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"11. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria

Prospettive di riforma delle autonomie locali

di Adriana Vigneri
sottosegretario di Stato per la Funzione pubblica

Il titolo del mio intervento è: Prospettive di riforma delle autonomie locali. Vorrei innanzitutto tranquillizzare chi ascolta: abbiamo in gran parte già realizzato le riforme delle autonomie locali e intendiamo fermarci per consolidare il già fatto. Soltanto una riforma è ancora in corso, e contiamo di concluderla prima dell'estate, quella relativa agli articoli 22 e 23 della legge 142/1990, relativi alle modalità di gestione dei servizi pubblici locali. Mi riferisco, come è chiaro, al "Riordino dei servizi pubblici locali", titolo di un disegno di legge del Governo presentato nell'aprile 1999 al Senato. Credo si sia pensato fosse utile informare in questa sede su quest'ultima riforma, essendovi una connessione con il tema di oggi, i servizi di biblioteca gestiti da enti locali.

L'espressione "servizi pubblici locali" è molto generale, comprendendo al suo interno attività diverse, tutte quelle in cui le pubbliche amministrazioni non usano poteri autoritativi, soggette a regimi giuridici differenziati. Quindi quell'espressione comprende i servizi più diversi, i servizi di urbanistica o dell'ufficio tecnico, ovvero l'informatica di un Comune. Può sembrare una stranezza, ma nelle direttive comunitarie si ritrovano servizi di questo tipo elencati insieme con i cimiteri, i macelli, la manutenzione delle strade, l'illuminazione pubblica, la manutenzione del verde pubblico, fino a servizi essenziali e generali quali la distribuzione dell'energia, l'approvvigionamento e la distribuzione del gas, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, la depurazione delle acque, e così via.
Dal punto di vista istituzionale questi "servizi" hanno regimi giuridici diversi. Una grande distinzione mi sembra quella tra servizi universali, che l'ente pubblico presta a proprie spese, a spese della finanza pubblica e quindi delle imposte, e servizi a domanda individuale, per i quali l'utente paga delle tariffe. Nel primo caso il Comune organizza direttamente il servizio, per intero o acquistandone parte sul mercato, mediante contratti di appalto, di lavori o di forniture. Il servizio di costruzione e manutenzione delle strade, l'illuminazione pubblica, ad esempio, sono servizi universali. Per lo più i Comuni svolgono queste attività con strutture amministrative proprie (le "ripartizioni", come si chiamavano una volta), ed è ancora così in molti casi, anche se sono in corso notevoli trasformazioni.
I servizi a domanda individuale (fornitura di energia, di gas naturale, di acquedotto e fognatura e relativa depurazione, di raccolta e smaltimento dei rifiuti) sono anch'essi spesso gestiti in economia, sebbene per la loro complessità tecnica siano più di frequente svolti attraverso strutture apposite dell'organizzazione comunale, costituite dalle aziende municipalizzate, diventate poi con l'evoluzione legislativa aziende speciali, o aziende speciali consortili. A coprire l'onere di questi servizi gli utenti concorrono con le tariffe. Ora è in corso la tendenza (agevolata dalla legge n.127/1997) a trasformare le aziende in società di capitali, per azioni o a responsabilità limitata, anche se poi le società così costituite sono rimaste per la quasi totalità in mano allo stesso Comune che aveva creato inizialmente l'azienda. Di conseguenza il Comune è ancora il soggetto che svolge quelle attività, sia pure indirettamente, attraverso la società, ma vi è la non irrilevante conseguenza che le quote o le azioni delle società possono essere vendute a terzi, e quindi la società che gestisce il servizio potrebbe essere in tutto o in parte privatizzata. Infine, è sempre stato possibile, e lo è ancora, gestire i servizi a domanda individuale mediante concessione a terzi, dove per terzi si è tradizionalmente inteso l'impresa privata, ma è subito da aggiungere che a questo metodo si è fatto ricorso soltanto in certi settori, ad esempio quello del gas e non in altri, ad esempio in quello delle risorse idriche, per ragioni abbastanza evidenti. Oggi dunque ci troviamo di fronte settori in cui vi è una presenza consistente di concessionari privati, ed altri in cui la presenza di questi ultimi è limitata.

Questo universo oggi si sta trasformando, per spinta del legislatore e innanzitutto delle novità che provengono dal diritto comunitario, ma anche per l'effetto di processi diffusi, che corrispondono a tendenze di fondo che si affermano nei diversi periodi. Dicevo prima della revisione cui sono oggi sottoposte le forme di gestione dei servizi universali, che sono normalmente gestiti in modo diretto attraverso l'apparato del Comune. Oggi assistiamo al tentativo di alcuni Comuni di ricorrere a terzi, e quindi al mercato, anche per la gestione di questo tipo di servizi, passando attraverso una fase di "esternalizzazione" dell'attività e delle strutture. Se il Comune ha un apparato consistente che svolge attività di manutenzione delle strade comunali, ad esempio, si conferisce l'intero settore (o parte di esso) ad una azienda o società comunale già esistente o appositamente costituita, con la quale si conclude una convenzione per "acquistare" da tale soggetto il servizio che prima il Comune riceveva direttamente. Con la prospettiva di scindere in futuro ogni legame ombelicale tra il Comune e il suo vecchio apparato. Se si tratta di una attività per la quale il Comune non è dotato di una propria consistente struttura, ad esempio la manutenzione del verde pubblico, si preferisce oggi indire una gara per la gestione, in luogo di creare una struttura pubblica diretta o indiretta. Quindi va diminuendo il numero degli addetti diretti dei Comuni perché aumenta il ricorso a terzi attraverso contratti di appalto di servizi, di lavori o di forniture.
Anche per quanto riguarda i servizi a domanda individuale sono in corso rilevanti novità. Distinguiamo i servizi che hanno un contenuto economico-industriale, che richiedono competenze tecniche, organizzazione complessa ed investimenti consistenti, dai servizi che hanno un contenuto sociale e culturale e poco o nulla (almeno per ora) interesse economico.

Il disegno di legge che il Governo ha presentato l'anno scorso ha per oggetto le modalità con le quali questi servizi possono essere gestiti, e distingue appunto i servizi che hanno rilevanza economico-industriale da quelli che ne sono privi. Per i servizi pubblici del primo tipo - che sono nominalmente elencati (ciclo idrico, ciclo dei rifiuti, gas naturale, trasporti collettivi di persone, energia non elettrica) - si prevede, alla conclusione di un periodo di transizione in cui le attuali modalità di gestione possono continuare, il ricorso a procedure competitive per la scelta del gestore, procedure cui possono partecipare anche le aziende pubbliche, divenute nel frattempo società di capitali. Consentitemi di soffermarmi sul significato di questa soluzione, che considero estremamente importante per il nostro Paese: l'introduzione del principio di concorrenza nella gestione dei servizi pubblici locali essenziali. Vi è ancora una diffusa convinzione che quei servizi debbano essere svolti, per il fatto di essere appunto essenziali, da parte di una struttura pubblica, la quale sola potrebbe garantirne la diffusione in tutto il territorio, anche dove il servizio non è remunerativo. Credo che tale convinzione sia frutto di un sostanziale equivoco. Spesso, ma non sempre, i servizi pubblici locali richiedono di essere svolti in regime di riserva o monopolio, devono essere affidati in un determinato ambito territoriale ad un unico soggetto. La distribuzione del gas non può essere realizzata nel territorio di un singolo Comune da due soggetti, perché la rete del gas è molto costosa e non avrebbe senso collocare una doppia rete per consentire che operino più soggetti tra cui il singolo abitante possa scegliere. In questo caso vi è un monopolio naturale, e il gestore opera necessariamente in esclusiva, non confrontandosi con nessun altro. In tal caso non è possibile eliminare il monopolio - obiettivo sempre positivo. È però possibile ricercare il più conveniente e più efficiente monopolista, e questo obiettivo non è certo in contraddizione con le esigenze proprie del servizio pubblico. Altra convinzione diffusa è che questi settori abbiano bisogno di un unico soggetto gestore dall'inizio alla fine, dall'approvvigionamento della materia prima alla costruzione degli impianti e alla distribuzione all'utente finale. Ma neppure questo è più vero, perché mentre è utile avere un unico soggetto che costruisce e gestisce la rete, posso invece benissimo avere più soggetti che vendono il gas che passa per quella rete, così come è successo per i telefoni (è noto che nelle reti passano segnali diversi gestiti da più fornitori del servizio). La stessa cosa avverrà per il gas, sulla base del decreto legislativo che il Governo ha appena adottato in attuazione di una direttiva comunitaria. Avrò dunque un unico distributore del gas, ma potrò comperare il gas da più venditori. Le norme si occupano di "abilitare" i potenziali fornitori, di verificare dove il gas viene acquistato (è interesse nazionale saperlo) ma essi saranno semplici commercianti, non più gestori del servizio pubblico del gas, che resterà limitato solo ad alcuni segmenti della complessiva attività che oggi costituisce il pubblico servizio.
Per tutti gli altri servizi diversi da quelli sopra elencati, per tutte le attività che i singoli Comuni (e le Province) decideranno di svolgere come servizio pubblico locale, e quindi anche per quelli a carattere sociale e culturale, le modalità di gestione sono nella sostanza quelle tradizionali e le possibilità di scelta del Comune quanto alle relative modalità molto ampie. Il Comune (o la Provincia) può continuare a gestire in economia, può selezionare un gestore esterno, può creare un'istituzione (può essere questa una forma adatta a biblioteche di una certa consistenza) ovvero organizzare una società. Scompare soltanto dal sistema la forma "azienda pubblica", sostituita nel nostro caso dall'istituzione. Ciò che va sottolineato è che, mentre per la ricerca del gestore di una attività economicamente rilevante gli enti locali dovranno in futuro fare ricorso al mercato, cioè indire una gara, se l'attività di cui si tratta - anche attribuita a una persona giuridica distinta come l'istituzione - non ha interesse economico-industriale e comunque se non fa parte dei cinque servizi essenziali sopra elencati, l'affidamento può continuare tranquillamente ad avere carattere diretto, come è oggi.

E tuttavia anche per i settori sociali e culturali le grandi alternative che i Comuni hanno di fronte sono due: fare ricorso alle risorse della società o del mercato, se esiste questo tipo di offerta, oppure creare una struttura pubblica alla quale affidare l'attività. Ma la relativa scelta è interamente rimessa alla libera determinazione del singolo ente locale. La seconda alternativa è quella che gli enti locali hanno sempre praticato, costituendo al più aziende pubbliche o consorzi tra enti locali per i servizi di biblioteca, senza fare ricorso al "mercato". E il disegno di legge consente di continuare a seguire questo metodo. Con l'avvertenza che la forma "azienda pubblica" viene eliminata e sostituita, per le attività di carattere economico industriale, con la forma società di capitali, per le attività sociali e culturali con la forma "istituzione", una figura che già esiste nell'ordinamento degli enti locali e che viene rivisitata con l'intento di incrementarne l'utilizzazione. Una delle ragioni per cui riteniamo che l'istituzione non sia stata utilizzata, se non in minima parte, dai Comuni deriva dal fatto che questo organismo, così come disciplinato oggi nella legge 142/1990, è privo di personalità giuridica (mentre l'azienda pubblica ha personalità giuridica), non appare quindi struttura significativa, rimanendo in una posizione equivoca, come parte dell'apparato comunale senza un preciso grado di autonomia. Nel disegno di legge l'istituzione è ente strumentale dell'ente locale, che ne approva la statuto, conferisce il capitale di dotazione (si presuppone che l'attività dell'istituzione non produca introiti tali da poterla rendere autosufficiente), nomina e revoca gli amministratori, approva i programmi, i bilanci e il conto consuntivo e verifica i risultati della gestione. In questo senso l'istituzione è ente strumentale, in quanto pur essendo dotata di personalità giuridica e quindi di autonomia gestionale, i suoi atti fondamentali sono approvati dal consiglio dell'ente al quale appartiene. Si può forse immaginare, in più, che vi sia la doppia possibilità: utilizzare l'istituzione con personalità giuridica, ovvero l'istituzione senza personalità giuridica.

Deve essere in ogni caso chiaro un punto: l'utilizzo della forma "istituzione" non è affatto obbligatorio. Non soltanto sarà ancora possibile ricorrere all'organizzazione propria del Comune, ma tutte le forme organizzative disponibili nell'ordinamento giuridico sono utilizzabili, ciascuna con le proprie regole, non essendovi nessun divieto. L'interrogativo si pone in particolare per due tipi di esigenze: condividere con più Comuni una stessa struttura - biblioteca o museo o altro; associare nella gestione l'iniziativa di privati o comunque di soggetti esterni al Comune stesso.
Per rispondere alla prima esigenza vi sono gli strumenti classici delle convenzioni tra Comuni e dei consorzi. L'istituzione potrà essere una struttura appartenente contemporaneamente a più Comuni, i quali, attraverso le convenzioni, gli statuti e i regolamenti potranno fissare autonomamente le regole non scritte nelle leggi (una di queste ultime è l'approvazione degli statuti nei consigli comunali, a meno che non vi sia l'assemblea consortile).
Per rispondere alla seconda esigenza vi sono i contratti di carattere associativo, dalle associazioni ai vari tipi di società, secondo le regole del diritto comune. Resta da osservare una regola generale: un Comune non potrebbe oggi affidare un qualsivoglia servizio pubblico (e quindi neppure un servizio sociale culturale) direttamente (ovvero a trattativa privata) ad una associazione, fondazione o società, anche se a quella associazione, fondazione o società partecipa, a meno che non ne abbia il controllo, vale a dire a meno che la forma giuridica prescelta non consenta di definirne il controllo. Ma ritorniamo all'istituzione, così come disciplinata per ora nel disegno di legge di parlavamo.
Quali regole deve applicare l'istituzione? Secondo il testo, e non ci sono stati suggerimenti diversi nei lavori parlamentari svolti in Senato, l'istituzione agisce in base alle disposizioni del libro V del Codice Civile, che disciplina l'impresa e i rapporti di lavoro. Lo statuto deve essere quindi conformato sulle regole generali del Codice Civile, non su regole speciali; il trattamento del personale esce dal comparto degli enti locali e diviene di carattere privatistico. L'istituzione deve applicare i criteri di efficacia, efficienza ed economicità, ed è obbligata a realizzare il pareggio di bilancio attraverso l'equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie. Il vincolo del pareggio di bilancio è particolarmente rilevante e si riferisce alla trasparenza nella gestione, anche se naturalmente il pareggio non può essere normalmente conseguito senza i trasferimenti.

Si potrà dire che in fondo l'istituzione non è altro che la vecchia azienda pubblica con personalità giuridica; in un certo senso è vero, ma in questo non c'è nulla di male. Abbiamo scelto di utilizzare il termine istituzione abbandonando quello di azienda pubblica, perché l'azienda pubblica, nella forma ibrida dell'azienda pubblica locale tuttofare, è legata essenzialmente alla storia della gestione dei servizi pubblici essenziali, come il gas, l'acqua, i rifiuti. Nel momento in cui la gestione di questo tipo di servizi venisse attribuita a società di capitali, è sembrato opportuno abbandonare per maggiore chiarezza la vecchia terminologia. Quindi per tutto ciò che non ha interesse economico, e non può almeno di regola essere reso economicamente autosufficiente o redditizio, si è preferito utilizzare il termine istituzione, che mi sembra d'altra parte pertinente richiamando la consolidata denominazione delle istituzioni culturali. Non si tratta peraltro di un'operazione nominalistica, per cui chiamiamo con un nome nuovo vecchi istituti. Come abbiamo già accennato, le aziende pubbliche che gestiscono attività di carattere economico industriale dovranno trasformarsi in società per azioni (o in società a responsabilità limitata o in cooperative a responsabilità limitata) e assumeranno quindi altra forma e diverso regime giuridico, quello del Codice Civile (per la diversità delle regole di funzionamento basti pensare che la società fallisce, mentre l'azienda pubblica non può fallire). Si sta quindi operando per dare a ciascuna attività la veste giuridica più adatta al contenuto della sua attività, quella che consente uno svolgimento del servizio più corretto e più trasparente. Uso il termine "corretto" riferendomi non alle possibilità di corruzione, ma alle regole più pertinenti rispetto appunto alla natura dell'attività che viene svolta Se l'attività è economico-industriale si utilizzano gli strumenti del Codice Civile, collaudati da molto tempo; se invece l'attività è di carattere sociale, culturale o assistenziale si usa lo strumento dell'istituzione, ogni qualvolta si voglia mantenere la gestione diretta comunale e nello stesso tempo organizzare l'attività, il personale e i conti economici e finanziari in forme e modi distinti.

Per concludere sulle novità introdotte dall'attività del Governo in materia di riordino dei servizi pubblici locali: sono in corso in questa materia riforme che tendono ad introdurre, quando è possibile, elementi di concorrenzialità, e a sopprimere le situazioni di monopolio là dove non hanno più ragione d'essere e sono soltanto controproducenti, come nell'esempio della vendita del gas naturale. Vi sono inoltre tendenze, frutto di una nuova cultura o indotte dalla ristrettezza delle risorse in cui ci troviamo tutti (lo Stato da un lato e gli enti locali dall'altro), a far ricorso al mercato sostituendo progressivamente parti dell'apparato pubblico locale in alcuni tipi di attività, in verità le più varie. Direi peraltro che da questo processo le biblioteche sono indenni, perché proprio non vedo come si possa ricorrere a una gestione privata nel loro caso, anche se vi sono certamente servizi collaterali per i quali si può fare - e probabilmente già si fa - ricorso all'offerta di mercato. Per queste considerazioni la forma istituzione, di cui ho prima illustrato le caratteristiche di autonomia, le regole interne di funzionamento e il trattamento del personale, può essere utile per le biblioteche di grandi dimensioni, senza che questo significhi impossibilità di ricorrere - con le avvertenze già esposte - agli istituti del Codice Civile quando si voglia coinvolgere l'iniziativa privata.
A questo punto potete forse chiedervi perché io sia stata invitata a parlare di biblioteche per dirvi sostanzialmente soltanto questo: la novità è l'istituzione, tutto il resto non vi riguarda. Spero tuttavia di avervi fornito una serie di ulteriori informazioni in qualche modo utili, e vi ringrazio.


Copyright AIB, 2000-02-03, ultimo aggiornamento 2000-02-20 a cura di Marcello Busato
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