[AIB-WEB] Associazione italiana biblioteche. 49. Congresso

AIB-WEB | 49. Congresso AIB | Bibliocom 2002 | C'e' qualcosa di nuovo in biblioteca anzi di antico

49. Congresso nazionale AIB

AIB2002

Giovedì 17 ottobre 2002: ore 9,30-13,30
Roma EUR, Palazzo dei congressi
Sala Esquilino

C'e' qualcosa di nuovo in biblioteca anzi di antico. Le collezioni storiche. Dall'analisi al servizio


Lorenzo Baldacchini

Le collezioni storiche e la biblioteca pubblica. Un'integrazione possibile?

Quest'estate uno spettro si è aggirato per AIB-CUR: il problema dell'accesso di un utente “normale” (cioè non appartenente alla quanto mai vaga categoria degli studiosi) alle collezioni storiche della BNF. Il quale utente poneva, anche se forse in modo non adeguatamente informato, un problema di sostanza: è lecito per i gestori di un servizio pubblico escludere dal medesimo alcune categorie di cittadini ? E soprattutto: come vengono individuate, in base a quali criteri le
categorie alle quali questo servizio è poi riservato ? Le risposte che sono arrivate alla lista da parte di colleghi bibliotecari e docenti universitari, tutte improntate alla massima competenza nonché – quasi sempre – accompagnate da una consistente dose di buon senso, non credo siano riuscite a soddisfare il nostro utente, il quale ha replicato in modo da ingenerare in più d'uno il sospetto di essere – come dire – un po' prevenuto. Ma il problema, ripeto, è di sostanza. Non ci siamo mai chiesti infatti se in qualche caso i nostri regolamenti, magari inappuntabili dal punto di vista biblioteconomico, non scricchiolino un pochino se li confrontiamo con la Costituzione repubblicana. Sicuramente scontiamo l'assenza di una legge-quadro sulle biblioteche. Ma d'altra parte non siamo noi stessi bibliotecari che da decenni andiamo predicando l'accesso alle risorse cognitive ? Immaginiamo un utente che sia contemporaneamente ignaro delle distinzioni tra biblioteche nazionali e pubbliche (non siamo poi noi bibliotecari in fondo che accettiamo un po' passivamente l'ossimoro “biblioteche pubbliche statali ?”) e che nello stesso tempo sia in perfetta buona fede. Come pensiamo di fargli digerire la più ampia accessibilità alle risorse conoscitive prossime e remote e contemporaneamente il diniego di documenti che sono a portata di mano ? Certo è importante che gli utenti comprendano le differenti funzioni delle varie tipologie bibliotecarie integrate in un articolato servizio nazionale. Ma questo – possiamo scommetterci – non basterà. Resta aperto il problema delle varie categorie di utenti e della differente disposizione delle biblioteche nei loro confronti. Infatti, mentre è facilmente comprensibile da chiunque la sottrazione alla consultazione di documenti per problemi inerenti al loro stato di conservazione, non altrettanto si può dire di una pratica che selezioni gli utenti e che quindi conceda ad alcuni quello che nega ad altri. Un amico, docente di Storia medievale, mi ricorda spesso un cartello che fino a qualche decennio fa campeggiava nella Sala Bibliografia della Biblioteca Malatestiana di Cesena e che ne riservava l'uso “ai laureati, ai laureandi, ai professori e ai sacerdoti”. Se una disposizione del genere oggi ci fa sorridere, come possiamo non interrogarci su come gli utenti leggano altre, certo più aggiornate, ma in definitiva analoghe pratiche di selezione ? Io credo che – fatte salve tutte le limitazioni d'uso per ragioni conservative, date tutte le indicazioni possibili su eventuali chances di accesso ad altre copie del documento, valutate le possibilità di utilizzo di sue riproduzioni, prese tutte le precauzioni circa le modalità di consultazione e la tutela del documento stesso - risulti difficile negare ad un utente che offra garanzie di affidabilità (che non abbia precedenti negativi o che non sia in stato d'ebbrezza ecc.) l'accesso ad una risorsa della conoscenza, a prescindere dalla categoria socioculturale di appartenenza. E' possibile pensare ad una categoria di studiosi free-lance che non siano laureandi, dottorandi, professori, ricercatori, giornalisti ecc., ma semplici cittadini ed ammetterla all'utilizzo di tutte le collezioni anche nei nostri massimi istituti ?
        In particolare per le Nazionali centrali, visto che abbiamo la ventura di averne due e visto che non risulta ancora chiaro in che modo possano evitare di essere una il doppione dell'altra, non sarebbe arrivato il momento di differenziarne le funzioni mediante il parametro dell'uso/conservazione, senza rientrare nelle tutto sommato sterili polemiche di qualche decennio fa che vedevano nell'uso una sorta di funzione di serie B o un accidente rispetto alla conservazione ? L'esperienza mi dice che spesso dove non c'è uso c'è anche una cattiva conservazione). In sostanza far sì che le due biblioteche funzionino come un unico archivio nel quale ci siano copie di documenti sottratti all'uso a garanzia della conservazione della memoria per le generazioni future e copie che invece circolano per l'utenza presente. Sono perfettamente consapevole delle difficoltà di intraprendere una strada del genere, determinate anzi tutto dal cattivo funzionamento della nostra legge sul deposito obbligatorio e dalla tutt'altro che totale coincidenza delle raccolte delle due centrali (lacuna parzialmente colmabile però col recupero della terza copia d'obbligo, che per molte biblioteche rappresenta solo un aggravio insostenibile: si pensi a Trento che è condannata a ricevere copia di tutto ciò che fa stampare la Mondadori a Cles !). Forse il nostro utente dal quale siamo partiti troverebbe più convincente un modello diacronico piuttosto che quello sincronico e socioculturale. E' apparso chiaro che la mancata definizione (non ci si è nemmeno in sostanza seriamente provato) non solo del ruolo delle due nazionali centrali e della sedicente “biblioteca pubblica statale”, ma anche del loro rapporto con il tessuto bibliotecario nazionale sul tema della conservazione/circolazione dei documenti, finisce inevitabilmente per creare conflitti tra biblioteche e utenti, e che questi conflitti possono sfiorare anche il terreno delle garanzie costituzionali. Proprio per questo cominciare ad articolare un discorso intorno alla presunta antinomia patrimonio/servizio può risultare non del tutto inutile.
        D'altra parte in questi anni tutte le nostre biblioteche hanno impegnato risorse finanziarie, umane e tecnologiche proprio per portare nelle case dei cittadini, attraverso SBN e altri mezzi ancora più sofisticati come la riproduzione digitale integrale o parziale, la massima visibilità delle risorse bibliografiche e documentarie disponibili. Queste azioni, che hanno anche una lodevolissima natura promozionale, possono aver comportato un aumento della domanda di utilizzo diretto di queste risorse, anche da parte di un'utenza non tradizionale. Forse non ci siamo ancora sufficientemente attrezzati per rispondere al meglio a queste nuove richieste. Ma sono convinto che ad ogni azione mirante a proiettare la biblioteca e le sue collezioni storiche fuori di sé, ne debba poi corrispondere una tesa a migliorare la qualità del servizio, di cui queste raccolte sono oggetto, dagli orari, al reference specifico, dalle condizioni di illuminazione, alle attitudini relazionali di chi ha diretto contatto col pubblico, sia che si tratti di professionali che di ausiliari.
        Se problemi di questa natura si possono porre in una nazionale centrale, tanto più questo risulta presente nelle biblioteche pubbliche che, in Italia, sono spesso – ancora prima – biblioteche storiche. Sono quindi biblioteche che potremmo definire “storiche locali” o di “tradizione locale”. Con questo non intendendo certo indicare nella loro mission una qualche enfasi nei confronti di una troppo diffusa cultura localistica. Anzi voglio chiarire che la funzione di questa tipologia bibliotecaria la individuo nell'esatto contrario: una cerniera tra il patrimonio di documenti di una collettività e le risorse culturali più universali: una sorta di antidoto al localismo. Non parla forse il Manifesto dell'Unesco sulla biblioteca pubblica di “via di accesso locale alla conoscenza ?” D'altra parte le raccolte delle nostre biblioteche si sono formate in modo così eterogeneo da essere tutt'altro che votate a documentare la storia e la cultura locale. Si pensi proprio alle raccolte provenienti dagli enti ecclesiastici, arrivate con le prime e le seconde soppressioni. E' ancora possibile conciliare o meglio integrare le raccolte storiche con la funzione di biblioteca pubblica ? Ho sempre pensato di sì e continuo ad esserne fermamente convinto. Ancora di più lo sono dopo la “querelle” estiva alla quale facevo cenno prima. Il modello di strutture centrali che ho brevemente delineato poco fa ha tanto più possibilità di funzionare quanto più ha alle spalle una biblioteca pubblica che “coltiva” l'utente, educandolo tra le altre cose anche all'utilizzo delle risorse storiche. Educare all'uso delle risorse storiche vuole dire a mio avviso non tanto e non solo inculcare il rispetto del documento (nei confronti del quale spesso il dilettante ha un comportamento più rispettoso di qualche illustre cattedratico), quanto piuttosto fargli comprendere i complessi meccanismi delle pratiche biblioteconomiche, il che significa – in poche parole tradurre il linguaggio biblioteconomico in linguaggio naturale, per renderlo meglio comprensibile. Tra questi linguaggi e queste pratiche ci sono anche quelli che riguardano il rapporto uso/conservazione.
        Ma qual è la dimensione delle collezioni storiche delle biblioteche pubbliche in Italia ? Probabilmente nessuno è in grado di dare una risposta esauriente a questa domanda. Ma i dati che si ricavano dal Catalogo delle biblioteche d'Italia nonché dalle indagini realizzate in occasione di un vecchio convegno dell'Iccu dell'inizio degli anni Ottanta sono però già abbastanza eloquenti: si tratta di una quota notevole dell'insieme delle collezioni nazionali. Inoltre il fenomeno di una ricchezza delle raccolte di documenti storici (librari e non) ha una disseminazione molto ampia e – almeno per gli istituti più importanti - data ben prima della famigerata seconda “devoluzione” dei beni degli enti religiosi, sulla cui sostanziale ambiguità si è così bene soffermato negli ultimi anni Paolo Traniello, definendola di volta in volta “crescita equivoca” e “soluzione fittizia”. Basti pensare alle collezioni di biblioteche quali l'Archiginnasio di Bologna o la Classense di Ravenna. Ma torniamo alla domanda relativa alla possibilità o meglio all'opportunità di far coesistere in uno stesso istituto (e quindi nello stesso edificio, con il medesimo personale ecc.) biblioteca pubblica e biblioteca storica. In Italia (e in Francia) esiste infatti una tipologia di biblioteca che abbiamo prima definito “storica locale” o “di tradizione locale” che quasi sempre si integra (o dovrebbe farlo) con la biblioteca pubblica, anzi spesso ne rappresenta il sostrato primigenio. Ma mentre in Francia il concetto di “patrimoine” contribuisce non poco a chiarire ruolo, funzioni e limiti di tale possibile integrazione (anche se si scontra con la difficoltà di definire cosa diventa patrimonio e quando), in Italia non si è ancora riflettuto abbastanza sul tema e, malgrado una certa diffusa enfatizzazione, soprattutto da parte di politici e burocrati, degli aspetti patrimoniali delle raccolte, l'incertezza, la confusione e l'improvvisazione sono spesso assai più che un rischio. In fondo l'idea di una biblioteca che sia basata soprattutto sull'aspetto “ponderale” dei libri riesce quasi sempre a prevalere. Lo era per i notai antichi, che negli inventari post-mortem spesso non andavano oltre l'aspetto esteriore del libro (la coperta: “cum corio rubeo”) fino agli effetti delle seconde soppressioni, dove in molti comuni prevalse l'idea che bastasse accettare dei fondi provenienti da conventi e congregazioni, disponendoli (nel migliore dei casi) in un locale “giudicato conveniente” (scrive sempre Traniello) per dar vita ad una biblioteca comunale ! Dominique Varry ha scritto che una parte delle acquisizioni più recenti delle biblioteche è destinata a divenire un giorno collezione patrimoniale. Ma quale ? I bibliotecari contemporanei non sono in grado di predirlo veramente: “Le bibliothèques sont des 'tardes venues' du discours patrimonial contemporain”. E alla sua constatazione della loro assenza sia nell'anno del patrimonio (1980) sia nella raccolta di Pierre Nora su Les lieux de mémoire (salvo l'articolo di Mona Ozouf dedicato alla biblioteca degli “Amici dell'istruzione” !), noi possiamo aggiungere – guardando in casa nostra – la parallela assenza di un saggio sulle biblioteche nella Storia d'Italia Einaudi, episodio non tanto marginale come potrebbe a prima vista sembrare.
Il tema della conservazione – che qui non si vuole certamente affrontare dal punto di vista tecnico – non si può infatti separare da quello dell'erogazione di un servizio. E' questo l'unico modo per cercare di capire chi debba conservare cosa e perché. Quand'è infatti che un oggetto d'uso come un libro o un'altra forma qualunque di registrazione diventa un documento storico meritevole di essere conservato ? Ed in questo campo particolare qual è il ruolo di una biblioteca pubblica ? Cosa deve conservare e quando ? Come ci ricordano gli autori di Le patrimoine, in passato sono prevalsi dei criteri selettivi, che hanno prima dato luogo alla réserve. Ai manoscritti si sono dapprima aggiunti gli incunaboli, poi le edizioni del XVI secolo, infine quella della stampa manuale. E via via le raccolte locali, i fondi letterari, esotici, popolari, fino a comprendere materiali non librari, quali stampe, medaglie, oggetti d'arte, strumenti di ricerca ecc. L'ingresso di questi materiali ha coinciso con una ulteriore separazione dei “fondi antichi”. Oggi però tali criteri cronologici o tipologici non reggono più. La collezione storica deve diventare sempre di più un organismo vivo, che fa acquisizioni, accoglie il pubblico, tratta le informazioni, cercando costituire degli insiemi documentari omogenei. E la storia delle collezioni, sia di quelle ereditate che di quelle costituite (e del loro rapporto con bibliotecari e utenti), diventa un indispensabile punto di riferimento per l'erogazione di un servizio. Prendendo lo spunto da un esempio concreto, cercherò di chiarire il mio ragionamento. Ho provato ad interrogare SBN su alcuni prodotti recenti di editoria diciamo minore, ma non minima, ed ho trovato delle cose interessanti. Sono partito da un libretto di Renato Turci, Franco Ferrara nomade e monade: per conoscere una poesia e un uomo dell'editore Ripostes di Salerno, stampato a Roma da Francesco Cittadino nel 1991. Quindi un libro moderno che sicuramente non è oggetto in una biblioteca pubblica – giustamente – di una particolare pratica di conservazione e preservazione. Ebbene in SBN c'è una sola biblioteca che risulta aver catalogato questo libretto e non è nessuna delle tre destinatarie delle prime tre copie d'obbligo: ma è una biblioteca pubblica. C'è di più, risulta che molti volumi della collana nella quale è inserito il libro sono posseduti, almeno per il momento, solo da quella stessa biblioteca (che è anche un'importante biblioteca storica). Mi chiedo: se la situazione fotografata da SBN dovesse per caso risultare quella definitiva, qualcuno in qualche momento, prenderebbe la decisione di tutelare adeguatamente queste copie che in quel malaugurato caso sarebbero le uniche possedute da una qualche biblioteca ? E chi dovrebbe farlo ? E se nel frattempo questo esemplare non rientrasse da un prestito ? Qualcuno dovrebbe allertare la biblioteca in questione, o questa deve farlo da sola ? In ogni caso, questa dovrebbe poi giustificare di fronte alla propria utenza un'eventuale esclusione dal prestito di un libro apparentemente privo di quei requisiti che determinano di solito una scelta del genere. Qui non voglio certo ripetere il trito cahier de doleance sul cattivo funzionamento della legge sul deposito obbligatorio. Mi limito a segnalare un problema che è la spia della difficoltà di individuare il momento nel quale un documento cessa di essere un oggetto di uso quotidiano e diventa “storico”, trasformandosi in un membro di una famiglia potenzialmente sottoposta ad un altro tipo di servizio. Acquista cioè qualcosa di simile a quella che Walter Benjamin chiamava l'”aura” (e che però negava fosse propria dei documenti riproducibili). Nella nostra legislazione, all'art. 2 il testo unico parla di “libri … aventi carattere di rarità e di pregio”. E nell'allegato A) elenca tra i beni sottoposti a tutela, oltre a manoscritti e incunaboli i “Libri aventi più di cento anni, isolati o in collezione”. Ma – come si già detto - un criterio cronologico, come quelli tipologici (stampa manuale ecc.) rivelano sempre di più la loro inadeguatezza. Per non parlare del capitolo relativo alle particolarità dell'esemplare. Non sono infatti solo gli incunaboli ad essere postillati ! E una nota manoscritta di Renato Serra può aver valore quanto quella di un Poliziano. E dunque un raccordo intimo tra biblioteca pubblica e quella che ho definito storica locale può consentire qualche opportunità in più, può mantenere in circolo quella sensibilità che ci consente di tamponare almeno in parte certe falle. In poche parole, possiamo cambiare e migliorare la legge sul diritto di stampa (e questo è certamente un obbligo), ma qualunque miglioramento non potrà mai - ahimè - avere un valore retroattivo. Qualcosa invece si può e si deve fare qui e ora. Si tratta solo di decidere chi e a quali condizioni debba farlo. Certamente un ruolo primario lo gioca la sensibilità e l'attenzione dei bibliotecari “pubblici” e questo non chiama in causa solo la preparazione professionale (che non può ignorare il problema), ma anche la stessa etica professionale. Alle questioni deontologiche sollevate nell'ambito della rare book librarianship dagli articoli di Angela Nuovo (conflitto d'interessi ecc.), vorrei aggiungere quello relativo alla formazione delle collezioni, non solo sul piano nazionale, ma su quello locale. Dominique Poulot ricorda la definizione di A. Chastel: “Il patrimonio si riconosce dal fatto che la sua perdita rappresenta un sacrificio e che la sua conservazione presuppone dei sacrifici”. A me verrebbe di concludere citando il verso (di Roberto Roversi) in una vecchia canzone di Lucio Dalla : “Attenzione: dentro ci siamo tutti !”.


Copyright AIB 2002-12-12, ultimo aggiornamento 2002-12-12 a cura di Gabriele Mazzitelli
URL: https://www.aib.it/aib/congr/c49/baldint.htm


AIB-WEB | 49. Congresso AIB | Bibliocom 2002 | C'e' qualcosa di nuovo in biblioteca anzi di antico