«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)


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Enrico Martellini

L'evoluzione della specie:
il serials librarian alle prese con i periodici elettronici



Ormai da tempo i periodici si sono affermati presso la comunità accademica come canale comunicativo fondamentale per informare dei risultati delle ricerche nei vari campi di studio, come archivio permanente delle ricerche passate e delle idee che nel tempo sono state elaborate e come cartina al tornasole per il monitoraggio dell'attività di ricerca corrente.

In particolare in ambito scientifico l'esito naturale del lavoro degli studiosi è la pubblicazione di un articolo su un periodico, a scapito della popolarità e dell'importanza delle monografie.

Le innovazioni determinate dall'avvento dell'era digitale hanno investito il mondo dei periodici in maniera sconvolgente, creando spesso dubbi e spaesamento nelle persone che dei periodici si occupano per professione. Stanno cambiando il lavoro, i problemi da affrontare e gli strumenti da usare. In molti casi sta cambiando, più in generale, la funzione stessa delle biblioteche: da deposito a strumento di accesso all'informazione.

La rivoluzione digitale impone una ridefinizione del ruolo del serials librarian e l'introduzione di nuovi percorsi lavorativi, in cui la serie di operazioni ormai standardizzate necessarie all'acquisizione e messa a disposizione dei periodici cartacei viene affiancata o addirittura sostituita da una nuova serie di operazioni. I periodici elettronici, vuoi per la loro novità, vuoi per la loro natura, sono, rispetto ai periodici tradizionali, più complessi da acquistare e da gestire, hanno costi variabili e non sempre facili da interpretare (si veda in proposito l'elenco dei fattori che, secondo Fred Lynden, complicano l'esatta definizione del budget da dedicare all'acquisto di pubblicazioni elettroniche [1]), richiedono la sottoscrizione di una licenza la cui negoziazione presuppone una serie di strumenti e di attività nuovi, impongono un processo di acquisizione non ancora standardizzato.

Nonostante si sia spesso ritenuto naturale assegnare la gestione dei periodici elettronici a chi di periodici (cartacei) già si occupava, non è possibile applicare meccanicamente all'online il modello elaborato per il mondo cartaceo.

La serie di operazioni necessarie all'acquisizione di un periodico su carta dà luogo ad un percorso lineare, scandito da una serie di tappe successive a cui prendono parte, autonomamente gli uni dagli altri, persone o gruppi di persone diversi. Si va dalla proposta di acquisto alla valutazione del periodico, alla decisione circa l'acquisto, alla precatalogazione, all'ordine, al pagamento, all'arrivo del materiale con relativa registrazione, alla catalogazione vera e propria, alla collocazione del materiale sullo scaffale ed eventualmente alla rilegatura.

Nel caso di un periodico elettronico, invece, il processo non è lineare, e coinvolge attori diversi. Una volta individuata la pubblicazione che ci interessa, infatti, può essere utile richiedere un periodo di prova. Contemporaneamente occorre richiedere la licenza, esaminarla e negoziare prezzo e clausole. Nel frattempo, è necessario verificare se l'accesso al periodico richiede particolari accorgimenti di carattere tecnico. Solo dopo aver espletato queste pratiche si può procedere all'ordine.

Le differenze tra questi due modelli di lavoro sono state schematicamente riassunte da Ellen Finnie Duranceau [2] (MIT Libraries) come segue:

CARTA

ONLINE

Una persona per volta

Lavoro di équipe

Richiede personale di vario livello

Richiede personale di livello alto

È necessario poco coordinamento

Sono necessari comunicazione e coordinamento

Processo lineare

Processo non lineare, ciclico

È necessaria poca documentazione

È necessaria molta documentazione

Ci sono poche variazioni nel processo

Ci sono numerose variazioni nel processo

Non è coinvolto personale esterno alla biblioteca

È coinvolto anche personale esterno alla biblioteca

Dalla richiesta di acquisto all'ordine passa una settimana o meno

Dalla richiesta di acquisto all'ordine passano settimane o mesi

Dall'ordine alla ricezione passano settimane o mesi

Dall'ordine alla ricezione passa da un giorno a una settimana

Il primo elemento di grande novità che balza agli occhi accingendosi ad "acquistare" un periodico elettronico è la necessità di sottoscrivere una licenza d'uso, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Una volta che la licenza è stata firmata, infatti, il contratto, e non le leggi che regolano il copyright, determina il possibile uso del periodico. È quindi necessario comprendere con esattezza la terminologia usata nella stesura della licenza, eventualmente con l'ausilio di un esperto in questioni giuridiche. Occorre in particolare prestare molta attenzione alla definizione di quali siano gli utenti autorizzati, ai luoghi a partire dai quali è possibile accedere alle informazioni, all'uso che si può fare delle informazioni, alla possibilità tecnica, da parte della biblioteca, di attenersi alle restrizioni previste dal contratto, a evitare che la biblioteca sia considerata responsabile per azioni individuali commesse dai suoi utenti.

Non a caso, si registrano ormai diversi tentativi di definire con esattezza la terminologia usata nella stesura delle licenze e le clausole che si possono ritenere accettabili da parte delle biblioteche, nonché iniziative di carattere nazionale per la negoziazione dei contratti. Si vedano, a tale proposito, il programma NESLI (National Electronic Site Licence Initiative), illustrato da Frederick J. Friend sull'ultimo numero del "Bollettino AIB" [3], per quanto attiene alla negoziazione centralizzata delle licenze, e i modelli di licenza con relativi glossari proposti dall'United Kingdom Serials Group <http://uksg.lboro.ac.uk/licensing/pa.htm>, da John Cox Associates <http://www.licensingmodels.com/>, dalla Yale University Library <http://www.library.yale.edu/~llicense/index.shtml> e, in Italia, dall'Italian National Forum on Electronic Resources <http://www.uniroma1.it/infer/protocollo.html> (a cura di Sandra Di Majo e Renato Tamburrini).

Alla fine di ogni anno, inoltre, occorre verificare se le clausole contenute nella licenza si sono rivelate compatibili con le esigenze della biblioteca e dei suoi utenti, o se invece è necessario instaurare una nuova trattativa per strappare condizioni più favorevoli. Ciò significa che il rinnovo delle sottoscrizioni non può avvenire, come spesso accade per la carta, sulla base di un tacito accordo per cui viene automaticamente rinnovato tutto ciò che non è stato disdetto, anche perché le pubblicazioni possono cambiare le loro caratteristiche (struttura interna, interfaccia, ecc.) molto rapidamente, e non si può dare per scontato che un prodotto ritenuto utile l'anno precedente continui nel tempo ad essere adeguato alla nostra biblioteca.

La necessità di negoziare le clausole e i costi delle licenze comporta un'interazione diretta tra la biblioteca e l'editore o l'ente che pubblica il periodico elettronico, a scapito dell'intermediazione che nel mondo cartaceo viene generalmente svolta dalle agenzie commissionarie. Le licenze, infatti, non sempre seguono standard prestabiliti, e soprattutto le clausole in esse contenute devono adeguarsi alle caratteristiche e alle necessità delle singole biblioteche.

Il ruolo svolto dalle agenzie commissionarie non può essere quindi che di secondo piano (a meno che non decidano di assumere il ruolo di aggregatori), imponendo al bibliotecario il compito di farsi carico dell'interpretazione e della negoziazione delle licenze.

Tale compito, già di per sé non agevole, è reso ancora più complesso dalla necessità sempre più stringente di stabilire una cooperazione tra biblioteche tale da garantire migliori condizioni di accesso e una distribuzione dei costi più conveniente: la necessità, insomma, di creare consorzi di biblioteche che possano far valere nelle trattative un peso economico ed un prestigio di gran lunga maggiore rispetto a quello di ogni singolo componente. Ma di questo hanno parlato e parleranno con maggiore competenza ed esperienza i colleghi che mi hanno preceduto e quelli che interverranno dopo di me.

Parallelamente ai problemi legati alle licenze, il bibliotecario che si accinge ad attivare l'abbonamento ad un periodico elettronico deve affrontare il problema della sua accessibilità. Se infatti nel mondo cartaceo è necessario, all'atto dell'acquisto, verificare la disponibilità di spazio sullo scaffale destinato ad accogliere la nuova rivista, dopo di che l'utente provvederà autonomamente (nel caso di biblioteche a scaffale aperto) o tramite il servizio di distribuzione a consultare ciò che gli serve, nel mondo digitale le domande da porsi sono numerose: abbiamo la tecnologia necessaria per rendere accessibile ai nostri utenti la pubblicazione che ci accingiamo ad acquistare? Da quali postazioni vogliamo renderla consultabile: solo dall'interno della biblioteca, o da tutto il dominio dell'istituzione di cui la biblioteca fa parte (ammesso che le clausole della licenza ci lascino libertà di scelta)? Si tratta di un accesso legato a username e password, o è basato unicamente sugli indirizzi IP? Ammesso che gli utenti possano stampare, scaricare, inviare per posta elettronica gli articoli di loro interesse, siamo in grado di garantire loro tutte queste operazioni?

L'accessibilità delle pubblicazioni deve poi essere non soltanto attivata, ma garantita per tutta la durata della sottoscrizione. Ovviamente i periodici elettronici non richiedono la registrazione dell'arrivo dei fascicoli, la verifica della completezza dei volumi entrati e il reclamo dei fascicoli mancanti. Tuttavia, lo scopo fondamentale che sta alla base di tutte queste operazioni continua ad essere valido anche nel mondo digitale. Occorre infatti assicurare all'utente l'accesso a ciò per cui la biblioteca ha pagato, e la tempestiva e piena disponibilità dei dati. Si rende quindi necessaria la verifica e la manutenzione dei link, che solo in parte può essere effettuata automaticamente tramite appositi software. L'intervento umano, infatti, si rende comunque necessario, sia perché occorre verificare i risultati distinguendo i problemi reali dai problemi momentanei, sia perché non è detto che un link ancora attivo alla home page di un periodico elettronico garantisca l'accesso anche al suo full text. Non è raro, in base almeno alla nostra esperienza, che un editore, pur aggiornando regolarmente il proprio sito web, disattivi l'accesso al testo pieno di un periodico per i più svariati motivi.

Queste attività di controllo, pur essendo paragonabili a quelle relative ai periodici su carta, richiedono procedure e strumenti completamente differenti, e comportano una considerevole mole di lavoro. Non è dunque del tutto peregrina l'idea di basarsi anche (o soprattutto) sulle segnalazioni di malfunzionamento provenienti dagli utenti, limitando la verifica attiva dei link ad alcuni periodi dell'anno particolarmente a rischio (ad esempio, dopo il rinnovo delle sottoscrizioni).

Se l'avvenuta attivazione dell'accesso ad un periodico elettronico corrisponde, nel mondo cartaceo, all'arrivo del primo fascicolo in biblioteca, una delle operazioni immediatamente successive, nell'un caso e nell'altro, è l'informazione al pubblico.

Per i periodici su carta si pongono scarsi dubbi: la biblioteca dovrà dare notizia dei soli periodici posseduti, normalmente tramite il proprio catalogo.

Dato che l'idea di possesso mal si addice alle risorse elettroniche ad accesso remoto, per l'addetto ai periodici elettronici si pone il doppio problema di decidere quale strumento usare e quali informazioni dare.

Almeno fino ad oggi, opac e periodici elettronici sembrano correre su binari paralleli, avendo le biblioteche preferito mettere a disposizione degli utenti l'elenco dei titoli accessibili online mediante la costruzione di apposite pagine web piuttosto che tramite il proprio catalogo.

La cosa non è immotivata. Innanzitutto credo che abbia pesato notevolmente il fatto che si tratta di risorse ad accesso remoto, cioè non disponibili né maneggiabili fisicamente [4]: la non fisicità può aver determinato un certo imbarazzo circa il trattamento da riservare a questo tipo di pubblicazioni.

Ma altre considerazioni hanno probabilmente pesato su questa decisione. Il catalogo, infatti, è uno strumento che porta naturalmente con sé l'idea di stabilità. Il materiale di cui esso dà notizia, infatti, è proprietà definitiva della biblioteca, con un proprio numero di inventario, alienabile soltanto tramite complesse procedure amministrative (scarico inventariale).

I periodici elettronici sono, al contrario, pubblicazioni "volatili", accessibili per tutta la durata della sottoscrizione, ma di cui non resta traccia se la sottoscrizione non viene rinnovata. Includere in catalogo pubblicazioni che da un anno all'altro potrebbero dover essere rimosse in quanto non più accessibili significa introdurre nel catalogo stesso un elemento di instabilità e di precarietà, costringendo il bibliotecario ad un possibile "leva e metti" catalografico assolutamente estraneo alla pratica corrente.

Altro elemento che pesa sull'esclusione dei periodici elettronici dai cataloghi possono essere le difficoltà di tipo catalografico che queste pubblicazioni inevitabilmente pongono.

Gli editori hanno conservato alcuni elementi dei periodici cartacei come modello per i periodici online, ma le differenze tra i due tipi di pubblicazioni possono essere notevoli.

Innanzitutto, il web ha in molti casi permesso agli editori di strutturare i periodici elettronici sulla base di un formato simile a quello dei database, piuttosto che organizzarne il contenuto sulla base della canonica divisione in fascicoli (tanto che viene da domandarsi se si può parlare ancora di periodici); inoltre, gli editori possono aggiornare e ristrutturare le loro pubblicazioni con estrema facilità. Si hanno in tal modo casi di periodici elettronici che cambiano titolo, con i fascicoli originariamente pubblicati sotto il vecchio titolo che, dopo il cambiamento, assumono il titolo nuovo, o casi assai frequenti di edizioni elettroniche di periodici cartacei che continuano a rendere disponibili annate arretrate, per cui è impossibile stabilire a partire da quale numero inizia la pubblicazione, o al contrario periodici che mantengono accessibili solo i numeri correnti. Si tratta, in ogni caso, di situazioni nuove, che pongono il bibliotecario di fronte a problemi mai affrontati in precedenza.

È abbastanza naturale quindi che la soluzione normalmente adottata di escludere i periodici elettronici dal catalogo risulti essere, se non la più giusta, almeno la più comoda.

Eppure, se è vero che gli utenti usano il catalogo per reperire, identificare, selezionare e ottenere i documenti di cui hanno bisogno [5], è difficile pensare che pubblicazioni quali i periodici elettronici possano restare escluse dal catalogo stesso. Oltretutto, la crescita costante del numero di periodici che le biblioteche si trovano a gestire rende sempre più inadeguato e faticoso l'uso delle liste di titoli quali strumento per l'informazione e l'accesso, senza considerare che questi elenchi sono privi di apparato sindetico e di descrizione catalografica, e non consentono ricerche sofisticate (operatori booleani, filtri, ecc.).

E ancora: delegare ad apposite pagine web il compito di informare gli utenti circa i periodici elettronici accessibili dalla biblioteca non significa forse dover creare altre pagine destinate alle risorse elettroniche che non rientrano nella categoria periodici elettronici? O addirittura dover creare una pagina per ogni genere di pubblicazioni (enciclopedie, dizionari, monografie, ecc.)? O ancora creare, per ogni ambito disciplinare (storia, filosofia, fisica, ecc.), una pagina all'interno della quale inserire tutte le risorse elettroniche pertinenti, a qualsiasi categoria appartengano? Tutte scelte che possono rivelarsi di grande utilità per gli utenti, ma che rischiano, se non accompagnate in parallelo dalla catalogazione delle risorse elettroniche, di far perdere il quadro di insieme di ciò che la biblioteca mette a disposizione del pubblico.

Inoltre, le pubblicazioni elettroniche non in libero accesso che la biblioteca decide di rendere disponibili per i propri utenti sono a mio avviso in qualche modo equiparabili a quelle cartacee possedute e catalogate, e in quanto tali meritevoli dello steso trattamento: in entrambi i casi la biblioteca, sulla base della propria missione, opera una scelta volta a garantire la consultabilità di determinati documenti, che finiranno per caratterizzarla e distinguerla dalle altre biblioteche. Il problema, a questo punto, è decidere se affidare al catalogo il compito di informare su ciò che è proprio della biblioteca (nel nostro caso, i soli periodici elettronici ad accesso limitato), o se invece assecondarne lo slittamento, determinato dalla natura stessa delle pubblicazioni elettroniche, verso una funzione più propriamente bibliografica di informazione su ciò che nel mondo esiste, è accessibile (liberamente o meno) e può risultare utile agli utenti della biblioteca.

In ogni caso, la decisione di catalogare i periodici elettronici non è priva di ricadute sulla natura del catalogo, che verrebbe in tal modo ad assumere una dinamicità mai prima sperimentata, essendo suscettibile da un anno all'altro non solo di inclusioni, ma anche di esclusioni pesanti. Nel caso poi di un OPAC che consenta di inserire all'interno del record bibliografico il link alla risorsa catalogata, il mutamento risulterebbe essere ancor più profondo, in quanto conferirebbe al catalogo la natura non solo di strumento di intermediazione tra i bisogni informativi degli utenti e il materiale posseduto dalla biblioteca, ma anche di strumento di accesso strettamente integrato con le informazioni cui si riferisce.

Addirittura potrebbero mutare di molto il ruolo e l'importanza della descrizione catalografica: l'utente, anziché affidarsi alla descrizione approntata dal bibliotecario, potrebbe, dopo essere stato guidato dalle voci di accesso ai documenti che corrispondono ai parametri impostati per la ricerca, visualizzare direttamente i documenti stessi e decidere, materiale alla mano, ciò che gli è veramente utile.

Diverso invece sembra essere il ruolo, o addirittura il destino, del catalogo qualora si affermi da un lato l'integrazione già parzialmente in atto tra periodici elettronici e database bibliografici (integrazione bidirezionale, con link dal database al periodico e da questo nuovamente al database per eventuali ulteriori ricerche), dall'altro la scelta del pay per view: l'utente potrebbe a questo punto navigare da un periodico all'altro avvalendosi unicamente dell'intermediazione del database relativo alla materia di suo interesse e visualizzare gli (o chiedere copia degli) articoli necessari senza porsi il problema di quale biblioteca li possieda; in una parola, bypassare il catalogo, la cui importanza sarebbe fortemente indebolita.

Vi è infine un altro aspetto della gestione dei periodici elettronici che pone il bibliotecario di fronte a situazioni del tutto nuove e dall'esito non ancora anticipabile: mi riferisco al problema (che riguarda in generale tutte le risorse elettroniche ad accesso remoto) dell'archiviazione dei dati.

Il compito di archiviare/conservare i documenti posseduti è, da sempre, uno dei più importanti per le biblioteche, e si è normalmente basato sulla conservazione fisica dei supporti nei quali le varie opere si sono incarnate.

Nel mondo digitale, nuovamente, le cose cambiano in maniera sensibile.

Innanzitutto occorre distinguere tra preservazione dell'informazione contenuta in un documento e conservazione dell'oggetto fisico che funge da supporto dell'informazione stessa.

All'utente non interessa qual è il particolare oggetto fisico che garantisce l'accesso alle informazioni che gli sono necessarie. Il concetto di archiviazione è quindi strettamente connesso alla possibilità di accesso e di uso delle risorse che si intendono preservare, e comporta non soltanto la periodica copiatura dei dati su un nuovo medium, ma anche la necessità di farsi carico del problema dell'obsolescenza dell'hardware e della preservazione dei software che rendono possibile l'accesso alle informazioni.

È inutile creare una copia del documento che ci interessa su un nuovo supporto fisico, se l'hardware e il software necessari per la consultazione non esistono più.

Entra quindi in gioco il concetto di "migrazione dei dati", ossia "il periodico trasferimento del materiale digitale da una configurazione hardware/software all'altra, o da una generazione di computer a quella successiva" [6].

Ma tutto questo non basta. Oltre a quello dell'archiviazione, infatti, si pone il problema della preservazione intellettuale dei dati.

Il mondo cartaceo è, nel bene e nel male, assolutamente immutabile: un articolo, una volta pubblicato, rimane invariato indefinitamente, tanto che per segnalare o correggere gli eventuali errori è necessario stampare appositi errata corrige.

Uno dei maggiori vantaggi che il mondo digitale offre, invece, è la possibilità di cambiamento e di aggiornamento continui. Si tratta, però, di un'arma a doppio taglio, di un vantaggio cioè che dal punto di vista della preservazione rischia di trasformarsi in un pericolo. Il problema è infatti duplice: da un lato, garantire che l'informazione in formato digitale non sia stata, deliberatamente o per caso, alterata nel corso del tempo; dall'altro, vista la possibilità di frequenti aggiornamenti, garantire agli utenti l'esatta corrispondenza tra la versione che desiderano consultare e quella resa effettivamente disponibile [7].

Se questi aspetti di tipo tecnico presentano notevoli difficoltà, ancor più difficili da risolvere sono i problemi che potremmo definire di tipo politico, riassumibili nella domanda: chi deve conservare cosa?

Nel mondo cartaceo, grazie al deposito legale sono le biblioteche a dover assicurare la preservazione di quanto pubblicato, e, considerando che la maggior parte delle pubblicazioni viene acquisita da numerose biblioteche, la preservazione è un compito distribuito tra vari attori.

È abbastanza naturale pensare che anche per i periodici elettronici (e più in generale per le risorse elettroniche) le cose debbano alla lunga seguire la stessa strada. A tutt'oggi, però, non esiste alcun accordo tra le varie parti in campo che definisca chi e in quale maniera debba farsi carico di tale compito. Sembra comunque escluso che, stante la situazione attuale, possano farlo le singole biblioteche, o i soli editori, le une (anche ammettendo che i produttori siano d'accordo) per problemi di costi e di risorse tecniche necessarie, gli altri perché legano la loro attività ad un ritorno di tipo economico: se il periodico non suscita più l'interesse degli utenti e non è quindi più economicamente vantaggioso, il rischio è che venga abbandonato al suo destino.

La Task force on the archiving of digital information, istituita congiuntamente dalla Commission on preservation and access e dal Research libraries group, ha così proposto qualche anno fa che i creatori e possessori dell'informazione digitale abbiano inizialmente la responsabilità dell'archiviazione, mentre appositi archivi centralizzati avrebbero il diritto/dovere di intervenire successivamente in caso di problemi (ad esempio, se l'editore non è più interessato a mantenere il periodico elettronico, se l'editore cessa l'attività, ecc.), assumendo su di sé tale compito.

La proposta, a mio avviso, risponde in maniera coerente ad alcuni dei problemi posti dalle pubblicazioni elettroniche. Come abbiamo visto, una delle principali caratteristiche di questo tipo di pubblicazioni è la possibilità di aggiornare e correggere in qualunque momento quanto è già stato pubblicato. Un'archiviazione effettuata da chiunque non sia il produttore del periodico elettronico e non aggiornata tempestivamente (o addirittura non aggiornata affatto) rischierebbe di cristallizzare la situazione ad una determinata data, senza tener conto di tutte le possibili variazioni che la pubblicazione può avere subito successivamente [8]. Da qui l'esigenza di affidare il compito dell'archiviazione, fin quando il periodico è vivo e pertanto soggetto a mutamenti, a chi è responsabile del suo aggiornamento, riservando invece agli archivi centralizzati il ruolo di garanti della conservazione di quanto non più attivo e quindi non più aggiornato.

Quanto al cosa archiviare, se tutti i periodici elettronici (e più in generale le risorse elettroniche) esistenti o solo una parte selezionata di essi, una sana prudenza farebbe optare per la seconda soluzione (anche se, per coerenza col mondo cartaceo, occorrerebbe archiviare tutto); la sfida, eventualmente, è riuscire a trovare criteri di selezione tali da risultare rispondenti alle necessità informative che col tempo si manifesteranno.

Alla luce di quanto detto finora, vista la complessità e la novità delle operazioni richieste, si rende utile, all'interno di ogni biblioteca che intenda gestire un numero considerevole di periodici elettronici, la creazione di una figura di raccordo che sia in grado di garantire un'adeguata conoscenza dello sviluppo dei prodotti elettronici, una facilitazione del processo di acquisizione (approntando l'equipaggiamento necessario, organizzando trials, ecc.), la negoziazione delle licenze, una tempestiva ed efficace informazione al pubblico, la pianificazione dello sviluppo delle risorse elettroniche in biblioteca, la cooperazione con altre biblioteche (dal semplice scambio di informazioni alla creazione di veri e propri consorzi). Che questa figura provenga dalle fila dei serials librarians è una possibilità auspicabile, a patto che si abbiano ben presenti le differenze tra i due ruoli e le rispettive specificità: l'esperienza maturata nel mondo cartaceo può aiutare solo in parte a risolvere i problemi che il nuovo ambiente propone, ma è in grado di offrire un punto di partenza privilegiato per una tappa assai importante nell'evoluzione della nostra professione.

Enrico Martellini, Biblioteca Scuola Normale Superiore - Pisa, e-mail: enrico@sns.it


Note

[1] L'elenco è dato all'interno della relazione intitolata Budgeting for collection development in the electronic environment, presentata nell'ambito della 1999 Oklahoma conference (4 e 5 marzo 1999), sommarizzata da Jan Robert Anderson in Collection development in the electronic environment: shifting priorities: a conference report, "Library collections, acquisitions, & technical services", vol.23, n.4 (1999), p. 443-449. Riporto di seguito alcuni tra i fattori più significativi elencati da Lynden: la versione elettronica di un periodico può essere disponibile solo per gli abbonati alla versione su carta; ci possono essere prezzi diversi per versioni in formato diverso; spesso un prodotto elettronico fa parte di un pacchetto più ampio ed è difficile individuarne il costo specifico; possono esserci differenze di prezzo tra un accesso totale ed un accesso parziale al testo; i prezzi possono variare in base agli anni di copertura; i prezzi possono dipendere dal numero di utenti con diritto di accesso; possono esserci costi addizionali per stampa e download; ecc.

[2] Ellen Finnie Duranceau, Beyond print: revisioning serials acquisitions for the digital age, in Wayne Jones (editor), E-serials: publishers, libraries, users and standards, New York-London, The Haworth press, c1998, p. 83-106.

[3] Friederick J. Friend, Forme di cooperazione in Gran Bretagna per l'acquisto di pubblicazioni elettroniche, "Bollettino AIB", vol. 39, n. 3 (1999), p. 235-243, <https://www.aib.it/aib/boll/1999/99-3-235.htm>.

[4] Mauro Guerrini, Catalogare le risorse elettroniche : lo standard ISBD(ER), "Biblioteche oggi", 17(1999), n.1.

[5] IFLA study group on the functional requirements for bibliographic records, Functional requirements for bibliographic records : final report, München, Saur, 1998, <http://www.ifla.org/VII/s13/frbr/frbr.pdf>.

[6] Task force on the archiving of digital information, Preserving digital information, Washington, Commission on preservation and access, 1996.

[7] Gloria Cirocchi, Conservazione di risorse digitali: quali sfide?, "Bollettino AIB", vol. 39, n. 3 (1999), p. 289-300.

[8] Esiste ovviamente anche il problema opposto: appiattendo tutte le pubblicazioni elettroniche sull'ultima versione esistente e non tenendo copia delle versioni passate, si rischia di rendere impossibile lo studio delle variazioni che tali pubblicazioni hanno subito nel tempo.



«Bibliotime», anno III, numero 1 (marzo 2000)


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