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Nota sul Servizio Civile Nazionale

Gli annunci di bandi per "Servizio volontario civile" da svolgere presso biblioteche si susseguono ormai con una certa frequenza in lista, e suscitano giustamente dibattito e preoccupazione.

Al di là del giudizio sui singoli casi, che può derivare solo da un attento esame della documentazione disponibile (e poi anche dalla verifica dell'effettivo andamento dei progetti), le questioni che preoccupano sono sostanzialmente due:

  1. è giusto utilizzare personale volontario per svolgere servizi che spesso si dovrebbero configurare come "normale amministrazione" da parte degli enti titolari, quindi funzioni svolte da personale regolarmente inquadrato nonché dotato della necessaria professionalitè? e
  2. è giusto proporre a dei giovani (18-28 anni) esperienze che dovrebbero essere formative e favorire il successivo inserimento nel mondo del lavoro e/o il riconoscimento di crediti formativi da parte delle università (come recita il regolamento attuativo della legge 64/2001 - vd. anche normativa completa a : <http://www.serviziocivile.it/index.asp>), e che a volte invece non offrono queste opportunità e queste garanzie?

Sono problemi di diversa natura: nel primo entra in gioco la biblioteca stessa, il suo ruolo e la sua importanza. Il sospetto è che con il servizio civile volontario le amministrazioni abbiano un comodo alibi per gestire servizi pubblici senza adeguata dotazione di personale; e il fatto che tra questi servizi ci siano le biblioteche induce a pensare che ciò si verifichi per una sottovalutazione dell'importanza e della complessità di tale servizio (F. Rosa provocatoriamente chiede: quando un bando per "geometri"?).

Credo peraltro che il problema fosse già ampiamente presente nell'utilizzo del "vecchio" servizio civile, con obiettori di coscienza spesso messi a gestire da soli servizi di pubblica utilità. Forse, in passato, non essendoci i "bandi" mancava anche l'evidenza del problema, che invece ora emerge chiaramente.

Il servizio civile volontario dovrebbe invece configurarsi come "utilità sociale accresciuta" rispetto alla "normalità" dei servizi ai cittadini: e non come una indebita (necessariamente insufficiente, e non per colpa dei volontari) supplenza. E ciò non solo nelle biblioteche e nei servizi culturali: ma anche – ovviamente! – nei servizi sociali, assistenziali, sanitari, ambientali, ecc.ecc.: settori in cui si gioca il concetto stesso di "cittadinanza", intesa come diritto a servizi utili, efficaci ed efficienti, attrattivi, democratici.

Bisogna peraltro osservare che la stessa normativa sopra richiamata non aiuta particolarmente a definire i confini del servizio volontario civile, riconoscendone solo (tra l'altro) la finalità di "partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale (...) storico, artistico, culturale (...)" (cosa che però è anche una finalità - anzi un obbligo - di istituzioni pubbliche di vario livello), ma non ponendo particolari norme cautelative che impediscano sovrapposizioni di compiti ruoli e funzioni.

La seconda questione allarga il discorso (ancora una volta) al delicato tema del mercato del lavoro, dell'accesso alla professione bibliotecaria, delle forme "atipiche" di inquadramento nei nostri enti (pubblici e privati). È molto grave l'utilizzo di volontari (tra l'altro - come osservato - retribuiti, anche se non molto: una sorta di "concorrenza sleale istituzionalizzata" tra operatori atipici!) al posto di lavoratori dipendenti o comunque incaricati, che rischia oltre tutto di scatenare l'ennesima "guerra tra poveri", tra categorie di lavoratori con un regime di diritti sempre piu' ridotto.

È altrettanto grave "illudere" le persone con percorsi formativi o successivi inserimenti lavorativi, se non si mettono in atto chiare ed esplicite azioni per questi obiettivi.

Anche in questo caso, il tema è assai più vasto dell'ambiente bibliotecario e delle stesse possibilità dell'Associazione professionale di intervenire; è un problema sociale che sta diventando epocale (la iperflessibilità, la precarizzazione, la privatizzazione dei rapporti lavorativi, la difficoltà di inserimento in un ruolo lavorativo definito, la formazione "casuale", ecc.).

Per ora naturalmente non sono che prime considerazioni generali, che presciendono dai casi segnalati (su cui, ripeto, un giudizio non può essere prodotto solo da sensazioni immediate o peggio da pregiudizi).

L'AIB comunque può (e deve) cominciare a impegnarsi anche su questo fronte (come sta facendo per i casi di esternalizzazione dei servizi e di contratti atipici, grazie all'attività di Osservatorio Lavoro): a partire dalla "vigilanza" che tutti i bibliotecari (soci e non) possono mettere in atto perché le situazioni più gravi e anomale vengano segnalate e stigmatizzate; passando per l'utilizzo, nell'espletamento delle proprie funzioni, di comportamenti consoni al Codice deontologico proposto dall'AIB (che obbliga i soci tra le altre cose anche ad "onorare la professione" riconoscendone contenuti e dignità); fino a ipotizzare delle "linee guida" di utilizzo del volontariato civile in biblioteca.

La questione mi sembra comunque estremamente importante e quindi ben vengano dibattiti e informazioni su questo tema.

Un cordiale saluto a tutta la lista.

Claudio Gamba
AIB - Comitato esecutivo nazionale


Testo inviato al gruppo di discussione AIB-CUR con il titolo "Volontariato e professione", 2004-01-13 14:17.


Copyright AIB 2007-07, ultimo aggiornamento 2007-07-07 a cura di Andrea Marchitelli.
URL: <https://www.aib.it/aib/cen/olav/c0401.htm3>


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