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Desiderio Chilovi

Il governo e le biblioteche

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[Prima parte]

Ai nostri giorni, in un ben ordinato sistema di istruzione pubblica, le biblioteche non possono più essere considerate solo come mezzo ausiliare per l'incremento dei buoni studii, ma hanno per sè stesse grande iniziativa civile, e un ufficio ben determinato e importante di azione intellettuale.

La biblioteca popolare diffonde l'istruzione presso coloro che per posizione sociale, non potrebbero frequentare tutte le scuole necessarie, e reca e spande l'istruzione e l'educazione là dove queste scuole non si potrebbero fondare. Tale verità era in parte riconosciuta dal governo francese (1) sin da quando esso cercava, colla fondazione di biblioteche, rimediare al difetto di scuole per l'istruzione secondaria, e supplire almeno così all'assoluta impossibilità d'istituirle ovunque vi fosse chi ne potesse avere bisogno.

Le biblioteche annesse agli stabilimenti in cui si dà un insegnamento superiore, sono per essi un indispensabile e necessario complemento. Le dottrine insegnate a viva voce non possono imprimersi come dovrebbero, nell'animo degli uditori, nè saranno mai utili, se a questi manca poscia il mezzo di chiarirle o raffermarle, ponendole a riscontro con gli studii e colle opere di chi ha guidato la scienza per nuove ed inesplorate vie. Una buona biblioteca soltanto può rendere possibile quel fecondo lavoro intellettuale, per mezzo del quale il giovane studioso, secondo gli individuali bisogni e le proprie facoltà, perfeziona e rende a sè stesso proficua la lezione orale.

Quelle poi indipendenti ed universali, che in sè racchiudono i documenti storici dei progressi dell'umano ingegno nelle vie del pensiero, e della esperienza, giovano ancor più a chi coltiva

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una data scienza per sè medesima, a proprio diletto e conforto, o per estenderne i limiti e l'efficacia a utilità comune; perchè è solo coll'aiuto di buone biblioteche che si può far acquisto di molta e varia dottrina. Colla istituzione di tali biblioteche lo Stato avrà offerto il mezzo più potente per ajutare e promuovere, senza favori e distinzioni, quegli studii dai quali il paese aspetta prosperità, onore e gloria. Queste sono le ragioni per cui quanto più una nazione è salita in civiltà, tanto maggiori e più assidue furono e sono le cure che rivolge e prodiga all'impianto, al buon andamento e alla floridezza di questi stabilimenti.

Per ciò che riguarda le condizioni delle biblioteche italiane, è inutile il richiamare alla mente del lettore, quanto ed in che modo di queste istituzioni, e di tutto quello che atteneva agli interessi intellettuali del nostro paese, si occupassero i governi recentemente rovesciati. Lasciamo le ricordanze di un triste passato e rivolgiamo la nostra attenzione al presente. Nei sei anni che la patria nostra è retta a libertà, si è egli avuta in giusta considerazione l'importanza e l'efficacia delle biblioteche; si è almeno fatto tutto quello che unicamente dipendeva dall'iniziativa del governo; quello che, senza esigere alcuna spesa maggiore, era pure così indispensabile da non potersi senza di esso immaginare un servizio regolare, ben ordinato e vantaggioso al pubblico che studia? In una parola l'azione del governo si è essa spiegata su questi stabilimenti come veramente doveva? e si esercita ora nel modo più conveniente? La soluzione di questo quesito, che, per la sua influenza sull'avvenire della coltura italiana, merita attenta considerazione è degna di serio esame, e si fa adesso più che mai urgente, perchè ora appunto il governo si occupa del riordinamento delle amministrazioni centrali. Ed è perciò che, mentre il governo stesso sente ed afferma il bisogno in cui si trova di rendere migliore e più efficace l'opera sua, mentre pubblicamente confessa che in certe cose esso dovrà seguire altro metodo amministrativo, ci è parso di adempiere al nostro dovere, accennando nella sua semplice e nuda verità quello che si è fatto o tralasciato di fare in un periodo di tempo che vuolsi considerare come già chiuso. Mossi unicamente dal desiderio di giovare come che sia agli interessi delle biblioteche nostrali, abbiamo tentato di indicare e tracciare il programma che potrebbe seguire chi è preposto alle biblioteche del regno, attenendosi ai principii suggeriti dalla scienza, e alla pratica conoscenza dei nostri particolari bisogni.

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Ora il vizio più manifesto dell'attuale ordinamento del servizio delle biblioteche sta certo in questo: che la direzione suprema è spezzata e suddivisa fra tre diverse divisioni del Ministero della istruzione pubblica. Quasicchè fossero una cosa del tutto secondaria, e che ogni capo di divisione potesse a suo modo trattare, dopo di essersi occupato di altri affari non meno gravi ed importanti; invece di affidarne la responsabilità ad un solo, formandone unica e seria occupazione di persona già molto versata in questa materia, le biblioteche furono distribuite tra varie e diverse divisioni.

A questa causa principale si deve attribuire, in non piccola parte, lo stato poco soddisfacente in cui sempre versano le nostre biblioteche. Quasi del tutto abbandonate all'iniziativa e al buon volere dei singoli bibliotecarii, corrono alla meglio la loro via, senza unità di indirizzo e armonia d'azione. Il bibliotecario, se vuole adempiere al suo dovere, ha già dinanzi a sè la grave fatica di riparare e provvedere ai molti inconvenienti e bisogni del proprio stabilimento, affinchè serva agli usi ai quali è, o almeno dovrebbe essere, destinato. Da lui non si può ragionevolmente pretendere altro se non che, ricevuto un mandato, a questo consacri tutte le sue forze, e, tenendolo costantemente di mira, dia opera a procurare tutto quello che può convenire alla migliore conservazione, incremento e registrazione della suppellettile libraria, al buon servizio del pubblico ed alla esatta amministrazione. È al Governo che spetta il dare questo mandato, il sorvegliarne attentamente l'esecuzione, il sollevarsi a vedute più generali, il dominare l'insieme, il recidere l'inutile, il provvedere all'indispensabile e a quello che i bibliotecari isolatamente non potrebbero fare; il disporre insomma, affinchè l'opera e le forze individuali concorrano tutte ed ubbidiscano al fine che, colla fondazione e col mantenimento di queste istituzioni, si vuol conseguire; perchè esso solo fu dalla nazione investito dei necessari poteri, e quindi colla possibilità ne ha l'obbligo e la responsabilità.

Se dunque si vuole che a queste istituzioni, che nelle presenti condizioni della civiltà, e più ancora in quelle particolari del nostro paese, hanno sì grande importanza, non manchi unità di indirizzo e armonia d'azione, il primo provvedimento a prendersi consisterà nel togliere questo vizio d'origine, procurando che questa unità e armonia non manchi là dove appunto ne è maggiore il bisogno.

A tal fine le recenti disposizioni intorno all'ordinamento delle

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amministrazioni centrali offrirebbero un modo molto pratico e facile. Basterebbe creare una Sopraintendenza generale per le biblioteche del regno, estendendola fors'anche agli archivi, i quali presentemente dipendono da due Ministeri diversi (2). Per entrambi questi servizii, fra loro molto affini, non vediamo inconveniente alcuno nel creare una direzione speciale; anzi a chi consideri attentamente la cosa, si presentano da sè e subito i molti vantaggi che se ne ritrarrebbero. I principii secondo i quali deve essere regolato il servizio delle biblioteche e degli archivi sono già indicati e determinati dalla scienza che gli espone; non si tratta quindi che di metterli in opera. Il fine che si vuol raggiungere, una volta stabilito, resta immutabile. Si riservi pure il ministro l'approvazione delle decisioni che hanno speciale carattere di gravità. Ma per essere in grado di agir sempre di propria iniziativa, di addentrarsi nei particolari, e di giudicarne convenientemente, sarebbe necessario che avesse il tempo opportuno, e conoscesse più che superficialmente lo stato attuale delle nostre biblioteche, e i loro varii bisogni, che avesse molti studii e molta pratica in questo ramo di servizio, il che nella maggior parte dei casi è una vera assurdità il pretendere. Si affidi dunque la trattazione e definitiva risoluzione di tutti questi affari (esclusi, come fu detto, quelli che il ministro crede dover riservare a sè stesso) ad un solo ufficio ed a persona che, aiutata da uomini competenti, abbia per gli studii speciali e per lunga pratica ed esperienza le cognizioni necessarie, e tale autorità da potere assumere, in faccia al Governo ed al paese, la responsabilità di un migliore andamento delle nostre biblioteche. Scompariranno così molte scon- cezze, e incomincierà per le nostre biblioteche un'era novella, perchè si sarà trovato il modo d'introdurre in esse quel pensiero fecondatore dell'ordine, nel quale consiste e da cui deriva la loro vera vita ed utilità.

Per dare maggiore evidenza alla necessità di adottare questo provvedimento (abbandonate molte altre considerazioni, e tacendo, almeno per ora, delle condizioni interne di questi stabilimenti)

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indicherò per sommi capi quali sarebbero le incombenze principali che dovrebbe disimpegnare questa Sopraintendenza, per ciò che riguarda le biblioteche; lasciando ad altri la cura di indicare il più che potrebbe forse occorrere per gli archivi Così facendo, avremo da una parte occasione di veder meglio quanto male ideato, e nei suoi effetti dannoso, sia il sistema che fino ad ora prevalse; come pure quanto poco, per questa ragione, si sia potuto fare in questi sei anni dal Governo, in cose che unicamente dipendevano dalla sua iniziativa. Dall'altra parte, esaminato nei suoi particolari questo ramo di servizio della Istruzione pubblica, e tracciato il programma del da farsi, ne risulterà, vogliamo sperare, il convincimento, che, quando al Governo stia veramente a cuore di riparare alle condizioni ancor troppo deplorevoli delle nostre biblioteche, quando su di esse intenda esercitare in modo efficace l'alta sua sorveglianza, quando sia suo volere di renderle un giorno sussidio possente agli studii e fonte perenne di civiltà, torni indispensabile il creare un apposito e stabile ufficio, che di questa importantissima bisogna esclusivamente si occupi.

A questa Sopraintendenza si dovrebbero fin da principio affidare gli studii per una classazione e un riordinamento delle nostre biblioteche.

Noi abbiamo biblioteche che si chiamano Nazionali, e certamente (se la parola in questo caso deve avere un significato) esse sono per numero sovrabbondanti; giacchè lo Stato non è in grado di sopportarne la spesa occorrente; abbiamo biblioteche Universitarie, e manchiamo, quasi del tutto, di biblioteche speciali. Nel lodevole scopo di fondare 36 biblioteche liceali vi abbiamo consacrata la somma aunua di 3,600 lire, cioè sole lire 100 per ciascuna. Non esistono biblioteche per le arti, le industrie ed il commercio; soltanto qualche Istituto tecnico ne ha una destinata quasi esclusivamente ai professori. Nelle librerie delle nostre città di mare non si trovano le opere relative alla teoria, alla pratica, ed all'istoria della navigazione, quantunque sia sottinteso che noi vogliamo essere grande potenza marittima e commerciale. Ci sono ministeri, e c'è il consiglio di Stato che, per loro uso privato, hanno biblioteche, quantunque, a motivo del trasporto della capitale, esse non abbiano potuto in due anni dar segno della loro esistenza, e quindi non figurino nella statistica officiale recentemente pubblicata; come non vi figurano (non si sa il perchè) quelle di alcune Accademie e Istituti letterari e scientifici. Abbiamo qualche biblioteca municipale, che vive vita

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propria, senza che le sia indicato il posto che nell'insieme potrebbe occupare. Non esistono ancora fra noi biblioteche comunali, che pure dobbiamo considerare come uno dei mezzi più validi per combattere i pregiudizii e l'ignoranza, come una delle leve più potenti per migliorare le condizioni materiali e rialzare il morale delle basse classi della nostra società.

Ma affinchè lo spirito d'ordine entri e regni in questi stabilimenti, affinchè essi riescano praticamente utili, non basta che le biblioteche abbiano un nome qualunque. È urgente affermare che cosa s'intenda sotto queste varie denominazioni, che cosa si pretenda da esse; dire in modo chiaro e preciso quale è lo scopo a cui ciascuna deve servire; tracciare il limite della sua azione, e determinare ciò che le fa di bisogno perchè essa si trovi in condizioni tali da poter raggiungere la meta prefissa. Quando si hanno ben chiare queste idee, allora soltanto, e non prima, il Governo potrà vegliare su di esse, allora potrà decidere quali sono veramente necessarie, potrà cambiar l'indirizzo a quelle che presentemente servono a poco, o fanno alle esistenti una inutile concorrenza, e saprà quali e dove dovrà crearne di nuove, quando ne avrà i mezzi. Tracciata che sia al personale delle biblioteche la via che deve seguire, anche il pubblico cesserà dal pretendere che si trovi in una biblioteca quello che deve stare in un'altra. L'uno sarà in grado di adempiere meglio al suo ufficio, l'altro rimarrà più soddisfatto, perchè comincierà ad accorgersi che vi è una mente che vede e provvede a questa bisogna. Ma senza coordinare fra loro le biblioteche, senza rendersi conto di quello che ciascuna è destinata a fare, è impossibile una economia veramente saggia, è inconcepibile una sorveglianza da parte del Governo, al quale mancano i criteri necessari per farla, ed è assurdo il pretendere che esse funzionino regolarmente.

Dopo questa classazione la Sopraintendenza dovrebbe fare il regolamento generale del servizio delle biblioteche (regolamento che ancora ci manca, e che vi è perfino in Austria) precisando quali sono i lavori di prima necessità che tutte le biblioteche devono avere già fatti, o altrimenti dovrebbero immediatamente fare, indicando quali sono i secondari ai quali non sia lecito por mano fintanto che gli altri non sono al corrente; stabilire come dovranno essere continuati; dettare norme uniformi per certi dati lavori, sul genere di quelle proposte dal Jewett per il catalogo alfabetico delle biblioteche degli Stati Uniti di America, affinchè gli impiegati tutti e ora e poi lavorino con unità di sistema; indicare le regole generali per una esatta

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amministrazione; prescrivere come debba essere, secondo i più sani principii della biblioteconomia, custodita e conservata la suppellettile letteraria, e regolato il servizio di fronte al pubblico, tanto per la lettura in biblioteca, come a domicilio.

Non può essere nostra intenzione di esaminare nei loro particolari le troppo scarse disposizioni prese dal Governo su queste materie. Di una però vogliamo tenere parola. Svegliatosi l'amore, se non dello studio, almeno della lettura, si insiste molto vivamente nelle grandi città italiane, affinchè una delle diverse biblioteche stia aperta la sera. La domanda è giustissima, ed il Governo in qualche città ha appagato questo desiderio. Se poi ciò si sia fatto nel modo più conveniente abbiamo motivi per dubitarne. Prima di tutto non sono le grandi biblioteche che devono servire a questo uso, bensì quelle che più si avvicinano pel loro carattere alle popolari. Per le altre bisogna estendere maggiormente, e con migliori cautele, la lettura a domicilio. Inoltre quanta spesa non reca questo servizio, mentre si potrebbe fare egualmente bene, più economicamente e con minori pericoli, imitando quello che si fa in qualche città di Germania. Si provveda la biblioteca che si vuol aprire la sera di una sala di lettura senza libri e del tutto segregata da quelle che ne hanno, e si illumini questa soltanto. Si stabilisca che le domande dei libri che si vogliono leggere di sera debbano essere presentate durante la giornata. Allora, prima di chiudere la biblioteca, gli impiegati potranno ricercare le opere richieste e trasportarle nella sala destinata alle letture serali. In questo modo saranno soddisfatte le discrete esigenze degli studiosi seri, si eviteranno la non indifferente spesa e i gravi pericoli causati dall'illuminare e riscaldare un vasto edifizio, e per di più si otterrà una rilevante economia di servizio negli stessi impiegati.

Tornando al nostro argomento, dopo questi studii e lavori di carattere generale e straordinario, nei quali c'è da fare assai più di quello che comunemente si creda, e che devono esser fatti perchè sono la sola base sulla quale si può solidamente edificare, seguono ora quelli di cui la Sopraintendenza dovrebbe costantemente occuparsi.

Una delle prime cure del Governo dovrebbe esser quella di istituire delle biblioteche per la prima gioventù, e nelle grandi città dove esistono più biblioteche destinarne immediatamente una ad uso dei soli giovinetti, escludendoli dalle biblioteche maggiori. Non diciamo questo unicamente pel disturbo che essi recano al pubblico. Una sorveglianza più attiva e una disciplina più

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rigorosa di quelle attualmente vigenti nelle sale di lettura, basterebbero a rimediarvi. È da un ordine di idee superiore a questo, che siamo indotti a farne la domanda. È egli umanamente possibile che in queste immense raccolte di libri, tutti gli impiegati conoscano tutte le opere che ad ingegni non ancora maturi possono riescire pregiudicevoli, oppure contengono offesa al buon costume? Le circolari che raccomandano simili cautele saranno bellissima cosa, e certo mirano ad un fine degno del più alto encomio; ma nella pratica si possono esse sempre eseguire? Troppo di frequente e involontariamente avviene il contrario. Più volte vanno in lettura libri osceni d'autori perfettamente sconosciuti alle persone addette al servizio. Inoltre, come si può egli pretendere (specialmente come è ora ordinato il servizio nelle nostre biblioteche) che gl'impiegati che distribuiscono i libri sappiano giudicare, se l'opera richiesta da un giovinetto sia superiore alla sua intelligenza, e, riconosciuto questo, si prendano l'amorevole cura di suggerirgli quella che per lui sarebbe più adatta e più profittevole? Come si vuole che gli impiegati s'avveggano e distinguano se egli chiede un libro per aumentare e allargare la sfera delle sue cognizioni, oppure per ischivare la fatica dello studio? Quante dimande inconsulte non fanno essi di libri, e quanto non gioverebbe che gli impiegati avessero modo e tempo per raddirizzare le loro idee? Chi non vede la necessità e l'importanza di contribuire, anche in cotesto modo, alla loro educazione?... Qualcuno dice: date ai giovanetti soltanto libri serii. E perchè? Se dopo aver assistito alle sue lezioni, dopo aver studiato quello che deve, un giovinetto cerca nella amena lettura di un libro onesto un utile passatempo, si metterà fuori della porta, affinchè corra le vie della città e affronti tutti i pericoli e i vizii, figli della ignoranza e dell'ozio? No. Fa di mestieri che vi sieno biblioteche destinate unicamente per loro, e che queste contengano, scelti colla massima cura, soltanto quei libri che a loro possono essere necessarii, o in qualunque modo profittevoli. Di questi ultimi la storia della letteratura popolare ne ricorda diversi, che esercitarono grandissima influenza, quantunque in sulle prime non si giudicherebbero tali. Chi non sa, per citare un esempio, che le avventure nar- rate dal Foe nel celebre racconto intitolato il Robinson Crusoè, letto avidamente negli anni giovanili, bastarono a svegliare in alcuni paesi l'universale ammirazione per le imprese ardite, a destare in molti il desiderio, nell'età matura effettuato, di intraprendere lunghi e pericolosi viaggi, di conoscere lontani paesi,

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e di visitare inesplorate regioni? Fa di mestieri inoltre che il personale di queste biblioteche si educhi alle speciali, e non facili esigenze di questo servizio, che esso stia in continua relazione con i giovanetti, possa servir loro di guida intelligente, sappia guadagnarne la fiducia, l'affetto e la stima. Nelle grandi biblioteche ciò è assolutamente impossibile. Esclusi i giovinetti, basterebbe, volendolo, richiedere uno speciale permesso pei libri di frivolo argomento e per gli erotici; ma se pure uno di questi libri capiti in mano del lettore, il male non assumerebbe poi un carattere di molta gravità. In esse l'impiegato, perchè ha da compiere altre faccende, e perchè chi le frequenta sa da sè stesso provvedere ai suoi studii, basta che assista il lettore nelle sue ricerche bibliografiche, quando questi ne chieda l'ajuto. Le grandi biblioteche non hanno mai servito, nè possono servire utilmente ai giovanetti. È cosa strana il pretenderlo. Ciò posto, perchè, a modo di esempio, nella città di Firenze non se ne trova ancora una accomodata ai loro bisogni intellettuali, mentre vi sono pubbliche biblioteche, che nessuno sa scoprire a qual'uso arcano siano esse destinate? Dopo aver provveduto alla istituzione di biblioteche per la gioventù, prime fra tutte per importanza assoluta, si presentano le biblioteche comunali. E poichè ancora non ne abbiamo, non basta trovare i mezzi (che per tante cose meno utili e necessarie ci sono), non basta studiare l'ordinamento delle biblioteche popolari, che in sì gran numero esistono negli Stati Uniti d'America, in Inghilterra, nella Scozia, nella Svizzera, nell'Olanda, nel Belgio, nella Francia, non basta scegliere un sistema praticamente attuabile e col quale in poco tempo si possano fondare; bisogna che questa Sopraintendenza concorra coi suoi lumi, coi suoi consigli e con indefesso lavoro alla direzione, all'incremento di queste piccole biblioteche, e prepari e stabilisca le cose per modo da rendere assai semplice e facile il cómpito di amministrarle ai maestri delle scuole elementari, perchè a questi appunto, come in Francia, sarebbe bene che fossero affidate.

Quando in ogni villaggio noi avremo una piccola biblioteca circolante (da potersi col tempo rimutare fra i vicini villaggi, secondo il sistema scozzese) di almeno 200 opere che descrivano il nostro paese, che ne ricordino l'antica grandezza, narrino le agitate e dolorose vicende, a traverso le quali la patria nostra conseguì l'indipendenza, la libertà e l'unità; che per via di racconti ed esempi inspirino negli animi il culto del buono e del bello, e vi sveglino il desiderio del sapere; che, esponendo gli

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elementi delle scienze più importanti, descrivano le meraviglie della natura, spieghino i diritti e i doveri di chi vive in civile consorzio, insegnino come si fanno i commerci, come si esercitano le industrie e le arti, quanto la scienza giovò alla coltivazione dei campi e alla pastorizia: allora soltanto noi avremo maestri di villaggio assai più colti, allora l'educazione e l'istruzione non terminerà nella scuola e colla scuola, ma entrerà nella famiglia, si assiderà al focolare domestico, e colla sua benefica azione distruggerà i pregiudizii, dirigerà e consolerà il lavoro, insegnerà ad amare ed apprezzare i liberi ordinamenti, in una parola, ridurrà a nuova vita il campagnuolo e il proletario, migliorandone le condizioni materiali e morali.

Che in un villaggio tutti sappiano leggere il primo libro di lettura, che si dà nella scuola, sarà bella cosa; ma cosa ancor più bella e necessaria sarà che il leggere divenga un mezzo efficace ad aumentare il patrimonio delle utili ed oneste cognizioni, il vincolo che stringa ed affratelli tutti nella difficile opera di svolgere le nostre ricchezze a comune prosperità, di vivere d'amore e d'accordo, non cercando che il bene della famiglia, del paese, l'onore e la grandezza della patria nostra. La scuola può far molto, ma sola non basta. E dove questa già esiste, dove si sono superate le difficoltà per introdurla, non bisogna fermarsi; perchè se si vogliono raccogliere i frutti è d'uopo ajutare con amorosa cura lo sviluppo della semenza affidata al terreno bene disposto.

In quanto alle biblioteche, di cui ogni città dovrebbe essere provveduta, nella più parte dei casi sarebbe conveniente che fossero unicamente circolanti; cioè che i libri si concedessero e restituissero in certe ore di dati giorni; perchè così scemerebbero d'assai le spese, e sarebbero utili a tutti i cittadini indistintamente. Per ciò che riguarda la formazione e l'ordinamento, si potrebbero modellare in gran parte su quella di Berna; e nei luoghi dove già esistono altre biblioteche, sarebbe bene che mirassero anche a combattere con libri buoni e utili quelle private librerie circolanti, nelle quali non si dispensano che romanzi e del peggior genere, che ad altro non servono che a guastare la mente ed il cuore de' non pochi lettori. Se si vuole una coltura soda e seria, se si vuole veramente avviare il paese al grande avvenire al quale dovrebbe essere chiamato, bisogna ricercare e impiegare tutti i mezzi che possono tornar utili, e questo è certo uno di quelli che ha maggiore efficacia.

Le molte altre biblioteche destinate agli studii più elevati

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dovrebbero essere fondate e mantenute dalle provincie e dal Governo. È certo che la Sopraintendenza delle biblioteche avrebbe poco a ingerirsi in quelle civiche e provinciali. Rispetto a queste, che possono essere dirette e sorvegliate da persone intelligenti, l'ufficio di essa dovrebbe limitarsi a promuoverne, dove mancano, la fondazione, e dare, quando ne sia richiesta, le notizie, i suggerimenti, i consigli che possono giovare ad istituire, ad accrescere, e a ben amministrare le dette biblioteche.

Eccoci tornati col nostro discorso alle biblioteche governative. Non può esservi dubbio che queste per il loro ordinamento e per la loro amministrazione dovrebbero servire di modello alle altre; ed è perciò che qui deve la Sopraintendenza spiegare maggiore acume ed esercitare una più diretta influenza.

Nell'interesse pubblico, nell'interesse ben inteso di questi stabilimenti, è urgente necessità che cessi una volta quell'azione talmente assoluta ed autonoma, da permettere che le nostre biblioteche non abbiano col Governo altra dipendenza, altri rapporti di qualche entità, fuori di quelli che risguardano riscossioni e pagamenti, quasichè fossero istituti fondati unicamente ad aggravare il bilancio della istruzione pubblica. Bisogna imporre ad ogni bibliotecario l'obbligo (come è uso fuori d'Italia) di rendere semestralmente conto della condotta degl'impiegati, dello stato e progresso dei lavori che essi fanno, dei miglioramenti che si potrebbero e dovrebbero introdurre; somministrando tutte quelle notizie per le quali si possa dare con conoscenza di causa, un giudizio sulla intelligenza e attività del personale e sull'andamento generale della biblioteca.

È indispensabile che in certe cose, che pure si riferiscono all'ordinamento interno delle biblioteche, il bibliotecario non abbia libertà sconfinata di fare e disfare. Lasciategli molta iniziativa, perchè egli è in grado di essere il giudice più competente. Ma per quanta capacità, intelligenza e buon volere si vogliano in lui ammettere, la biblioteca non deve essere in sua assoluta balìa. La sua facoltà di agire deve avere un limite. Egli non deve considerarla come una sua privata libreria, perchè non vi impegna soltanto l'opera sua, ma alle sue idee lega la volontà e l'opera dei suoi successori. Delle grandi innovazioni da farsi nella biblioteca a lui affidata, egli dovrebbe sempre dare contezza alla Sopraintendenza e ottenerne l'approvazione; perchè così da una parte, nel dimostrarne la convenienza ne studierà meglio le ragioni determinanti, e dall'altra traccierà anche ai suoi successori le idee direttive e le

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norme per continuarla. Torna quindi tanto più necessario a chi, per la sua posizione, abbia l'obbligo di vegliare sull'opera dei bibliotecari, il conoscere assai fondatamente, non solo per teoria, ma ben anco per pratica, il servizio delle biblioteche. Altrimenti non saprà a che tenersi, non sarà capace di rettamente giudicare, e talvolta impedirà delle savie riforme e tal'altra non sarà in grado di frenare la smania di qualche bibliotecario nuovo del mestiere, il quale creda che l'ufficio suo consista nel mettere a soqquadro la biblioteca, e cerchi l'immortalità nel fare a rovescio e al contrario di quello che faceva il predecessore. Questo difetto ha non poche volte recato gravi e irreparabili danni alle biblioteche, non solo in Italia, ma anche al di fuori. I lavori delle biblioteche hanno questo quasi sempre di caratteristico, che, oltre essere molto lenti, non se ne vede mai la fine perchè la biblioteca acquista sempre nuovi elementi di vita. Occorre perciò in chi dirige, molta costanza, molta ponderatezza e circospezione, prima di abbandonare o buttare all'aria il vecchio per accingersi al nuovo; altrimenti si spreca indarno tempo e fatica, e non si ha nè questo nè quello. In ogni modo è un sistema erroneo l'abbandonare ciecamente questi istituti, che per il paese hanno sì grande e vitale importanza, nelle mani di persona, che per quanta fiducia meriti, sa che nessuno gliene domanderà conto; tanto più che, nella maggior parte dei casi, prima che il pubblico si accorga e muova lamento del male, esso è già fatto irreparabile.

Sarebbe necessario che la Sopraintendenza avesse facoltà in casi gravi ed urgenti, di esaminare sopra luogo le biblioteche, per accertarsi delle condizioni in cui versano, e della verità delle cose esposte. Sarebbe inoltre necessario che a somiglianza di quello che si pratica in quasi tutta l'Europa, avessero luogo anche fra noi delle visite periodiche, per assicurarsi dello stato di conservazione e del modo con cui sono tenuti i libri, per riscontrare se la suppellettile letteraria esiste secondo gli inventari che ogni biblioteca dovrebbe avere (e che tutte non hanno), per vedere se il servizio a domicilio ha luogo secondo le regole prescritte, e se queste sieno eseguite rigorosamente, perchè nel caso contrario, anzichè estenderlo maggiormente a comune utilità, sarebbe miglior consiglio sopprimerlo del tutto. Occorre insomma affidare a chi ha le cognizioni speciali richieste, il geloso incarico di esaminare se in questi istituti che sono sparsi per tutta Italia, ogni cosa proceda secondo i dettami della scienza e le prescrizioni governative. L'Edwards insisteva con molto calore, affinchè questa ispezione, che altrove funziona da lungo tempo,

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fosse introdotta anche in Inghilterra (3); ed in Francia, per citare un esempio, si ebbe almeno l'accortezza di creare un Ispettore generale per le biblioteche.

Alla Sopraintendenza pure si dovrebbe inviare la nota dei libri comperati, ordinata, come si fa in alcune parti della Germania, per materie, poichè in questo modo si avrebbe la certezza che il personale dirigente delle biblioteche tenne, nel compilarla, esatto conto delle proporzioni in cui dovevano esser fatti gli acquisti nei diversi rami dello scibile, secondo l'indole e lo scopo assegnato alla biblioteca; la Sopraintendenza avrebbe in mano gli elementi per giudicare se e come si cerchi raggiungere questo scopo, vedrebbe riflessa come in uno specchio l'intelligenza e l'attività scientifica del personale che amministra le pubbliche biblioteche, avrebbe la riprova documentata se si fanno gli studii necessari in questa, non saprei dire se più importante o difficile, faccenda.

A noi non garba che sulle fatture saldate dei libri, un applicato qualunque rifaccia (seppure si fa) soltanto le somme; giacchè nel resto della fattura (è facile l'accertarsene) ci legge e intende appena l'impiegato che fece gli acquisti. Se non si può mettere a riscontro il denaro speso con la cosa acquistata è un bel perditempo il sommare dei numeri, è cosa meno che decorosa il chiedere questi documenti per mostrare di fare un controllo, quande il farlo come si dovrebbe è evidentemente impossibile. Sono spese di natura loro troppo diverse dalle usuali, e quindi ci vogliono provvedimenti adattati. Perciò non può esservi dubbio che il controllare queste spese è ufficio che deve appartenere a persone molto intelligenti e versate in queste materie, e perciò da nessun'altra amministrazione dello Stato si potrebbe far meglio che dalla Sopraintendenza, la quale oltre il procurarsi le necessarie garanzie che le spese sieno state realmente fatte, potrebbe ben anco vegliare che sieno fatte economicamente e saviamente. E questo è quello che importa. Ma v'ha di più. Interessata e responsabile dell'andamento delle nostre biblioteche, nè avendo mezzo più sicuro per adempiere a gran parte dell'ufficio suo, che analizzando e sindacando gli acquisti che si fanno, la Sopraintondenza sarebbe di necessità indotta a contribuire ancor essa affinchè riescano sempre migliori. E in ciò il suo còmpito è reso più facile dal poter essa sola istituire un confronto fra gli acquisti di una biblioteca con quelli delle altre. Ciò gioverebbe in particolar

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modo alle minori biblioteche, dove il personale superiore, essendo per la natura loro molto ristretto, non può abbracciare il complesso delle pubblicazioni che si fanno, e scegliere prontamente tutto quello che più interessa al pubblico che le frequenta.

Sugli acquisti dunque è strettissimo dovere dell'amministrazione centrale di esercitare una sorveglianza rigorosa e non illusoria, perchè da essi non solo può venire scemata la presente utilità delle biblioteche; ma eziandio compromessa quella avvenire. Bisogna farlo per impedire lo spreco dei pochi denari in compere frivole o inconsulte; bisogna farlo per porre un argine a quelle esclusivamente ristrette agli studii o alle inclinazioni di un bibliotecario, o destinate, non ad ajutare o giovare alla scienza, ma nell'intento di richiamare gran numero di lettori, che poi nella biblioteca null'altro cercano che un passatempo (4). Sembra poi cosa appena credibile che non si sia ancora pensato di porre in relazione fra loro le diverse biblioteche di una città, onde evitare in un medesimo luogo la compera degli stessi libri, quando non siano dei pochi assolutamente indispensabili.

Ma tornando agli acquisti che via via si fanno, bisognerebbe che la Sopraintendenza potesse stabilire le cose per modo, che le maggiori biblioteche fossero in grado di pubblicare colle stampe il Catalogo sistematico dei nuovi acquisti, come per es. da diversi anni si fa in modo degno del più alto encomio dalla Biblioteca di Gottinga. «In questa guisa», ripeterò le parole che stanno in fronte ad una simile pubblicazione della Biblioteca nazionale di Brusselle, «i sussidii di cui può disporre la scienza, non saranno più un segreto, e la direzione della biblioteca potrà essere giudicata ed apprezzata con conoscenza di causa.» È soltanto con queste pubblicazioni, che si potrebbe destare fra le diverse biblioteche, una emulazione feconda di ottimi risultati.

Inoltre è molto importante, che le modeste ricerche e gli studii pieni di abnegazione, che nel campo anche della bibliografia contemporanea sarebbe obbligato a fare il personale

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superiore delle biblioteche, tornino col mezzo della pubblicità di vantaggio agli studiosi. Essi nella immensità delle pubblicazioni che si fanno, nella febbrile rapidità con cui si succedono, e nell'assoluta mancanza di lavori bibliografici italiani, che, secondo i nostri bisogni, dieno notizia delle opere più importanti che vedono la luce nel mondo civile, abbrevierebbero di molto le loro ricerche, se potessero avere fra mano l'elenco delle opere scelte con diligenza, studio ed amore da persone istruite che per ufficio devono sovratutto accompagnare nei suoi progressi il movimento intellettuale, e prendere nota di quelle produzioni che per la storia della civiltà hanno non dubbia importanza. Così facendo, oltre l'avvertire gli studiosi dei sussidii scientifici che loro prepara lo Stato, si avrebbe anche il mezzo di provocare sugli acquisti il loro giudizio, e al bisogno i loro suggerimenti.

Nè deve dar pensiero la spesa che può occorrere. Si facciano economie là dove sono possibili. Si risparmi a modo di esempio (che è cosa facilissima) metà del denaro che ci vuole per l'Annuario della Istruzione pubblica, ed ecco che coll'altra metà si potrà stampare il Catalogo degli acquisti di qualcuna delle maggiori biblioteche italiane. Per un elenco di impiegati che serve a qualche cosa appena un anno, non occorre tutto quel lusso; si imitino le pubblicazioni degli altri Ministeri. Per il contenuto e per l'uso a cui è destinato, basta una forma assai più modesta, e tutti saranno contenti se col risparmio avranno un elenco di opere che, conosciute, potranno giovare al paese ora e nell'avvenire.

Del resto, trattandosi specialmente di grandi biblioteche, le economie di un certo genere sono dannose e rendono meno fruttifere le spese che già si fanno. Bisogna unicamente vegliare che il danaro che può occorrere sia usato saviamente. Noi abbiamo a fare ancora lungo e difficile cammino prima che le nostre più grandi biblioteche siano quello che devono essere, e in parte furono; prima che, secondo le sapienti ed autorevoli parole di Molbech, possano avere pei letterati e scienziati una eguale destinazione e rendere i medesimi servigii che per la studiosa gioventù hanno e rendono le Università (5).

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[Seconda parte]

Continuando a discorrere della suppellettile letteraria delle nostre biblioteche si fa sempre più manifesta la necessità che il Governo se ne occupi seriamente e convenientemente. Ma sino a tanto che il riordinamento e la classificazione delle nostre biblioteche non sarà un fatto compiuto, sin tanto che non si saprà a qual fine determinato deve servire ogni singola biblioteca, si può ben poco sperare. Da questo riordinamento soltanto sarà dato scorgere come qui abbiamo raccolte preziosissime che nell'interesse del pubblico studioso, e perchè acquistino virtualmente tutto il valore che hanno, dovrebbero stare in altre biblioteche, e come altrove ve ne sono altre che hanno lacune e mancanze oggidì imperdonabili, perchè tolgono ogni possibilità che certi studii ritornino in fiore. È solo da questo generale riordinamento che si potrà anche ben comprendere e misurare come l'apparato librario delle nostre biblioteche sia per gli attuali nostri bisogni in troppa gran parte inservibile. Questo fatto gravissimo in sè stesso è riconosciuto anche nelle Osservazioni che accompagnano la Statistica delle Biblioteche del Regno. Ma a che serve conoscere e confessare l'esistenza di questo vizio organico, se poi non si prendono subito, nei limiti del possibile, le misure e i provvedimenti necessari per rimediarvi? Di 210 biblioteche, delle quali ci dà notizia la Statistica citata, sorte quasi tutte molto prima di questo secolo, 115 circa furono fondate con librerie appartenute o al clero o ai conventi soppressi. Oltre le ricordate, quasi tutte le altre ebbero ad aumentarsi notevolmente in simile modo. E così le nostre biblioteche non si formarono seguendo una idea fondamentale, un concetto prestabilito, ma risultarono invece dalla concentrazione in un solo locale di piccole librerie, o da lasciti di generosi donatori. Questi aumenti poi ben di rado corrispondevano con i

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bisogni della biblioteca che arricchivano. Per i tempi a noi più vicini è inutile il dire, che i cessati governi italiani non si curavano di questi stabilimenti, e non cercarono di riempirne le lacune, di metterli in armonia coi crescenti bisogni. E come mancò del tutto un sistema generale nella loro istituzione e successiva formazione, così, è doloroso il dirlo, vi è tuttora assoluta mancanza di qualunque genere di provvedimento, che valga a porvi rimedio.

Ognuno vede che, dopo aver determinato il fine a cui deve mirare ogni biblioteca, il principale provvedimento sta nelle dotazioni. Abbiamo accennato quanto sono meschine. Non destinate a riparare ad un passato che lasciò dolorose traccie della massima noncuranza, esse non bastano a soddisfare alle giuste esigenze degli studiosi. Le pubblicazioni letterarie e scientifiche crebbero per ogni dove a dismisura, ed hanno assunto una vastità di proporzioni che nel passato secolo non era dato prevedere, né lecito sperare. Le scienze tutte, se non si può dire che ai giorni nostri abbiano subìto addirittura una completa trasformazione, questo però è certo che si presentano almeno con nuova e più vigorosa vita, frutto di una attività più seria, e di una investigazione più diligente e profonda. Ciò nonostante le dotazioni delle nostre biblioteche, mentre altrove si mettevano in rapporto coi nuovi bisogni, rimasero fra noi (fatte ben poche eccezioni) a un dipresso quello che erano nel secolo scorso.

Nelle attuali strettezze finanziarie sarebbe strana indiscrezione il chiedere che almeno ad uno dei principali nostri stabilimenti fosse accordata una sovvenzione straordinaria che si accostasse a quella che colla legge 14 luglio 1838 fu consentita alla Biblioteca nazionale, ora imperiale, di Parigi (di un milione e 264 mila lire); affinchè essa potesse far fronte ai diversi suoi bisogni, conservandole al tempo stesso il solito credito per le spese ordinarie. Ma ciò va solo ricordato, perchè dimostra a quali espedienti si credette allora dover ricorrere; perchè dimostra nelle autorità che proposero, e nelle Camere che approvarono, una sollecitudine illuminata per gli interessi intellettuali del proprio paese, una ferma volontà che in quella gran biblioteca le tradizioni del pensiero non patissero interruzione, ed i lavori di riordinamento non soffrissero ritardo per mancanza di mezzi pecuniarii.

In quanto a noi le esigenze del nostro pubblico studioso sono assai più modeste. Esso domanda che le dotazioni rispondano ai più urgenti bisogni delle nostre biblioteche, domanda che si cessi di assottigliarle, come è avvenuto, per fare delle grette

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economie «quasichè da poche lire sottratte alle più nobili istituzioni avvivatrici della pubblica civiltà, il dissanguato erario avesse a ristorarsi (6)»; domanda che siano guardate secondo l'importanza e l'ufficio delle biblioteche a cui sono destinate. E questo è quello che precisamente ci manca.

È quindi urgente il porre prontamente mano anche a questa riforma. Qua si vedono biblioteche d'Università che possono spendere assai più di quelle alle quali si dà il pomposo nome di nazionali. Eppure gli studii che si fanno nelle Università sono abbastanza circoscritti dagli insegnamenti che vi si professano. Una eccettuata (quella Universitaria di Torino), nessun'altra biblioteca italiana, nemmeno la maggiore della Capitale, ha disponibile una somma che raggiunga le 24 mila lire, anzi, toltene due, (la Nazionale e l'Universitaria di Napoli), le altre tutte ne sono ben lontane. Bisogna inoltre osservare che queste somme sono inscritte nel bilancio col titolo generico di spesa per il materiale; e perciò essa non è destinata unicamente ai libri, ma vi si comprendono anche le legature, scaffali, spese di stampa, di posta, oggetti di cancelleria, mobili, legna da ardere (e per alcune anche l'illuminazione), riparazioni e conservazione dei locali, con tutto quello che una denominazione sì vaga permette di abbracciare.

Fatte queste avvertenze, per non ispendere altre parole intorno ad un tale argomento, e perchè il lettore possa da sè giudicare, stimo miglior consiglio l'estrarre dalle indicazioni sparse nel bilancio del Ministero della Istruzione pubblica per il 1866 il seguente specchio dimostrativo delle somme destinate per dotazione (materiale) alle nostre biblioteche, senza notare quelle che appartengono al Veneto o sono registrate nei bilanci degli altri Ministeri.

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BIBLIOTECHE dipendenti dalla III Divisione
Istruzione superiore – Università. – Scuole d'applicazione e veterinaria, ecc. ecc.

    Biblioteca Lire Cent.
1. dell'Università di Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . 5,320.   –
2. . . . . » . . . di Cagliari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,500.   –
3. . . . . » . . . di Catania   Biblioteca grande . . . . . 3,333.   33
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »   Ventimigliana . . . . . 60.   –
4. . . . . » . . . di Genova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7,916.   65
5. . . . . » . . . di Messina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,083.   34
6. . . . . » . . . di Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21,993.   –
7. . . . . » . . . di Modena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,250.   –
– . . . . . » . . . di Palermo (7).
8. . . . . » . . . di Parma (Biblioteca medica) . . . . . 83.   34
9. . . . . » . . . di Pavia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,000.   –
10. . . . » . . . di Pisa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5,833.   34
11. . . . » . . . di Sassari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,250.   –
–. . . . . » . . . di Siena (8).
12. . . . » . . . di Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24,000.   –
13. dell'Istituto Superiore di Firenze, per la
. . . . . . . . . . Sezione di scienze fisiche . . . . . . . .
4,000.   –
. . . . . . . . . . . » . . di medicina e chirurgia . . . . . 1,000.   -
14. della Scuola d'applicazione per gli ingegneri    
. . . . . . . . . . . in Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1,200.   –
15. dell'Istituto tecnico superiore in Milano . . . . 1,200.   –
16. della Scuola normale superiore in Pisa . . . . . 1,000.   –
17. della Scuola veterinaria in Torino . . . . . . . . . 1,000.   –

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BIBLIOTECHE dipendenti dalla II Divisione
Belle Arti. – Conservatorii musicali. – Accademie e Corpi scientifici e letterarii, ecc. ecc.

        Biblioteca Lire Cent.
18. Nazionale di Brera in Milano . . . . . . . . . . . 12,000.   –
19. Palatina di Modena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,733.   34
20. Nazionale di Parma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,333.   34
21. di Cremona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,500.   –
22. Nazionale di Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,306.   67
23. Mediceo Laurenziana in Firenze . . . . . . . . . 382.   –
24. Marucelliana in Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . 3,333.   34
25. Riccardiana in Firenze . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,866.   67
26. di Lucca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,220.   –
27. Nazionale di Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,000.   –
28. Brancacciana in Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . 2,222.   50
29. di S. Giacomo in Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . 4,166.   67
30. Nazionale di Palermo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,000.   –
31. Oliveriana in Pesaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 833.   34
32. di Siena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 833.   34
33. del Conservatorio di Musica in Milano (9) . . 600.   –
34. dell'Istituto musicale in Firenze . . . . . . . . . . 1,000.   –
35. del Collegio di Musica in Napoli (10) . . . . . .

Avvertenza. Dal bilancio è impossibile rilevare ciò che esso assegna alle Biblioteche delle Accademie delle Belle Arti. – Lo stesso dicasi per le Biblioteche delle Accademie scientifiche e letterarie.

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BIBLIOTECHE dipendenti dalla IV Divisione
Istruzione secondaria classica e tecnica. – Convitti nazionali, ecc. ecc.

        Lire Cent.
36-72. Per le biblioteche di 36 licei a lire 100 l'una . . . . . . . . .     3,600.   –
73. Biblioteca del liceo Forteguerri di Pistoja (11) . . . . . . . . . . 1,142.   –

Avvertenza. Nella Statistica delle biblioteche del Regno si vede che nel 1863 erano sussidiate dal Governo le seguenti biblioteche, che mancano nel nostro elenco, forse perchè queste somme non erano menzionate in modo distinto nel Bilancio:

74. Biblioteca dell'Accademia di Scienze, ecc. di Massa Carrara     200.   –
75. . . » . . del Convitto Nazionale di Teramo . . . . . . . . . . . . . . . 400.   –
76. . . » . . del Seminario di Patti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255.   –

In quanto alle dotazioni, se si è per il momento costretti a limitare le domande ed i desideri a quello che è strettamente necessario, e ad una distribuzione più equa, insomma a quello che nelle attuali contingenze è possibile, fa di mestieri «che pei bilanci preventivi venga interrogato chi potrebbe all'uopo somministrare le più esatte nozioni intorno ai veri bisogni dell'istituto». È d'uopo quindi di ritornare alla pratica che era in uso, e che a un tratto fu abbandonata: invitare cioè le biblioteche a proporre il proprio bilancio prima che il Ministero della Istruzione pubblica compili il suo, affinchè possa farlo tenendo conto dell'urgenza di alcuni bisogni e con intima cognizione delle cose (12).

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Ma se queste considerazioni si riferiscono al denaro pubblico che si consacra a questi Istituti, non si può ristare dal chiedere e dall'insistere che si esaminino una volta accuratamente tutte le altre fonti, col mezzo delle quali le nostre biblioteche potrebbero aumentare la loro suppellettile letteraria, e si dispongano finalmente le cose per modo che riescano agli studiosi di maggior profitto.

Non vi ha Stato in Europa, eccettuata l'Italia, il quale non abbia almeno una biblioteca dove si raccolgono tutte le pubblicazioni che si fanno nel paese, affinchè in essa si vegga tutto il movimento intellettuale della nazione. Qual immenso vantaggio ne derivi agli studiosi, qual forza ne ritragga il pensiero nazionale non ha bisogno di essere dimostrato.

Ma se tanto giova altrove, quanto più non sarebbe necessario in Italia? Da secoli divisi, noi non ci conosciamo. L'attuare l'unione, ed il volgere il pensiero e l'azione di tutti gli Italiani ad un solo scopo era per l'avversità dei tempi impresa arditissima, ed irta di immense difficoltà. Mancanza di communicazioni, varietà di costumi e di coltura, governi apertamente ostili, lo straniero attendato nel nostro paese; tutto cospirava e mirava a tenerci divisi. Ma poichè per costanza di propositi e di voleri si poterono raccogliere intorno ad un'idea che le altre tutte dominava, quanti avevano comune la patria, poichè con ingenti sacrifizii e per eventi insperati abbiamo potuto conseguire l'indipendenza, la libertà e l'unità politica, è ora più che mai urgente, che questa unità si consolidi e getti salde radici nella comunità degli interessi, degli intenti e delle aspirazioni. A ciò danno opera i serii e pacifici studii. Ma occorre che questi non sieno individuali, isolati. E come tutte le forze vive della nazione devono concorrere a questo supremo scopo, così è della massima importanza che le forze sparse del pensiero italiano, destinate a guidare e coordinare le altre, sieno esse stesse fra di loro collegate ed unite.

Quantunque il presente stato politico dell'Italia possa rendere facile e naturale l'ottenimento di questo fine, pure noi ne siamo ancora ben lontani, per le condizioni anormali del commercio librario, sul quale continuano i lamenti senza che si sia mai pensato con mezzi pratici e possibili di avviarlo ad un assetto migliore. A riprova basterà il dire che non siamo nemmeno in grado di fare il semplice inventario di quello che fra noi si produce

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colle stampe, cosa che sa fare persino la Spagna. Basterà dire che il Governo nazionale vi si è accinto, e per due anni ha pubblicato un Annuario bibliografico, e poi ha dovuto confessare la propria impotenza desistendo dall'impresa. Il libraio Stella, per opera privata, con difficoltà immense di tutti i generi, pubblicò a Milano durante un decennio una bibliografia che i cultori delle lettere nostrali, sì italiani che stranieri, lamentano ancora che non sia continuata. Un Governo nazionale, colle immense risorse di cui può disporre, si mette all'opera ed è costretto lasciarla a mezzo. È pur vero che sarebbe difficile l'immaginare mezzi meno adatti di quelli prescelti, per raccogliere le notizie, e un metodo di redazione e un modo di pubblicazione che meno rispondesse ai bisogni del pubblico studioso e del commercio librario. Ma comunque ciò sia, fa proprio dolore e vergogna il vedere una nazione, che proclama la suprema necessità degli studii, che alla pochezza dei medesimi attribuisce i recenti insuccessi, che dichiara innanzi al mondo intero, che essa mira a ritornarli in onore, che essa vuole ad ogni suo potere incorraggiarli e promuoverli, e nel fatto poi si mostra incapace di continuare l'opera modesta di un libraio, impotente a prendere e dare non altro che materiale notizia, di quello che degli studii è il frutto più visibile e più positivo nel suo proprio paese. Ma come dovrà fare lo studioso a vincere queste difficoltà, se il Governo stesso si ritrae e non sa superarle? Come si stabilirà di fatto unità negli studii, se non si giunge a collegare insieme gli sparsi cultori, facendo loro vicendevolmente conoscere l'esistenza dei loro lavori? E come si può egli pretendere, e con qual diritto lagnarci, se oltr'alpe non sono conosciute le opere dell'ingegno italiano, quando al nostro Governo stesso non riesce di conoscerne l'esistenza?.... Il nostro interesse, il nostro decoro stesso esigono imperiosamente che si ritorni all'opera con più savio consiglio. Se vi sono difficoltà, tanto maggiore è il dovere e il bisogno di superarle. Si affidi questo lavoro alla Sopraintendenza, di cui ho parlato, e si vedrà se essa, purchè composta di persone che al sapere uniscano la pratica, saprà o no trovare il bandolo per isvolgere questa matassa..... Ma se al presente è già tanto difficile il conoscere solamente quello che si pubblica in Italia, quanto più sarà difficile, per non dire impossibile, il procurarselo? Davvero che queste stringenti ragioni basterebbero ad obbligare il Governo a fare tutti gli sforzi possibili, sieno essi pur grandi, onde avere raccolto, almeno in una biblioteca, tutto quello che si pubblica in Italia.

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Ebbene cotesto deposito centrale dei prodotti intellettuali d'Italia, da tanto tempo desiderato invano, noi l'abbiamo già; ma sembra ignorato da tutti, e si direbbe ignorato anche dal Governo. Sì, vi è un luogo dove si raccolgono tutte le pubblicazioni italiane, quantunque la Statistica officiale delle biblioteche del Regno non ce lo indichi. Questa raccolta si va formando negli Archivi di Corte, ora Archivi generali del Regno. Per quanto ciò possa parere strano, pure è così. Lo prescrive e lo ordina la legge sulla stampa (Articolo 8) che è attualmente in vigore (13), ed alla quale dobbiamo la scoperta di questa peregrina notizia. Che cosa poi abbiano a fare tante opere a stampa, ignorate dai nostri studiosi, in un Archivio, è un problema che lasciamo volentieri ad altri la cura di risolvere.

Questo però non basta. La medesima legge vuole che un'altra copia di ogni cosa che si pubblica, sia immediatamente presentata al Procuratore del Re che risiede nella provincia, dove l'opera vide la luce. Egli deve esaminare se negli scritti o nei disegni si attenti alla sicurezza dello Stato, se vi sia offesa al Re, ai poteri costituiti o alla pubblica morale. È quindi un provvedimento assai giusto. Ma perchè si trascura di trar maggiore profitto da questa copia? Perchè non si obbliga il Procuratore del Re a consegnarla quando più non gli occorre, a qualche pubblica biblioteca, da determinarsi secondo le diverse località? Si escludano pure quegli scritti contro cui egli ha promosso l'azione penale. Ciò importa poco. Quello che preme si è che le biblioteche abbiano a spendere il meno possibile in cose che potrebbero avere gratuitamente e che giacciono inutili nelle mani del Governo. Si dirà che il Procuratore del Re ne potrebbe avere bisogno in seguito. Ma, secondo l'articolo 12 della legge citata, qualunque azione penale nascente da reati di stampa, essendo prescritta nello spazio di tre mesi dalla data della consegna della copia al Pubblico Ministero; trascorso quel tempo, che bisogno ne ha egli? Si vuol forse creare nel suo ufficio una biblioteca? Ricordata ancora una terza copia che l'editore deve (sempre secondo questa legge) presentare, e che è destinata alla biblioteca dell'Università più vicina al luogo di stampa, e, per le provincie annesse, alla biblioteca principale della cessata circoscrizione territoriale, tiriamo avanti.

Una provvida legge sui diritti spettanti agli autori delle opere

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d'ingegno, da lungo tempo reclamata, venne a por fine alle piraterie librarie, a render migliori le condizioni materiali degli scrittori, ed a dare alle operazioni commerciali degli editori una base stabile, senza la quale era impossibile l'arrischiarsi a serie speculazioni. Ora in virtù dell'art. 20 della detta legge, ed in conformità d'un regio decreto del 25 giugno 1865, col quale si danno alcune disposizioni regolamentarie, è stabilito: che chiunque intenda valersi dei diritti che essa garantisce, debba presentare al Prefetto della provincia due esemplari dell'opera che pubblica, se questa sia in più volumi, o se, constando di un solo volume, sia corredata da incisioni o altra simile specie di riproduzione; tre esemplari, se l'opera sia pubblicata in un volume solo. Esiste poi una circolare del Ministero d'agricoltura, industria e commercio del 15 luglio 1865, e sempre in vigore, ai Prefetti del regno, colla quale si ingiunge loro di trasmettere uno di questi esemplari alla biblioteca principale del luogo ove l'opera è stampata, gli altri esemplari al Ministero sopra accennato.

Questi esemplari (dopo averne presi i ricordi necessari, e fatte agli interessati le ricevute e dichiarazioni opportune) non sappiamo davvero che cosa facciano al Ministero. Se sorgono contestazioni, sono ben rari i casi, nei quali i documenti rilasciati dalle Prefetture e dal Ministero, i ricordi presi da entrambi questi uffici, non bastino a certificare l'epoca e l'individuo che ha fatta la presentazione. Nei rarissimi casi in cui sorga questione sul contenuto stesso dell'opera, in cui si muova litigio se è o no vera contraffazione, non si vede quali maggiori utilità e garanzie possa presentare il trovarla negli scaffali del Ministero, al quale è di inutile aggravio invece che ritirarla da una o più biblioteche, alle quali (secondo il numero delle copie presentate) si fosse consegnata, oppure in caso di maggiore bisogno, da un'altra delle tre biblioteche, che in forza della legge sulla stampa potrebbero e dovrebbero possederla. Ecco un'altra economia, che di leggieri si potrebbe fare nell'interesse delle nostre pubbliche biblioteche.

Ma la cosa più caratteristica sta nell'esemplare destinato alla biblioteca principale del luogo ove l'opera fu pubblicata. Qui non si pensò (e chi era in debito d'ufficio di farlo non avvertì) che questa disposizione coincideva precisamente con quelle dipendenti dalla legge sulla stampa, e che per tal modo abbiamo non poche biblioteche che di diritto ricevon

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opera, che altre biblioteche governative, se vogliono averla, devono comperare. Esposte come stanno le cose, a noi non resta che abbandonarne i commenti ed il giudizio al senno del lettore.

Continuando l'esame delle fonti che, senza spese maggiori e con un po' più di previdenza, potrebbero arricchire le nostre biblioteche, non sappiamo perchè non si eccitino, e dove è possibile, non si obblighino certi Istituti e Accademie letterarie e scientifiche (riservatone l'uso a domicilio ai membri che le compongono) a dare dopo un certo tempo a qualche biblioteca della città dove risiedono i libri, gli Atti e le Memorie Accademiche, i giornali, ecc., che comperano coi denari dello Stato, che ricevono in dono, o che acquistano in cambio delle loro pubblicazioni, che pur quasi tutte sono sussidiate col denaro pubblico. L'economia sarebbe assai rilevante per le biblioteche che non si troverebbero più costrette a comperare certe opere indispensasabili e molto costose, e invece riceverebbero, oltre queste, molte altre che ora non hanno e forse mai non avranno.

Perchè non si cerca trar partito dai molti giornali politici e letterarii, italiani e stranieri che ricevono i Gabinetti di lettura, e che poi vanno dispersi? Certe Società sarebbero abbastanza generose per farne dono alla città natia, cert'altre sarebbero prontissime a cederli, quando si pagasse una modesta contribuzione. Eppure queste collezioni sono preziosissime; e se le biblioteche tentassero formarle, la spesa sarebbe oltremisura gravosa, specialmente nelle attuali condizioni. Non è forse in molta parte dai doni della R. Accademia delle Scienze e del Museo letterario che la biblioteca di Gottinga riceve annualmente un considerevole ed importantissimo aumento? Ma anche in Italia ce ne offriva già un bell'esempio l'Accademia Labronica, che fondò in Livorno la pubblica biblioteca di questo nome, ed un altro, per non parlare di Sondrio e di Vigevano, la città d'Alessandria dove «una eletta Società detta dei giornali, mediante un'annua quota, si provvede delle più accreditate effemeridi scientifico-letterarie italiane ed estere: e dopo cinque anni ne fa dono alla Biblioteca Civica; per cui essa vanta collezioni periodiche numerose, che difficilmente si troverebbero altrove (14)». E questi esempi bisogna additarli, bisogna tentare tutte le vie possibili affinchè sieno imitati.

Così pure fa di mestieri rivolgere un'attenzione maggiore e ordinare con più cura il servizio che riguarda la diramazione e la distribuzione alle diverse nostre biblioteche di quelle opere che

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sono stampate dal Governo, o da esso comperate in buon numero, per incoraggiare certi studii, e ciò perchè attualmente alcune si danno talvolta ripetutamente, altre poi si dimenticano affatto. Chi si volesse pigliar la briga di formare l'elenco di queste ultime, giungerebbe a curiosi risultati. Non parliamo di Atti o Memorie di Accademie o Istituti letterari e scientifici. È strano, ma vero, che nelle maggiori biblioteche di uno Stato costituzionale e retto a libertà non si trovano talvolta i bilanci dei diversi Ministeri, non la raccolta ufficiale delle leggi, che tutti indistintamente sono obbligati a conoscere, non tutte le pubblicazioni che, fuori della Gazzetta Ufficiale, si fanno dai Ministeri, dalla Camera e dal Senato. Eppure, questi studii, queste relazioni, questi documenti sono di vitale importanza, se si vuole che l'opera del Governo sia conosciuta non superficialmente, ma studiata nelle fonti, se si vuole che fra governanti e amministrati regni uniformità di idee e di vedute, se si vuole seriamente introdurre il paese alla vita politica. E il pubblico se ne lamenta a ragione, tanto più che di consimili documenti ne giungono alcuni in dono alle nostre biblioteche perfino dalla lontana America. È certo che ciò non deriva da intenzione contraria dei diversi Ministri; chè anzi, si può dirlo con profonda convinzione, tutti sono animati dalla miglior volontà. È il sistema che si adopera che è sbagliato: l'errore sta nel pretendere che ogni ufficio, ogni Ministero si occupi di questa faccenda; perchè è impossibile che i diversi impiegati in ciascuno di essi, che devono pure attendere ad altre faccende, si formino i criteri necessari richiesti da ogni speciale pubblicazione, e sappiano tutte le notizie opportune intorno all'indole e alla natura delle Biblioteche, Accademie e Istituti nostrali e stranieri, dove le opere nostre si potrebbero inviare con maggiore profitto e con maggior decoro del nostro paese, senza trascurare nel tempo stesso di cogliere l'occasione di istituire dei cambi reciprocamente vantaggiosi, e scegliendo la via più economica e sicura per trasmetterle. È difficile il formarsi una giusta idea delle molte cure, che a simile diramazione consacrano le grandi nazioni civili. In Francia, sino dal 7 febbraio 1799, una circolare prescriveva, che di tutte le opere stampate a spese dello Stato, 200 esemplari fossero distribuiti a pubbliche biblioteche. Un provvedimento analogo è necessario anche fra noi; e di più bisognerebbe affidare la diramazione di queste opere (esclusi gli esemplari destinati al Parlamento, o agli uffici direttamente dipendenti dal Ministero che fa la pubblicazione) alla sola Sopraintendenza delle biblioteche, somministrandole in qualche

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singolo caso la nota di quelle specialissime e maggiori indicazioni che talvolta possono tornar utili.

Vi è un'altra attribuzione che noi vorremmo affidata a questa Sopraintendenza. Ed è di rappresentare il Governo nelle trattative coi diversi librai per la vendita di quelle opere, che, stampate per cura dello Stato, sono destinate ad una maggiore pubblicità. È perfettamente inutile che certe cose il Governo le stampi; quando chi ne abbisogna non sa dove battere il capo per averle, e da ultimo è costretto a supplicare qualche impiegato o a raccomandarsi a questo o a quel membro del Parlamento, per aver ciò che in ultima analisi sarebbe anche nell'interesse dello Stato che si potesse comperare, per rifarsi almeno di una piccola parte delle spese. E di questi esemplari che le vengono affidati, la Sopraintendenza dovrebbe tenere esatta amministrazione, procurare che nell'interesse del Governo le opere siano conosciute e possibilmente vendute, non solo in Italia, ma anche all'estero, e renderne conto, ed essere responsabile di quello che è rimasto invenduto. Sono queste incombenze diverse, che ci inducono a credere, che forse importerebbe assai di esaminare eziandio, se per la speciale natura del commercio librario, e viste le sue attuali condizioni in Italia, potesse giovare l'affidare il pensiero e la cura di esso anche a questa Sopraintendenza.

All'epoca nostra è una verità incontrastabile quella sostenuta dall'illustre editore Federico Perthes: essere il commercio librario una delle condizioni dalle quali dipende l'esistenza stessa di una letteratura nazionale (15); e perciò non doversi unicamente considerare dal lato economico, ma ad un tempo siccome anello di quella grande serie di istituzioni, mediante le quali un popolo rende a sè stesso possibile lo sviluppo della propria vita intellettuale (16).

È da questo alto punto di vista che il Governo deve riconoscere la necessità di fare qualche cosa, di prestare al riordinamento di questo commercio un'opera eccezionale. In Francia, presso il Ministero dell'Interno, esiste una Direzione speciale per il commercio librario. È ad essa che dobbiamo l'eccellente bibliografia che si pubblica nel Journal de la librairie, fondato

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per ordine di Napoleone I (17) e qualche altro provvedimento che non poco contribuì al miglioramento del commercio librario di quel paese, quantunque quella Direzione debba la sua origine all'obbligo ivi esistente di chiedere ed ottenere una licenza, e di prestare giuramento di fedeltà per poter esercitare il commercio librario.

Per noi dovrebbe avere un fine ben differente. Vi è un gran numero di speciali provvedimenti, i quali è ora impossibile che siano presi per la sola iniziativa dei nostri librai, e che se non si possono imporre, si potrebbero e dovrebbero suggerire, consigliare, promuovere ed ajutare dal Governo stesso, senza offendere quella libertà che a tutti è o almeno dovrebbe esser cara. Nessun altro ufficio avrebbe maggiori attinenze coi libri, nessun altro più che la Sopraintendenza sarebbe in grado di conoscere meglio gli speciali bisogni, che per nulla riguardano quelli generali al commercio; nessuno più di essa potrebbe giustamente apprezzare la grande influenza che esso esercita sul presente e sull'avvenire delle lettere nostre, e per di più nessun altro ufficio avrebbe in mano mezzo così efficace per contribuirvi, come avrebbe essa colle sue pubblicazioni bibliografiche.

Bisogna tener ben presente che in Italia tutti i tentativi fatti per migliorare le condizioni del nostro commercio librario fallirono, e anche recentissimamente il Circolo librario fondato a Milano, ad imitazione di quello di Parigi, e quale avviamento al Börsenverein di Lipsia, venne meno dopo breve esistenza. Affinchè i nostri librai provvedano bene di propria iniziativa ai loro propri interessi, occorrerebbe che fra noi fosse in generale assai più elevata la loro coltura, e si rifacesse tutto quel lento cammino che per esempio fece la Germania prima di raggiungere l'attuale suo ammirabile ordinamento. Del quale per ritrovare le date più importanti è d'uopo risalire almeno al 1792, quando P. G. Kummer formò in Lipsia la prima associazione libraria; al 1825, quando Fr. Campe istituì il Börsenverein, quando fu solennemente inaugurata la Borsa libraria, per venire sino al 1853 epoca in cui Federico Fleischer aprì la Scuola pei giovani librai, senza parlare di quegli altri molti e importanti provvedimenti che hanno un carattere puramente tecnico. A questo si aggiungano le belle tradizioni e le molte facilità, che i librai tedeschi avevano già di comunicarsi le loro idee e di venire ad un accordo, per l'uso esistente in passato di frequentare annualmente la fiera di

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Lipsia. Ma in Italia, se non ci mettiamo a quest'opera seriamente, se il Governo non si muove a darne il primo impulso e un aiuto efficace, dureranno, con grave scapito degli studii, ancora per lungo tempo le condizioni presenti del commercio librario.

Ritorniamo ora da queste considerazioni al nostro argomento principale. Abbiamo già esposto il modo con cui vennero formandosi le nostre biblioteche, specialmente le maggiori, e per questo è naturale che in esse si trovino molte opere in esemplari doppi della medesima edizione, e qualche volta in numero anche maggiore. D'altra parte le condizioni politiche, la scarsezza di mezzi di comunicazione, e la meschinità delle dotazioni erano ostacoli talvolta insormontabili per procurarsi ciò che fuori dello Stato si pubblicava nel resto della stessa Italia. Di quì abbondanza superflua di certe opere, di altre poi mancanza assoluta. È quindi evidente la convenienza, o per dir meglio la necessità, che fra le biblioteche governative delle diverse parti del Regno si faccia cambio di questa suppellettile letteraria, che l'una ceda quello che le è perfettamente inutile, ricevendo in compenso da un'altra quello che può interessarle. Le piccole biblioteche poi dovrebbero considerare siccome doppioni le diverse edizioni di una medesima opera, e conservare la migliore edizione, con quelle che hanno particolare pregio di rarità, cambiando le altre con opere che non hanno. Non ho ora presente l'epoca, in cui il Governo nazionale pensò a qualche cosa di simile; ma sgraziatamente, come suol sempre avvenire quando nessuno ne ha la responsabilità, per difetto di costanza, questa idea non ebbe seguito alcuno, nè alcuna pratica utilità. Anche il regolamento per la Biblioteca nazionale di Napoli, stampato nel 1861, riconosciuto questo bisogno, prescrive: «Si farà similmente un Catalogo dei libri duplicati e si pubblicherà un Bullettino bibliografico ogni trimestre, nel quale si indicheranno le opere soverchie alla Biblioteca e da vendersi, e quelle che più bisognano e con le quali si potrebbero cambiare» (Capitolo III, articolo 28). Di tutto questo però, e del Supplimento al Catalogo alfabetico da pubblicarsi ogni due anni per le stampe a cura del Bibliotecario (come è stabilito dall'articolo precedente, 27) non si è mai fatto nulla.

Nelle strettezze finanziarie in cui versiamo è imperdonabile il trascurare questi mezzi così semplici per arricchire le nostre biblioteche. Bisognerebbe quindi incaricare di questa operazione

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la Sopraintendenza, e che essa, sotto la sua direzione, la facesse eseguire. Così pure vorremmo che la Sopraintendenza, assistita da commissioni locali, dirigesse quei cambi che a vantaggio degli studiosi si giudicassero opportuni fra le diverse biblioteche di una stessa città, onde assicurare a ciascuna di esse il carattere che le è, o dovrebbe essere, proprio. Fu con questo savio intendimento che in Francia il 31 maggio 1860 si creò una commissione per i cambi da operarsi fra la biblioteca imperiale e le altre biblioteche di Parigi.

Per rendere la suppellettile letteraria delle nostre biblioteche maggiormente utile e di un uso più esteso farebbe anche di mestieri adottare un altro provvedimento. Quando una delle nostre biblioteche è sprovvista di un'opera, e vi sia chi ne abbia vero ed urgente bisogno, sarebbe desiderabile che fosse in facoltà della direzione di questa biblioteca il poterla direttamente chiedere per un tempo determinato ad imprestito da un'altra biblioteca italiana che la possieda, senza costringere lo studioso a rivolgere la sua domanda al ministero, il quale poi, per prendere una deliberazione, è sempre nella necessità di interpellare i due bibliotecari. Così questi affari si sbrigherebbero più sollecitamente e con larghezza maggiore, nè si sarebbe costretti a spedire in lontane città a persone private dei libri, non di rado preziosi, quando vi è un ufficio governativo al quale si potrebbero affidare. Questa liberale disposizione, che torna di sì grande vantaggio agli studiosi, è altrove in vigore, specialmente in Germania, dove, per citare un esempio, ricorderò il regolamento della biblioteca universitaria di Tubinga (§ 38) perchè in esso è anche prescritto che tutte le spese di trasporto stanno a carico della persona che fa la richiesta.

Terminate così le nostre ricerche intorno alla parte a stampa della suppellettile letteraria, stimiamo necessario che la Sopraintendenza si occupi anche dei manoscritti sparsi nelle nostre biblioteche. È cosa ben facile il capire come il lavoro concernente i manoscritti richieda una coltura, una pratica ed istruzione diversa da quelle che si domandano per gli stampati. Sta bene, anzi è necessario, che tutti gli impiegati superiori conoscano i principii ed i modi secondo i quali si fanno entrambi questi lavori. Ma ai giorni nostri è indispensabile che essi si occupino o dell'uno dell'altro; altrimenti non riusciranno bene nè in questo nè in quello. I lavori fatti superficialmente giovano ben poco. È perciò che ci sembra eminentemente utile e pratico, in quelle grandi biblioteche che sono assai ricche in manoscritti, di suddividere,

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sotto l'unica sorveglianza del bibliotecario i lavori in due direzioni distinte; quella cioè degli stampati e quella dei manoscritti. Ma dove questi son pochi ciò sarebbe perfettamente inutile.

Ora è certo che se la pubblicazione dei Cataloghi dei libri a stampa esistenti nelle biblioteche è cosa per sè medesima grandemente vantaggiosa e raccomandabile, quella dei Cataloghi dei manoscritti è in modo particolare indispensabile, perchè essendo per lo più il manoscritto esemplare unico, non si ha altro mezzo per aver notizia della sua esistenza.

Supposto inoltre che si sia avuta la cura e la previdenza di fornire le grandi biblioteche di un personale adattato ai lavori che si devono fare intorno ai manoscritti, il preparare e curare la pubblicazione di questi cataloghi rimane, come è naturale, loro affidata. Ma noi abbiamo biblioteche, in cui non vi sono che pochi manoscritti, e perciò dagli studiosi meno conosciuti e ricercati, quantunque possano essere importantissimi. Per farsi una idea approssimativa del loro numero basterebbe dare un'occhiata alla statistica officiale, benchè i suoi dati non abbiano sempre il pregio della esattezza. A convincersi di ciò è sufficiente l'addurre che nelle tavole in fine del prospetto Sull'origine e suppellettile delle biblioteche, per quanto riguarda unicamente la città di Firenze, dove ha sede il Governo e dove d'ordine suo la statistica di cui parliamo fu stampata sul finire del 1865, la Biblioteca MediceoLaurenziana, che pel numero e più per l'importanza dei suoi manoscritti ha fama non europea, ma mondiale, si trova ricordata senza alcuna indicazione di manoscritti esistenti; così pure la Nazionale che ne ha 15 mila circa, e la Riccardiana, che se non ne possiede in tanta copia, ne ha non pochi pregevolissimi (18). Comunque si sia, siccome certe biblioteche, per la scarsezza dei loro manoscritti, non potrebbero avere stabilmente il personale che possegga le cognizioni e l'erudizione speciale che può occorrere, noi vorremmo che la Sopraintendenza, sotto la sua direzione e sorveglianza, vi inviasse temporaneamente persone capaci a continuare le poche ma belle tradizioni che in fatto di Cataloghi a stampa, dei manoscritti, abbiamo in Italia e a raccogliere le notizie più opportune a pubblicarsi, come sotto la direzione dell'Ispettore generale per le biblioteche, si pratica in Francia pei manoscritti delle biblioteche

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dipartimentali (19). Così si potrebbe conoscere, garantire dalla dispersione, e richiamare alla attenzione pubblica una ingente quantità di materiali, la maggior parte pregevoli per la nostra storia politica e letteraria, che attualmente si trovano dispersi e ignorati su tutti i punti d'Italia. Il possedere questi tesori, che le altre nazioni civili a buon diritto ci invidiano, perchè ne saprebbero approfittare, il lasciarli in dimenticanza, e l'ignorarne noi stessi l'esistenza, è non solo vergogna ma colpa. Nel passato per le tristi condizioni in cui versava l'Italia, era in parte perdonabile se illustri stranieri, visitando le nostre biblioteche, ci facevano accorti della preziosità e persino della esistenza di manoscritti a noi punto o male conosciuti; ma al presente il rispetto che dobbiamo alla scienza e a noi stessi vuole che nessuno ci preceda in queste ricerche e che il mondo letterario da noi riceva avviso e documento di quello che è nostro.

Ad onore del vero siamo lieti di dire, per quanto si afferma, che l'onorevole Ministro della Istruzione pubblica ha già principiato ad inviare dei giovani nelle diverse biblioteche per prendere appunto dei manoscritti esistenti in qualche lingua orientale. Ma ciò non basta; bisogna pensare anche ai manoscritti italiani, latini e greci; e sopratutto fa duopo che questi cataloghi siano redatti con norme uniformi, con unità di concetto e di sistema. A questo dovrebbe provvedere con molta larghezza e con molta assiduità la Sopraintendenza; essa dovrebbe esaminare dove sia più urgente il bisogno, indicare l'ordine con cui queste ricerche si dovrebbero succedere. Sono lavori che non devono procedere a caso, nè deliberarsi isolatamente, o quando se ne offra il destro; ma vogliono essere il frutto di studii diligenti già fatti, e naturali conseguenze di un sistema già stabilito e determinato (20).

E poichè parliamo di manoscritti, era bene che lo Stato nel pubblicare la legge sui diritti d'autore, avesse contemporaneamente dichiarato essere di sua proprietà quelli esistenti nelle pubbliche biblioteche, non fosse altro che per conoscere ciò che di essi si pubblica e trarne qualche vantaggio (21).

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Ci resta ora a parlare del locale delle biblioteche. Chi ha pratica di questo servizio sa benissimo come dal modo con cui sono costruiti gli edifizi, che in sè racchiudono queste grandi collezioni di libri, dipende in gran parte, non solo la loro conservazione e sicurezza, ma ben anco l'economia, la speditezza e il buon andamento del servizio. È perciò che tutti i trattati di biblioteconomia cominciano sempre col dare le opportune avvertenze, col suggerire gran copia di osservazioni ed indicazioni intorno a questo argomento. Nelle riparazioni, negli ingrandimenti, nelle nuove costruzioni non basta l'affidarsi alla valentia di un architetto, il quale forse non comprende a sufficienza le diverse e molte esigenze di questo servizio di natura sua specialissimo. Non parliamo a caso: gli esempi che si potrebbero addurre sono abbastanza recenti. Su questo proposito bisogna dare maggiore autorità al bibliotecario, il quale in fin dei conti è il miglior giudice ed è di tutto responsabile; bisogna che dai progetti, una volta approvati, non sia lecito il dipartirsi snaturandoli. È quindi indispensabile che anche di questo si occupi la Sopraintendenza appoggiando autorevolmente nelle giuste domande il bibliotecario, e da sè stessa vegga che in quello che si fa non vi sia offesa a quello che prescrive la scienza o a quello che suggerisce il senso comune.

Da ultimo diremo che tutto il personale e il movimento del medesimo dovrebbe dipendere (eccettuata la nomina dei bibliotecari delle maggiori biblioteche) unicamente da questa Soprintendenza. E ciò perchè essa sola, conoscendo dalla loro opera gli impiegati, sarebbe in grado di distribuir meglio a seconda dei diversi bisogni fra le diverse biblioteche il personale che in ciascuna potrebbe essere più utile. Inoltre essa sola ha i criteri necessari per giudicare se possono essere approvate le proposte dei bibliotecari e se chi deve essere prescelto abbia appunto quelle cognizioni speciali che in rapporto agli altri impiegati superiori di un medesimo stabilimento sono più opportune, affinchè il servizio proceda bene. E questa è cosa tanto grave, che, non portandovi la dovuta attenzione, sarebbe (come fu non poche volte) causa di deplorevolissime conseguenze.

Non vi è legge in Italia che determini esattamente i requisiti e prescriva le cognizioni che deve avere chi aspira a cotesti ufficii, e perciò chiunque ha letto quattro libri e ripostili in uno scaffale o abbia voglia di fare nel proprio interesse degli studii o delle

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ricerche letterarie, si presume capacissimo di attendere a qualsiasi faccenda di una pubblica biblioteca. Se la Gazzetta Ufficiale annunciò qualche rara volta concorsi per posti in biblioteca, fra le materie dell'esame da farsi, brillava sempre per la sua assenza, la biblioteconomia. E poichè mi venne fatto di ricordare questa scienza formatasi da poco tempo, mal si comprende come sino ad ora non si sia pensato a far tradurre qualche opera classica, come quelle di Ebert, di Molbech e di Petzholdt, per introdurre e diffondere fra gli impiegati delle nostre biblioteche (alla maggior parte dei quali le lingue, in cui sono scritte queste opere, sono poco famigliari) quella coltura speciale che è assolutamente indispensabile (22). In questo modo si poteva almeno pretendere che gli impiegati conoscessero con quali principii possa essere rettamente amministrata una biblioteca pubblica; tanto più che le buone tradizioni che avevamo in questi uffici furono interrotte e durante la prima metà di questo secolo andarono, quasi dappertutto, perdute. Il male che nell'accennato periodo non poco contribuì alla rovina delle biblioteche italiane fu principalmente fra gl'impiegati. Facciamo dunque attenzione che della seconda metà di questo secolo non si abbia a muovere eguale lamento. Anzitutto occorrono impiegati che sappiano il fatto loro. Su certe cose e su certi principii, ormai indiscutibili, non vi deve essere incertezza, non deve sorger questione, non si deve procedere a caso; ma il lavoro che si fa nelle biblioteche dai diversi impiegati, perchè di natura sua è essenzialmente collettivo, deve procedere unito e con uniformità di norme e di sistema. Provveduto a questa importante bisogna, ed accertata con prove ben sicure la idoneità e capacità degli impiegati, la Sopraintendenza dovrebbe nel Regolamento interno dei rispettivi bibliotecari determinare le attribuzioni ordinarie che ogni impiegato deve disimpegnare. Così essi non dipenderebbero unicamente e sempre dall'arbitrio del bibliotecario; nè si vedrebbero costretti a fare, talvolta a malincuore, quello per cui un altro è pagato espressamente dallo Stato.

Noi manchiamo ancora non solo di buoni regolamenti interni, ma perfino di un ruolo normale che, secondo le diverse esigenze, sia stato applicato e si applichi alle nostre biblioteche.

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Ciò indica manifestamente che non si conosce nei suoi particolari questo ramo di servizio, e il personale tutto delle biblioteche lo comprende e lo sente con dolore. A più di cinquanta ascendono i nomi diversi con cui sono ancora distinti questi poveri impiegati, per modo che essi medesimi non sanno in che rapporto stieno con quelli di altre biblioteche. Scorrendo il prospetto sullo Stato personale e movimento economico che si trova nella statistica più volte citata delle biblioteche del Regno, si acquista la certezza che il Governo intende che questo personale sia diviso in tre classi: direzione, distribuzione, servizio. Ma poi nei bibliotecari stessi, che somministrarono i dati, si vede che in proposito regna una deplorevole confusione di idee, perchè alcuni assegnano alla distribuzione impiegati che altri comprendono nella direzione. E ciò è cosa assai più grave di quello che non sembri a prima vista; perchè mostra che il Governo non ha ancora saputo determinare chiaramente la posizione dei diversi impiegati in modo da togliere ogni probabilità di dubbio. Il far discendere e il far salire dall'una all'altra di queste classi gli impiegati è lo stesso che non sapere se da loro si debba pretendere un concorso intellettuale o si voglia soltanto un aiuto materiale. Qui l'incertezza e la confusione non si possono ammettere; perchè il servizio cambia di natura e con ciò cambiano d'assai gli obblighi e i doveri che seco porta questa distinzione. L'uno o l'altro di questi concetti deve prevalere, perchè deve essere uno dei criterii determinanti per l'ammissione e per le promozioni, e perchè soltanto da esso si può in gran parte giudicare se, avuto riguardo alle condizioni speciali d'ogni biblioteca, il personale sia esuberante od insufficiente, se possa avere o no la somma di capacità richiesta per il buon andamento del servizio pubblico. Anche per l'impiegato stesso urge che sappia, non solo in che considerazione sia tenuto, ma quello che ha obbligo di fare, e a che egli debba indirizzare la propria istruzione.

Un altro grave difetto dell'attuale ordinamento sta in questo: che in condizioni normali, e cogli usi che prevalgono, l'avanzamento di posto è cosa oltremisura difficile in sè stessa, e per di più resa quasi impossibile dal dipendere questi impiegati chi da una Divisione, chi da un'altra del Ministero. Manca quindi anche la più lontana speranza di potere coll'assiduo e diligente lavoro, collo studio indefesso, e coll'amore agli interessi dell'Istituto, migliorare un giorno di posizione; e perciò l'impiegato è costretto a cercare unicamente nel vivo sentimento del proprio dovere lo stimolo per adempiere agli obblighi suoi. Un'altra causa

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che rende (e non senza ragione) scontenta questa classe di impiegati, e perciò meno produttivo il loro lavoro, è la scarsezza degli stipendii, che non istà in rapporto alcuno cogli studii che dovrebbero aver fatti, e continuamente fare, e colla natura del lavoro che da loro si pretende. Questa scarsezza di stipendii è resa ancora più amara dalla disparità esistente fra biblioteca e biblioteca non solo, ma talvolta anche dalla non equa rimunerazione fra gli impiegati di una stessa biblioteca. Il prefetto della Nazionale di Napoli ha più di ogni altro nel Regno. Il bibliotecario dell'università di Torino ha assai più che quello di Napoli, e il bibliotecario della Nazionale di Palermo è retribuito meno di molti distributori che sono in altre biblioteche. Il personale superiore della Nazionale di Firenze e dell'Universitaria di Torino hanno assai meno di quello di Brera a Milano (con quello della Nazionale di Napoli un confronto è assolutamente impossibile); i distributori di Torino ricevono invece molto più che quelli di Firenze e Milano; anzi il distributore capo della biblioteca Universitaria di Torino è pagato molto più che tutto il resto del personale superiore della medesima biblioteca, compreso, ben s'intende, chi fa le veci di bibliotecario. Gli esempi si potrebbero moltiplicare quanto si vuole; a noi però non importa che accennarne sommariamente l'esistenza; osservando che i lavori d'ufficio, specialmente nelle grandi biblioteche, esigono che la mente di chi vi attende non sia disturbata dal pensiero di cercare in altre occupazioni i mezzi per provvedere al più frugale mantenimento di una persona civilmente educata, ed esigono imperiosamente che l'impiegato non arrivi in biblioteca già affaticato e stanco per lavori o studii estranei a quelli che il posto che occupa gli impone. Non deve quindi recar meraviglia se chi ha studii e capacità, o non concorre a questi posti, o li abbandona ben presto per cercare altrove modo più fruttuoso di sostentarsi, lasciando così troppo libero il campo agli inetti o agli indifferenti nell'esercizio del loro dovere.

Il dirigere in sì difficili condizioni un ufficio di tale importanza, è impresa che non poche volte supera il buon volere e la capacità di qualunque bibliotecario, il quale con molta vigilanza non ottiene che un lavoro forzato, là dove farebbe di mestieri che fosse spontaneo, assiduo e per sè stesso operoso ed attivo. Ma con quanto profitto delle biblioteche ciò avvenga, lo stato in cui esse si trovano lo dimostra abbastanza. Circa la idoneità del personale, abbiamo detto più sopra quello che si dovrebbe fare: in quanto poi al migliorarne le condizioni economiche, con

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disposizioni più savie si potrebbe raggiungere eguale risultato senza accrescere di molto la spesa attuale.

Il chiarissimo professore Pasquale Villari in un suo recente scritto domandava per quale ragione «in tutte le biblioteche di Germania, un così piccol numero di impiegati deve bastare ad un lavoro così prodigiosamente maggiore e migliore di quello che fanno i nostri». E ricordava la biblioteca di Gottinga dove 15 soli impiegati bastavano per tenere ottimamente ordinata una biblioteca di 500 mila volumi che ogni giorno s'aumentano e vanno in giro per tutta la Germania (23). Da noi, per esempio, la Nazionale di Napoli con 160 mila volumi ha 30 impiegati, precisamente il doppio con due terzi meno di volumi. La soluzione di questo quesito non mi è dato cercarla nella maggiore o minore intelligenza, capacità ed attività del personale a me sconosciuto o nelle differenti condizioni in cui versano le due biblioteche. Quello che so con certezza si è che, confrontando il regolamento di servizio della biblioteca di Gottinga con quello della Nazionale di Napoli, esistono gravi e notevoli differenze; le quali se non bastano a motivare questa enorme disparità, spiegano almeno che il modo vi è, pur che si voglia, per ottenere talvolta non indifferenti economie nel personale e conseguire al tempo stesso migliori risultati intellettuali.

Ma su questa materia, come su tante altre che riguardano le nostre biblioteche, si possono sempre ripetere le parole che per quelle di Parigi indirizzava al Ministro della Istruzione pubblica la Commissione (presieduta dall'illustre Cuvier) incaricata di studiarne le cause di decadenza: «....c'est qu'aucune prévision administrative n'a réglé la nomination, l'avancement, la comptabilité, le service». E sarà sempre così; perchè come in ogni umana faccenda è follia il pretendere l'unione di molti risultati uniformi e concordi, se non vi è chi ne abbia la direzione, prescriva il modo di operare e ne sorvegli attentamente l'esecuzione; e così anche per le nostre biblioteche è assolutamente impossibile sperare in un migliore avvenire fintantochè questo servizio rimarrà confuso con altri, non avrà a capo una persona responsabile, che lo conosca assai bene nei suoi particolari, e che, libera da altre e più pressanti ingerenze, possa attendere con amore ai molti e gravi interessi delle nostre biblioteche; fintantochè in una parola mancheranno dei regolamenti organici, nessuno veglierà su

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di esse, e bibliotecario e impiegati potranno fare quello che più loro talenta (24).

Avendo per ora rinunziato ad avvalorare il nostro assunto collo studiare le condizioni interne di questi istituti ed essendo per tal modo giunti al termine delle nostre ricerche, ci sia permesso di riassumere le incombenze principali che noi crediamo sia necessario affidare alla direzione suprema delle nostre biblioteche.

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Che la somma di tutte queste incombenze (le quali, oltre all'essere necessarie, richiedono studii speciali e, in chi dispone, unità di idee) possa essere ancora abbandonata in parte a chi si occupa della Istruzione Superiore, in parte a chi ha l'incarico di sopravegliare allo sviluppo e alla conservazione degli Istituti di Belle Arti, ai Conservatorii di Musica, alle antichità, alle Accademie, ai Musei, alle Gallerie, e per un'altra parte a chi attende al regolare andamento della Istruzione secondaria classica e tecnica, ci par cosa troppo dura a comprendere.

Inspirati da un amore sincero per le nostre biblioteche, ristretti nella sfera serena e tranquilla della scienza, abbiamo con rispettosa franchezza studiato e indicato il male nella sua origine o causa principale, e quindi esposto il nostro avviso sulla via che si potrebbe tenere, quando si volesse apportarvi pronto e sicuro rimedio. Non ci resta dunque che fare ardenti voti, perchè questo problema sia preso nella dovuta considerazione, e si risolva ben presto nell'interesse della scienza e prosperità nazionale, affinchè anche le nostre biblioteche, seguendo le antiche e gloriose loro tradizioni, ritornino ad essere quello che furono: efficaci strumenti e fonte perenne di civiltà.


(1) Circolare del 29 gennaio 1800.

(2) Gli archivi di Torino, Genova, Cagliari, Milano, Brescia, Modena, Parma e Palermo, dipendono dal Ministero dell'interno; quelli di Firenze, Lucca, Siena, Pisa e Napoli da quello della Istruzione pubblica. - Ad onore del vero, dobbiamo dire che il presente Ministro della istruzione pubblica ha già pensato di riparare a questo grave inconveniente. L'archivio dei Frari in Venezia è già passato dal Ministero dell'interno a quello della istruzione pubblica, e così si assicura che avverrà presto degli altri.

(3) Edwards, Memoirs of Libraries, etc. London, 1859, Vol. II, pag. 944.

(4) Nel riordinare questa parte sì importante dell'amministrazione delle pubbliche biblioteche, sarebbe desiderabile che la Sopraintendenza esaminasse, se, senza troppe difficoltà, essa potesse gettare le basi, e introdurre fra noi quella specie di inventario generale che il ministro francese Salvandy fondava col nome di grand-livre des bibliothéques, perchè nelle presenti condizioni della nostra bibliografia potrebbe forse riuscire di non lieve importanza.

(5) Ch. Molbech, Ueber Bibliothekswissenschaft, ecc., pag. 124, della versione tedesca di H. Ratjen.

(6) F. Odorici, Memorie della Nazionale Biblioteca di Parma, negli Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le provincie Modenesi e Parmensi. Modena, 1866, Vol. III, pag. 421.

(7) (8) Queste due Università non hanno biblioteca propria.

(9) Il Bilancio non distingue ciò che si può spendere in libri ed in musica. La somma indicata è tolta dalla Statistica delle Biblioteche del Regno (anno 1863).

(10) Vi è un Archivio musicale, con un Archivista e un Ajutante dell'Archivio musicale pagati dallo Stato. – Nel bilancio è inscritta sotto il titolo generico di Supplemento di dotazione la somma di lire 78,743.58. Manca del tutto nella Statistica delle Biblioteche del Regno.

(11) Il Bilancio assegna per diverse spese, fra le quali quelle della biblioteca, la somma complessiva di lire 2,336.-. La somma qui indicata è tolta dalla Statistica delle biblioteche del Regno (anno 1863).

(12) F. Odorici, Memorie storiche della Nazionale Biblioteca di Parma, negli Atti e Memorie citate.

(13) Fu pubblicata per gli Stati Sardi il 25 marzo 1848 e successivamente estesa a tutto il Regno.

(14) Statistica del Regno d'Italia. – Biblioteche. – Anno 1863. – Firenze, 1865, pag. XXXI.

(15) Nel suo opuscolo anonimo: Der deutsche Buchhandel als Bedingung des Daseyns einer deutschen Literatur. – s. l., 1816 im July.

(16) Friedrich Perthes Leben, nach dessen schriftlichen und mündlichen Mittheilungen aufgezeichnet von C. T. Perthes, Gotha, 1857, 4. edizione, vol. II pag. 72.

(17) Decreto del 14 ottobre 1811.

(18) Le medesime lacune esistono anche nell'Annuario della pubblica Istruzione pel 1866, dove questo prospetto è stampato per la seconda volta.

(19) Decreto del 20 febbraio 1809, e del 2 settembre 1841.

(20) Per le mutate condizioni d'Italia si rende pure indispensabile che le pubblicazioni di documenti fatte per cura delle Direzioni dei nostri Archivi non siano esclusivamente consacrate ad illustrare ciascuno il proprio Archivio, ma per quanto è possibile siano fra loro coordinate, e nell'interesse della scienza rivolta a determinati scopi, per raggiungere i quali dovrebbero concorrere, prestandosi vicendevole aiuto, tutte le Direzioni dei diversi Archivi italiani.

(21) Per la Francia vedi il Decreto 1 germinal anno XIII (1804).

(22) È perciò che salutiamo col più vivo interesse e piacere la pubblicazione imminente delle importantissime Letture di Bibliologia fatte pubblicamente a Napoli dal distinto bibliotecario di quella Università, cav. Tommaso Gar, perchè esse saranno un ottimo avviamento ed una eccellente introduzione allo studio della biblioteconomia.

(23) P. VILLARI, Di chi è la colpa? ossia La pace e la guerra. Milano, 1866, terza edizione, pag. 29.

(24) Vedi I. C. Friedrich, Kritische Erörterungen zum übereinstimmenden Ordnen und Verzeichnen öffentlicher Bibliotheken. Lipsia, 1835, pag. 108.


Fonte: Chilovi, Desiderio. Il governo e le biblioteche. «Il politecnico», vol. 30 (1867), n. 1, p. 71-85; n. 2, p. 173-197. Non firmato.
Le virgolette sono state regolarizzate e le note sono state numerate progressivamente. Sono stati corretti i seguenti refusi: "per." invece di "per" a p. 84 riga 23; "E" con l'accento acuto invece di grave a p. 173 riga 13; "an- | anche" invece di "anche" a p. 175 righe 19-20; "del" invece di "dal" a p. 181 riga 3; "uu" invece di "un" a p. 187 riga 30; "delle" invece di "della" a p. 192 nota 1 riga 5.


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