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"9. Seminario Angela Vinay"
L'AUTOMAZIONE DELLE BIBLIOTECHE NEL VENETO:
l'irruzione della multimedialità

Dall'audiovisivo al multimediale : nuovi servizi e vecchi problemi
di Gianna Landucci

Premessa

L'irrompere della multimedialità nelle nostre istituzioni culturali sta offrendo delle possibilità di fruizione dei documenti e delle testimonianze culturali che fino a pochi anni fa ci sarebbero sembrate incredibili. I musei in Internet, le banche dati bibliografiche in rete, le reti civiche: risorse straordinarie, che non possono non suscitare entusiasmo in chi lavora quotidianamente con l'informazione.

Però, c'è sempre un però, conosco per esperienza l'altra faccia della medaglia: da una parte la tecnologia, la voglia di ottimizzare le risorse, di creare opportunità nuove di lavoro; dall'altra le istituzioni che gestiscono e gli enti, le amministrazioni, cui queste istituzioni spesso fanno riferimento. E qui l'entusiasmo si spenge.

Mi dispiace di essermi riproposta per questa sede un'analisi che vuol essere anche un po' bilancio dell'attività fatta - e forse non fatta - sul versante degli archivi audiovisivi in Italia: ma in dodici anni di lavoro alla Mediateca regionale toscana ho avuto modo di conoscere gli istituti e i problemi connessi alla loro attività e, forse, può essere utile proporre degli spunti di riflessione sul tema delle mediateche, che con forza ultimamente è stato rilanciato.

Il Ministero dei Beni culturali ha scoperto le mediateche. Come si può leggere anche in Internet, nelle pagine Web del Ministero, é stato presentato in luglio il piano nazionale per dotare l'Italia di una rete diffusa di biblio-mediateche; piano che coinvolge l'Anci, l'Upi, le Regioni e altri soggetti determinanti come la Gepi/Fopri, la Telecom, il Cnel e la Rai. Quest'ultima, pare, metterà a disposizione del progetto i suoi archivi e le strutture di Rai educational. Nelle mediateche - si dice - sarà possibile leggere i giornali, consultare libri, ma anche seguire videoconferenze, imparare le lingue a distanza, rivedere vecchi film e familiarizzarsi all'uso di Internet e di Intranet. E' stato siglato un bel protocollo d'intesa tra il Ministero BBCC, il coordinamento delle Regioni, l'UPI e l'ANCI. E' stato così varato il Piano d'azione "Mediateca 2000".

Si afferma nel protocollo che "la promozione di mediateche costituisce un elemento qualificante delle politiche di conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale": non molti anni fa, nel 1989, un altro passo importante era stato mosso da parte del Ministero nel settore degli audiovisivi, organizzando un convegno nel quale si riconobbe la dignità di bene culturale dell'audiovisivo, dell'immagine in movimento; rinvierei a una lettura degli atti di quel convegno, in buona parte ancora attuali.

Il Piano d'azione Mediateca 2000, promosso dal Ministero per i beni culturali e ambientali, prevede numerose iniziative per la diffusione di servizi basati sull'informazione elettronica e l'editoria multimediale presso le biblioteche e altri istituti.

Gli obiettivi principali proposti sono:

Il piano, come tutti i progetti nella fase di declaratoria degli intenti, fa intravedere un futuro roseo in cui il cittadino felice, entrando in questa nuova "infrastruttura della conoscenza", troverà risposta a tanti suoi bisogni di informazione, di documentazione, di gioco, di apprendimento tecnologico: una sintesi perfetta di edutainment e infotainment, come oggi si preferisce dire.

In alcune schede del progetto si affrontano i possibili rapporti con altre infrastrutture della conoscenza: le biblioteche, i musei, gli archivi audiovisivi.

Il piano sembra però ignorare che alcune mediateche in Italia esistono già da tempo (da oltre quindici anni): ma questo potrebbe non essere rilevante. Quel che appare più sconcertante è che nella scheda destinata ai rapporti tra il piano d'azione Mediateca 2000 e gli archivi audiovisivi si indica genericamente il possibile ruolo degli archivi audiovisivi nel mettere a disposizione patrimonio e competenze tecniche, evitando qualsiasi accenno ad una auspicabile verifica con questi istituti sui problemi reali di gestione di queste strutture. Tra gli obbiettivi del piano d'azione (al punto g) si propone di creare "archivi audiovisivi sul territorio con un fitto catalogo di dischi e videocassette di cinema d'autore, documentari, inchieste televisive, supporti didattici e materiali d'archivio RAI".

E di fronte alla genericità di tante dichiarazioni mi pare doverosa una riflessione su questi trascorsi quindici anni e su un bilancio tendenzialmente fallimentare di un'esperienza che però non si può ignorare.

Le mediateche in Italia : analisi di un passato recente

Di mediateche si cominciò a parlare nel lontano 1980, in un convegno a Castelmaggiore, presso Bologna, in un seminario dal titolo "Cineteche e cultura cinematografica: conservazione, distribuzione, promozione", tra Regioni ed enti locali. Fu un momento importante nel dibattito che si svolgeva già da alcuni anni sulla necessità di creare strutture regionali di conservazione e distribuzione degli audiovisivi, dei documenti cinematografici e televisivi. Si dette vita in taluni casi ad un grosso equivoco - e non mi sono mai stancata di dirlo - perché molte mediateche sono nate come cineteca regionale, come centro regionale di conservazione e diffusione degli audiovisivi. E questa era un'idea riduttiva della mediateca che per definizione è istituto di più ampia connotazione. Ma alla base di questo c'era una consapevolezza e quindi una necessità: la consapevolezza che la memoria audiovisiva che si stava accumulando non aveva un luogo nel quale essere raccolta, conservata, organizzata; di qui il bisogno di individuare un'istituzione che potesse essere destinata a questo scopo.

Allora il concetto di multimedialità non era definito nei termini in cui oggi lo conosciamo. Si parlava di cultura audiovisiva, di mediateche, addirittura di multimediateche. Carlo Petacchi nel suo intervento dal titolo "Mediateca e informazione" tracciava il profilo della mediateca come struttura di servizio per un pubblico il più vasto possibile, ove fosse consentito un accesso globale al materiale conservato. In opposizione a un sistema di archivi audiovisivi prevalentemente costituito da cineteche pubbliche e private, comunque archivi con uso limitato e cauto del materiale conservato, si proponeva la mediateca come sistema informativo articolato all'interno di un sistema di mediateche, ognuna delle quali magari perseguiva determinate tipologie di specializzazione. Si proponeva di costituire luoghi che, oltre a garantire la conservazione dell'originale, permettessero la massima circolazione della riproduzione: un sistema di strutture agili e spregiudicate nel trattamento del materiale audiovisivo.

Il profilo della mediateca tracciato allora prevedeva la creazione di un istituto regionale di cultura cinematografica e audiovisuale, con compiti e ruoli ben determinati, che cerco di sintetizzare, con alcune considerazioni in margine:

In quegli anni sono sorte le prime mediateche, fra queste la Mediateca regionale toscana, e questo equivoco di fondo - non essere autentiche mediateche - ne ha indubbiamente condizionato l'evoluzione. Nel piano d'azione una scheda affronta l'aspetto dei rapporti col cinema, tracciando un'articolazione che ricorda quasi esattamente quella della Mediateca regionale toscana e che è stato realizzata anche in qualche biblioteca pubblica: mi viene a mente la Sormani di Milano.

Più correttamente alcune strutture venivano definite videoteche o centri degli audiovisivi. Ma il concetto di mediateca in Italia risultava indubbiamente non chiaro: quanto volte mi sono sentita chiedere da chi per caso si imbatteva nell'istituzione "scusi, cos'è una mediateca"; e non vi nascondo che era imbarazzante cercare di dare un significato il più possibile prossimo alla reale etimologia e mostrare poi una realtà al confronto indubbiamente riduttiva.

Tuttavia questo proliferare di strutture dedicate agli audiovisivi è stato senz'altro utile allo sviluppo di un dibattito e al tentativo di risolvere dei problemi, anche se circoscritto all'ambito più dei soli archivi audiovisivi che non delle biblioteche. Ci sono stati degli importanti tentativi di creare un coordinamento delle istituzioni audiovisive in Italia: un primo, promosso dal Centro audiovisivi della Regione Lazio, che fece sedere intorno a un tavolo di lavoro enti grandi e piccoli: la RAI, la Cineteca Nazionale, l'Istituto Luce, la Discoteca di Stato, l'Asac, l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, e poi la Mediateca regionale toscana, il Centro regionale per i servizi didattici e audiovisivi della Regione Lombardia, la Cineteca di Bologna, ed esperti di documentazione. La sede che da un certo momento in poi ci ospitò fu il Dipartimento Editoria e Informazione della Presidenza del Consiglio, in attesa di un atto di riconoscimento ufficiale che non è mai arrivato. Sin dall'inizio emerse una necessità primaria: catalogare i patrimoni audiovisivi. Paradossalmente, ma non troppo, risultavano avvantaggiate le piccole istituzioni che già si erano dotate di sistemi di automazione, magari rudimentali ma efficaci. Il Luce, la Cineteca nazionale, cominciavano ad affrontare il problema. Prevalse la logica dell'uniformarsi agli standard internazionali - che esistevano - e di prendere a modello l'universo delle biblioteche per mettere a punto un sistema di cooperazione che però apparve da subito non facile; le forze in campo erano chiaramente impari: da un lato i grandi archivi audiovisivi nazionali, dall'altro piccole nascenti strutture regionali con patrimoni di indubbio minor valore e quindi poco competitive sul piano dello scambio delle risorse.

Ma il bisogno di confronto prevalse sulle logiche patrimoniali e da un'attiva collaborazione con responsabili tecnici delle teche RAI derivò un modello di analisi del documento e uno schema di database che alcuni hanno utilizzato su diffusi software di information retrieval e che è stato recepito anche dal Luce per strutturare il proprio imponente catalogo che credo stia per essere reso disponibile in Internet. In quel contesto si propose di tradurre in italiano e pubblicare le regole di catalogazione della FIAF (Fédération Internationale des archives du film). In quel volume , oltre alla traduzione delle Regole di catalogazione della FIAF, ci sono i contributi di tutti coloro che hanno lavorato a quel primo momento di coordinamento.

Le questioni sul tappeto erano però anche altre: la conservazione e il restauro, cui si é dedicata con fruttuoso impegno la Cineteca di Bologna; i problemi di uso degli audiovisivi nel contesto legislativo nazionale che - come sapete - àncora le nostre attività a una legge sul diritto d'autore del 1941, nella quale si parla solo di registrazioni sonore. E a quest'ultimo problema non abbiamo potuto non solo dare risposta, ma neppure ipotizzare delle soluzioni percorribili.

La Mediateca Regionale Toscana promosse nel 1993 un ulteriore momento di coordinamento, stavolta tra le strutture audiovisive che facevano riferimento a Regioni e ad enti locali, ed ebbe inizio una stagione intensa di incontri che miravano a un rilancio del dibattito sugli istituti regionali per gli audiovisivi, dal quale uscisse ridefinito il ruolo di queste strutture e dal quale si potesse soprattutto approdare a nuove normative sull'audiovisuale. Il cosiddetto Coordinamento nazionale per il cinema e gli audiovisivi, produsse, con il determinante contributo della Regione Marche e della Mediateca delle Marche, un convegno dal titolo "Il futuro delle memorie" che non fu molto seguito, ma i cui atti rappresentano l'ultimo momento di riflessione sul ruolo delle Regioni in rapporto alla questione istituti audiovisivi e mediateche.

Dalla parte delle biblioteche nel frattempo cosa succedeva? Non molto per la verità. Rispetto all'audiovisivo in due sole regioni si sono sviluppate biblioteche con importanti sezioni audiovisive: in Lombardia e in Emilia-Romagna. Anche se Ornella Foglieni, responsabile del Servizio biblioteche della Regione Lombardia, al recente convegno "Biblioteca e nuovi linguaggi" tenuto a marzo a Milano, ammetteva che - pur nella loro relativamente ottimale situazione - sono comunque lontani dal presentare un diffuso servizio di mediateca alla francese, in quanto non esistono ancora significative raccolte di multimediali e di audiovisivi. L'esperienza della médiathèque francese ha comunque trovato qui, più che altrove in Italia, qualche epigono e alcune iniziative di formazione destinate a chi si trovava a gestire gli audiovisivi in biblioteca.

In Italia le biblioteche sono state in massima parte, almeno fino a pochissimi anni fa, ancorate ad un ruolo abbastanza tradizionale delegando a mediateche e videoteche la funzione di strutture di conservazione e di diffusione dell'audiovisivo utilizzabili nell'ambito di politiche dell'immagine, ma di fatto hanno evitato di confrontarsi con la componente audiovisiva della nostra cultura, ostacolando un sistema efficace di promozione della cultura audiovisiva.

I maggiori problemi

Quali sono state le cause della impossibilità concreta di azione delle mediateche fin qui sopravvissute? innanzi tutto scarse risorse e vincoli di legge. E' vero che le risorse si trovano sui progetti forti, perché in quel caso si possono più facilmente trovare sponsorizzazioni, ma il capitolo sponsorizzazioni della cultura è stato aperto in tempi recenti. Negli anni ottanta non erano certo risorse facilmente attivabili.

Le limitazioni imposte da una legge vecchia e inadeguata hanno realmente tagliato le gambe alle mediateche che si erano riproposte un servizio pubblico dell'audiovisivo, e la questione del copyright si pone con particolare rilevanza rispetto agli audiovisivi, non solo per quanto attiene la disponibilità fisica e l'accessibilità dei materiali, ma anche per quanto riguarda la conservazione di questi materiali.

In "Pour une médiathèque" Gérard Herzaft, nel 1980 scriveva: "Scopo di una biblioteca, come di una mediateca, non è quello di trasformarsi in sala di spettacolo, che questo sia o no culturale. E' piuttosto fornire documentazione al grande pubblico, la più ampia documentazione al più ampio pubblico. Nella mediateca questa documentazione comprende libri, dischi, cassette sonore e videocassette. L'accesso a questi documenti deve essere libero e la scelta autonoma. In queste condizioni il prestito a domicilio è la conseguenza logica di questa politica e tutti questi problemi di diritti, oggi complicati, troveranno una soluzione nella prospettiva dello sviluppo massiccio dell'audiovisivo domestico. Restare stupiti davanti a queste difficoltà giuridiche e non intraprendere niente in questo senso equivarrebbe sicuramente a confinare la futura mediateca in un ruolo marginale. "

Questo è successo più o meno in questi anni. All'inizio molti centri sono partiti con uno spirito corsaro: si copia, si raccoglie, si presta. Poi sono cominciati i primi guai: hanno chiuso il Centro Cinema Città di Cesena: facevano copia dei video acquistati per tutelarsi dalla possibile perdita del documento. Si faceva copia delle rassegne video che passavano, si registrava dalla televisione programmi ritenuti importanti: tutto illegale - siamo d'accordo - ma quando le risorse sono poche e le richieste molte si percorrono sciaguratamente soluzioni al limite dell'illegalità. Il prestito degli audiovisivi: quale prestito? Le prime possibilità concrete sono state rese legittime dal D.L. n.685 del 16/11/94 in attuazione della Direttiva 92/100/CEE del Consiglio del 19 novembre 1992, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d'autore in materia di proprietà intellettuale: questo decreto rendeva possibile il prestito - lo sapete tutti- decorsi 18 mesi dalla data di pubblicazione del documento. Ma anche il visionamento in sede può rappresentare un problema se le postazioni non sono inequivocabilmente individuali: altrimenti occorre accordarsi con la SIAE e pagare adeguate tariffe.

Manca una legge sul deposito legale anche se il D.L. 14 gennaio 1994, n. 26, Interventi urgenti in favore del cinema, all'art. 13, tra i compiti della Cineteca nazionale, prevede "la raccolta, il restauro e la conservazione del più vasto numero di opere della cinematografia nazionale e mondiale, provvedendo, ove necessario, alla loro conservazione e duplicazione e alla riconversione su altro supporto tecnico delle opere raccolte" e che svolga "funzioni di conservazione delle opere filmiche iscritte nel pubblico registro per la cinematografia [...] (art. 22) tenuto dalla SIAE, nel quale sono iscritte tutte le opere filmiche prodotte o importate in Italia e destinate alla programmazione nelle sale cinematografiche". Non esiste tuttavia l'obbligo imposto per legge, di depositare presso una o più agenzie specifiche copie di opere audiovisive riprodotte in ogni modo e secondo i diversi procedimenti per la pubblica distribuzione, locazione o vendita, i cui obbiettivi (accumulare una collezione nazionale allo scopo di conservare, trasmettere e sviluppare la cultura nazionale e regionale, la compilazione e la pubblicazione di una bibliografia nazionale) aiuterebbero a risolvere tanti dei problemi attualmente connessi ai documenti audiovisivi.

Rilevante per quanto riguarda gli audiovisivi, sempre nel succitato D.L. 14 gennaio 1994, n. 26, Interventi urgenti in favore del cinema, che prevede, all'art. 15, un coordinamento fra Stato e Regioni volto, tra l'altro, alla "diffusione della cultura e della didattica cinematografica" e ad "istituire e sostenere l'organizzazione e la gestione a carattere permanente di cineteche, mediateche, videoteche e biblioteche specializzate, nonché di archivi cinematografici e biblioteche specializzate per la comunicazione di massa ad opera di soggetti pubblici e privati e l'istituzione, all'interno delle medesime, di punti di proiezione", che legittima un uso sempre più ampio di documenti cinematografici e audiovisivi in generale.

L'irrisolta questione dei diritti d'autore non riguarda però solo la disponibilità fisica e l'accessibilità dei materiali, ma investe anche la conservazione di questi materiali, di fatto impedendo la possibilità di fare copia di salvataggio.

Il progetto Mediateca 2000 individua nella mediateca "uno sportello di accesso a una informazione estremamente differenziata off line e on line" e riconosce alle cineteche, alle videoteche ed agli archivi audiovisivi di qualsivoglia appartenenza, operanti sul territorio, un ruolo peculiare quali centri specializzati nella gestione del patrimonio su supporto tecnologico che dovrà essere messo a disposizione della rete dei punti di accesso di Mediateca 2000. Mi auguro che al momento in cui verranno aperte le prime mediateche previste dal progetto siano stati risolti, in sede parlamentare, questi problemi che - credetemi - possono risultare asfittici. L'esempio del Centro di Cesena e di alcuni altri centri che hanno avuto guai legali ha logicamente seminato il panico: poche sono oggi le strutture disposte a prestare gli audiovisivi.

Spero che questo progetto si doti in tempi rapidi delle indispensabili àncore legislative, in un contesto giuridico che tenga conto degli interessi della collettività più che di minoritarie lobbies economiche.

Ritengo che richiedere inoltre concreta attuazione al DL 14/1/94 n. 26, art 15 c, (Interventi urgenti in favore del cinema), che prevede - ricordo - l'organizzazione di mediateche, cineteche, videoteche, equivarrebbe a configurare una cornice legale per le istituzioni che usano l'audiovisivo non come bene commerciale ma come bene culturale, per la protezione, l'arricchimento e la trasmissione alle generazioni future di tutti quei documenti che contribuiscono a formare l'identità culturale della nazione. La carenza degli strumenti legislativi è presente ovviamente a livello nazionale e conseguentemente regionale. Le leggi istitutive delle mediateche regionali non hanno potuto risolvere competenze che non erano chiaramente indicate neppure a livello nazionale. La revisione in atto delle leggi regionali in materia di biblioteche prende genericamente in considerazione un patrimonio documentario in cui è possibile far rientrare i materiali audiovisivi come oggetti di tutela istituzionale senza che siano esplicitamente citati: peraltro scarsa attenzione al settore degli audiovisivi era palesata nel DPR 616/77.

La mediateca sarà - cito dal Piano - "sportello di accesso a una informazione estremamente differenziata che va dai libri ai documenti ai servizi comunali in linea, a un museo nazionale virtuale contenente tutte le banche dati di immagini e suoni in linea o su CD-rom". A me pare si debba andare un po' più cauti con questa tendenza ad abusare della virtualità: la parola è accattivante - indubbiamente - ma il successo delle mediateche in Francia non è stato determinato dalla virtualità dei servizi offerti, bensì dal presentare una concezione e un'organizzazione dello spazio diverse, che hanno dato nuove opportunità e una diversa visibilità alla vecchia - si fa per dire - biblioteca pubblica. La biblioteca è divenuta luogo permanente di negoziazione e di diversificazione dell'approccio dell'utenza; la mediateca in Francia ha trasformato il concetto di biblioteca: non c'è più oggi biblioteca, anche di ricerca, che non presenti le caratteristiche costitutive della mediateca. Non è mera copresenza di supporti diversi: la impropria multimedialità meramente patrimoniale della biblioteca tradizionale. Si basa su ricche raccolte ad accesso libero, sull'apertura ampia dei suoi spazi al pubblico, su un'architettura e una disposizione degli ambienti che consentono momenti collettivi e di raccoglimento. Il senso primo della mediateca è quello di arrivare ad essere istituzione di riferimento per pubblici diversi: forse si potrebbe investire prevalentemente sull'esistente facendo un'indagine seria sulle possibili strutture che presentano potenziali caratteristiche di mediateca o che hanno sviluppato esperienze reali in questo senso.

Il ruolo che il progetto ora riconosce alla mediateca, quando si parla di didattica innovativa, di alfabetizzazione all'informatica, educazione alla multimedialità, non è molto dissimile da quello proposto circa venti anni fa: allora si parlava più modestamente di educazione al linguaggio audiovisivo. Ma in questa continua corsa dietro alle nuove tecnologie, mi pare si perda il senso di un vero approfondimento dei nuovi linguaggi, limitandoci a un approccio di tipo meramente tecnico, se non meccanico. La diffusione della multimedialità non può essere slegata da programmi di educazione all'utilizzo delle sue risorse così come un tempo si è pensato a formulare programmi di educazione al linguaggio audiovisuale.

Accanto ai grandi progetti di recupero dei massimi archivi audiovisivi nazionali, occorre cercare di concretizzare quel processo di salvaguardia della memoria storica audiovisiva territoriale che sfugge all'archiviazione e che sarà difficile disciplinare ricorrendo alle leggi. Occorre riuscire a realizzare delle strutture dove si trovino tecnologie e strumentazioni al passo coi tempi ed evolute, ma dove soprattutto si offrano documenti - sia pure virtuali, dove si conservi - magari digitalizzandola - la memoria audiovisiva locale, che sfugge alla RAI e al Luce. In Francia sono spuntate un po' ovunque le mediateche ma esiste anche un INA (Institut national de l'audiovisuel), ossia l'archivio televisivo nazionale, che si è ramificato in alcune sedi regionali, nelle quali si raccolgono le programmazioni locali, non abbandonandole all'archiviazione aziendale delle varie emittenti. La RAI solo in tempi recenti ha capito che i suoi archivi rappresentavano un pregevolissimo giacimento informativo, culturale, documentario. Tutti apprezziamo che la RAI abbia deciso di investire per conservare e riorganizzare questa memoria, ma questa operazione viene portata avanti con grandi investimenti per un principio imprenditoriale sacrosanto, che è quello di sfruttarla per la programmazione e per l'editoria multimediale. Così come nel caso del Luce: i costi di recupero e di catalogazione sono altissimi e va trovato un ritorno economico per queste operazioni. Ma le piccole riserve della memoria locale dove andranno a finire? Smettiamo di inseguire grandi progetti che parlano tanto di tecnologie ma poco di contenuti, ai quali occorre invece dare forza. Uno dei compiti della RAI avrebbe potuto essere considerato anche nella prospettiva dell'INA francese: se negli ultimi anni, invece di correre dietro agli indici di ascolto nella ridicola guerra con altre grandi televisioni nazionali, si fosse esaminato il problema reale degli archivi audiovisivi, a questo punto ci sarebbero anche delle riserve di programmi in grado di richiamare un pubblico più interessato e meno basito di quello dei talk show e delle domeniche in TV; forse si sarebbero costituite risorse anche per nuovi canali tematici. Sono state dismesse o sono in via di dismissione delle sedi regionali che potevano divenire l'equivalente delle sedi regionali dell'INA, in assenza di altre strutture regionali a questo dedicate. Non so quali accordi ci potranno essere tra RAI e Ministero dei Beni culturali in merito al possibile utilizzo dei propri materiali d'archivio e se ci saranno protocolli d'intesa che consentano realmente di soddisfare le richieste di fruitori consapevoli e non passivi. La collettività attribuisce ai beni culturali, e quindi anche al patrimonio audiovisivo, la capacità di soddisfare un bisogno di "memoria storica" che va accresciuta.

Da ex-mediatecaria - mi si perdoni il barbarismo - che ha conosciuto le richieste dell'utenza di un centro audiovisivo, sono sicura che se la RAI, e anche le altre emittenti, mettessero a disposizione i propri archivi attraverso agenzie sul territorio, forse le mediateche, avremmo già dato corpo e forza a un progetto.

Il rapporto con la RAI, come con altri centri di produzione multimediale e audiovisiva, non dovrebbe essere solo quello di mero fruitore di un servizio che la RAI farà giustamente pagare, ma - così come era proponibile in passato in rapporto all'editoria audiovisiva, in un contesto che dia riconoscimento e forza nazionale a questi istituti - potrebbe porre il sistema delle mediateche come interlocutore dell'industria audiovisiva e multimediale da una parte e di una molteplice tipologia di utenti diversi dall'altra. Un sistema ben coordinato potrebbe esercitare pressioni per produrre un modello di distribuzione destinata ai settori culturali, per negoziare l'autorizzazione al prestito dei materiali per reti culturali. Potrebbe mettere a disposizione dell'industria audiovisiva e multimediale, attraverso una conoscenza sul campo delle necessità degli utenti, indicazioni per elaborare strategie di produzione e di commercializzazione, dimostrare la natura rappresentativa del settore culturale e mostrare che questo settore potrebbe avere un peso economico significativo, creando un ambiente di diffusione per l'editoria audiovisiva e multimediale.

Dai tempi del dibattito sulle cineteche regionali l'Italia ha dunque maturato un ritardo spaventoso rispetto agli altri paesi nel raccogliere in maniera organica e coordinata la documentazione audiovisiva: la carenza di mezzi e' stata indubbiamente una delle cause principali ma non secondaria la dilapidazione e il cattivo investimento delle risorse.

Temo che si tenda ancora una volta a investire in strutture mentre non si riesce a fare una seria politica di salvaguardia del patrimonio, continuando ad affrontare il problema da una prospettiva erronea: si aprono gli istituti ma mancano i patrimoni o, se esistono, è spesso difficile renderli concretamente e pienamente fruibili. Per renderli fruibili, salvaguardandone l'integrità, bisognerebbe farne copie o digitalizzarli con un piano d'intervento serio sui documenti che stabilisca delle priorità, con interventi che abbiano valenza territoriale perché è impensabile di poter intervenire a tappeto su tutto il territorio nazionale. Sarebbe indispensabile una seria ricognizione delle risorse ma gli interventi di catalogazione sono abbastanza recenti e soprattutto incompleti: senza considerare che la catalogazione tradizionale degli audiovisivi rappresenta un impegno spesso molto oneroso. Qui la soluzione ci verrà realmente dalle nuove tecnologie di digitalizzazione che consentiranno di accedere recuperare le informazioni sui e dai documenti audiovisivi con modalità più immediate.

La formazione dei mediatecari

Mi pare peraltro positivo che il primo passo del progetto sia stato mosso in direzione della formazione degli operatori, con corsi per giovani laureati o diplomati non inseriti nel mercato del lavoro; corsi che in un primo momento saranno riservati alle regioni del Mezzogiorno, anche se si prevedono successive iniziative nelle altre aree del paese e per il personale che già opera in biblioteche e mediateche.

Nel 1994, nel convegno di Ancona "Il futuro delle memorie", proposi di parlare del mediatecario, inteso come profilo professionale, originato da una formazione specifica, che si connotasse come figura di intellettuale-tecnico , in grado di esprimere, oltre all'indispensabile competenza nel campo delle tecniche di organizzazione e gestione, catalogazione e documentazione, una buona conoscenza delle caratteristiche dei supporti e delle relative attrezzature, sia ai fini di un uso corretto degli strumenti sia ai fini della conservazione. Parlai di documentalista audiovisivo che, nella sua funzione di intermediario dell'informazione, doveva ben conoscere i bisogni dell'utenza e le fonti di reperimento dei documenti, in un mercato editoriale molto più instabile rispetto a quello librario e dove, soprattutto, l'informazione relativa è frammentaria, essenzialmente commerciale e scarsamente culturale. Ancor più complesso si profila il suo ruolo di esperto delle modalità di uso dei documenti reperiti negli archivi o sulle reti telematiche. Forse sulla scia di quella proposta, l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico ha recentemente avviato un corso di formazione per "Documentalista multimediale", inteso come figura professionale che si sta affermando nel processo di convergenza fra il consumo di informazione audiovisiva e multimediale e il processo di produzione e accumulo delle stesse informazioni.

Per una vera riuscita di un progetto tendenzialmente innovativo come questo occorre dotarsi non tanto di macchine quanto di nuove figure professionali in grado di governare le mutazioni tecnologiche: la qualità dei servizi potrà essere assicurata solo dalla competenza e dalla qualificazione del personale.

Infine

Cito sempre dal vecchio, ma non invecchiato, testo di Herzaft: "abbiamo definito a partire dai documenti i contorni della mediateca futura: una biblioteca pubblica che utilizza indifferentemente tutti i mezzi di comunicazione senza discriminazione, nella prospettiva di un grande centro di documentazione riservato a un pubblico vasto in grado di scegliere in piena autonomia per il suo divertimento, la sua cultura, la sua autoeducazione all'interno di un fondo documentario molto ampio ed eclettico".

La mediateca sarà infrastruttura della conoscenza se diverrà anche struttura in grado di produrre cultura.

Leggendo lo stimolante saggio di Pietro A. Valentino nel volume " I formati della memoria" mi ha colpito particolarmente l'analisi del processo di produzione delle istituzioni culturali, intesa come fase in cui l'istituzione culturale accresce o la quantità dei beni culturali a disposizione della collettività o le conoscenze storiche artistiche tecniche della collettività rispetto ai beni culturali disponibili. L'obbiettivo finale di questo processo è la valorizzazione sociale dei beni culturali che si può attuare con una piena realizzazione della missione dell'istituzione culturale sul duplice versante: della tutela e conservazione da un alto, della formazione e della didattica dall'altro.

Questi compiti in un progetto per le mediateche vanno meglio focalizzati. 

In conclusione un augurio: che la Mediateca in Italia diventi una credibile istituzione culturale e che non sia, come nel film di Rohmer "L'albero, il sindaco, la mediateca" una delle tante occasioni di propaganda politica.


Copyright AIB 1998-05-06, ultimo aggiornamento 1998-07-14 a cura di Antonella De Robbio e Marcello Busato
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/landucci.htm

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