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"13. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
fund raising e servizi bibliotecari

METODI, ESPERIENZE, PROGETTI

Ledo Prato
Segretario generale dell'Associazione Mecenate 90


Nonostante l'esperienza di Mecenate 90 si riferisca al patrimonio dei beni monumentali, artistici, architettonici e non a quello delle biblioteche (iscrivendomi io subito, d'altra parte, nel partito di coloro che pensano che le biblioteche facciano parte della famiglia dei beni culturali), la Fondazione Querini Stampalia ha chiesto che ci fosse ugualmente la nostra presenza oggi a questo Seminario, per vedere se qualcosa, dalla nostra esperienza di questi anni, può essere trasferita, in qualche modo riversata nel sistema delle biblioteche.
Ci proverò facendo una premessa di carattere generale e raccontando, successivamente, due esperienze che potrebbero avere una qualche relazione con i temi di cui si occupa questo seminario.

Mecenate 90 è una struttura nata nel 1989 che ha come scopo quello di favorire la collaborazione tra soggetti pubblici e soggetti privati nella promozione, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale italiano. Le modalità attraverso le quali in questi anni abbiamo cercato di raggiungere gli scopi dell'associazione sono state tante e diverse: ci occupiamo infatti degli studi di fattibilità, dei conti economici, dei modelli di gestione e di quant'altro sia necessario per favorire il rapporto pubblico-privato nella valorizzazione e gestione del patrimonio.
Questo abbiamo fatto, per esempio, per il recupero di Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale a Roma, un palazzo di proprietà comunale molto bello - opera di Piacentini - , rimasto chiuso per tanti anni. In quell'occasione l'associazione si è occupata dello studio di fattibilità e del piano economico, ma non del progetto architettonico, che è stato una delle ultime straordinarie opere del povero Costantino Dardi. Una volta individuato il break even per l'investimento privato, siamo stati invitati dall'amministrazione comunale a trovare i privati disposti a finanziare il progetto. Li abbiamo trovati: a distanza di dodici anni, quella di Palazzo delle Esposizioni può essere considerata la prima esperienza in Italia da iscrivere in questa nuova stagione di relazioni tra soggetti pubblici e soggetti privati nella gestione di un bene culturale.
Dopo il Palazzo delle Esposizioni, e anche grazie a questa esperienza, si è giunti all'approvazione della cosiddetta legge Ronchey e all'istituzione dei servizi aggiuntivi nei musei. Possiamo dire, quindi, che Mecenate 90 è riuscita a mobilitare il sistema privato italiano nella logica più dell'investimento sul bene culturale che in quella delle sponsorizzazioni.
A questo proposito devo confessare che abbiamo sempre fatto molta fatica per chiarire a tutti che, nonostante il nostro nome, noi non siamo dei mecenati: non ci occupiamo cioè di sponsorizzazioni, ed invece ancora oggi veniamo continuamente sollecitati ad intervenire per canalizzare sponsorizzazioni sul patrimonio culturale italiano.
Quella di Palazzo delle Esposizioni è stata una delle modalità con cui abbiamo operato nel corso degli anni. Ci siamo impegnati anche nella promozione di imprese, soprattutto di giovani, per la gestione dei beni culturali. Abbiamo fatto lobbying perché il Parlamento approvasse norme che favorissero questo processo, e abbiamo raggiunto risultati positivi perché le leggi sono state fatte, gli strumenti sono stati creati e le imprese dei ragazzi sono nate.

Oggi il nostro impegno è rivolto principalmente all'assistenza di Comuni, Province e Regioni (lavoriamo pochissimo con le Soprintendenze). Accompagniamo questi soggetti nel predisporre e gestire progetti per la valorizzazione e gestione dei beni culturali, utilizzando anche le leggi esistenti, il cui scopo dovrebbe essere quello di favorire il processo di trasferimento della gestione del patrimonio culturale dallo Stato appunto verso Comuni, Province e Regioni. Come sapete è un processo lungo, difficile, abbastanza contrastato anche in certi ambienti dell'amministrazione centrale dello Stato. Nonostante ciò oggi ci sono una pluralità di strumenti straordinariamente interessanti che favoriscono questo rapporto pubblico-privato, e non cito ovviamente la Legge Ronchey, che considero una buona legge ma che forse ha fatto il suo tempo, anche per alcuni limiti e contraddizioni che ha manifestato nel corso degli anni. Mi riferisco, invece, all'art. 10 del D.L. n. 368/1998, che consente allo Stato di promuovere o partecipare a fondazioni anche con soggetti privati, oltre che con Comuni, Province, Regioni, per la gestione e la valorizzazione di un bene culturale che viene conferito in uso nella fondazione stessa. È uno strumento sul quale noi abbiamo insistito molto, premendo perché fosse adottato il Regolamento (che finalmente, lo scorso 4 Marzo, è stato registrato presso la Corte dei Conti, per cui si aspetta solo che venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale): uno strumento che, se sarà ben utilizzato, potrà consentire di intervenire con forme di gestione molto più snelle, molto meno burocratiche, con un forte grado di autonomia rispetto all'amministrazione pubblica e potrà favorire sicuramente il rapporto pubblico-privato per la gestione del nostro patrimonio.

La seconda grande scommessa riguarda il tema importantissimo del rapporto pubblico-privato nella gestione dei musei. Mentre la fondazione prevista dall'art. 10 del D.L. n. 368/1998 può essere animata, composta, gestita da soggetti pubblici insieme a soggetti privati, l'art. 33 della Legge n. 488/2001 (la recentissima legge finanziaria) prevede invece la possibilità che lo Stato affidi in gestione un bene culturale a dei soggetti non statali di stampo privatistico. Anche questa è una norma che è stata molto discussa e molto combattuta; ha aperto una infinità di polemiche sulla stampa negli scorsi mesi anche, credo, per equivoci che si sono determinati nella sua stessa lettura, oltre che nell'interpretazione. Oggi la norma è un po' meno contestata, innanzitutto perché è diventata legge dello Stato e quindi è inutile continuare a discuterci sopra, ma soprattutto perché si è capito, almeno in parte, che forse è uno strumento importante per migliorare la gestione del patrimonio.

Ci troviamo, oggi, ad un punto cruciale che questa mattina è stato ripreso da più interventi, e cito per tutti quello del Prof. Sicilia. Ci troviamo in una fase nella quale oggettivamente non solo non cresceranno le risorse pubbliche destinate al patrimonio (consentitemi di parlare in termini di patrimonio per comprendere anche il sistema delle biblioteche), ma molto probabilmente le risorse pubbliche stesse si ridurranno. Le ragioni non stanno solo nel tipo di visione della gestione delle risorse pubbliche che ha un governo, piuttosto che un altro. La ragione principale sta nel fatto che noi oggi siamo legati ai partner dell'Unione Europea da un patto di stabilità, sulla base del quale ci siamo impegnati a rispettare alcune regole precise (contenimento della spesa pubblica e rispetto di alcuni tetti che sono stati indicati) che pongono oggettivamente una serie di vincoli. Poi naturalmente un determinato governo può decidere che quote di risorse pubbliche vanno spostate in un settore, piuttosto che in un altro; ma questo è un tema politico che non mi compete e non ho ragioni per affrontare.
Noi pensiamo allora che si debba alleggerire la presenza dello Stato nella gestione del patrimonio per recuperare, risparmiare risorse sulla gestione stessa e trasferirle invece sul versante della tutela e della conservazione del patrimonio culturale.
D'altra parte occorre ricordare che le dimensioni del nostro patrimonio non consentiranno mai, neanche in una situazione di grande espansione della spesa pubblica, di far fronte a tutte le esigenze. Quattro o cinque anni fa Mecenate 90 ha fatto una stima del fabbisogno per la sola manutenzione del patrimonio culturale del Paese: ci vorrebbero (parlo ancora in Lire) diecimila miliardi di Lire l'anno per la sola manutenzione del patrimonio, mentre fino a qualche anno fa lo Stato spendeva per il restauro, compresa quindi anche la manutenzione, sei/settecentocento miliardi l'anno. Questo è il rapporto che esiste in termini di spesa pubblica per questo settore.
Poiché ritengo che tra i compiti dello Stato non ci sia necessariamente, obbligatoriamente la gestione di un museo, credo che in quest'ambito si possa, a certe condizioni (fatta salva ovviamente la riserva costituzionale che indica la tutela come compito esclusivo dello Stato), percorrere la strada del ricorso all'impresa privata. Attenzione: non al mecenate, ma all'impresa privata quale soggetto che probabilmente, per mestiere, sa gestire un certo tipo di realtà meglio di un organismo pubblico, ed è forse in grado di fare economie di gestione che il soggetto pubblico non riesce a fare.
Questa è la filosofia sulla quale noi stiamo lavorando, e per aiutare questo processo ci siamo attrezzati per cominciare a fare anche delle esperienze concrete: vorrei citarne due.

La prima, che tra l'altro è in corso in questo momento a poche centinaia di metri da noi, riguarda l'intervento su Palazzo Grimani di S. Luca, un palazzo pubblico con gravi problemi di conservazione, soprattutto della facciata. Invitati dalla Soprintendenza ai Monumenti di Venezia a trovare una soluzione per intervenire sul palazzo, abbiamo stipulato una convenzione con la Soprintendenza stessa e trovato un socio di Mecenate 90, la TIM, disposto a finanziare l'intervento di restauro per un miliardo di lire circa.
Permettetemi di dirvi che se non ci fosse stata una vera e propria vocazione al sacrificio e un grande amore verso il patrimonio culturale italiano noi, e con noi la TIM, saremmo scappati dalla vicenda di Palazzo Grimani e da Venezia. È stato estremamente difficile non tanto ottenere il permesso della Soprintendenza (si tratta, infatti, di un progetto di restauro fatto dalla Soprintendenza stessa, per cui non ci sono stati problemi da questo punto di vista), quanto per riuscire a coordinare i vari soggetti del Comune coinvolti nel progetto. Solo per le pratiche relative al cartello pubblicitario da affiggere sul Canal Grande ci sono voluti quattro mesi e con un paradosso: oltre al miliardo necessario per restaurare la facciata, il Comune chiedeva, in base alle proprie tariffe, 350 milioni di oneri per l'occupazione del suolo pubblico. Per fortuna l'amministrazione comunale si è resa conto che si trattava di una incongruenza; ma per aggirare la norma è stato necessario stipulare una seconda convenzione col Comune di Venezia, in base alla quale quest'ultimo contribuisce al restauro di Palazzo Grimani per 350 milioni di Lire. Di fronte a situazioni come questa diventa difficile per i privati accogliere il nostro invito, tanto più se pensiamo che il valore commerciale di quel cartello istituzionale pubblicitario di TIM non è certo di un miliardo. Quando è stato redatto il comunicato stampa per annunciare che si apriva il cantiere di Palazzo Grimani, è stato omesso che quel restauro era stato possibile grazie al contributo di un miliardo di un'impresa privata. Credo che su questo vada fatta una riflessione: l'impegno per raccogliere fondi a favore del patrimonio va certo perseguito, ma non si deve dimenticare che le imprese private sono ovviamente disposte a fare la loro parte solo se hanno anche un legittimo ritorno.
Ricordo di aver fatto un difficile lavoro con un altro socio di Mecenate 90, la Banca di Roma, per favorire l'intervento per il restauro Colosseo per un importo di 40 miliardi di Lire. Ci sono poi voluti tre Ministri e sei anni perché lo Stato trasferisse i 40 miliardi dalla Banca di Roma alla Soprintendenza archeologica di Roma. Quando finalmente il cantiere è partito, il cartello che portava l'indicazione che quel restauro era stato finanziato dalla Banca di Roma è stato tolto dopo poche settimane per iniziativa dello stesso Soprintendente. Paradossalmente il finanziamento di ben 40 miliardi concesso dalla Banca di Roma è stato pubblicizzato proprio dalle polemiche sul cartello pubblicitario, apparse sui giornali. Anche questo è un tema sul quale vale la pena riflettere: se vogliamo aprire di più questo rapporto e questa collaborazione tra pubblico e privato, è necessario infatti sciogliere qualche nodo.

Il secondo esempio che intendo citare ha coinvolto un altro socio di Mecenate 90, l'ICCRI Banca Federale Europea, con il quale ci siamo posti il seguente obiettivo (questo è un tempo in cui si parla, per fortuna, anche di finanza etica): individuare uno strumento di carattere popolare, che raccogliesse quindi molta gente attorno ad un progetto, allo scopo di finalizzare la voglia diffusa di partecipare al restauro, al recupero e alla valorizzazione di un bene culturale. Ci siamo inventati la carta ricaricabile: una vera e propria carta di credito, che va sul circuito Visa e Master Card, con il vantaggio che può essere caricata senza avere il conto corrente (che invece è obbligatorio per avere le normali carte di credito), in qualunque istituto ovviamente collegato, convenzionato con ICCRI-Gruppo BIPIELLE.
La prima esperienza di questo tipo è stata fatta nella città di Caserta, con l'avvio di una bellissima campagna di comunicazione per la promozione dell'iniziativa e con la costituzione di una Onlus, assolutamente indipendente, per la gestione dei fondi provenienti dall'uso della carta. Il fondo gestito da questa Onlus è destinato ad un progetto chiamato "L'arte e i bambini". Si tratta di un progetto che raccoglie una serie di attività e iniziative che vanno dalla tutela del diritto allo studio (ovviamente stiamo parlando di bambini che hanno alle spalle famiglie con problemi di disagio, basso reddito ecc.) fino ad un laboratorio d'arte sul tema delle condizioni di vivibilità ambientale di alcuni quartieri della città.
La seconda esperienza sarà avviata nel Comune di Lucca ed è finalizzata alla valorizzazione delle mura della città.
La carta è uno strumento che a noi piace molto, perché è veramente popolare, a larga diffusione, cui possono accedere persone con redditi anche modesti, come i giovani (la carta infatti si ricarica anche solo con 50 Euro), e lo abbiamo scelto perché riteniamo possa effettivamente raggiungere un obiettivo importante: allargare il numero dei cittadini che partecipano alla tutela, alla conservazione, alla valorizzazione del proprio patrimonio. Ogni volta che si ricarica la carta si assicura il proprio contributo per il raggiungimento di un obiettivo condiviso (un bene culturale nel quale i cittadini si riconoscono) e che magari per anni era stato perseguito, ma mai raggiunto per carenza di risorse pubbliche.

In conclusione: dalla consapevolezza del quadro che ho tracciato all'inizio ci deriva l'obbligo di cercare degli strumenti, anche innovativi, per intervenire in questo settore cercando innanzitutto di allargare l'area dei soggetti coinvolti. Per fare ciò è importante che le norme siano chiare, leggere e non coercitive, evitando di allontanare, come spesso capita, chi invece vuole avvicinarsi a questo settore.
Credo che anche le biblioteche possano essere coinvolte. Ho fatto recentemente - e chiudo con una nota di ottimismo - un'esperienza con il Sistema bibliotecario del Comune di Roma. Il Comune di Roma, come sapete, si è sempre impegnato molto in questo settore e continua a destinare 20 miliardi all'anno del proprio bilancio per la gestione delle sue biblioteche civiche. Ho scoperto che i romani che ogni anno frequentano le biblioteche di Roma sono circa 500 mila, e la cosa che mi ha colpito è che negli ultimi anni vanno in biblioteca non solamente i giovani, gli studenti, ma anche le persone anziane. Questo perché le biblioteche sono cambiate: spesso le persone anziane, il cui problema è quello di occupare il proprio tempo, si rivolgono alle biblioteche non solo per leggere, ma anche per incontrare il mondo di Internet, le nuove tecnologie informatiche, con le quali riescono a confrontarsi grazie all'aiuto di molti giovani volontari che operano in questo settore. Le biblioteche possono diventare, e in qualche caso sono diventate (nel caso di Roma non mi sembra di esagerare facendo questa considerazione), delle vere e proprie piazze dove si incontrano persone, spesso anche di generazioni differenti, mosse da motivi e ragioni molto diverse. Quindi possono essere un luogo che in qualche misura contribuisce o può contribuire anche a risolvere i gravi problemi di comunicazione della società moderna.
Penso che se emergesse di più questo profilo, questa caratteristica, questa funzione sociale delle biblioteche, sarebbe possibile e sicuramente più facile mobilitare sia le imprese private che i singoli cittadini a sostegno di iniziative e strumenti mirati a favorire percorsi di recupero, ampliamento e valorizzazione anche di queste strutture che costituiscono una parte fondamentale del nostro patrimonio culturale.


Copyright AIB, 2002-02-21, ultimo aggiornamento 2002-04-11 a cura di Marcello Busato
URL: https://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay13/prato02.htm


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