo. Rinunciare ad una forma autorevole non significa rinunciare al controllo o alla struttura sindetica che collega forme alternative o correlate, ma nasce dall'esigenza di rispettare, anche nei fatti, la filosofia user-oriented che informa il modello strutturale di FRBR(13)3. Il controllo di autorità presuppone infatti la presenza di una forma autorevole da privilegiare sempre e comunque sulle altre e questa viene di solito stabilita dall'agenzia bibliografica nazionale nel rispetto della normativa catalografica vigente. Invece seguendo il modello filosofico di FRBR pare più opportuno lasciare ad ogni biblioteca in considerazione della propria natura, della tipologia del materiale conservato, dei bisogni informazionali e delle conoscenze dei propri utenti di stabilire la forma preferita per l'accesso.

Per quanto infine riguarda la struttura delle "notizie di controllo della forma dei punti di accesso", in attesa che la questione venga affrontata dal Gruppo di studio di FRBR, si può fare riferimento al modello dei super-records teorizzato da Rahmatollah Fattahi(14)4 e, nella prospettiva di un catalogo object-oriented, anche a quello proposto da Michael Heaney.(15)5


1. D. Maltese. Recenti iniziative per l'unificazione internazionale della catalogazione. In: Accademie e biblioteche d'Italia, 38 (1970), 1, p. 6-9

2. D. Maltese. Principi di catalogazione e regole italiane. Firenze, 1965

3. FRBR, p. 4

4. A. Serrai. Storia e critica della catalogazione bibliografica. I. Introduzione (Storia della bibliografia, VII). Roma, 1997, p. 29

5. ibidem, p. 29

6. R. Hagler. Access points for works. In: International conference on the principles and future development of AACR, Toronto, Canada, Oct. 23-25, 1997 <http://www.nlc-bnc.ca/jsc/r-access.pdf>

7. FRBR, p. 30

8. FRBR, p. 56

9. M. Gorman. Cataloguing and the new technologies. In: The nature and future of the catalog: proceedings of the ALA's Information Science and Automation Division's 1975 and 1977 Institutes on the catalog. Ed. by M.J. Freedman and S.M. Malinconico. Mansell, 1979, p. 127-136

10. B. Tillett. Access control: a model for descriptive, holding and control records. In: Convergence: proceedings of the second national Library and Information Technology Association, October 2-6, 1988, Boston, Massachusetts. Chicago, 1990, p. 48-56

11. B. Tillett. International shared resource records for controlled access. In: Authority control in the 21st Century: an invitational conference <http://www.oclc.org/oclc/man/authconf/tillett.htm>

12. L. Barnhart. Access control records: prospects and challenges. In: Authority control in the 21st century: an invitational conference <http://www.oclc.org/oclc/man/authconf/barnhart.htm>

13. D. Matei-P. Noerr. User benefits from a new bibliographic model: follow-up of the IFLA Functional Requirements Study. In: 64th IFLA General Conference, Aug. 16-21, 1998 <http://www.ifla.org/IV/ifla64/084-126e.htm>

14. R. Fattahi. The Relevance of Cataloguing Principles to the Online Environment: An Historical and Analytical Study (Ph.D. thesis, 1996, University of New South Wales, Sydney, Australia) <http://wilma.silas.unsw.edu.au/students/RFATTAHI/thes1.htm>

15. M. Heaney. Object-oriented cataloging. In: Information technology and libraries, 14/3 (Sept. 1995), p. 135-153


Copyright AIB 2000-01-29, ultimo aggiornamento 2000-02-06 a cura di Vanni Bertini
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