[AIB] Associazione italiana biblioteche. BollettinoAIB 2007 n. 1/2 p.
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Deposito legale, la bicicletta nuova

di Paola Puglisi


«Si può conservare senza cooperare;
senza cooperare non si può fare della biblioteca
uno strumento di comunicazione e d'informazione »

Luigi Crocetti

1 Introduzione

Dal 2 settembre 2006, con l'entrata in vigore del regolamento, d.P.R. 3 maggio 2006, n. 252 (pubblicato nella G.U. n. 191 del 18 agosto 2006), è stata data attuazione alla nuova normativa sul deposito legale, basata sulla legge 15 aprile 2004, n. 106. A fronte delle aspettative dei bibliotecari riguardo a una riforma lungamente invocata - alla precedente legge 374 del 1939 ci si riferiva come ad "una legge da rifare" già nel 19461 - per il momento gli esiti suscitano qualche perplessità: alla condivisibile impostazione generale della legge corrispondono modalità di attuazione che, alla prova dei fatti, sembrano risultare poco chiare a molti dei soggetti coinvolti, tanto che questa fase di prima applicazione della normativa si sta rivelando più impegnativa del previsto un po' per tutti2. Avendo seguito da vicino l'iter della riforma per conto dell'Associazione italiana biblioteche, e trovandomi ad affrontarne gli effetti nel lavoro corrente, vorrei tentare un'analisi di alcuni "punti critici" della nuova normativa, per contribuire a fare chiarezza sulle modalità della sua applicazione, e in vista dei passi successivi attraverso cui essa dovrà dispiegare tutti i suoi effetti: infatti, per la concreta realizzazione del previsto «archivio regionale delle pubblicazioni», si dovrà attendere l'iniziativa delle Regioni, entro il prossimo 2 giugno.
Questo contributo non ripercorrerà (se non per quanto sia funzionale all'analisi) tutte le discussioni relative all'ultima riforma3, ma ne passerà in rassegna alcuni aspetti di ordine generale e altri più specifici, in relazione alle tipologie di documenti che stanno presentando maggiori criticità, all'individuazione dei soggetti obbligati al deposito, ai possibili modelli di archivio nazionale e regionale. Si accennerà appena, invece, alle troppo estese e al tempo stesso specifiche problematiche connesse al deposito dei documenti diffusi in rete: la disciplina di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. 252, è rimandata a un successivo decreto, con una scelta rispetto alla quale i bibliotecari più consapevoli e l'Associazione hanno immediatamente espresso perplessità e preoccupazione4.
Il mio contributo è stato preceduto da un'analisi della legge 106 e del regolamento pubblicata recentemente da Giuseppe Vitiello5, i cui fili conduttori sono il confronto con le contemporanee tendenze internazionali, e la verifica della sostenibilità degli obiettivi della legge alla luce degli adempimenti previsti e della stima dei relativi costi. Anticipo che condivido in larga misura le critiche espresse nel corso di quest'analisi, e avrò cura invece di evidenziare i punti riguardo ai quali me ne discosto; in generale, differenza e limite del mio intervento rispetto all'orizzonte internazionale di Vitiello vanno individuati nel mio dare conto, prevalentemente, di una verifica concreta dell'impatto della nuova normativa, dal punto di osservazione della Biblioteca nazionale centrale di Roma, oltre che, per tutto ciò che riguarda l'iter della legge, dalla “prima linea” dell'AIB.

2 La vecchia normativa

La legge del 1939 apparve inadeguata già nel dopoguerra, in primo luogo perché la si riconosceva, in un momento storico certamente sensibile a tale aspetto, come un provvedimento finalizzato al controllo della stampa e potenzialmente alla censura. Le modifiche apportatevi nel 1945 mantennero comunque sia la penalizzante modalità d'invio indiretto per il tramite delle Prefetture, che comprometteva completezza e tempestività del deposito, sia il poco efficace sistema sanzionatorio. I soggetti obbligati - allora esclusivamente i tipografi - oltre a non essere espressamente chiamati a concorrere a finalità accettabili (culturali), e a non usufruire di fatto di alcuna contropartita, dovevano pure confrontarsi con varie norme non coordinate tra loro che designavano una pluralità di istituzioni depositarie dai compiti altrettanto non coordinati6. Non era difficile denunciare duplicazioni e sprechi nella destinazione finale delle pubblicazioni: si pensi solo al fatto che alcune di queste venivano destinate, in seguito a percorsi tanto arbitrari quanto non privi di una logica intrinseca, presso istituzioni che nella legge non erano neppure nominate, come ad esempio la Biblioteca dell'Istituto di archeologia e storia dell'arte di Roma, alcune biblioteche carcerarie, alcune comunali7. I bibliotecari impegnati a rappresentare la necessità della riforma notavano poi che le collezioni costituitesi per deposito legale non erano esenti da vistose lacune, ad esempio laddove un medesimo editore si affidava a diverse officine tipografiche, alcune delle quali localizzate in province diverse o addirittura all'estero. Negli ultimi decenni del Novecento infine, era diventato via via più eclatante il fatto che la legge non arrivasse a comprendere tutte quelle nuove tipologie di documenti testimonianti l'evoluzione della tecnologia, e di conseguenza dei media, e dunque proprio il variare di quelle forme di produzione e di trasmissione dell'informazione e della cultura che l'istituto del deposito dovrebbe salvaguardare, in risposta alle più attuali finalità che ormai ovunque nel mondo gli sono attribuite8.
D'altra parte, il riferimento territoriale alle Prefetture ha indubbiamente contribuito alla certezza dell'acquisizione per una buona percentuale del gettito (le Prefetture, pur non esercitando nella maggior parte dei casi alcuna forma di controllo attivo sull'invio delle pubblicazioni, ai sensi del vecchio regolamento mantenevano un registro delle imprese editoriali e tipografiche locali). Non da ultimo, l'individuazione del soggetto obbligato nel tipografo ha consentito finora alle biblioteche depositarie l'acquisizione di tutte quelle pubblicazioni non commerciali e/o non convenzionali (il cosiddetto materiale minore; e ancora, di particolare rilievo, l'intera categoria dei manifesti) delle quali bibliotecari e studiosi apprezzano da tempo il rilevante interesse storico e documentario.

3 Finalità espresse e finalità percepite

Sulla scena europea, la nostra riforma del deposito legale giunge a compimento dopo che questo istituto è stato rimodellato secondo criteri più attuali in molti Paesi, e dopo la produzione di vari documenti e linee guida internazionali sull'argomento9 . Con riguardo agli obiettivi da conseguire, già le Guidelines Unesco del 1981 raccomandavano che «al fine di informare meglio il pubblico e assicurarsi la collaborazione degli editori, la legge sul deposito legale avrebbe dovuto comprendere un'esposizione delle finalità, insieme a una completa e convincente spiegazione del loro valore»10. Nella legge italiana del 1939, non a caso manca ogni accenno allo scopo del deposito, ma nella relazione con cui il ministro Altieri la presentava alla Camera si legge che «in applicazione delle norme del nuovo testo unico delle leggi di pubblica sicurezza è stata ordinata da alcuni anni la presentazione di altri esemplari d'obbligo, per l'esame delle pubblicazioni sotto l'aspetto politico ed amministrativo da parte delle Prefetture, del Ministero dell'Interno e del Ministero della cultura popolare. In tale stato di cose si imponeva il riesame integrale della legge del 1932»11 (la quale ultima, invece, quanto meno accennava all'intento di «assicurare, nel superiore interesse degli studi, la conservazione, presso determinati istituti bibliografici, di quanto si pubblica nel Regno»)12.
Nessun dubbio quindi sulla bontà del "tormentone", se così si può dire, che ha accompagnato la crescita di più d'una generazione di bibliotecari, sulla necessità di riformare una normativa ispirata a un'ottica censoria sostituendola con una dalle finalità culturali espresse e condivisibili. Nel merito di queste non ritengo indispensabile soffermarmi più di tanto: dalla conservazione nel lungo termine della produzione editoriale (nell'ambito della salvaguardia di una più ampia eredità culturale nazionale), alla redazione della bibliografia nazionale, al pieno accesso alle pubblicazioni per la collettività (nel rispetto del diritto d'autore e dei diritti connessi), credo che si registri ormai un consenso unanime. Al contempo, grazie all'introduzione del concetto che dal deposito scaturisce la produzione di servizi per la collettività, è anche relativamente cambiato l'atteggiamento degli editori, che in precedenza «hanno sempre visto il deposito legale come un "esproprio senza compensazione"» 13.
Al presente tuttavia, riflettendo su passate scelte gestionali di alcune biblioteche depositarie, discutendo con alcuni colleghi che vi lavorano e cercando di coglierne le aspettative e i timori in relazione ai prossimi cambiamenti, mi pare opportuno sottolineare come venisse percepita la vecchia normativa presso gli istituti depositari, limitandomi per ora a quelli periferici14: ed è l'idea di un gratuito beneficio senza impegno di contropartita quella che meglio corrisponde (o ha corrisposto) ad un sentire comune. Per molte biblioteche infatti le pubblicazioni ricevute per deposito legale sono state fino a oggi nient'altro che una forma di acquisizione complementare all'acquisto e al dono (vedi del resto la maggior parte dei manuali di biblioteconomia). Mi riferisco a un profilo prevalente di biblioteche pubbliche, tanto che, non senza coerenza, quanto giudicato non rispondente al carattere della singola biblioteca è stato nel tempo innanzi tutto non mai reclamato, ma anche selezionato, ovvero non inventariato o non fatto figurare a catalogo; ammetterlo non mi pare riprovevole almeno quanto è realistico, e dovrebbe fornire qualche lume in vista di decisioni future. Così, accade oggi di prendere atto della denuncia, da parte di alcune biblioteche depositarie sul territorio, di un diverso profilo della collezione che verrebbe a costituirsi, ai sensi della nuova legge, rispetto a quella locale finora conservata, incrementata e valorizzata, questo anche considerando, d'ora in poi, le variazioni territoriali conseguenti l'individuazione del soggetto obbligato nell'editore anziché nel tipografo15.
Analizzando la percezione delle finalità del deposito dunque, in qualche caso la riforma apparirà foriera di una qualche distorsione; di questo si dovrebbe tenere conto nei vari progetti di costituzione di archivio regionale. Anticipando il paragrafo dedicato a questo tema direi che va presa coscienza del fatto (per quanto possa apparire banale) che l'essere biblioteca depositaria costituisce missione di per sé definita, e non necessariamente allineata con le altre caratteristiche dell'istituto. Per quanto riguarda questo aspetto, entro il 2 giugno prossimo si fa ancora in tempo a "prendere o lasciare"16.
: per chi "prende", se il prodotto dell'industria editoriale territoriale non corrisponde alle caratteristiche, ad esempio, della raccolta d'interesse locale, il nuovo andamento del profilo delle raccolte potrà opportunamente essere individuato e comunicato, per esempio, in una rinnovata carta delle collezioni, da cui prendere le mosse per una riflessione su come favorirne lo sviluppo e la valorizzazione, anche a fronte del nesso deposito-servizi cui si accennava. Purtroppo bisogna riconoscere che le nuove finalità della normativa non sono state sufficientemente affiancate, nei testi di legge ma anche, vorrei dire, nel loro epitesto17, da quella «completa e convincente spiegazione del loro valore» già caldamente raccomandata dalle linee guida Unesco. Se le osservazioni al testo del regolamento presentate dall'Associazione Italiana Editori (AIE) in corso d'opera sono ispirate soprattutto a preoccupazione e diffidenza relativamente a tutti gli aspetti che toccano la sfera del diritto d'autore18, le reazioni dei singoli editori nella fase di prima applicazione sono improntate prevalentemente a una certa collaborazione, ma direi nella misura ritenuta necessaria ad evitare "seccature" ulteriori, e per lo più, ancora, con scarsa coscienza dei servizi che essi potrebbero ricevere come contropartita19. Se il testo di legge come ovvio non è modificabile, si può pur sempre intervenire - e sarebbe più che opportuno - con adeguate campagne di comunicazione, ovvero con iniziative delle istituzioni depositarie, le più varie purché volte a valorizzare i documenti depositati, e insomma a promuovere nella collettività la consapevolezza del valore del deposito legale come istituto di salvaguardia di un'eredità culturale nazionale in cui l'editoria ha una parte tutt'altro che secondaria. Se poi ci interroghiamo su quale sia la percezione delle finalità del deposito da parte della collettività dei fruitori dei servizi di biblioteca (e qui mi rivolgo più all'esperienza delle due , non avendo dati sufficienti per azzardare ipotesi sul fronte provinciale), direi che emerge, semplicemente, la convinzione di poter e dover reperire tutto presso l'istituto depositario: con un comprensibile accento sulla funzione di accesso, che si vorrebbe illimitato, ma senza la consapevolezza che quest'ultimo è garantito dall'attuazione nel tempo di una politica di conservazione e tutela; e con il corollario dell'inevitabile incomprensione ogni qualvolta tale aspettativa è disattesa o anche solo ritardata, qualunque sia la causa.

4 La nuova normativa

4.1 I punti critici: asimmetria, genericità, esoneri

La legge 106, all'articolo 1, immediatamente enuncia la sua finalità principale: «Al fine di conservare la memoria della cultura e della vita sociale italiana» all'articolo 2 precisa che «il deposito legale è diretto a costituire l'archivio nazionale e regionale della produzione editoriale [...] e alla realizzazione di servizi bibliografici nazionali di informazione e di accesso ai documenti«. Si riscontra in questo enunciato un'evidente mancanza di simmetria, tra la costituzione di due archivi, uno nazionale e uno regionale, cui corrisponde un'unica tipologia di servizi, quelli nazionali. È questo il primo sintomo di una pecca insanabile della riforma, quel voler "fare le nozze coi fichi secchi" immediatamente denunciato, tra gli altri, da Antonia Ida Fontana20, e che si annida nelle ultime righe dello stesso articolo 2: «Dalla predetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». In realtà questo diabolico corollario era stato introdotto nel testo di legge con riguardo alla spedizione dei documenti in franchigia, giustamente richiesta dall'AIE21, ma la volontà di non lasciarsi sfuggire l'approvazione della tanto attesa riforma per un dettaglio che avrebbe causato difficoltà di copertura finanziaria, è stata pesantemente fuorviante: la clausola del "costo zero" si riverbera su tutto l'insieme tanto che, tornando all'asimmetria di cui sopra, proprio il non biasimevole timore di non poter fare fronte a nuovi oneri senza risorse ad hoc ha spinto un po' tutti gli attori previsti dalla normativa - in questo caso i rappresentanti delle Regioni e degli enti locali - ad adoperarsi perché fosse espunto dal testo ogni espresso riferimento a compiti e funzioni pericolosamente nuovi.
Vanno ricordate a questo proposito due circostanze, che hanno segnato rispettivamente la stesura del testo della legge e del suo regolamento. Per quest'ultimo, a differenza di quanto si è verificato per la legge, si è veramente partiti da zero: non preesistevano bozze di studio o precedenti di alcun tipo (troppo distante la situazione cui si riferiva il regolamento del 1940), e i competenti uffici del Ministero per i beni e le attività culturali hanno impostato i lavori in una cornice di concertazione, nella volontà di pervenire possibilmente a un testo condiviso tra tutte le parti coinvolte. Se gli aspetti positivi dell'intento e del metodo sono evidenti, altri tipi di ricadute sono desumibili anche soltanto dal più che cospicuo ritardo con cui il regolamento è stato emanato, rispetto alla previsione di sei mesi dall'entrata in vigore della legge22.
All'impossibile perseguimento dell'unanimità in un contesto che non brillava per attenzione alle ragioni della cultura si può far risalire prima di tutto la decisione, in extremis e ad onta del qualificato supporto tecnico fornito da vari gruppi di lavoro23, di stralciare la regolamentazione del deposito dei documenti diffusi in rete e rimandarla a un futuro provvedimento. Alla medesima causa va ascritto, a mio parere, il tono da molti criticato come troppo generico del regolamento, cui verosimilmente ci si è attenuti per evitare potenziali contrasti tra le parti, e che è causa a sua volta di una certa mancanza di chiarezza procedurale con cui si stanno facendo i conti all'atto dell'applicazione. Si possono ancora portare ad esempio, in proposito, la sovrapposizione quasi totale dei contenuti - non giustificata da alcuna chiara attribuzione di differenti funzioni - tra archivio nazionale e archivio regionale; e a fare pendant, di nuovo la sovrapposizione quasi totale dei contenuti, e in questo caso pure delle funzioni, delle due biblioteche nazionali centrali. Per quanto si prenda atto che quest'ultimo punto è stato messo in agenda dall'Amministrazione24, sarebbe stata già questa l'occasione per cominciare almeno a fare chiarezza ed economia, a partire da una maggiore articolazione degli esoneri totali e parziali (articoli 8 e 9 del regolamento).
Per inciso, a proposito degli esoneri, non mi pare così criticabile l'inclusione delle ristampe inalterate tra i documenti soggetti a deposito, almeno per quanto attiene l'archivio nazionale (art. 8). Giudicato da molti un inutile appesantimento25 (e a dire il vero sarebbe stato sufficiente lasciare l'onere a una sola delle due biblioteche nazionali centrali), questo provvedimento attiene alla documentazione della fortuna e delle vicende editoriali di un testo, circostanze che mi sembrano a loro volta inequivocabilmente attinenti la costituzione di un "archivio nazionale delle pubblicazioni". Inoltre, con riguardo alla funzione di circolazione dei documenti e di accesso ai medesimi, se verosimilmente un numero maggiore di ristampe equivale a un maggior successo di pubblico, a sua volta equivalente a una presumibile maggior richiesta da parte dell'utenza, allora la disponibilità dei libri più richiesti in un numero di copie proporzionalmente maggiore sarà da valutare positivamente in termini di servizio; né la richiesta mi pare una vessazione insostenibile nei confronti di editori evidentemente ben affermati sul mercato. Ricordo infine che, per quanto in larga misura estranee alla tradizione italiana, discipline come la bibliografia descrittiva e la bibliografia analitica si alimentano della collazione, non solo delle diverse emissioni ed edizioni, ma anche delle diverse copie di ciascuna di queste, e che ciò accada in percentuale non significativa nello studio del libro moderno non mi pare, ragionando di conservazione nel lungo termine, argomento sufficiente. Certo è difficile negare che possa apparire estrema una posizione come quella di G. Thomas Tanselle: «Due oggetti fisici non sono mai identici, anche se vorrebbero esserlo; perciò a rigore i doppioni non esistono. Naturalmente la questione cruciale è decidere quali differenze contano: una questione resa più ardua dal fatto che non si può mai sapere quali particolari oggi tenuti per insignificanti possano in futuro rivelarsi notevoli»26 . Risponde a distanza Tommaso Giordano: «In linea di principio c'è poco da obiettare a queste affermazioni. Ma la questione di come mettere in pratica le indicazioni che ne derivano rimane tuttora aperta in tutta la sua drammatica enormità» , laddove dovremmo acquisire consapevolezza del fatto che questa «drammatica enormità»27, con le attuali risorse, certamente e purtroppo non riguarda solo la gestione delle ristampe.
Per restare in tema quanto all'impossibilità di prevedere il futuro, tra le osservazioni di ordine generale sulla nuova normativa c'è la preoccupazione, tra i bibliotecari che hanno organizzato preziose raccolte di materiale minore, che il trasferimento dell'obbligo di deposito dal tipografo all'editore ne comporti d'ora in avanti la mancata acquisizione: preoccupazione non del tutto ingiustificata (le due biblioteche nazionali centrali ne riscontrano effettivamente un minore invio, a fronte di un incremento medio del trenta per cento per i documenti tradizionali) cui forse si potrà rispondere con l'avvio di buone pratiche di attenzione e di collaborazione, specialmente a livello regionale.

4.2 L'evoluzione del contesto istituzionale e normativo

La seconda circostanza da richiamare, al fine di giudicare correttamente pregi e limiti della nuova normativa, è la sostanziale derivazione della legge 106 da quel Contributo tecnico alla preparazione del nuovo disegno di legge sul deposito legale elaborato nel 2001 dall'AIB28. Quel testo raccoglieva tutte le istanze fin allora maturate, sulle finalità, sull'invio immediato e diretto alle biblioteche da parte dell'editore, sull'identificazione delle nuove tipologie di documenti, che la legge 106 all'articolo 4 riprende punto per punto, inclusi quelli «diffusi tramite rete informatica» (con la sola esclusione dei «programmi radio e teletrasmessi», la memoria dei quali è ormai affidata alle "teche" RAI). Inoltre, l'articolazione del deposito nei due archivi nazionale e regionale corrispondeva senza sostanziali sviluppi all'impostazione di un disegno di legge presentato vent'anni prima, nel 1981, ancora nel clima delle politiche di decentramento degli anni Settanta29. In effetti, la differenza più marcata tra il Contributo AIB e la legge 106 sta nei rispettivi contesti, con riguardo all'ambito istituzionale e a quello normativo (sia in essere che allo stadio di progetto): l'Associazione infatti, nel disegnare sei anni fa la riforma del deposito legale, la immaginava nello scenario tratteggiato dall'Ipotesi di legge quadro sulle biblioteche e sui servizi di accesso alla conoscenza, al pensiero, alla cultura e all'informazione30 già elaborata dalla stessa AIB nel 1998: prevedendo tale legge, tra l'altro, in ogni regione «una biblioteca centrale che documenti in maniera esauriente la cultura e la produzione editoriale della regione stessa» (nel quadro di una "rete" interistituzionale di biblioteche pubbliche e di servizi, e della Biblioteca Nazionale Italiana), e rinviando al tempo stesso a norme che avrebbero predisposto le risorse finanziarie, umane e normative per il conseguimento di questi obiettivi, ne conseguiva una ben più chiara articolazione delle infrastrutture relative al binomio archivio nazionale - archivio regionale delle pubblicazioni. Al presente invece, nello scenario ben diverso della riforma del Titolo V della Costituzione e del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la riforma del deposito legale rimane, nel merito, assolutamente condivisibile, ma sono venuti a mancare tutti i presupposti che avrebbero dovuto agevolarne la fase costitutiva, con particolare riguardo all'archivio regionale; e non resta oggi che lavorare intensamente a possibili modelli di governo delle tante contraddizioni che permangono, riguardo la natura e le funzioni delle istituzioni presenti sul territorio.
Non da ultimo, l'incardinamento del Contributo tecnico in quel contesto giustifica forse anche il fatto che non sia stato preso in considerazione, come particolarmente funzionale al nostro sistema, il modello francese che giustappone dépôt éditeur e dépôt imprimeur31, ma lo si vede con chiarezza soltanto oggi, almeno così a me pare, alla luce del numero di copie elevato a quattro e delle prime verifiche sull'afflusso dei vari tipi di documenti.

5 I documenti

5.1 Tipologie e requisiti dei documenti soggetti al deposito


I documenti soggetti alla normativa sono quelli indicati nella legge 106/2004 all'art. 1, comma 1 e comma 3: «Al fine di conservare la memoria della cultura e della vita sociale italiana sono oggetto di deposito obbligatorio, di seguito denominato "deposito legale", i documenti destinati all'uso pubblico e fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la visione, qualunque sia il loro processo tecnico di produzione, di edizione o di diffusione, ivi compresi i documenti finalizzati alla fruizione da parte dei portatori di handicap [...]. I documenti destinati al deposito legale sono quelli prodotti totalmente o parzialmente in Italia, offerti in vendita o altrimenti distribuiti e comunque non diffusi in ambito esclusivamente privato; per quanto attiene ai documenti sonori e audiovisivi, sono destinati al deposito legale anche quelli distribuiti su licenza per il mercato italiano». Per inciso trovo abbastanza sorprendente che non venga per nulla menzionata l'opportunità di favorire l'acquisizione (non necessariamente "obbligatoria" per i soggetti produttori) di alcune categorie di documenti che certamente concorrono in modo non indifferente al conseguimento della finalità espressa in apertura: ovvero le opere in lingua italiana pubblicate all'estero, le traduzioni di opere italiane, le opere straniere concernenti la cultura italiana. Recentemente però è stato presentato al Senato un disegno di legge che recepirebbe in pieno tale allargamento della finalità di documentazione32, e inoltre (indipendentemente dall'iter del ddl) si riscontrano vari segnali della volontà dell'Amministrazione di ridefinire il sistema dei servizi bibliografici nazionali33 ; c'è da augurarsi pertanto che nel prossimo futuro si possa attribuire questo compito a una delle due biblioteche nazionali centrali34. È appena il caso di ricordare, a questo proposito, che nelle linee guida internazionali e nelle legislazioni straniere più avanzate è quasi sempre previsto che il deposito legale, la struttura della biblioteca nazionale e l'organizzazione di tutti i servizi connessi siano regolamentati da un unico testo di legge, per l'evidente strettissimo nesso che li lega35. Per la legislazione italiana questa occasione ormai è andata persa, forse sempre a causa dell'ansia di condurre infine a compimento una riforma così lungamente attesa. Auguriamoci che i provvedimenti successivi rispondano alla necessità di un'integrazione funzionale con questi recentemente varati, o che non ci si faccia scrupolo, se necessario, di rivedere la materia per darle un assetto chiaro e organico e possibilmente non distribuito in troppi testi legislativi.
Intanto, almeno un accenno al deposito legale, in quanto fondamentale strumento di tutela dei beni librari, già sarebbe potuto rientrare a tutti gli effetti nel Codice dei beni culturali e del paesaggio; in occasione del previsto aggiornamento di quest'ultimo, i bibliotecari tornano a chiedere di rimediare a una dimenticanza solo apparentemente lieve, ma non da poco invece sul piano teorico, e di conseguenza, per quanto attiene ai criteri di attribuzione delle risorse quando queste vengano allocate, per esempio, con riguardo alle categorie tutela e conservazione.
Tornando alla legge 106, l'articolo 4 specifica quali sono le "categorie" dei documenti oggetto di deposito, ovvero: a) libri; b) opuscoli; c) pubblicazioni periodiche; d) carte geografiche e topografiche; e) atlanti; f) grafica d'arte; g) video d'artista; h) manifesti; i) musica a stampa; l) microforme; m) documenti fotografici; n) documenti sonori e video; o) film iscritti nel pubblico registro della cinematografia [...]; p) soggetti, trattamenti e sceneggiature di film italiani ammessi alle provvidenze [...]; q) documenti diffusi su supporto informatico; r) documenti diffusi tramite rete informatica non rientranti nelle lettere da a) a q). En passant, non mi è chiaro quali peculiarità abbiano gli atlanti per fare categoria a sé, ma forse poco importa; e prendo atto che nelle successive disposizioni del regolamento non c'è più traccia della sorte che debbano avere le microforme, peraltro definite all'articolo 2 come «documenti che contengono microimmagini di dati e di documenti su supporto fotochimico, quale la pellicola, solitamente in forma di microfiches o microfilm»: il prodotto è quasi in via di estinzione, possiamo immaginare che gli editori (e i bibliotecari) si regoleranno in base al contenuto e all'interesse prevalente dei documenti per individuarne la destinazione più opportuna.
L'articolo 2 del d.P.R. 252 (Definizioni) riprende punto per punto non solo le microforme ma tutte le categorie, nell'intento di precisarne la fenomenologia. Viene qui ulteriormente definita la stessa accezione di documenti: «i prodotti editoriali destinati all'uso pubblico sia a titolo oneroso che gratuito, contenuti su qualsiasi supporto sia analogico che digitale, nonché su ulteriori supporti prodotti dall'evoluzione tecnologica nell'ambito delle finalità previste dalla legge». Questa definizione dovrebbe assolvere allo scopo di evitare la rapida obsolescenza delle disposizioni di legge, a fronte di un'evoluzione ormai inarrestabile delle tecnologie. Sottolineerei anche la precisazione «nell'ambito delle finalità previste dalla legge»: questa è stata introdotta in seguito a un rilievo del Consiglio di Stato, «allo scopo di chiarire che il supporto informatico non dà vita ad una categoria di documento a sé stante, per sua natura destinato all'uso pubblico»36 . A rigore, la precisazione va a rimediare a un possibile equivoco di fondo generato dalla stessa legge al punto q) dell'art. 4, e dal regolamento con il Capo VI (Deposito dei documenti diffusi su supporto informatico): l'enunciato di questi infatti è ridondante rispetto al concetto che «l'obbligo di deposito dei documenti è esteso a tutti i supporti sui quali la medesima opera è prodotta e si intende adempiuto quando gli esemplari sono completi, privi di difetti e comprensivi di ogni eventuale allegato»37.
Ancora, è opportuno ricordare che condizione affinché un documento sia soggetto alla legge non è solo la sua appartenenza alle categorie indicate, ma anche che alla sua natura si affianchino la circostanza della destinazione all'uso pubblico e l'attinenza alla cultura e alla vita sociale nazionali di cui all'articolo 1 della 106. Era certamente più facile circoscrivere l'oggetto della vecchia legge, quel «qualsivoglia stampato o pubblicazione» che uscisse dalle officine tipografiche, con poche e precise eccezioni. La normativa attuale invece prevede - citando testualmente le critiche di alcune associazioni di categoria - «un obbligo di fatto indiscriminato di "deposito legale" senza specificare le caratteristiche per cui un'opera dovesse considerarsi di interesse culturale e dunque soggetta all'obbligo»38 , e ancora, «la definizione di quanto incluso nell'obbligo è talmente ampia e generica che si potrebbe, paradossalmente prendere in esame anche la produzione di biglietti da visita»39.
A questo rilievo obietterei, per contribuire a circoscrivere ulteriormente l'oggetto, che secondo la legge il deposito legale è diretto a costituire l'archivio nazionale e regionale della produzione editoriale40: il legislatore assume implicitamente che il complesso della produzione editoriale del Paese sia di per sé rappresentativo della cultura e della vita sociale di questo. Si tratta di un insieme finito (se pur dai confini resi talvolta incerti dall'evoluzione delle tecnologie); e forse non a caso l'AIE non ha sollevato obiezioni del genere di quelle su riportate.
D'altra parte la nuova normativa, pur circoscrivendo il suo oggetto, fa indubbiamente riferimento a un modello di deposito tendenzialmente esaustivo, senza tenere in nessun conto che tale modello in molti Paesi europei è stato messo in discussione da tempo, tenendo conto realisticamente dello sviluppo esponenziale delle pubblicazioni (in assoluto e con riguardo alla pluralità delle loro forme), e dei costi di una seria politica di conservazione nel lungo termine. Il nuovo modello verso cui ci si orienta a livello internazionale è ben descritto da Vitiello: «La costruzione della collezione nazionale non è più un'operazione inerte di raccolta, ma il frutto di un'attività biblioteconomica ragionata: tramontata l'illusione che si possa raccogliere tutto e per sempre (all and for ever), nasce il concetto di esaustività nella selezione, vale a dire una copertura elevata, ma solo all'interno di alcuni filoni di raccolta»41.
Di come innestare la nuova tendenza nel contesto italiano però, mi pare più appropriato discorrere dopo aver esaurito la rassegna di alcune categorie di documenti e delle relative criticità.

5.2 Gli stampati in proprio e la letteratura grigia

Purtroppo l'intento di eliminare ogni possibile ambiguità, che ha condotto alla redazione delle definizioni - molte invero al limite del tautologico - dell'articolo 2 del regolamento, non è stato pienamente conseguito, perché alla prova dei fatti risultano anche altre (purtroppo non considerate) le fattispecie poco chiare agli occhi dei soggetti obbligati. Basti pensare alla categoria degli stampati in proprio - potenzialmente trasversale, ma di fatto una sottospecie di libri e opuscoli. Non è difficile immaginare quanto l'uso pubblico di questi stampati sia improbabile, essendo depositati nella maggior parte dei casi per rispondere a un interesse prevalentemente privato (fini concorsuali), o comunque inviati in seguito a interpretazioni troppo estensive della legge, dettate dalle motivazioni più varie. Le biblioteche così si vedono sommerse da fogli stampati e spillati "fatti in casa", che solo con difficoltà si potrebbero giudicare rappresentativi di quella produzione editoriale oggetto della legge. Tra l'altro, i parametri introdotti dall'articolo 9, comma 1 del regolamento ai fini dell'esenzione parziale («tiratura limitata non superiore ai 200 esemplari o un valore commerciale non inferiore a 15.000,00 euro»), pur dettati esclusivamente dalla volontà di agevolare gli editori di opere di grandissimo pregio, se si fa riferimento alla sola tiratura limitata finiscono per comprendere anche documenti di tutt'altro genere, tra cui appunto molti stampati in proprio, che vanno consegnati quindi (fortunatamente) «in una sola copia per l'archivio nazionale e una sola copia per l'archivio regionale» - nel caso delle suddette finalità concorsuali questi due-tre esemplari sono anche gli unici esistenti, appositamente stampati, e tanto più si configura in questo specifico caso un'interpretazione assolutamente distorta delle finalità della legge. Nella legislazione italiana, del resto, le vie del deposito legale e del diritto d'autore da un certo punto in poi si sono separate nettamente42.
In parziale sovrapposizione con queste pubblicazioni vengono inviati alle biblioteche anche documenti che potrebbero rientrare nella definizione - sulla quale invece bisogna intendersi - di letteratura grigia (LG). Anche riguardo a questi documenti, come minimo andrebbe posta la questione se essi possano considerarsi testimonianza di quella produzione editoriale rispetto alla quale per loro stessa natura si differenziano: l'attributo grigio infatti, in un'accezione largamente condivisa, ha prima di tutto a che vedere con le loro modalità di diffusione differenti dalle ordinarie. Quanto alla sostanza, «È evidente peraltro che le due cose [modalità di diffusione e contenuti] sono legate. Tali documenti non sono diffusi come i documenti tradizionali perché hanno caratteristiche intrinseche: forte specializzazione, limitata validità nel tempo dei contenuti, ambiente di utenti reali o potenziali molto ristretto»43. E preciso che a queste caratteristiche individuate da Fernando Venturini vorrei limitare, in questo contesto, il concetto di LG44.
Si è riflettuto abbastanza sull'opportunità che pubblicazioni definibili come LG siano oggetto di deposito legale nel contesto di riferimento della legge 106/2004 e del D.P.R. 252/2006? È davvero opportuno (ed è realisticamente realizzabile) che la loro conservazione, e la fornitura dei relativi servizi bibliografici, sia affidata alle due biblioteche nazionali centrali e alle altre biblioteche depositarie? Temo che anche a questo riguardo sia sfuggita agli stessi bibliotecari l'occasione di fare chiarezza e ragionare in termini di funzioni articolate su vari livelli, per tipologie di documenti e per differente rilevanza degli stessi, e in un'ottica di sistema. Nel caso specifico, non si può fare a meno di notare che già esistono banche dati dedicate alla LG, si pensi per esempio al SIGLE (System for information on grey literature in Europe), il cui partner italiano è il Consiglio Nazionale delle Ricerche45.
A complicare la questione, buona parte di questi documenti grigi, pur giudiziosamente depositati in una versione cartacea quasi sempre prodotta ad hoc, nascono o quanto meno sono prevalentemente diffusi in rete. «Internet determina una vera rivoluzione in tutti i processi di produzione e di trasmissione dei documenti. E [...] sconvolge le categorie finora utilizzate per la "letteratura grigia" [...]. Ciò che viene pubblicato in rete diviene un documento digitale in rete. La sua accessibilità avverrà tramite le modalità della rete. I problemi di conservazione nel tempo, di reperimento, individuazione, validazione, saranno comuni a tutti gli altri documenti in rete»46.
Se diamo credito a questa tesi di Venturini, dovremmo considerare non soggette al deposito queste fattispecie, in attesa dell'emanazione del regolamento rivolto ai «documenti diffusi tramite rete informatica» di cui all'articolo 37 del d.P.R. 252. Così facendo credo non si scontenterebbe nessuno, anche perché nel frattempo, per chi lo volesse, resta la possibilità di quelle «forme volontarie di sperimentazione del deposito» di cui al medesimo articolo 37, comma 247. Accenno soltanto, a tratteggiare uno scenario complesso per un'analisi esaustiva del quale manca qui lo spazio, alla sempre maggior diffusione e autorevolezza del movimento Open Access e, più in generale, al tema sempre più attuale della conservazione condivisa, non solo in relazione al deposito legale48.
Ai nostri fini immediati, constatiamo così che l'aver rimandato a una futura regolamentazione il deposito dei documenti diffusi in rete, se da una parte dovrebbe ridurre i problemi aperti in questa fase, ne crea però altri, spingendo alcuni soggetti alla produzione di documenti cartacei al solo fine di accedere a quell'implicita validazione assicurata dal deposito. Riguardo a questi documenti, al momento è tutto degli istituti depositari l'onere di definire parametri di selezione adeguati e condivisibili dai soggetti obbligati - ai quali per ogni invio spetta una ricevuta della biblioteca, in forma di copia vidimata dell'elenco di accompagnamento49 : sarebbe urgente chiarire se l'invio di tale ricevuta implica l'accettazione della pubblicazione da parte dell'istituto, con tutti gli oneri che ne conseguono, o se (come ritengo debba essere) essa abbia un esclusivo valore di attestazione dell'invio da parte del mittente a tutela di quest'ultimo.

5.3 Territori di confine, un caso esemplare: i video d'artista

Se la legislazione degli anni Trenta e Quaranta considerava, entro certi limiti, la conservazione delle opere audio e filmiche50, i video d'arte sono uno dei nuovi oggetti introdotti dalla legge 106. Viene colmata così una lacuna di cui si era consapevoli, almeno da quando nel 1989, l'allora sottosegretario del Ministero per i beni culturali Gianfranco Astori recepì favorevolmente l'istanza degli artisti e degli studiosi che ponevano il problema della tutela di tali forme espressive, che poi però non fu mai messa in atto organicamente51. Alla luce di un nuovo, più recente confronto dei responsabili istituzionali con i soggetti produttori e le altre professionalità interessate, la nuova normativa risulta certo salutata con favore, ma ancora passibile di integrazioni specifiche52.
«Stupiti e terrorizzati», per riportare un'espressione a effetto della professoressa Valentina Valentini53, così gli artisti e gli studiosi della videoarte recepiscono le norme sul deposito legale; lo stupore nasce dalla soddisfazione, evidentemente inaspettata, di vedere "sancita" dalla legge l'esistenza stessa del video come forma di espressione artistica, tanto da parlare di «una nuova era» e manifestare la volontà di interagire propositivamente con l'Amministrazione per cogliere tutte le potenzialità della circostanza - non tutte, come si vedrà, così a portata di mano come sarebbe nelle aspettative degli artisti - in termini di diffusione, archiviazione, validazione e tutela giuridica. Al tempo stesso, c'è il palese timore che la normativa finisca per esplicarsi esclusivamente in inutili adempimenti burocratici, oltretutto di non facile attuazione al momento, per un'evidente inadeguatezza del dettato della legge rispetto alle reali caratteristiche del suo oggetto. Il video d'artista oggi è soprattutto arte elettronica, pur avendo le sue radici nel cinema e poi nella performing art; le sue manifestazioni inoltre, dalle videosculture alle videoinstallazioni, sono non solo ma anche video: al punto che in molti casi il deposito della sola "cassetta" non vale a documentare le intenzioni dell'autore, né a garantirne realmente la conservazione nel lungo termine54. Piuttosto, nel recepire l'enorme interesse di quasi tutti i produttori di questo genere di video per gli sviluppi dei Creative Commons, e delle manifestazioni che ne derivano (vedi You Tube)55 , viene spontaneo chiedersi se non sarebbe più opportuno dirottare almeno in parte anche questa categoria di documenti nel solco dei prossimi sviluppi dell'articolo 37 del regolamento (Deposito dei documenti diffusi tramite rete informatica).
A tanta complessità dunque non rende giustizia il d.P.R. 252/2006, nelle cui Definizioni i video d'artista compaiono, al punto 7), come «videogrammi di qualsiasi natura, qualunque sia il loro supporto o metodo tecnico di produzione, prescelti dall'autore stesso nella volontà di creare un'opera dell'ingegno protetta ai sensi della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni». La definizione (al pari di quella che identifica la grafica d'arte) consta di due parti distinte: una locuzione dal senso opportunamente aperto per la fenomenologia tecnica («qualunque sia...»), e un tentativo di circoscrivere l'essenza della natura artistica, più difficilmente condivisibile, da cui nascono ulteriori problemi in ordine all'applicazione della norma. Non basta infatti, ai fini dell'identificazione del valore artistico - che non è un dato oggettivabile, bensì un giudizio - la volontà di conseguirlo da parte dell'autore (pur se essa fosse da questi autocertificata, come anche è stato proposto): chiunque potrebbe autodefinirsi artista. Stando così le cose, come è risultato al termine della recente giornata di studio romana, al momento la legge non identifica soddisfacentemente né gli oggetti né i soggetti; questi ultimi non ritrovano nella legge la complessità del loro prodotto, e si vedono sfuggire i loro principali desiderata rispetto al deposito, ovvero, prevalentemente, alcune forme di tutela giuridica (su dati di produzione dell'opera, diritti d'autore, collaborazioni tra più autori ecc.); forme di tutela, come si è già osservato56, che non hanno nulla a che vedere - almeno non direttamente - con l'istituto del deposito legale. Gli istituti depositari d'altra parte, già prevedono di ricevere soltanto prodotti di nullo o scarso valore, senza avere la possibilità di sollecitare l'acquisizione dei prodotti degli artisti più qualificati né, prima ancora, di venirne a conoscenza sistematicamente ai fini di un eventuale controllo.
Non per fare ulteriore sfoggio di "senno di poi", ma perché mi sembra evidente che su questo tema sarà indispensabile intervenire per una regolamentazione più appropriata57, riporto sinteticamente, per un confronto, i termini del deposito dei videogrammi presso la Bibliothèque national de France: «Le Département de l'Audiovisuel reçoit le dépôt légal de tout vidéogramme (vidéocassette, DVD...) lorsqu'il est mis en location, en vente, en distribution, importé ou mis à la disposition d'un public même limité et même à titre gratuit [...]. Par ce dépôt, l'Etat devient propriétaire du support déposé, jamais des droits qui s'y rattachent»58; laddove mi pare opportuno il riferimento ai diritti (cui gli artisti tengono particolarmente), e si può constatare, mi sembra, che rispetto alla nostra legge qui si mira a ottenere il medesimo risultato, ma senza avventurarsi nei territori insidiosi del confine con l'arte.
Problemi di ordine analogo, riferiti alle diverse e particolari specificità dei supporti e delle tecniche, presenterà il deposito della grafica d'arte, senza dimenticare le fotografie: per queste ultime sono ancora più ampi e difficili da individuare i confini del campo di applicazione della legge. Mi auguro che il tema del video d'artista (l'unico, per ora, rispetto al quale potevo disporre di una sorta di feedback da parte dei soggetti obbligati) possa valere da exemplum; sarà inevitabile che la parola torni agli esperti del settore in vista di qualche integrazione al regolamento, se non altro perché sulle basi normative attuali non mi sembra percorribile, per questi documenti, né la via dell'esaustività del deposito né quella dell'applicazione di un qualunque criterio di selezione; tanto meno l'esercizio di un qualsivoglia controllo a monte, e né a valle, conseguentemente, la realizzazione di qualunque serio servizio bibliografico.

5.4 Videogiochi e chi più ne ha...

Tra le altre fattispecie per cui si è già presentata la necessità di ulteriori chiarimenti, nell'ambito dei documenti sonori e videoè emersa la categoria dei videogiochi, i quali certamente hanno un editore/produttore, ma è dubbio se documentino la cultura e la vita sociale: forse purtroppo sì (guardando al livello dei contenuti...), ma allora, direi, andrebbero meglio definiti modi, tempi e costi di attuazione di quanto viene richiesto alle biblioteche nell'ambito di questa legge, che prefigura, ancora una volta, un modello di deposito estensivo, cui però realisticamente gli istituti depositari non sono in grado di corrispondere appieno pur se lo condividessero in toto.
Ad ogni modo, l'Associazione editori software videoludico italiana (AESVI), ha recentemente indirizzato al Ministero per i beni e le attività culturali una richiesta di chiarimenti, sostenendo che i videogiochi non sarebbero riconducibili alle categorie dei documenti diffusi su supporto informatico, o di quelli sonori e video: il videogioco sarebbe infatti un software interattivo, contenente istruzioni per l'elaboratore, non semplici informazioni in formato digitale. La questione è stata sottoposta al gruppo di lavoro istituito presso il Ministero59, che ha accolto le obiezioni dell'AESVI: i videogiochi sarebbero così esclusi dall'obbligo di deposito, come al momento tutta la categoria dei software (una volontà di conservazione dei quali richiederebbe tra l'altro l'individuazione di istituti, tecnologie e risorse adeguati). La considerazione principale del resto, è che il videogioco, pur manifestandosi in un formato elettronico, appartiene pur sempre evidentemente alla categoria dei giochi, totalmente esclusa dalla legge; è invece soggetto a deposito un libro-gioco, in cui prevale la categoria "libro": quanti sarebbero altrimenti gli oggetti in predicato di deposito, a partire dalle piste del gioco dell'oca...?
Riaffiora nella questione l'equivoco di fondo del formato elettronico, che di per sé non dà vita ad alcuna specifica categoria: almeno in tema di deposito legale, il mezzo nonè il messaggio!
Per una nota di colore, aggiungerei ai documenti certamente candidati all'esclusione dal deposito tutta la categoria dell'oggettistica di cui sono oggi affollate le edicole (soldatini, tazzine, orologi "da collezione" ecc.), e che tende a sovrapporsi con sempre minore attinenza all'insieme della produzione editoriale, per il quale ultimo sarebbe stato opportuno, davvero, elaborare una definizione ai fini della normativa. In questo caso l'esclusione è dettata dal buon senso e dal realismo assai più che da un giudizio di valore, sempre inopportuno; anche perché potrebbe accadere, in futuro, di dover essere grati a qualche collezionista, così come lo siamo al presente, ad esempio, per il recupero di tanta fenomenologia di ambito paratestuale...60. Basterebbe domandarsi cosa raccoglierebbe oggi un collezionista straordinariamente in anticipo sui tempi come Achille Bertarelli!61

5.5 La necessità di un' acquisizione consapevole

Pur alla luce di tutti i distinguo tentati fin qui, ritengo sia sufficientemente chiaro a ogni bibliotecario il pericolo insito in ogni ipotesi di selezione a monte62; ed è anche molto probabile che un'eventuale scelta di attribuire agli editori e ai produttori stessi l'onere di una selezione preliminare all'invio, secondo parametri dettati dalla legge, sarebbe stata da costoro altrettanto se non maggiormente criticata. Altra cosa sarebbe stata una normativa chiaramente e coerentemente ispirata al modello di «esaustività nella selezione» descritto da Vitiello, ma qui ragioniamo della legge che abbiamo, che nel breve termine si potrà certamente migliorare, confido, ma non stravolgere. A dire il vero, come emerge anche da alcune delle considerazioni precedenti, in questa prima fase di applicazione della nuova normativa prevale piuttosto la scelta, da parte degli editori o comunque dei responsabili delle pubblicazioni, di abbondare nell'invio di ogni tipo di materiali, probabilmente per la preoccupazione di incorrere nelle sanzioni previste, finalmente significative. Né mancano, da parte degli editori e dettati dalla medesima preoccupazione, complessi quesiti di ogni tipo, la cui casistica davvero induce a dubitare della chiarezza dei testi di legge al di là di ogni attendibile previsione63 .
In ogni caso, stante la richiamata genericità delle norme - reale o presunta - e stante il fatto che dal punto di vista dei bibliotecari essa non dovrebbe costituire in linea di principio un fattore negativo, ritengo che sarebbe stato più che opportuno attribuire agli istituti depositari (per esempio nell'ambito dell'articolo 5 del d.P.R. 252, Raccolta e conservazione dei documenti) un espresso compito di preliminare verifica che i documenti inviati siano effettivamente rispondenti alle finalità del deposito, eventualmente con la possibilità di restituzione o di scarto di quanto giudicato non pertinente. Non manca, nel regolamento, l'attribuzione alle due biblioteche nazionali centrali di un compito di autonoma valutazione, finalizzata però soltanto all'eventuale "dirottamento" dei documenti pervenuti presso altre istituzioni specializzate: la troviamo all'articolo 6, comma 6, riguardante «i documenti sonori e video, i film, i soggetti, i trattamenti e le sceneggiature, i documenti di grafica d'arte, i documenti fotografici e i video d'artista che siano accompagnati, nella loro ordinaria modalità di diffusione al pubblico, dai documenti di cui al comma 4 [libri, opuscoli, pubblicazioni periodiche, carte geografiche e topografiche, atlanti, manifesti, musica a stampa]». Per inciso, credo che in questa circostanza la prassi dei bibliotecari responsabili della selezione dovrebbe orientarsi anche con riguardo all'articolo 5, comma 2, della legge 106, laddove si afferma che gli esemplari depositati devono essere «completi, privi di difetti e comprensivi di ogni eventuale allegato»; voglio dire (poiché ho il sospetto che non sia sufficientemente chiaro) che per la completezza dell'archivio gli allegati di una pubblicazione dovrebbero venire conservati sempre insieme a questa (quanto meno nel medesimo istituto), anche se appartenenti a una diversa tipologia. Il fatto che ad esempio l'editore di un quotidiano si faccia promotore della pubblicazione di una determinata serie di prodotti audiovisivi, fa riferimento alle strategie di marketing di quel giornale, se non a una vera e propria politica culturale, di cui dovrebbe essere sempre possibile in futuro ricostruire le tracce, e confrontarle con i prodotti di altre scelte. Questo, pur nella consapevolezza della moltiplicazione e diversificazione portata all'estremo che oggi si riscontra, per cui molte e difficili da valutare sono le sfumature e i nessi di appartenenza tra supplementi, inserti, allegati occasionali e in serie, distribuiti con e senza obbligo di acquisto della pubblicazione-base, e via dicendo64.
La necessità di rendere possibile, chiamiamola così, un'acquisizione consapevole dei documenti da parte degli istituti depositari, mi sembra ancora più impellente a fronte di alcune considerazioni di Carlo Federici sulla natura dei documenti pervenuti per deposito legale, che assumerebbero ipso facto lo statuto di bene culturale: «Evidentemente i libri che pervengono alle biblioteche per deposito legale non sono "rari e di pregio" (almeno non lo è la grandissima parte di essi). Tuttavia essi rappresentano la testimonianza del libro prodotto all'inizio del secolo XXI da trasmettere ai posteri. Esiste uno strumento normativo che ne garantisca la salvaguardia? [...]. Sulla base delle disposizioni del Codice più volte citato, mi pare che l'unica possibilità sia quella di considerare i libri pervenuti per deposito legale come facenti parte di una raccolta. Certo il problema non è di facile soluzione. Questi libri non si differenziano in nulla morfologicamente da tutti gli altri. L'esemplare di un'edizione economica del costo di qualche euro, inserito nella biblioteca di quartiere, rischia di avere pochi mesi di vita, anche per l'uso cui è soggetto, mentre il suo gemello, pressoché identico, che viene consegnato per deposito legale diviene, solo per questo, un bene culturale e il comportamento che si adotta nei suoi confronti non dovrebbe per nulla differenziarsi da quello che si riserva a un manoscritto medievale, ovviamente "raro e di pregio"» 65.
La posizione di Federici, all'estremo opposto di quella percezione del deposito legale come semplice mezzo di incremento gratuito delle raccolte che abbiamo riscontrato come assai diffusa in passato, è a mio giudizio corretta purché la si riferisca, come ripeto, a documenti consapevolmente acquisiti, e nel riconoscimento, altresì, che davvero non è più realisticamente perseguibile un'acritica esaustività del deposito.
Conseguentemente, andrebbero approntati strumenti adeguati e condivisi (definizioni, parametri, confronti sistematici con le altre istituzioni sul territorio, modalità di documentazione a campione) utilizzabili dalle biblioteche depositarie, in primo luogo le due biblioteche nazionali centrali (che pure già da tempo si confrontano in questo senso a livello operativo). L'obiettivo dovrebbe essere, a mio parere, introdurre nell'applicazione della normativa quel tanto di flessibilità, in fase di acquisizione, che renda possibile non solo la selezione di quanto non congruente con le finalità della legge ma anche la progressiva realizzazione, in un quadro di sistema e di cooperazione tra tutti gli istituti depositari, di quel modello di conservazione su più livelli che più volte l'AIB ha tentato di richiamare e di introdurre nella legge, purtroppo senza successo66.
Mi limito infine a una suggestione, dal sito della Bibliothèque nationale de France: al termine di un elenco di categorie di stampati non soggetti a deposito (assai più circostanziato di quello del nostro regolamento) si precisa che nel caso in cui tali documenti fossero comunque depositati, la biblioteca li considererà un dono, con conseguente caduta degli obblighi di gestione connessi al deposito legale67.

6 I soggetti obbligati al deposito

6.1 Editori, committenti, tipografi

I soggetti obbligati al deposito sono individuati dalla legge 106/2004 all'articolo 3 come segue: «a) l'editore o comunque il responsabile della pubblicazione, sia persona fisica che giuridica; b) il tipografo, ove manchi l'editore; c) il produttore o il distributore di documenti non librari o di prodotti editoriali similari; d) il Ministero per i beni e le attività culturali, nonché il produttore di opere filmiche». Nelle definizioni di cui all'articolo 2 del d.P.R. 252/2006, al punto d), si rimanda semplicemente alle «persone fisiche o giuridiche, obbligate al deposito legale, ai sensi dell'articolo 3 della legge». Nel medesimo regolamento però, l'articolo 6, comma 1, a giudicare dai molti quesiti al riguardo pervenuti alle biblioteche da parte degli editori, forse non è immediatamente chiaro: «Gli stampati e i documenti a questi assimilabili sono inviati agli istituti depositari a cura dell'editore, o comunque del responsabile della pubblicazione, ovvero del tipografo, qualora manchi l'editore». La possibilità di equivoco è legata alla circostanza che, nella maggior parte dei casi, se non c'è un editore vero e proprio c'è però sempre un responsabile della pubblicazione nel ruolo di committente: su quest'ultimo, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe ricadere l'onere del deposito68.
Non hanno univocamente interpretato la norma, per prime, le associazioni di categoria: torno a fare riferimento al già citato documento della CNA: «non si può infatti pensare che le aziende, che lavorano quasi esclusivamente su commessa, possano o debbano sostituirsi al committente, con conseguente aggravio degli adempimenti a carico delle imprese stesse»69; e a quello della Claai: «gli imprenditori del settore sono chiamati a provvedere, in assenza dell'editore, al deposito legale di ciò che esce dalle loro rotative e macchine da stampa»70.
La corretta attuazione della norma presuppone in effetti il coinvolgimento di soggetti terzi (i committenti) che presumibilmente la ignorano; a questo riguardo appare difficile provvedere, in mancanza di campagne di comunicazione mirata (difficili anche solo da immaginare), senza che subentrino i tipografi stessi, non per procedere direttamente al deposito, bensì per "notificare" al committente l'obbligo che, proprio in quanto tale, questi si trova ad assumere su di sé. Forse più semplice sarebbe, almeno per determinate categorie di documenti come i manifesti, stabilire che debba farsi carico dell'invio direttamente il tipografo. In vista di una soluzione in questi termini, l'Amministrazione dei beni culturali potrebbe richiedere al Ministero degli interni l'emanazione di un'informativa alle Prefetture, già detentrici dei registri delle imprese tipografiche, perché sollecitino in tal senso l'attenzione di queste (mi risulta del resto che sia già previsto un intervento analogo, allo scopo di sensibilizzare le Prefetture, alcune delle quali sulla base di un malinteso recepimento della nuova normativa richiedono ora agli editori l'invio delle pubblicazioni, ritenendo di dover ancora fare da tramite, solo rispetto a un diverso soggetto!).
Naturalmente l'obbligo per il committente non insorgerebbe automaticamente a ogni commessa, ma solo in presenza delle tipologie di documenti soggette alla legge, con l'esclusione pertanto delle fattispecie elencate nel regolamento all'articolo 8. Tra queste, è stata più volte lamentata dai nostri interlocutori la genericità dell'espressione «materiale di ordinaria e minuta pubblicità per il commercio» (punto f), rimarcando come particolarmente discutibile la scelta dell'aggettivo «minuta», che induce all'equivoco: per citare un caso concreto, quale sarà la sorte di manifesti di grande formato - quindi tutt'altro che minuti - che pubblicizzino per esempio le offerte in liquidazione di un esercizio commerciale? In effetti la categoria della pubblicità per il commercio può estendersi, alla luce della pratica, anche fino a comprendere quelle pubblicazioni, per lo più periodici formato giornale, di soli annunci economici e pubblicitari (le varie Pulci, i Mercatini, tutta la compravendita immobiliare ecc.); queste risultano spesso anche di rilevante consistenza, ma certamente non sono significative al fine di documentare la cultura; mentre, per quel tanto che testimonino della vita sociale, a mio giudizio sarebbe sufficiente semmai conservarli a campione - una modalità di documentazione che gli istituti depositari, limitatamente ad alcune fattispecie documentali, dovrebbero prendere in considerazione più di quanto non sia nelle nostre tradizioni.

6.2 Sede legale vs sede amministrativa; il caso dei giornali

Un'altra circostanza rispetto alla quale le disposizioni del regolamento non arrivano a soddisfare i problemi specifici posti dalla fenomenologia dei documenti, è quella degli editori che abbiano sede legale in un luogo e sede amministrativa altrove, in una diversa provincia o addirittura in un'altra regione; naturalmente la questione si pone solo con riguardo alle pubblicazioni destinate all'archivio regionale, per l'individuazione degli istituti depositari locali. In teoria la sede rilevante dovrebbe essere quella legale, ma in pratica la soluzione è controversa a seconda dei casi.
Per alcuni aspetti infatti il conflitto tra le due diverse sedi è in tutto assimilabile al caso delle variazioni derivanti dall'individuazione del soggetto obbligato nell'editore al posto del tipografo, per cui molte biblioteche depositarie si sono trovate a scambiarsi onori e oneri (è sufficiente credo citare il caso delle edizioni Mondadori, già depositate in parte a Verona e in parte a Trento, e tutte destinate ora a Milano); a questo tipo di variazioni peraltro si era preparati.
I problemi si manifestano però con riguardo alla stampa d'informazione, laddove le circostanze conducano a spostare, poniamo, x alla provincia y il deposito di una testata a diffusione locale dal titolo Il giornale della provincia di x: ha senso archiviare nella biblioteca di y (che magari è anche in una diversa regione) un giornale di così stretto interesse locale? Non va tenuto conto in alcun modo dei contenuti? La situazione non è meno critica nel caso della stampa d'informazione di rilievo e diffusione pluriregionale e nazionale, con riguardo alle ormai numerosissime edizioni locali dei principali quotidiani (Il messaggero di Roma, ad esempio, esce quotidianamente in tredici edizioni, riferite a varie province non solo del Lazio ma anche di Abruzzo, Umbria, Marche). A questo proposito, il già citato gruppo di lavoro costituito presso la Direzione generale per i beni librari71è orientato a privilegiare il deposito presso l'istituto operante sul territorio (provincia, regione) più prossimo al contenuto delle pubblicazioni; sarà opportuno però intraprendere la strada di accordi ad hoc con gli editori (anche opportunamente avvalendosi dell'interesse manifestato da FIEG e USPI72), perché la casistica, come è già evidente per molti dei quotidiani maggiori, non è circoscrivibile al conflitto tra sede legale e amministrativa, ma riguarda nel suo complesso il fenomeno (in continuo sviluppo) delle edizioni locali73.

7 Archivio nazionale e archivio regionale

7.1 Il modello di conservazione su più livelli

Non casualmente alle infrastrutture fondanti del deposito come lo disegna la nuova normativa, i due archivi nazionale e regionale, arriviamo soltanto dopo aver passato in rassegna diverse tipologie di documenti e le relative sfaccettature - diciamo la parte emersa di un iceberg, però bastante, mi auguro, a darci le coordinate per la sua circumnavigazione.
Fare chiarezza rispetto ai documenti mi appare infatti la premessa indispensabile per realizzare un modello razionale di deposito, sulla base di questa legge, nel sistema bibliotecario italiano. Come già ricordato, concordo perfettamente con la tendenza a escludere l'esaustività del deposito (all and for ever), e riporto per esteso un passo pregnante dell'articolo di Vitiello che mi esime dal ripetere meno efficacemente gli stessi concetti: «Il simultaneo perseguimento di tutte le finalità in tutte le istituzioni depositarie per tutti i documenti non può che portare a una lievitazione anomala dei costi o, come è più probabile, a una politica inerte di sviluppo delle collezioni, che comprenderà un immagazzinamento senza selezione, una produzione bibliografica senza strategia, una raccolta svolta al di fuori di ogni contesto politico e biblioteconomico»74. L'alternativa all'esaustività, per Vitiello, è la pratica di una selezione che pure la persegua, ma solo all'interno di alcuni «filoni di raccolta»75. A questo modello (organico all'accentramento funzionale auspicato dall'autore) vorrei contrapporre un'ipotesi diversa, che potrebbe innestarsi meno traumaticamente sulla nuova normativa, e sulla realtà del deposito diffuso già costituito a livello provinciale (con quella terza copia che le regioni sarebbero orientate a mantenere presso i medesimi istituti che l'hanno ricevuta finora). Il modello, che l'AIB non ha cessato di promuovere durante tutto l'iter della normativa, è quello della conservazione su più livelli, accompagnato dalla pratica dell'acquisizione consapevole di cui ho cercato di esporre fin qui le ragioni.
In breve - ma non senza rimandare a qualche lettura che possa meglio chiarire le radici del modello nella riflessione biblioteconomica italiana76 - l'insieme dei documenti rispondenti alle finalità della legge dovrebbe distribuirsi tra archivio nazionale e archivio regionale allo stesso modo in cui si raffigurano graficamente due insiemi in parziale sovrapposizione: la zona di sovrapposizione - immaginiamola ampia - indica documenti che entrambi gli archivi raccolgono e rendono accessibili, differenziandosi però rispetto alla loro valorizzazione e al livello di investimenti per la loro conservazione nel lungo termine; le due zone che non s'intersecano comprendono, da una parte, documenti di spiccata rilevanza nazionale (esempio: pubblicazioni di particolare pregio ecc.), e dall'altra documenti d'interesse specificamente locale (esempio: alcuni materiali minori, documentazione di enti e associazioni territoriali, stampa d'informazione a contenuto e diffusione strettamente locale ecc.); alcuni tra questi ultimi documenti potrebbero essere reperibili solo presso le tipografie perché non riconducibili all'editoria tradizionale.
L'articolazione delle funzioni dei due archivi si baserebbe ovviamente su rapporti di forte cooperazione, ma è forse prematuro disegnarla in dettaglio nel momento in cui si manifesta una forte volontà di riforma dei servizi bibliografici nazionali e in particolare delle due biblioteche nazionali centrali; fermo restando che l'archivio regionale, nella molteplicità dei singoli archivi di cui si compone, curerà particolarmente la conservazione, la valorizzazione e l'accesso ai documenti di precipuo interesse locale prodotti sul territorio, sfuggendo per quanto possibile a una logica di piatta duplicazione di funzioni e puntando piuttosto ad attivare fenomeni di sinergia nei confronti del livello nazionale (all'interno del quale, si auspica, dovrebbe riprodursi un analogo circuito virtuoso tra le due biblioteche nazionali centrali).
Il modello di conservazione su più livelli non si costruisce soltanto a partire dal grado dirilevanza dei documenti, ma naturalmente anche dalla loro tipologia: di quest'ultimo aspetto però la legge già tiene conto, nell'articolazione dell'archivio nazionale tra varie istituzioni specializzate per tipi di documenti; ed è probabile che anche le singole regioni, ove possibile, opteranno per un'articolazione tipologica degli archivi (editoriale tradizionale, sonoro, filmico, grafico ecc.). Sono proprio la differenziazione e l'integrazione reciproca degli archivi in base al grado di rilevanza dei documenti, invece, a non essere esplicitamente considerate dalla normativa e a rendere difficile la realizzazione del modello. Una possibile via per conseguirla, nel regolamento, si può individuare però al comma 2, lettera b), dell'articolo 5 (Raccolta e conservazione dei documenti), ove si afferma che gli istituti depositari sono tenuti ad «assicurare, ognuno per le proprie competenze e specificità, non appena concluse le procedure gestionali, l'accesso ai documenti, nel rispetto delle norme sul diritto d'autore e sui diritti connessi»77: non dubito che questo riferimento a differenti competenze e specificità sia stato introdotto pensando esclusivamente alle differenti tipologiedei documenti; non per questo, mi pare, sarebbe meno opportuno interpretarlo anche con riguardo al grado di rilevanza - almeno relativamente all'accesso, per attenersi strettamente al testo di legge se allontanarsi dal modello di esaustività fin dalla raccolta dovesse apparire ancora troppo traumatico. L'individuazione di criteri di priorità da applicare a documenti di differente rilevanza, criteri da definirsi appunto sulla base delle competenze e specificità di ciascun archivio (Roma vs Firenze così come nazionale vs regionale) allontanerebbe in buona parte i rischi lucidamente indicati da Vitiello (dalla lievitazione anomala dei costi alla politica inerte di sviluppo delle collezioni, dall'immagazzinamento senza selezione alla produzione bibliografica senza strategia e via dicendo); proprio a questi rischi invece una piatta, non coordinata applicazione della legge ci esporrebbe irrimediabilmente.

7.2 Possibili modelli di archivio regionale

L'archivio regionale delle pubblicazioni risulterà come ovvio dalla giustapposizione degli archivi delle singole regioni, ciascuno dei quali potrà essere organizzato secondo un proprio modello, non necessariamente allineato con gli altri. Questa possibilità di applicare la normativa anche tramite forme organizzative dissimili da una parte all'altra della penisola (che per taluni è fonte di grande preoccupazione) mi pare invece un'opportunità da valutare positivamente, se si riuscirà a modellarla in modo costruttivo sulle specifiche situazioni, sfruttando strutture preesistenti (se riconosciute valide e adeguate), esperienze acquisite, potenzialità latenti; e augurandosi invece che non si perseveri per pura forza d'inerzia in un'eventuale passata gestione riduttiva o distorta dei fondi acquisiti per la via del deposito.
Naturalmente, non fosse altro che per la necessità di coordinamento con l'archivio nazionale, si dovrà fare riferimento a un qualche ruolo di regìa: questo, fin dalla fase di elaborazione del testo del regolamento, è stata esercitata di fatto dai rappresentanti designati dal Coordinamento per la cultura delle regioni e province autonome; essi hanno reso possibile inoltre, già in quella fase, rapportarsi ulteriormente con il Comitato nazionale ANCI-UPI-Regioni operante sulla base delle Linee di politica bibliotecaria per le autonomie78. La circostanza non è irrilevante, poiché ha consentito e consentirà una costante valutazione delle istanze collegate al deposito legale anche presso i tavoli di lavoro del Comitato; si immagina facilmente, infine, che figure di analogo profilo saranno chiamate a rappresentare regioni ed enti locali nella Commissione per il deposito legale di cui all'articolo 42 del Regolamento, e ad accompagnare quindi nel tempo l'applicazione della normativa. Ruoli e interlocutori, per gli uffici regionali competenti in materia di biblioteche, dovrebbero quindi essere abbastanza chiari, fermo restando che al termine di questa fase organizzativa, ai sensi dell'articolo 4 del regolamento (Archivi delle produzioni editoriali regionali), interverrà il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
I modelli di archivio regionale scaturiranno proprio dall'organizzazione che ciascuna Regione si darà in recepimento del suddetto articolo 4, per la stesura del quale il confronto con i rappresentanti del Coordinamento è stato a suo tempo determinante, a partire dalla richiesta di due copie di ogni pubblicazione per l'archivio regionale, invece dell'unica copia prevista fin dal Contributo tecnico dell'AIB. Questa richiesta, motivata dalla necessità (che personalmente condivido) di conciliare le istanze della conservazione con quelle dell'accesso e della circolazione dei documenti, e poi fortemente difesa da ANCI, UPI e regioni (contro le obiezioni dell'AIE e le preoccupazioni dell'AIB, specie riguardo ai costi di gestione), è stata infine espressa con la locuzione un po' perversa che richiede il deposito «di ulteriori copie dei documenti, in numero non superiore a due»79 - il che per l'archivio nazionale gestito dalle due biblioteche nazionali centrali non può dar luogo a equivoco, ma per quello regionale sembra lasciare la possibilità di scelta (alle regioni?) tra l'acquisizione di una oppure due copie. L'effettivo esercizio di questa opzione, a quanto mi risulta, viene preso in seria considerazione al momento esclusivamente dalle regioni Lazio e Toscana, per via dell'incidenza sul medesimo territorio di una biblioteca nazionale centrale: in aggiunta alle varie provinciali, la presenza di questa renderebbe ridondante la costituzione di un ulteriore archivio regionale. Il ragionamento non fa una piega, se non ci si discosta dalla logica della pura e semplice duplicazione di funzioni; pensando in termini di conservazione su più livelli l'ulteriore archivio potrebbe invece ben diversamente valorizzare l'editoria della regione.
Non c'è un'unica ricetta da indicare, a fronte delle perplessità e delle preoccupazioni ormai tardive sui costi di gestione dei due esemplari; mentre sorgono e si moltiplicano nel frattempo tanti problemi concreti, sia pure minori, dalla già richiamata confusione tra sede legale e sede amministrativa, fino al fatto che in alcune regioni, le quali in piena convinzione vorrebbero ora ricevere le due copie, gli editori sostengono di essere tenuti per il momento a inviarne soltanto una, sulla base di un'erronea interpretazione dell'articolo 4, comma 6, del regolamento....80.
Al tempo stesso c'è da additare qualche buona pratica, quale ad esempio l'organizzazione che si è data per tempo la Regione Toscana, in cui il modello prescelto per la realizzazione dell'archivio regionale è affiancato dall'apprezzabile ed esaustiva informazione on-line sul relativo sito, evidenziata col titolo Deposita un libro là dove si conserva la tua memoria81.
Nella sostanza, un po' per tutte le regioni sembra prevalere l'orientamento verso un modello di archivio decentrato, nelle due possibilità di un decentramento totale o parziale: ovvero, verranno mantenute le biblioteche depositarie in ciascuna provincia, che potranno ricevere e gestire direttamente entrambe le copie previste, nel primo caso; mentre nel secondo una copia andrà alle biblioteche provinciali e l'altra andrà a costituire un unico ulteriore archivio, regionale questo, di nome e di fatto, cui (probabilmente) verrà affidata la funzione di conservazione nel lungo termine.
In questo quadro, quello rappresentato dalla Toscana è uno dei possibili modelli di archivio regionale, che potremmo definire distribuito: indipendentemente dalla scelta che si effettuerà tra l'acquisizione di una o due copie infatti, oltre al mantenimento del deposito presso le biblioteche provinciali sono stati chiamati in causa altri istituti specializzati, rispettivamente, in letteratura per ragazzi, documenti audiovisivi, grafica e arte contemporanea.82.
Un'altra tendenza interessante, rispetto alla quale però mancano ancora modelli concreti di riferimento, è quella che nella struttura della nuova normativa interpreta la gamba dell'archivio regionale soprattutto come un'opportunità per sviluppare ed estendere il fronte dei servizi, con la terza copia acquisita, senza soluzione di continuità col passato, in biblioteche depositarie che contemperino conservazione e fruizione, e la quarta copia destinata a magazzini condivisi (gestiti in regime consortile fra Stato, enti locali ed eventuali altri soggetti), strutture su cui incardinare specifici servizi, ad esempio di circolazione dei documenti 83.
Quest'idea è in sintonia con altre analisi recenti (sia pure non specificamente rivolte alle problematiche del deposito legale) sulla gestione condivisa delle raccolte e sull'adozione di depositi interistituzionali84.
Un ultimo accenno alla posizione particolare delle biblioteche pubbliche statali laddove esse esercitino il ruolo di istituti depositari territoriali: di per sé questi istituti parteciperebbero di quelle competenze statali in ordine all'esercizio della tutela (Codice dei beni culturali alla mano), che invece, con riguardo all'archivio regionale delle pubblicazioni, il regolamento all'articolo 4, comma 5, ha espressamente riferito alle regioni. Quest'ultimo è senza dubbio un aspetto critico della nuova normativa, i cui risvolti pratici vanno chiariti al più presto (i documenti pervenuti a una biblioteca pubblica statale nel quadro del deposito regionale corrispondono a una forma di deposito permanente? Chi li prende in carico, chi può disporne ai fini di un'esposizione?...). Francamente però ritengo che queste problematiche siano più facilmente gestibili di altre qui rappresentate, purché sussista quella volontà di cooperazione interistituzionale per la quale gli strumenti non mancano: «si sta facendo oggi strada nell'odierna cultura amministrativa e bibliotecaria italiana l'idea della così detta interistituzionalità, vale a dire la consapevolezza che determinati risultati strutturalmente rilevanti possono essere raggiunti solo mediante accordi di programma tra amministrazioni diverse, sia locali che statali [...] per la diffusione sul territorio italiano di un certo numero di istituti bibliotecari a carattere portante di cui si avverte il bisogno e sui quali potrebbero utilmente essere appoggiati diversi altri servizi a carattere regionale e locale»85.

7.3 Un nuovo patto tra editori e biblioteche

Prima di passare alle conclusioni vorrei mettere in evidenza altre opportunità di cui l'archivio regionale è potenzialmente portatore, e che riguardano il versante dei rapporti tra istituzioni depositarie e soggetti obbligati, a partire dalla constatazione (che dava lo spunto a una recente tavola rotonda tra editori e biblioteche tenutasi a Forlì) che la nuova legge, istituendo finalmente un rapporto diretto tra le parti, può costituire l'occasione per realizzare tra queste una sorta di "nuovo patto", rivolto allo sviluppo di nuove ed efficaci politiche per il libro, e infine della cultura e dell'economia proprio a partire dal livello territoriale86.
Finora, e forse proprio per la mancanza di relazioni dirette, gli editori non sono apparsi consapevoli dei potenziali vantaggi dell'archiviazione certa e costante di ogni loro prodotto in luoghi determinati; basti citare ad esempio il caso dei quotidiani, gli editori dei quali non mantengono archivi storici delle copie dei loro giornali per evidenti difficoltà di spazio87, salvo venirle a chiedere anche a decenni di distanza proprio alle biblioteche, per le motivazioni più varie (celebrazioni, ricerche, contenziosi ecc.). Il discorso può allargarsi all'editoria medio-piccola di ogni tipo, e mi piace ricordare in questo contesto alcune riflessioni di grande interesse emerse in occasione della passata edizione ferrarese di Conservare il Novecento, dedicata al tema Le memorie del libro: ricordava Luisa Finocchi che mentre la Francia ha realizzato con l'IMEC-Insitut mémoire de l'édition contémporaine88, un modello accentrato di raccolta degli archivi editoriali, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, che opera da sempre per la valorizzazione della memoria del lavoro editoriale in Italia, ha allargato recentemente il bacino territoriale di dispiegamento della propria strategia, proprio tenendo conto della specificità del nostro paese, sperimentando nuove proposte di valorizzazione in loco del patrimonio conservato, anche grazie alla collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali, le regioni, enti e istituzioni locali, università, ecc.89. Mi pare evidente il parallelismo con la specificità del nostro deposito regionale, che ben potrebbe estendere la politica di valorizzazione che la legge gli affida diventando luogo di applicazione di nuove intese, volte a salvaguardare non solo i prodotti ma in generale una più ampia memoria del lavoro editoriale sul territorio, anche nel solco dell'opera di censimento degli archivi così ben avviata dalla Fondazione.90
Infine, dal punto di vista ravvicinato di cui gode l'archivio regionale sarà opportuno avviare un dialogo diretto anche con i tipografi, non più soggetti obbligati al deposito in prima battuta, ma destinati a subentrarvi, come si è già ricordato, specie con riguardo a documenti come il materiale minore, i manifesti, in generale tutti quegli stampati marginali ai circuiti tradizionali dell'editoria, molti dei quali rilevanti per il conseguimento delle finalità della legge ma a rischio di esserne tagliati fuori. Contatti diretti, censimenti, iniziative di sensibilizzazione alle finalità del deposito e di valorizzazione della produzione tipografico-editoriale legata al territorio, sono tutte possibili buone pratiche che dovrebbero condurre nel tempo a un'efficace applicazione della normativa. Sarebbe anche questo un appropriato esercizio di quelle su richiamate competenze e specificità,che vanno opportunamente a integrare il differente livello dell'archivio nazionale laddove questo razionalmente ed economicamente non può arrivare.

8 Conclusioni

La nuova normativa soffre in generale di un impianto scaturito in uno scenario datato, pregno di aspettative di riforma nei cui sviluppi odierni non si riconosce però, rispetto al punto di partenza, l'esito di un percorso lineare. Il contesto attuale, rispetto alla legge, è imprevisto e disomogeneo, dai servizi bibliografici centrali che da circa trent'anni attendono di essere ridefiniti secondo un assetto più razionale ed economico, a quelli periferici che hanno nel frattempo viaggiato su un doppio binario, alcuni su quello di un'alta velocità ante litteram, altri ancora troppo lentamente; tutti in attesa di mettere in pratica strumenti di cooperazione interistituzionale, a partire da quelli previsti dal Codice per i beni culturali, di cui si devono fare ancora le prove generali. Ancora, alla genericità della legge (in sé un potenziale fattore positivo) non ha risposto esaurientemente il regolamento, il cui intento definitorio già si rivela insufficiente a contenere la moltitudine di problemi pratici posti dalla stessa varietà dei documenti, e il cui impianto, quanto all'individuazione delle funzioni e alla loro ripartizione tra le istituzioni depositarie, non si discosta da quel modello del tutte le finalità in tutte le istituzioni depositarie per tutti i documenti che molti ormai giudicano inadeguato - con l'aggravante (o la bacchetta magica, a seconda dei punti di vista) del costo zero.
A questo punto mi augurerei che fosse, paradossalmente, il contesto ad adeguarsi alla nuova normativa: questa riforma del deposito legale - certamente fallita se ci si aspettava che portasse con sé anche la riforma dei servizi bibliografici nazionali e definisse concreti modelli di collaborazione e sinergia tra le varie istituzioni coinvolte - può trasformarsi in una nuova occasione per rilanciare proprio queste stesse istanze: non a caso si registrano oggi più sollecitazioni convergenti sul tema della ridefinizione dei servizi e delle strutture centrali, né è da escludere che l'attuazione delle norme sull'archivio regionale possa imprimere un'accelerazione anche allo sviluppo di quelle realtà bibliotecarie localmente meno sviluppate. Certo, qualche stanziamento in bilancio che si possa ricondurre a una voce "deposito legale" bisognerà pure introdurlo.
Da parte loro le norme contengono alcuni strumenti minimi, che vanno utilizzati al meglio e se necessario forzati, per conseguire maggior flessibilità: uno è l'accenno alle competenze e specificità dei singoli istituti depositari; ma penso poi soprattutto alla Commissione per il deposito legale di cui all'articolo 42 del regolamento91. Quest'ultima, riunendo al suo interno i rappresentanti degli istituti depositari (componenti di diritto che possono riunirsi anche da soli)92 e dei soggetti obbligati (che possono essere convocati in relazione agli argomenti trattati), ed avendo tra le sue prerogative alcune forme di competenza sui documenti (che sono un imprescindibile punto di partenza per il miglioramento nell'applicazione delle norme), va ritenuta la vera cabina di regia della nuova legge; ne va sollecitata l'immediata nomina, al posto delle pur utili ma di corto respiro task force che sono temporaneamente all'opera.
Come si è constatato trattando dei video d'artista, per alcune categorie di documenti il passaggio dalla fase di prima applicazione a una che possa definirsi a regime non è difficile, ma al momento decisamente impossibile: e il confronto tra responsabili degli istituti depositari e soggetti obbligati, all'interno della Commissione per il deposito legale è l'unica possibile via per individuare e successivamente emanare i provvedimenti necessari (anche amministrativi) a mettere in atto le disposizioni di legge.
In conclusione, dall'uso che si farà di questi strumenti minimi che la legge stessa si è data, dalla ridefinizione dei servizi bibliografici nazionali a partire dalla realizzazione di un'effettiva sinergia tra le risorse delle due biblioteche nazionali centrali, e dalla capacità di coordinamento tra archivio nazionale e archivio regionale in un'ottica di sistema, dipenderà in larga misura il buon esito di questa riforma; con il corollario, avvalorato spero dall'analisi condotta in questa sede, che spesso sono le caratteristiche stesse dei documenti a farci da guida nella scelta delle soluzioni più opportune per raccoglierli, conservarli, renderli accessibili.

NOTE

[1] Giovanni Cecchini, Una legge da rifare: quella sul diritto di stampa, «Mondo grafico», 1946, n. 2/3, p. 8-11. Per la storia del deposito legale in Italia, a partire dall'Editto albertino del 1848, vedi Paolo Traniello, La legislazione italiana sul deposito obbligatorio: l'eredità ottocentesca, «Bollettino AIB», 35 (1995), n. 2, p. 221-231, e Id., Storia delle biblioteche in Italia: dall'Unità a oggi, Bologna: Il mulino, 2002. La legge 2 febbraio 1939, n. 374 e il relativo regolamento (r.d. 12 dicembre 1940, n. 2052), come modificati dal d.l. lgt. 31 agosto 1945, n. 660, prevedevano che i tipografi trasmettessero quattro copie di ogni stampato alla locale Prefettura, e una copia alla Procura; le prime quattro erano inoltrate rispettivamente alle due biblioteche nazionali centrali di Firenze e Roma, alla Presidenza del Consiglio (che successivamente la inviava alla BNC di Roma), a una biblioteca designata nell'ambito della Provincia (è questa la cosiddetta terza copia); la Procura inoltrava la sua copia al Ministero di grazia e giustizia, che tratteneva le pubblicazioni giuridiche e destinava variamente le restanti pubblicazioni ad altri istituti. Le vecchie disposizioni, oltre a ostacolare le biblioteche nell'acquisizione tempestiva e completa delle pubblicazioni e nei rapporti con gli editori responsabili, si riferivano naturalmente solo a stampati di tipo tradizionale, e anche per questo motivo erano ormai largamente inadeguate. Per un'introduzione alla nuova legge (e il testo di questa), con riferimento alle maggiori problematiche ancora "in corso d'opera", segnalo lo Speciale deposito legale a cura della CNBSN, «AIB Notizie», 16 (2004), n. 6, p. I-XVI.

[2] Per affrontare la fase di prima applicazione della legge, la Direzione generale per i beni librari ha nominato un gruppo di lavoro ad hoc, che ha il compito di raccogliere tutte le istanze di chiarimento e di informazione al riguardo, e ha realizzato una pagina web dedicata al deposito legale, in continuo aggiornamento, <http://www.librari.beniculturali.it/generaNews.jsp?id=18>, con il link ai testi normativi e all'elenco delle biblioteche depositarie sul territorio. (Tutti i siti citati nell'articolo sono stati visitati il 6 marzo 2007).

[3] Un elenco completo della letteratura al riguardo, trattandosi - come si è detto - di un tema discusso fin dal dopoguerra, appesantirebbe troppo il presente contributo. Mi limito a ricordare il lavoro di Giuseppe Vitiello, Il deposito legale nell'Europa comunitaria, Milano: Editrice Bibliografica, 1994, che ha il pregio di un approccio comparativo e un'esauriente bibliografia, generale e articolata per nazioni.

[4] Vedi le osservazioni dell'Associazione: <https://www.aib.it/aib/commiss/cnsbnt/depleg05.htm>.

[5] Giuseppe Vitiello, Come si consolida un'anomalia bibliotecaria. A proposito della nuova legge sul deposito legale in Italia, «;Biblioteche oggi», 25 (2007), n. 1, p. 9-20. Alla nota 10 (p. 20) Vitiello cita alcuni contributi recenti alla riflessione sul deposito legale in Italia: spiace notare che gli sono sfuggiti tutti gli interventi al riguardo della CNBSN (per i quali vedi <https://www.aib.it/aib/commiss/cnsbnt/cnsbnt.htm>), e in particolare il già citato Speciale deposito legale del 2004.

[6] Vedi la legge 2 febbraio 1939, n. 467, sul riordinamento della Discoteca di Stato; il d.l. lgt. 1° marzo 1945, n. 82, sul deposito delle pubblicazioni «interessanti la scienza, la tecnica o la ricostruzione» presso il Consiglio nazionale delle ricerche; la legge 20 dicembre 1949, n. 958 sul deposito di film presso la Cineteca nazionale. Per completezza cito qui anche il d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 sul riordinamento della docenza universitaria, che all'articolo 73 dispone il deposito delle tesi di dottorato presso le due biblioteche nazionali centrali (che devono assicurarne la pubblica consultabilità per non meno di trenta anni); questo provvedimento tuttora vigente, a differenza degli altri su citati, non è stato ricompreso nella nuova normativa sul deposito legale. Mi risulta che per il futuro le due biblioteche nazionali centrali sono orientate a chiedere il deposito delle tesi esclusivamente in formato elettronico.

[7] Si rifletteva in questo «una concezione della cultura e del libro che potremmo dire "assistenziale", poiché finora si tendeva a pensare che più copie lo Stato otteneva d'un libro, più poteva beneficare i suoi organismi (Parlamento, CNR, Presidenza del Consiglio, Biblioteca del Ministero di Giustizia, carceri, ecc.)»: Anna Maria Mandillo, Il deposito obbligatorio degli stampati 2: Applicazione, problemi, proposte, «Bollettino d'informazioni AIB», 17 (1977), n. 4, p. 308-315, in part. p. 315.

[8] Tra i molti contributi volti ad illustrare le "pecche" della vecchia normativa, segnalo come più che esaustivi tre articoli apparsi nel 1977: Anna Maria Mandillo, Per una nuova legge sul diritto di stampa, «Bollettino d'informazioni AIB», 17 (1977), n. 1, p. 16-19; Ludovica Mazzola, Il deposito obbligatorio degli stampati 1: Legislazione, «Bollettino d'informazioni AIB», 17 (1977), n. 4, p. 307-308; Anna Maria Mandillo, Il deposito obbligatorio degli stampati cit. Può risultare utile seguire, in parallelo, il quadro sinteticamente tratteggiato da Vitiello (Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit.), sull'evoluzione dell'istituto del deposito a livello internazionale nel corso degli ultimi decenni del Novecento.

[9] Per una rassegna completa rimando a Giuseppe Vitiello, Il deposito legale nell'Europa comunitaria cit.

[10] Jean Lunn, Guidelines for legal deposit legislation, Paris: Unesco, 1981, p. 3 (la traduzione e il corsivo sono miei).

[11] La relazione del Ministro è integralmente riportata in nota, insieme alla legge del 1939, nella Gazzetta ufficiale del 4-6 marzo 1939, n. 53-54, p. 432-433.

[12] Legge 26 maggio 1932, n. 654, art. 1.

[13] Giuseppe Vitiello, Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit., p. 11. In merito all'atteggiamento degli editori mi riferisco più al panorama internazionale che alla specificità della situazione italiana presente, su cui vedi più avanti.

[14] Per una panoramica di alcune questioni legate al deposito provinciale vedi Indagine sulle biblioteche depositarie di copia d'obbligo per la provincia, a cura della Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali dell'AIB, «AIB Notizie», 18 (2006), n. 3/4, p. I-XVI

[15] Per esempio, ho appreso di una biblioteca in forte imbarazzo rispetto alle pubblicazioni a carattere giuridico che si trova ora improvvisamente a ricevere, da un editore specializzato che stampa in una diversa provincia, perché esse sarebbero non congruenti con il profilo delle sue raccolte e con quella che ha ritenuto finora la sua missione.

[16] Recita infatti l'articolo 4, comma 2 del Regolamento: «Ciascuna regione e ciascuna provincia autonoma, previa consultazione con le associazioni degli enti locali e con gli istituti interessati, propone alla Conferenza unificata, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento [perciò entro il 2 giugno 2007], l'elenco degli istituti destinati a conservare i documenti di cui al comma 1, pubblicati nel proprio territorio» (il corsivo è mio). Mi pare assolutamente verosimile l'ipotesi di una biblioteca che, ritenendo la gestione del deposito legale penalizzante rispetto al suo profilo e al suo bacino di riferimento, rappresenti il problema al suo interlocutore Regione, e che questa possa opportunamente individuare un altro istituto.

[17] Nella terminologia di Gérard Genette (Seuils, Paris: Editions du Seuils, 1989) il paratesto, a seconda dell'ubicazione delle sue manifestazioni, si articola in peritesto, costituito da tutto ciò che è fisicamente prossimo al testo nello spazio dell'oggetto libro (illustrazioni, sopraccoperta, fascetta ecc.), ed epitesto, che è quanto, pur essendo attinente al testo, si trova all'esterno del libro, per lo più prodotto in ambito "mediatico": interviste, conversazioni, corrispondenze, recensioni ecc.

[18] Regolamento di esecuzione della legge 15 aprile 2004, n. 106: bozza del 9 febbraio 2005: osservazioni dell'Associazione italiana editori, Milano, 15 febbraio 2005 [dattiloscritto, per la cortesia di Anna Maria Mandillo].

[19] Mi pare significativo a questo proposito il testo del comunicato stampa emanato congiuntamente da FIEG e USPI il 23 ottobre 2006, dopo il raggiungimento di un accordo sulla spedizione cumulativa delle copie d'obbligo dei giornali e dei periodici con la BNC di Roma: «Si semplificano e razionalizzano le procedure burocratiche del deposito legale, limitando le consegne e i costi per le case editrici. L'accordo dimostra come il dialogo costruttivo tra imprese e pubblica amministrazione possa mitigare l'impatto di provvedimenti normativi non sempre di facile attuazione. FIEG e USPI esprimono vivo apprezzamento per la collaborazione [...] nel venire incontro agli editori, gravati da questo ulteriore onere» (vedi http://www.uspi.it). Pur se permane l'idea dell'onere, l'accordo, sollecitato da FIEG e USPI e concluso poi anche con la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, rappresenta un segnale importante di una nuova attenzione del mondo dell'editoria nei confronti dell'istituto del deposito legale.

[20] Quattro domande sul deposito legale. Rispondono i direttori della biblioteche nazionali centrali, in Speciale deposito legale, a cura della Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali AIB, "AIB Notizie", 16 (2004), n. 6, p. VI

[21] Vedi nota 18.

[22] In tema di riforme e volontà di concertazione, mi pare interessante da segnalare il metodo adottato dalla Presidenza del Consiglio in vista di una nuova legge per l'editoria: sul sito del Governo è disponibile un Questionario sulla riforma dell'editoria di cui si propone la compilazione da parte di tutti i soggetti interessati, i cui dati verranno analizzati ai fini della redazione del prossimo progetto di legge. Riporto il testo di una domanda significativa: «Cosa intendete per prodotto editoriale, ed in particolare, ritenete sufficiente ed esaustiva la dizione dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 62 del 2001 ovvero ritenete necessaria una puntuale definizione delle fattispecie quali il giornale, il periodico, il libro, l'editoria elettronica, le rassegne stampa ecc., ai fini di una più chiara individuazione della loro natura giuridica ed economica, anche in considerazione di quanto già definito in materia di diritto d'autore, sia in ambito nazionale che comunitario?» (vedi http://www.governo.it/Presidenza/DIE/questionario.html). Sarebbe opportuno confrontare gli esiti di questa indagine con la terminologia e le definizioni adottate nel regolamento del deposito legale, anche in vista di futuri interventi della Commissione per il deposito legale di cui all'articolo 42 del regolamento medesimo.

[23] Il Gruppo AIB sulle biblioteche digitali e un gruppo di studio costituito presso la Direzione generale per i beni librari che si è avvalso della consulenza di esperti: vedi Proposte tecniche per il deposito dei "documenti diffusi tramite rete informatica", appunti di lavoro preparati da Giovanni Bergamin,<https://www.aib.it/aib/cg/gbdigd05.htm3#n01>.

[24] Libero Rossi, Biblioteche statali: a che punto siamo? Alcune domande a Luciano Scala, direttore generale per i beni librari e gli istituti culturali, «Biblioteche oggi», 24 (2006), n. 9, p. 14-18

[25] In questo senso registro anche la posizione di Giuseppe Vitiello, Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit. p. 19, che suggerisce alle due biblioteche nazionali centrali di elaborare "un regolamento mirante a escludere determinate categorie di materiale (e, più in particolare, le ristampe)".

[26] G. Thomas Tanselle, Letteratura e manufatti, traduzione di Luigi Crocetti; introduzione di Neil Harris, Firenze: Le lettere, 2004, p. 43.

[27] Tommaso Giordano, Le collezioni non abitano più qui? Conservazione e strategie di cooperazione in transizione, «Biblioteche oggi», 24 (2006), n. 2, p. 91.

[28] < https://www.aib.it/aib/commiss/cnsbnt/deposito.htm>.

[29] Norme sulla consegna obbligatoria degli stampati e delle pubblicazioni, disegno di legge d'iniziativa dei senatori Chiarante, Ruhl Bonazzola, Procacci, Mascagni e Salvucci (Atto Senato N. 1283).

[30] < https://www.aib.it/aib/editoria/n10/98-04ipot.htm>.

[31] Decret 31-12-1993, n. 93/1429 relatif au dépôt légal, art. 8 (vedi < http://www.legifrance.gouv.fr>).

[32] Norme relative al funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Roma e della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, disegno di legge d'iniziativa delle senatrici Pellegatta e Palermi (Atto Senato N. 1051), art. 1.

[33] La definizione dei compiti e delle funzioni, rispettivamente, delle due Biblioteche nazionali centrali di Roma e di Firenze e dell'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche sono annunciati dal primo decreto di organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali, d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, all'articolo 12. Ci auguriamo che l'annunciata ennesima riorganizzazione dell'apparato affronti finalmente questo aspetto e lo risolva in modo funzionale alla realtà odierna.

[34] Proporrei la Nazionale di Roma, per la quale questo compito andrebbe a proseguire (e rivitalizzare), nell'ambito della sua missione, il compito di documentazione della cultura straniera finora realizzatosi con la redazione del Bollettino delle opere moderne straniere (BOMS).

[35] È così, per fare un esempio recente, nella legge sulla Biblioteca nazionale tedesca del 22 giugno 2006 (ringrazio Nicola Benvenuti per avermi gentilmente fornito la sua bozza di traduzione di questo documento).

[36] Parere del Consiglio di Stato: deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati ad uso pubblico: Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza del 13 marzo 2006, N. della Sezione: 4569/05, accessibile a: <http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getlaw&id=815>.

[37] Art. 5, comma 2 della legge. Il corsivo è mio.

[38] [Lettera circolare alle Associazioni Provinciali CNA-Comunicazione e terziario avanzato, del 20 ottobre 2006], www.cna.it/comunicazione. Peraltro, la collaborazione delle associazioni di categoria, e della CNA in particolare, si sta rivelando in questa fase uno strumento essenziale per la circolazione delle informazioni, a supporto di una corretta applicazione della normativa.

[39] Guida ai nuovi obblighi per le tipografie, «Notiziario Claai», <www.denaro.it/go/a/_stampa.qws?recID=258227>.

[40] Articolo 1, comma 2 della legge.

[41] Giuseppe Vitiello, Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit., p. 10.

[42] «La concezione del deposito come formalità richiesta per l'acquisto della proprietà letteraria [...] era destinata a scontrarsi con una visione più moderna che slegava l'acquisizione del diritto da ogni formalità amministrativa per attribuirla invece al suo titolo originario costituito dalla stessa produzione dell'opera» (Paolo Traniello, Storia delle biblioteche in Italia cit., p. 359-360). L'uso del deposito legale a fini concorsuali invece è purtroppo accreditato da una sentenza del TAR Lazio (n. 1363 del 21 febbraio 2003) che attribuisce agli stampati in proprio depositati presso la Prefettura, ai sensi della vecchia normativa, lo status di pubblicazione a tutti gli effetti. Anche recentemente, la legge 106 viene spesso citata nelle premesse a bandi di concorso universitari. Tutto ciò, come sopra ricordato, esula dalle finalità del deposito legale e dovrebbe fare riferimento piuttosto al Registro pubblico generale delle opere protette, istituito presso il Dipartimento per lo Spettacolo e lo Sport del Ministero per i beni e le attività culturali. Ci si augura che l'Amministrazione faccia chiarezza al più presto riguardo alle competenze di istituti che entrambi afferiscono ad essa.

[43] Fernando Venturini, La "letteratura grigia" in rete è ancora "letteratura grigia"?, «Bollettino AIB», 42 (2002), n. 1, p. 57-60, in part. p. 57.

[44] Metterei da parte per il momento la definizione (elaborata da Alessandro Sardelli) di letteratura d'organizzazione, il cui insieme a mio modo di vedere si sovrappone parzialmente a quello della LG come a quello del materiale minore: ma in questa sede mi parrebbe più rispondente alle problematiche legate all'acquisizione e al trattamento del secondo.

[45] Ricordo che la Biblioteca centrale del CNR figura tra le istituzioni depositarie specializzate previste dalla legge 106/2004, come beneficiaria di un deposito su richiesta delle pubblicazioni scientifiche - in aggiunta e non in alternativa al deposito presso le altre biblioteche - e senza contestuale attribuzione di compiti specifici. Ciò salvaguarda certamente la continuità di un'importante raccolta e le esigenze del suo pubblico, ma non tiene abbastanza conto del fatto che la comunicazione e la ricerca scientifica sono oggi solo assai parzialmente rappresentati dalle pubblicazioni tradizionali, né del progetto di una Biblioteca nazionale della scienza e della tecnica (Andrea Marchitelli, Verso la biblioteca digitale della scienza e della tecnica, «AIDAinformazioni», 22 (2004), n. 3 (<http://www.aidainformazioni.it/pub/marchitelli32004.html> ).

[46] Cfr. Fernando Venturini, La "letteratura grigia" in rete è ancora "letteratura grigia"? cit., p. 59. La tesi di Venturini, cui personalmente aderisco in toto, è stata però contestata da Vilma Alberani, La "letteratura grigia" in rete è ancora "letteratura grigia", «Bollettino AIB», 42 (2002), n. 3, p. 325-331.

[47] Evidentemente dal testo di legge non risulta immediatamente chiaro in cosa possano consistere queste "forme volontarie di sperimentazione del deposito", se persino nella lista di discussione AIB-CUR sono apparse richieste di chiarimenti da parte di una collega sempre aggiornata come Brunella Longo; con l'occasione ricordo che la Longo ha elaborato tra l'altro, al fine di sollecitare un maggiore interesse al riguardo, un provocatorio quanto simpatico (e certamente per le nostre materie inedito) CRUCIDIGITALMEMORY ovvero cruciverba sul deposito legale (vedi <http://www.pantarei.it/crucidigital/> ). Sul thread "deposito volontario/obbligatorio" intervenivo in data 29 novembre 2006, individuando le previste forme di deposito volontario in quelle "buone pratiche" già da tempo in via di sperimentazione presso la BNC di Firenze, in accordo con alcuni soggetti produttori di risorse in rete (vedi: <http://www.bncf.firenze.sbn.it/progetti/Europe/index.html> ). Va precisato però che il deposito volontario in rete al momento non è ancora realizzabile e non per cause tecniche, bensì essendo prevista dal regolamento nel caso specifico la consultazione preliminare della Commissione per il deposito legale di cui all'art. 42, che non è ancora operativa non essendone stati nominati i componenti

[48] Vedi Tommaso Giordano, Le collezioni non abitano più qui? cit.

[49] Articolo 7, comma 5 del regolamento.

[50] Vedi nota 6.

[51] «Gli interrogativi che oggi si pongono scaturiscono dall'avere a disposizione forme diverse di rappresentazione della memoria. Con la forma filmica, la forma audiovisiva, per la prima volta siamo di fronte ad un compromesso di natura espressiva, ripetibile e riproducibile, in cui immagini e suoni rappresentano insieme la realtà ma anche qualche cosa di diverso. Rappresentano, come è stato ricordato in questa sede, il video inteso come arte e quindi meritevole di una tutela autonoma» (Gianfranco Astori, [Discussione], in: Immagini in movimento: memoria e cultura: atti del Convegno internazionale, coordinamento redazionale del volume: Ornella Giustini [et al.],[S.l.]: La meridiana, 1990, p. 220). Sono debitrice al professor Marco Maria Gazzano della segnalazione e di altri preziosi suggerimenti in merito alla redazione del paragrafo sui video d'artista; ogni eventuale imprecisione va ascritta invece alla mia più che scarsa competenza in materia.

[52] L'incontro si è tenuto il 7 febbraio 2007 presso la Discoteca di Stato, vedi <http://www.0280.org/performingmediaBlog/home/blog.php>.

[53] Docente di Storia del teatro e dello spettacolo presso l'Università della Calabria.

[54] «Per "videoarte" non si intendono semplicemente i prodotti di una riproduzione su nastro videomagnetico di fatti o eventi artistici (teatrali, musicali, plastici, performativi, ecc.), ma vere e proprie "opere", unità cioè stilisticamente e poeticamente riconoscibili, effetti di una elaborazione elettronico-analogica o numerica dell'immagine, a sé stanti o disposte in installazioni [...]. Molte opere video, infatti, sono o saranno ben presto inaccessibili a causa dell'inarrestabile deterioramento tecnico (magnetico) del supporto che ce ne consente la visione» (Marco Maria Gazzano, Problematiche della videoarte, in: Immagini in movimento: memoria e cultura cit., p. 95-97.

[55] <http://www.creativecommons.it>; <http://www.youtube.com>

[56] Vedi nota 42.

[57] In particolare, ritengo che dovrà farsene carico l'istituenda Commissione per il deposito legale di cui all'articolo 42 del regolamento: tra i rappresentanti dei soggetti obbligati al deposito di cui al punto e), per le problematiche della categoria dei video d'artista il professor Gazzano segnala l'opportunità di interpellare la Consulta Universitaria del Cinema (CUC); in effetti, in mancanza di una vera e propria associazione di categoria, nella fase di elaborazione del regolamento non ci si è potuti avvalere, per quest'oggetto, di interlocutori appropriati.

[58] <http://www.bnf.fr/pages/zNavigat/frame/connaitr.htm>; per il testo normativo di riferimento (che non parla mai di arte, ma esclusivamente di artista-interprete, all'art. L 132-5, in merito ai diritti): Code du patrimoine, Titre III, art. da L131-1 a L 132-6, accessibile a: <http://www.legifrance.gouv.fr>.

[59] Vedi nota 2. Devo a Silvana Loasses, che ringrazio, tutte le informazioni al riguardo.

[60] Vedi in generale su questo fenomeno oggi ampiamente percepito Conservare il Novecento: i vestiti del libro: Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 26 marzo 2004: atti, a cura di Giuliana Zagra, Roma: AIB, 2005.

[61] Vedi le variatissime categorie di documenti della collezione Bertarelli, sul sito dell'istituzione, <http://www.bertarelli.org/ita/Patrimonio.asp>. Sul sito della Direzione generale per i beni librari (<http://www.librari.beniculturali.it/generaNews.jsp?id=18>) è precisato che sono invece soggette a deposito le pubblicazioni periodiche eventualmente accompagnate da gadgets, per i quali però non c'è obbligo di consegna per gli editori, né di conservazione da parte delle biblioteche (anche se allestire qualche raccolta rappresentativa del fenomeno, chissà, potrebbe essere divertente ed istruttivo).

[62] Questa consapevole preoccupazione emerge anche solo da una rapida rassegna della letteratura professionale italiana sul deposito legale, e in particolare «per il cosiddetto "materiale minore", per il quale si dovrà decidere infine se sia igliore l'ipotesi di una selezione prima o dopo la consegna»: Anna Maria Mandillo, Il deposito obbligatorio degli stampati cit., p. 315. Un esempio palese di come possa essere pericoloso, per la coerenza e la completezza dell'archivio, lasciare la selezione ai soggetti produttori delle pubblicazioni s'incontra in un documento dell'Ufficio nazionale per i problemi giuridici della Chiesa cattolica italiana, in cui si legge tra l'altro: «Anche i documenti prodotti dalle diocesi e dagli altri enti ecclesiastici, se destinati a un uso pubblico, sono soggetti alla normativa prevista per il deposito legale. Non sono soggetti ad alcun deposito i documenti comunque distribuiti che abbiano una diffusione nell'esclusivo ambito privato. A titolo d'esempio, si può ritenere che l'annuario diocesano sia destinato ad una diffusione in ambito privato mentre il bollettino diocesano, essendo potenzialmente fruibile da un numero illimitato di destinatari, ricade nel caso di diffusione a uso pubblico» (<http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/bd_Edit_doc.edit_documento?p_id=12030>).

[63] Un quesito multiplo, sottoposto al Ministero per i beni e le attività culturali dall'Assonime, Associazione fra le società italiane per azioni, con lettera del 14 novembre 2006 (la cui visione devo ancora alla cortesia di Silvana Loasses) dovrebbe indurre alla riflessione: «è dubbio se l'obbligo di deposito si estenda anche ai documenti che contengono dati contabili, presentano un contenuto puramente giuridico o, comunque, riguardano specificamente il campo di attività tecnica dell'impresa, nonché a quei documenti che sono già detenuti istituzionalmente e conservati dallo Stato o da altre pubbliche amministrazioni [...]. Un chiarimento di questi profili sarebbe molto importante [...] ad evitare, al contempo, nuovi ingiustificati adempimenti amministrativi». Evito di rispondere, piuttosto sottolineerei: a) che non pare assolutamente recepita la finalità culturale, altrimenti alcuni dubbi non sussisterebbero; b) che dal punto di vista dei nostri interlocutori, non è sufficiente limitarsi a circoscrivere fattispecie formali, ma si mettono più facilmente a fuoco i contenuti (che invece sono trasversali alle tipologie delle pubblicazioni).

[64] Per una più ampia illustrazione di questa posizione vedi Paola Puglisi, Per un archivio nazionale della stampa periodica: i giornali nella Biblioteca nazionale centrale di Roma, in: Conservare il Novecento: la stampa periodica: II Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 29-30 marzo 2001: atti, a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma: Associazione italiana biblioteche, 2002, p. 81-101.

[65] Carlo Federici, A, B e C: dialogo sulla conservazione di carte vecchie e nuove, Venezia: Regione del Veneto; Carocci editore, 2005, p. 24-25. Non vedo contraddizione tra la posizione di Federici, se accompagnata nella pratica dall'acquisizione consapevole, e il passo di Vitiello che tengo a riportare (ma che andrebbe meglio letto, ovviamente, nel contesto delle sue altre affermazioni): «Tale riflessione deficitaria sui principi porta a una strategia di raccolta universalizzante, secondo cui tutti i documenti, di ogni tipo, di ogni età, sono trattati come se fossero degli incunaboli e delle cinquecentine, dimenticando che la caratteristica principale del libro (così come del video, del disco, della pubblicazione elettronica) è quella di essere riproducibile in modo meccanico e dunque ulteriormente replicabile in digitale, e di non essere un'opera artistica, un pezzo unico, da conservarsi in quanti più luoghi possibili» (Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit., p. 17-18).

[66] Vedi il già citato Speciale deposito legale, in particolare: Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali dell'AIB, Aspettando il regolamento, «AIB Notizie», 16 (2004), n. 6; e Indagine sulle biblioteche depositarie di copia d'obbligo per la provincia cit., p. XIII; infine, <https://www.aib.it/aib/commiss/cnsbnt/depleg05.htm>.

[67] Vedi <http://www.bnf.fr/pages/infopro/cooperation/po_dli_2006.htm>.

[68] Alla data di pubblicazione del presente articolo dovrebbe essere stato pubblicato un chiarimento al riguardo, nella pagina web destinata a questo scopo a cura della Direzione generale per i beni librari, <http://www.librari.beniculturali.it/generaNews.jsp?id=18>.

[69] Vedi nota 38.

[70] Vedi nota 39.

[71] <http://www.librari.beniculturali.it/generaNews.jsp?id=18>

[72] Vedi nota 19.

[73] Esco momentaneamente dai limiti del contenuto del paragrafo (e dell'intero articolo) per osservare che sul tema specifico dei giornali sarà necessario tornare anche ripensando al deposito dei documenti diffusi tramite rete informatica, perché mi parrebbe davvero sorprendente che i siti web delle testate d'informazione, che ormai forniscono le notizie in anticipo (e in modo diverso) rispetto all'edizione cartacea, non dovessero rientrarvi (al momento l'elenco dei documenti di cui all'articolo 37 del regolamento non li comprende).

[74] Giuseppe Vitiello, Come si consolida un'anomalia bibliotecaria cit., p. 15.

[75] Ivi, p. 10.

[76] Luigi Crocetti, Restauro differenziato, conservazione differenziata, «Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'Università di Roma», 9 (1969), n. 1/2, p. 211-214, ripubblicato in Id., Il nuovo in biblioteca e altri scritti, Roma: AIB, 1994, p. 193-195; Tiziana Plebani, Il libro moderno: quell'oscuro oggetto di (non) desiderio, in: Conservare il Novecento: Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 25-26 marzo 2000: atti, a cura di Maurizio Messina e Giuliana Zagra, Roma: AIB, 2001, p. 107-121; Franca Alloatti - Carlo Carotti, Il difficile percorso dei periodici della Braidense: verso un progetto regionale di coordinamento della conservazione?, «Biblioteche oggi», 17 (1999), n. 5, p. 46-52; Roberto Maini, La nuova legge sul deposito legale: interviste a Antonia Ida Fontana, Rosaria Campioni e Maria Prunai Falciani, «Biblioteche oggi», 22 (2004), n. 6, p. 7-12; Carlo Revelli, Prefazione: sui significati della conservazione, in: Principi dell'IFLA per la cura e il trattamento dei materiali di biblioteca, a cura di Edward P. Adcock; con la collaborazione di Marie-Thérèse Varlamoff e Virginie Kremp; edizione italiana a cura della Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali [dell'AIB], Roma: AIB, 2005, p. 17-21.

[77] Il corsivo è mio.

[78] Vedi Rosaria Campioni, Linee di politica bibliotecaria per le autonomie: il documento e le attività, «Bibliotime», 9 (2006), n. 2 (<http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-ix-2/campioni.htm>).

[79] Articolo 4, comma 1 del regolamento.

[80] Devo questa segnalazione, relativa al Friuli-Venezia Giulia, alla collega Donata Geat, che ringrazio.

[81] Vedi <http://www.cultura.toscana.it/biblioteche/deposito_legale/index.shtml>. Mi limito all'esempio della Regione Toscana per motivi di spazio. In generale comunque, la possibilità di fornire informazione in rete sulla pur rilevante novità dell'istituzione dell'archivio regionale delle pubblicazioni, da parte di regioni ed enti locali non è sufficientemente sfruttata: dove pure essa non manca infatti, non è immediatamente evidente e accessibile al pubblico (come riterrei opportuno), bensì relegata nelle pagine in qualche modo rivolte ai soli professionisti. Altro è il discorso ove ci si riferisca ai siti web delle singole biblioteche depositarie, alcune delle quali (un ottimo esempio: la Biblioteca Marciana, <http://marciana.venezia.sbn.it/deposito.html>) si sono adoperate per fornire tempestivamente tutte le informazioni necessarie. Da parte delle biblioteche del resto, l'informazione non può che attenersi al livello procedurale, mentre regioni ed enti locali potrebbero utilmente e correttamente corredare questo tipo di ragguaglio con il disegno complessivo dell'archivio, e il supporto delle motivazioni culturali e politiche che sorreggono le nuove scelte normative e organizzative.

[82] La Biblioteca per ragazzi di Villa Montalvo a Campi Bisenzio (che tra l'altro redige per la Bibliografia nazionale italiana la relativa serie), la Fondazione Mediateca regionale Toscana di Firenze (per i documenti sonori e video, i film, i soggetti, i trattamenti e le sceneggiature), il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato (per i documenti di grafica d'arte, le fotografie e i video d'artista).

[83] Faccio riferimento a un intervento di Maurizio Messina nel corso della VIII edizione della Giornata delle biblioteche del Veneto, dedicata al tema Cooperare in biblioteca: esempi e prospettive (Treviso, Biblioteca del Seminario Vescovile, 24 novembre 2006), atti in corso di stampa. Ringrazio l'autore per i chiarimenti che mi ha espressamente fornito.

[84] Tommaso Giordano, Le collezioni non abitano più qui? cit.; Klaus Kempf, Biblioteche di deposito in Germania: le soluzioni di conservazione cooperative e il caso della Baviera, "Biblioteche oggi", 25 (2007), n. 1, p. 56-64.

[85] Paolo Traniello, Le biblioteche pubbliche in Italia, «AIB Notizie», 16 (2004), n. 7, p. 13-14.

[86] Vedi <http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/soprintendenza/htm/patto.htm>.

[87] Fanno eccezione pochissime testate di rilievo; ovviamente la circostanza è particolarmente grave con riferimento a tutto il periodo precedente l'introduzione delle modalità di produzione elettronica.

[88] <http://www.imec-archives.com/ardenne/>

[89] Luisa Finocchi, L'archivio di concentrazione settoriale della Fondazione Mondadori: il modello italiano, in Conservare il Novecento: le memorie del libro: Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 31 marzo 2006: atti, a cura di Giuliana Zagra, Roma: AIB 2007, p. 73-78.

[90] Vedi <http://www.fondazionemondadori.it/cms/conservazione/30/intro-censimenti>.

[91] La Commissione ha «compiti consultivi, di controllo e monitoraggio dell'attuazione della legge e del presente regolamento» (art. 42, comma 1); ed «esprime, su richiesta della competente Direzione generale del Ministero, pareri sulle problematiche specifiche derivanti dall'attuazione della legge e propone linee guida e di indirizzo al Ministero, anche in ordine alla individuazione di nuove categorie di documenti e circa i criteri e le modalità delle esenzioni di cui all'articolo 5, comma 5, lettera d), della legge» (art. 42, comma 2). Mi permetto di notare che probabilmente il riferimento alla lettera d) è errato e va interpretato invece alla lettera a), che indica appunto gli esoneri. Sulla Commissione vedi anche le note 22, 47 e 57.

[92] Fanno eccezione Senato, Camera, e CNR, istituti depositari che alla stregua dei rappresentanti dei soggetti obbligati «possono» soltanto essere sentiti; giustamente Camera e Senato avevano invece richiesto di partecipare di diritto. Colgo l'occasione per dire qui che affrontare anche il tema delle «altre fattispecie di deposito» (ovvero del deposito su richiesta di cui all'articolo 6 della legge e 12 e 13 del regolamento) non mi è assolutamente possibile per motivi di spazio; ma è anche vero che questo aspetto del deposito, in base a qualche riscontro che ne ho (e ringrazio al riguardo Fernando Venturini e Isabella De Cesare) sembra procedere abbastanza bene, una volta messe a punto le procedure-base di individuazione dei soggetti cui rivolgersi e di richiesta ai medesimi; non prendo in esame qui l'aspetto della produzione dei servizi bibliografici. Ancora a proposito della Commissione, segnalo infine il comunicato dell'AIB che dà conto, a seguito di un'espressa richiesta dell'Associazione, della gradita disponibilità della Direzione generale per i beni librari ad avvalersi costantemente di un rappresentante della stessa AIB in seno alla Commissione, nell'ambito del dettato regolamentare, in considerazione dell'assoluta trasversalità dell'Associazione riguardo alle tematiche oggetto della normativa: vedi <https://www.aib.it/aib/cen/stampa/c0607a.htm>.


PAOLA PUGLISI, Ufficio Giornali, Biblioteca nazionale centrale, viale Castro Pretorio 105, 00185 Roma, e mail giornali@bnc.roma.sbn.it, e dal biennio 2003-2004 coordinatrice della Commissione nazionale biblioteche e servizi nazionali (d'ora in poi CNBSN) dell'AIB.
Sono debitrice di molti colleghi, a partire dai componenti della CNBSN e dai colleghi delle due biblioteche nazionali centrali, e altri ancora dal Veneto alla Toscana alla Sicilia, per gli scambi di idee, le notizie e le sollecitazioni senza i quali non avrei potuto accingermi a scrivere questo articolo; non posso non ringraziare espressamente almeno Isolina Baldi, Luca Bellingeri, Marco Maria Gazzano, Silvana Loasses e Anna Maria Mandillo. Le idee qui rappresentate non impegnano però in alcun modo l'AIB né altri, bensì (salvo diversa precisazione) riflettono opinioni esclusivamente mie. .

N.B. An English abstract of this article is also available.
Copyright AIB 2007-05-30, a cura di Antonella Iacono
URL: https://www.aib.it/aib/boll/2007/0701puglisi.htm

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