«Bibliotime», anno IX, numero 2 (luglio 2006)


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Speciale ma non troppo



Il dibattito che "Bibliotime" ha ospitato negli ultimi anni - in sintonia con quanto è accaduto alle altre riviste professionali - ha riguardato in primo luogo i cambiamenti avvenuti nell'universo bibliotecario, mettendo in luce le variabili tecnologiche ed operative, e approfondendo le caratteristiche relative ai servizi e al loro utilizzo da parte degli utenti. In tale contesto, è indubbio che un ruolo primario sia stato giocato dalle biblioteche accademiche, le quali sono apparse particolamente vocate a realizzare e testare una serie di rilevanti innovazioni, fornendo anche nel nostro paese contributi assai interessanti in questa direzione. Ciò tuttavia non significa che le altre componenti della professione - in primo luogo le biblioteche pubbliche - siano rimaste ai margini di tale sperimentazione; per contro, la discussione attualmente in corso ha messo in luce le trasformazioni intervenute nel ruolo, nella funzione e nell'identità stessa di queste biblioteche, risultandone profondamente modificate le linee strategiche e le priorità d'intervento.

Sono questi i presupposti per cui "Bibliotime" dedica quasi per intero il presente numero alle biblioteche pubbliche. Dunque un numero speciale, ma non troppo: e non solo perché l'andamento monografico è sovente interrotto da considerazioni più vaste e generali, ma anche perché gli aspetti "specialistici" di queste biblioteche, le peculiarità prese in esame nei diversi contributi, possono costituire un interessante terreno d'indagine per le altre tipologie bibliotecarie, assumendo un valore trasversale d'informazione e di conoscenza.

Vediamo infatti che fra questi contributi trova posto l'acuminata analisi di Stefano Parise, che investiga i possibili modelli cooperativi fra biblioteche pubbliche, arrivando a conclusioni per molti versi sorprendenti; oppure la precisa disamina di Rosaria Campioni sulle Linee di politica bibliotecaria per le autonomie, ossia su un documento che, nelle parole dell'autrice, "viene in un certo senso a colmare la carenza di una legislazione organica statale". Non mancano peraltro le indagini più chiaramente biblioteconomiche, rappresentate dal rilevante intervento di Fabrizia Benedetti sui criteri che presiedono al servizio di reference digitale in un'importante biblioteca pubblica qual è la Sala Borsa di Bologna, mentre il resoconto di Liana d'Alfonso su una mostra relativa all'edilizia bibliotecaria richiama l'analogo contributo di Alessandra Citti su una originale esposizione di libri di moda realizzata da una biblioteca accademica in Romagna.

Ed è interessante osservare come questo insieme di riflessioni siano incorniciate da due articoli che, pur non riguardando in maniera diretta le biblioteche pubbliche, sono ad esse per molti versi riconducibili. Il primo è costituito da un raffinato contributo di Gabriele Mazzitelli, il quale analizza i rapporti intrattenuti con le biblioteche - sia come utente sia come uomo di stato - da uno dei protagonisti della storia del Novecento, e cioè Vladimir Ul'janov Lenin. Non è un caso, come mette in luce l'autore, se l'attiva frequentazione delle biblioteche da parte di Lenin sia stata determinante nel dar vita a un radicale cambiamento nelle biblioteche russe; difatti, prosegue Mazzitelli,

"Lenin era convinto, sia per la sua esperienza personale sia per le letture che aveva avuto modo di effettuare sul funzionamento delle biblioteche americane, che ci si dovesse ispirare all'organizzazione bibliotecaria di quei paesi per realizzare un servizio degno di questo nome tanto per quel che concerneva la disponibilità del materiale librario a scaffale aperto o il prestito interbibliotecario, quanto per la redazione di cataloghi collettivi o la creazione di situazioni logistiche ottimali per la consultazione dei libri. Già in un articolo del 1913 Lenin aveva lodato la New York Public Library, portandola a esempio di un'ottima organizzazione dei servizi e contrapponendola alle biblioteche russe".

Il secondo contributo "atipico" è quello di Alessia Zanin-Yost, bibliotecaria italiana negli Stati Uniti che, proprio alla luce della sua condizione esistenziale, affronta una delle problematiche di maggior spicco nell'odierno contesto professionale, e cioè quello del multiculturalismo, riuscendo a coniugare l'analisi sociale e la riflessione biblioteconomica, senza trascurare il proprio vissuto personale.


Michele Santoro




«Bibliotime», anno IX, numero 2 (luglio 2006)


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