«Bibliotime», anno VIII, numero 2 (luglio 2005)

Precedente Home Successiva



Alessandra Citti

OA: un possibile futuro per l'informazione chimica? *



In alcuni ambiti disciplinari, come l'astronomia, l'astrofisica [1] e la fisica delle alte energie [2], depositare i propri contributi su archivi di preprint è una consuetudine, legata all'esigenza di rendere noti risultati o informazioni nel minor tempo possibile e al maggior numero di studiosi. In ambito chimico [3] il dibattito scientifico avviene prevalentemente attraverso canali più "tradizionali": articoli, letters detti anche rapid o short communications [4], comunicazioni a convegni, "technical reports" [5], brevetti, biografie, test clinici, tesi di dottorato, editoriali [6], note storiche, reviews o rassegne sullo stato dell'arte.

La ragione per la quale si pubblicano i risultati della ricerca scientifica è renderli accessibili alla comunità scientifica per consentire l'informazione, il dibattito e ulteriore ricerca. Tramite Internet è ora possibile consultare un numero consistente di documenti, ma il costo elevato degli abbonamenti ostacola la diffusione delle informazioni. La soluzione pay-per-view rappresenta una soluzione parziale. Bibliotecari e studiosi hanno cercato e stanno adottando iniziative diverse per fare in modo che articoli "prigionieri" di periodici [7] vengano resi disponibili alla comunità scientifica. Per OA, ossia Open Access intendiamo "its free availability on the public internet, permitting any users to read, download, copy, distribute, print, search, or link to the full texts of these articles, crawl them for indexing, pass them as data to software, or use them for any other lawful purpose, without financial, legal, or technical barriers other than those inseparable from gaining access to the internet itself" [8]. Questo tipo di accesso, osserva Silobcic "is very much in accord with the very nature of the scientific process (study-investigate-publish)" [9].

Parlare di accesso aperto comporta affrontare numerosi quesiti, alcuni dei quali ancora aperti: può questa modalità di pubblicazione e comunicazione diventare una alternativa agli strumenti utilizzati tradizionalmente? Perché dovrebbe diventarlo? Quali modelli di archivi ad accesso libero esistono? Quali garanzie offrono agli autori, in termini di tutela del diritto d'autore? Quali garanzie di qualità assicurano? Quali vantaggi offrono? Quali le ragioni della "timidezza" a pubblicare OA?

IUPAC e OA

Wendy Warr, nel contributo pubblicato su "Chemistry International", in cui riferisce l'esito del seminario tenutosi a Parigi nel gennaio 2003 sull'impatto dell'Open Access su tutti i membri dell'IUPAC [10], definisce OA un invito agli studiosi a pubblicare i propri contributi scientifici su Internet, senza restrizioni d'accesso [11]. La Warr prosegue affermando che l'Open Access ha lo scopo di accelerare la ricerca, arricchire la formazione e consentire lo scambio di risorse informative tra paesi ricchi e poveri. Questi obiettivi, conclude, possono essere realizzati utilizzando i fondi esistenti per disseminare informazione, piuttosto che pagare per accedervi.

In 75 dei paesi più poveri, osserva ancora la Warr, il 56% delle istituzioni mediche non hanno abbonamenti a periodici, e il 21% hanno solo due abbonamenti. Questa situazione ha ripercussioni gravi sulla qualità della vita di quei paesi.

Nascita di OA

Una delle ragioni alla base dei movimenti di Open Access [12] è la constatazione che le biblioteche dovrebbero acquisire e/o garantire accesso al maggior numero e alla più varia tipologia di informazioni possibili, per supportare didattica e ricerca, ma questo diventa sempre più complesso per una serie di ragioni:

Iniziative di Open Access

Per arginare questo andamento, e per tutelare le biblioteche, il mondo della ricerca e della didattica, nel 1998 l'Association of Research Libraries ha costituito SPARC (Scholarly Publishing Academic Research Coalition) [15]. Nel 2002, sullo stesso modello, l'azione cooperativa delle biblioteche di ricerca europee ha portato alla nascita di SPARC Europe [16]. SPARC e SPARC Europe hanno contribuito alla nascita di riviste a costi ridotti, altamente competitive con le riviste commerciali, e incoraggiano l'uso delle tecnologie nell'ambito della comunicazione scientifica e le iniziative di Open Access.

SPARC Europe ha collaborato al primo ed unico repertorio di riviste peer reviewed ad accesso libero: "DOAJ" ("Directory of Open Access Journals"), lanciato nel 2003 dall'Università di Lund. Comprende circa 40 riviste ad accesso libero e peer reviewed di ambito chimico, tra cui "ARKIVOC - free online journal of chemistry" e "Journal ceramics Silikáty". Entrambe sono spogliate da "Web of Science" dell'ISI.

In ambito chimico, Chemistry Preprint Server (CPS), il primo server di preprint dedicato a tutti gli ambiti della chimica, realizzato da Elsevier, accessibile all'indirizzo < http://www.sciencedirect.com/preprintarchive>, è nato nel 2000. CPS, ha ricevuto circa 500 contributi all'anno (contro circa 40.000 contributi all'anno ricevuti da ACS). Hanno pubblicato su CPS anche studiosi premiati con il Nobel come J. M. Lehn (CPS: inorgchem/0107001) [17] e uno studioso come S.L. Schreiber di Harvard che ha pubblicato il proprio articolo sia su CPS (CPS: orgchem/0009004) che su "Tetrahedron Letters" [18]. Oltre ai vantaggi già ricordati e comuni a tutti i documenti pubblicati su archivi ad accesso aperto, i documenti su CPS potevano beneficiare di funzioni impossibili per riviste cartacee o elettroniche nel solo formato .pdf, ad esempio visualizzazioni tridimensionali o rotazioni [19]. La riluttanza ad adottare questa modalità di pubblicazione e conseguentemente il numero ridotto di preprint ricevuti ha indotto Elsevier ha chiudere il servizio il 24 marzo 2004. I preprint già resi disponibili, resteranno comunque accessibili [20].

Dal 2002 sono state effettuate diverse iniziative per promuovere l'Open Access. Alcune di queste hanno avuto un impatto molto significativo e hanno raccolto forti consensi della comunità scientifica internazionale. Ricordiamo in particolare la dichiarazione di Budapest del 14 febbraio 2002: si vuole garantire a tutti di poter gratuitamente leggere, indicizzare e utilizzare le informazioni disponibili in rete. Si precisa comunque che l'unico limite è la salvaguardia del diritto d'autore, dell'integrità del lavoro e del corretto riconoscimento e citazione della paternità intellettuale [21].

La dichiarazione di Berlino dell'anno successivo, firmata dai principali enti di ricerca tedeschi, e da numerosi enti di ricerca e università del mondo riprende questa dichiarazione: "la nostra missione di disseminazione della conoscenza è incompleta se l'informazione non è resa largamente e prontamente disponibile alla società […] Definiamo l'accesso aperto come una fonte estesa del sapere umano e del patrimonio culturale che siano stati validati dalla comunità scientifica" [22].

In Italia, il 4 novembre 2004, 32 Rettori di Università italiane, fra cui anche il Rettore dell'Università di Bologna, hanno sottoscritto un documento mediante il quale aderiscono alle dichiarazioni di Berlino, "a sostegno dell'accesso aperto alla letteratura scientifica, con l'auspicio che questo gesto costituisca un primo e importante contributo dato dagli Atenei italiani ad una più ampia e rapida diffusione del sapere scientifico"; nei mesi successivi sono pervenute numerose firme di altri Rettori di Università a tale sottoscrizione, fino a superare la sessantina [23]. Le motivazioni di questa adesione sono legate alle attuali modalità di pubblicazione scientifica che "stanno gettando le università in una profonda crisi che sta investendo tutte le discipline accademico-scientifiche" [24], evidenzia il prof. Milanesi, Presidente della Commissione CRUI e Magnifico Rettore dell'Università di Padova. Il modello attuale della comunicazione scientifica, continua il prof. Milanesi, è in crisi per la sua insostenibilità economica: le università finanziano i progetti di ricerca, pagano gli accademici che la conducono e infine attraverso le biblioteche acquistano le pubblicazioni scientifiche a costi sempre maggiori.

"L'attuale sistema è in forte conflitto con gli scopi di ricercatori e scienziati i quali, è ovvio, pubblicano i propri lavori di ricerca principalmente per ottenere una massimizzazione dell'impatto entro la comunità internazionale. Ogni anno vengono pubblicati circa due milioni di articoli in ventimila riviste, tenuti "prigionieri" entro riviste scientifiche a pagamento" [25].

Inoltre, nonostante i costi elevati degli abbonamenti, per potere effettuare fotocopie di articoli (entro il 15% di un fascicolo), l'Università deve pagare il copyright per royalties che gli autori non hanno mai percepito.

Open Access è quindi "una strategia, un insieme di iniziative internazionali" messe in atto da scienziati e bibliotecari di tutto il mondo, "coalizzati insieme" sottolinea il prof. Milanesi [26].

Si incoraggiano quindi due soluzioni per di attuare Open Access:

Diversi modelli economici di Open Access

L'Open Access è stato realizzato mediante diverse soluzioni, a seconda della mission dell'ente, società, editore, ditta o istituzione che lo ha realizzato. Willinsky prevede nove diversi modelli economici, tutti con un medesimo obiettivo di accesso, ma molto diversi tra loro, come risulta dalla tabella sottoelencata; si rinvia all'articolo per una descrizione analitica e discussione sulla differenza tra i singoli modelli [27].

Tipo di open access

Descrizione

Rivista, portale o servizio: esempi

Archivio di e-print

Gli autori archiviano i preprint e/o i postprint su un archivio aperto

ArXiv.org. Eprint Service

Senza restrizioni

Immediata pubblicazione OA di un periodico

"First Monday"

Doppio modello

Sono disponibili la versione cartacea che richiede abbonamento sia la versione online che è OA

"Journal of Postgraduate Medicine"

OA posticipato

La versione OA è disponibile alcuni mesi dopo la pubblicazione cartacea

"New England Journal of Medicine"

Pubblicazione dell'articolo OA supportata economicamente dall'autore

Gli autori pagano per pubblicare OA

Bio-Med Central

OA parziale

Alcuni degli articoli di ciascun fascicolo sono OA

"New York Review of Books"

Per Capita

OA è disponibile a costi diversi in base alle entrate per capita

HINARI (World Health Organization)

Abstract

Sono OA l'indice e l'abstract

ScienceDirect

Co-Op

I membri istituzionali supportano i periodici OA

German Academic Publishers (GAP)

Uno dei benefici della soluzione OA è la libera - e quindi maggiore - circolazione delle informazioni. Stevan Harnad osserva che il percorso che porta alla nascita di una pubblicazione può essere rappresentato dalle seguenti fasi: discussioni informali con colleghi che si occupano della stessa disciplina, comunicazioni a convegni, e infine preprint inviati in forma elettronica o cartacea. Ora esso può essere arricchito da un dibattito che può beneficiare della rapidità, interattività e assenza di barriere geografiche del mezzo "server di preprint". Harnad parla di scholarly skywriting poiché, oltre al tradizionale controllo di qualità effettuato dalle riviste, un preprint può arricchirsi dei contributi di tutta la comunità degli studiosi di un certo ambito [28].

Open Access e copyleft

Le iniziative di Open Access sono volte a rendere disponibili liberamente i contributi scientifici, salvaguardando i diritti d'autore. In questo ambito, più che di copyright, si deve parlare di copyleft. Il copyleft non prevede in alcun modo la rinuncia alla paternità intellettuale e ai diritti legati alle pubblicazioni rese disponibili in rete. Copyleft tradotto "alla lettera" [29] perde l'efficacia dell'espressione inglese, che gioca sull'ambiguità del suffisso -left che significa sia "sinistra" sia "lasciato", participio passato del verbo leave [30]. Potremmo tradurre copyleft con l'espressione "permesso d'autore". Mediante le licenze Creative Commons, che cercano di dare veste giuridica alle diverse componenti del movimento copyleft, gli autori definiscono i termini e le modalità di utilizzo delle proprie pubblicazioni, che possono essere, ad esempio:

"Timidezza" a pubblicare in canali non tradizionali? La "Ingelfinger Rule" e il diritto di archiviazione (self-archiving) su siti istituzionali.

Se in alcuni ambiti disciplinari l'abitudine a pubblicare su archivi di e-prints è consolidata, perché in altri ambiti disciplinari si rileva una notevole "timidezza" ad adottare questo mezzo di comunicazione? [31]

Per molto tempo gli autori sono stati soggetti alla "Ingelfinger Rule": la maggior parte degli editori scientifici non accettavano lavori già usciti in altre pubblicazioni in toto o anche in minima parte per diverse ragioni [32]. Tali editori, di ambito medico, sostenevano che non era corretto diffondere informazioni di cui non era certa la qualità, nell'interesse della salute pubblica. Questa garanzia poteva essere assicurata solo dal meccanismo di peer review delle riviste. Poiché gli autori sono scienziati afferenti ad istituzioni accademiche, e le loro pubblicazioni sono risultato di ricerca istituzionale, la garanzia della qualità dell'informazione è garantita dalla istituzione. Il meccanismo di Ingelfinger tutelava anche l'investimento delle riviste: si diceva che non sarebbe risultato necessario fare l'abbonamento a riviste i cui articoli fossero accessibili gratuitamente. Questo era forse vero nell'era Gutemberg, ma non ora. I due meccanismi, il self-archiving e la pubblicazione tradizionale, possono utilmente convivere. Così i maggiori editori di ambito chimico, non accettavano lavori già usciti in toto o in parte in altre riviste o resi noti in qualunque forma: ancora adesso tra le istruzioni per gli autori dell'American Chemical Society si legge che non possono essere accettati contributi già precedentemente pubblicati, anche in parte, su qualunque supporto, compresi i periodici elettronici, database o siti accessibili liberamente [33].

Di fronte alla possibilità di pubblicare su un sito dedicato di preprint come "CPS", la comunità dei chimici ha dimostrato di preferire tipologie di pubblicazioni tradizionali. Le ragioni che hanno provocato la diffidenza dei chimici a adottare questa forma di pubblicazione libera come soluzione alternativa, o parallela, ad un canale tradizionale sono numerose. Oltre a quelle già ricordate, nel caso della chimica, può essere ritenuto opportuno brevettare un risultato. Questa possibilità può essere considerata preferibile alla velocità di pubblicare su un sito di preprint [34].

Le iniziative attuate da SPARC e da tutti coloro che si sono impegnati nell'Open Access hanno indotto anche editori tradizionalmente non favorevoli all'Open Access a rivedere la loro posizione.

Il 7 marzo 2005 ACS ha annunciato di voler modificare la propria politica di accesso agli articoli dai propri 33 periodici con due iniziative.

Recentemente l'editore Elsevier, ha accettato l'auto archiviazione del pre-print e del post-print nelle pagine web personali degli autori o negli archivi aperti dell'istituzione cui l'autore afferisce, a due condizioni: Da questo punto di vista, la "timidezza" a pubblicare su archivi aperti, può trovare rassicurazione. Le indicazioni della conferenza dei Rettori a Messina, inoltre, possono rassicurare gli autori. Al termine della prima giornata, durante il dibattito moderato dal prof. Sdralevich dell'Università dell'Insubria, "è emerso l'interesse dei docenti nei confronti dell'accesso aperto, la loro apertura verso questo modello e, soprattutto, il bisogno di saperne di più, in modo da fugare dubbi e timori rispetto alla propria carriera, all'impatto pesso dei risultati della propria ricerca" [37]. C'è comunque consapevolezza che alcune riviste che non consentono l'autoarchiviazione hanno Impact Factor elevato, ma il fenomeno dell'OA è in crescita. La scelta di pubblicare su periodici che hanno IF, anche elevato, ma che consentono accanto a forme di pubblicazione tradizionale anche l'autoarchiviazione, può essere in questa fase già una apertura verso l'accesso aperto all'informazione chimica. Si può verificare se un periodico è ad accesso libero su "DOAJ" ("Directory of Open Access Journals") [38], o alternativamente si possono verificare le politiche delle singole testate. Stevan Harnad suggerisce agli autori di riservarsi il diritto di effettuare self-archiving anche per il lavori di cui cedono i diritti d'autore agli editori mediante una clausola del tipo:

"I hereby transfer to [publisher or journal] all rights to sell or lease the text (on-paper and on-line) of my paper [paper-title]. I retain only the right to distribute it for free for scholarly/scientific purposes, in particular, the right to self-archive it publicly online on the Web" [39].

Alcuni editori (circa il 10-30%) accettano esplicitamente il self-archiving della versione già approvata dai referees (ad esempio: the American Physical Society: <http://forms.aps.org/author/copytrnsfr.pdf>). Altri editori (circa il 70%) accettano tale clausola se richiesta dall'autore, ma non la propongono di propria iniziativa [40].

Pubblicando i propri lavori sugli archivi istituzionali gli autori non solo rendono disponibili i propri contributi alla comunità scientifica internazionale, ma, in qualche misura, fanno competizione ai periodici commerciali. Non possiamo sapere quale sarà l'impatto futuro. Forse periodici ad accesso libero e commerciali continueranno a convivere o i periodici ad accesso libero ridurranno la nicchia di mercato di quelli commerciali in modo tale da indurre questi ultimi a ridurre i costi e diventare ad accesso libero [41]?.

Qualità delle pubblicazioni pubblicate OA

Spesso gli archivi ad accesso aperto prevedono, entro certi limiti, meccanismi che garantiscono la qualità. Pur non essendo effettuato un peer review, non vengono accettati in maniera "automatica" tutti i contributi che vengono inviati. Ginsparg dice del Physics arXiv "We still think it's important to have a minimal level of screening, to keep the material at least of "referable quality", and avoid material that is manifestly irrelevant, offensive or silly. ArXiv was set up for an elite research community; there was never a pretense of Jeffersonian democracy". Ugualmente ChemWeb verifica che il contenuto dei preprint sia chimica e che coloro che caricano i propri contributi afferiscano ad una istituzione, a garanzia della qualità della ricerca [42]. Analogamente contributi sugli archivi aperti dell'Università di Bologna possono essere depositati liberamente da docenti o enti accademici. Personale non strutturato può depositare il proprio contributo con una sorta di malleveria di un docente [43].

Studiosi e bibliotecari concordano che non è in discussione il meccanismo di controllo di qualità effettuato "da pari" e gestito dalle riviste: anzi è opportuno che la responsabilità dell'organizzazione di questa attività a valore aggiunto venga svolta dalle riviste, autorevole parte terza rispetto agli autori e i revisori [44]. La modalità di accesso non incide e non ha nulla a che vedere con la valutazione di qualità dei pari [45]. Se alle riviste rimanesse solo il costo di gestione della peer review, i costi si potrebbero ridurre significativamente.

Come sapere se l'editore della rivista su cui si vorrebbe pubblicare consente il deposito OA?

Per verificare se un editore consente agli autori di depositare OA il proprio preprint o post print, si può consultare il sito Sherpa che ha effettuato una indagine tra i principali editori internazionali [46]. Come risulta dalla scheda, per ogni editore vengono sinteticamente indicate le attività consentite/non consentite agli autori. Per maggiore chiarezza, è presente un link alla policy completa sul sito dei singoli editori.

Gli Archivi aperti dell'Università di Bologna

L'Università di Bologna ha realizzato tre archivi ad accesso aperto, di cui uno per la didattica e due per la ricerca: [47]

 

I tre archivi sono stati concepiti in modo tale che il caricamento dei documenti avvenga direttamente a cura degli studiosi, previa registrazione sul sito. I bibliotecari verificano i dati descrittivi dell'articolo e "validano" i documenti. È comunque previsto che i bibliotecari assistano coloro che lo desiderino per ragioni di tempo o di scarsa familiarità con lo strumento.

Il formato dei dati è conforme al protocollo OAI. Tale formato garantisce interoperabilità tra i diversi archivi ad accesso aperto. Gli archivi ad accesso aperto sono caratterizzati infatti dall'adozione di un protocollo che consente di recuperare tutti i documenti, su diversi archivi OA, come se fossero parte di un'unica raccolta globale, residente virtualmente in un unico luogo e accessibile a chiunque.

Deposito legale elettronico presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Il Centro Inter-bibliotecario dell'Università di Bologna ha attivato con la Biblioteca Nazionale di Firenze una convenzione e i necessari meccanismi tecnici per fare in modo che sia possibile effettuare il deposito volontario della copia elettronica dei contributi depositati sui propri archivi ad accesso libero. In questo modo, si garantisce che una copia venga conservata presso l'istituzione responsabile della conservazione di una copia di tutta la letteratura prodotta in Italia, ma si viene anche incontro alla necessità degli studiosi di poter presentare in fase di concorso titoli che siano stati oggetto di deposito. Non esiste al momento obbligo di deposito per questo tipo di materiale, ma solo la legge 15 aprile 2004, n. 106, Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblico, di cui non esiste al momento attuale (marzo 2005) il decreto attuativo. La legge prevede che ai sensi dell'art.1, comma 1 "Al fine di conservare la memoria della cultura e della vita sociale italiana sono oggetto di deposito obbligatorio, di seguito denominato "deposito legale", i documenti destinati all'uso pubblico e fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la visione, qualunque sia il loro processo tecnico di produzione, di edizione o di diffusione, ivi compresi i documenti finalizzati alla fruizione da parte di portatori di handicap" [48].

OAIster

Gli archivi aperti dell'Università di Bologna hanno aderito a OAIster, un progetto dell'Università del Michigan [49]. Il nome OAIster è un gioco di parole: un incrocio tra oyster (ostrica) e OAI (iniziative di archivi aperti) [50]. Il motto che accompagna OAIster, "trovate le perle", completa l'immagine dell'ostrica e invita a cercare gli articoli nascosti sul Web e registrati sul OAIster: 5.195.319 records di 444 istituzioni [51] (al 4 marzo 2005). Il nome OAIster richiama anche harvester e si riferisce al servizio di harvesting offerto tra diversi archivi ad accesso libero.

 

Mediante una unica interfaccia, OAIster consente di trovare articoli registrati in uno degli archivi aperti di una delle 444 istituzioni. Se ad esempio cerchiamo potato glycoalkaloids troviamo tre dissertazioni accademiche e un articolo da "ARKIVOC" (cfr. l'immagine infra). Cercando con le stesse parole chiave su SciFinder Scholar, ci sarebbe sfuggita la tesi di Vronen, Groot e Wijnberg.

Ogni contributo indica la paternità intellettuale e la URL del documento.

Il futuro è ormai vicino?

L'interrogativo iniziale era se OA fossero un futuro possibile per l'informazione chimica. Nella sezione didattica della biblioteca digitale del CIB, sono stati già caricati numerosi materiali didattici, tra i quali 179 di chimica industriale, tra le tre sedi di Bologna, Faenza e Rimini.

ACS in data 7 marzo ha fatto alcuni passi significativi per garantire accesso alle proprie pubblicazioni dopo 12 mesi dalla loro pubblicazione. Elsevier consente ora la pubblicazione di preprint e postprint su siti istituzionali cui un autore afferisce.

Forse il futuro non è lontano quanto potrebbe sembrare.

Biblioteca Centralizzata del Polo Scientifico Didattico di Rimini - Università degli studi di Bologna, e-mail: citti@rimini.unibo.it


Note

* Il presente articolo riprende e rielabora l'intervento presentato durante il Consiglio di Facoltà del 21 marzo 2005.

[1] Per l'astrofisica si ricorda ASTRO-PH, accessibile dal mirror italiano all'indirizzo http://babbage.sissa.it/archive/astro-ph/ (sito consultato il 28 marzo 2005). Il 100% degli articoli degli astrofisici è ad accesso libero, afferma Harnad evidenziando "the special situation of astro -- with just about 100% of astrophysicists worldwide having just about 100% institution-licenced (toll) access to the full, small, closed circle of astro journals" Stevan Harnad, OA advantage = EA + AA + QB + OA + UA, Sep 04 2004 http://www.ecs.soton.ac.uk/~harnad/Hypermail/Amsci/3977.html (sito consultato il 15.04.2005).

[2] In questo ambito si ricorda in particolare arXiv, accessibile dal mirror italiano all'indirizzo http://babbage.sissa.it/ (sito consultato il 28 marzo 2005).

[3] Si ricordano le tipologie di documenti previste dall'American Chemical Society, cfr. l'elenco di Document type nello Help di "SciFinder Scholar, 2004 edition", all'indirizzo http://www.cas.org/SCIFINDER/help/2004/SCH_Help/Ctxt_eps/default.htm (sito consultato il 9.04.2005).

[4] Come osserva Gary Wiggins, Chemical Information Sources, New York : McGraw Hill, 1991, p. 8 "it may take a year or more between the actual completion of the research project and the publication of the results in a journal article. Some journals have been established to speed up this process and are known as rapid communication or letters journals".

[5] Detti anche government o technical report (Gary Wiggins, Chemical Information Sources, cit., p. 9). Si veda anche la definizione "Technical reports are typically used to report progress of research and technical information. The reports usually come from a company, university, or government agency. They are published by noncommercial publishers and are usually part of a numbered series" http://scilib.ucsd.edu/howto/guides/techrepts.html (sito consultato il 29.11.2004). Cfr. infine anche Melvin G. Mellon, Chemical publications, New York : McGraw Hill, 1982, p. 51 e ss.

[6] Cfr. Melvin G. Mellon, Chemical Publications, cit., p. 26.

[7] Cfr. Antonella De Robbio, Auto-archiviazione per la ricerca: problemi aperti e sviluppi futuri, "Bibliotime", VI, 3, novembre 2003, http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vi-3/derobbio.htm (sito consultato il 9.04.2005).

[8] Cfr. http://www.soros.org/openaccess/read.shtml (sito consultato il 28.7.2005).

[9] Cfr. l'abstract di "SciFinder Scholar" 2004:943174 dell'articolo Vlatko Silobcic, Open Access to Scientific Information: a possibile Future for informing Scientists, "Kemija u Industriji", (2004) 53(10) 472-476 (l'articolo è in lingua croata).

[10] IUPAC è l'acronimo di International Union of Pure and Applied Chemistry.

[11] "OA is a call for free, unrestricted access, on the public Internet, to the literature that scholars produce". L'aggettivo free è difficilmente traducibile in italiano: significa sia gratuitamente sia liberamente, senza restrizioni, in questo caso senza restrizioni d'accesso per chi desideri consultare. Wendy Warr, Striving for Open Access, "Chemistry International", vol. 25, n. 4 July-August (2003) http://www.iupac.org/publications/ci/2003/2504/2_openaccess.html (sito consultato il 15.04.2005).

[12] Una rassegna bibliografica estesa e ragionata a cura di Charles W. Bailey, jr. su OA è disponibile all'indirizzo http://info.lib.uh.edu/cwb/oab.pdf (sito consultato il 07.04.2005). Il lavoro è stato pubblicato anche in forma cartacea Charles W. Bailey jr., Open Access Bibliography: Liberating scholarly Literature with E-prints and Open Access Journals, Washington, Association of Research Libraries, 2005.

[13] John Willinsky, The nine Flavours of open access scholarly Publishing, "Journal Postgrad. Med." 49 (2003), p. 263 e in generale l'intero articolo.

[14] Cfr. supra.

[15] Paola Gargiulo, SPARC e l'editoria scientifica, "AIDA informazioni", 3 (2004) p. 65-71. Si veda anche il sito di SPARC http://www.arl.org/sparc/ (sito consultato il 9.04.2005).

[16] Cfr. http://www.sparceurope.org/ (sito consultato il 15.04.2005).

[17] Vanderlei Gageiro Machado, P.N.W. Baxter, J.M. Lehn, Self-Assembly in Self-Organized Inorganic Systems: A View of Programmed Metallosupramolecular Architectures "Chemistry Preprint Archive", 7, July 2001, p. 97-157.

[18] D.S.Tan, S.L. Schreiber, A mercury-catalyzed transetherification Cyclization leading to fused cyclic Polyethers. Institute of Chemistry and Cell Biology, Howard Hughes Medical Institute, Department of Chemistry and Chemical Biology, Harvard University, Cambridge, MA, USA. Tetrahedron Letters (2000), 41(49), 9509-9513.

[19] Wendy Warr, Evaluation of an experimental Chemistry Preprint Server, "J. Chem. Inf. Comput. Sci.", 43 (2003), p. 363.

[20] Chemistry Preprint Archive, http://www.sciencedirect.com/preprintarchive (sito consultato il 15 aprile 2005).

[21] Cfr. http://www.soros.org/openaccess/ (sito consultato il 9.04.2005).

[22] Cfr. il sito del convegno di Berlino http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/ e la dichiarazione http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/BerlinDeclaration_it.pdf (sito consultato il 9.04.2005). Si veda anche Marco Marandola, Il nuovo diritto d'autore: introduzione a copyleft, open access e creative commons, Milano, DEC, 2005, p. 20.

[23] Le seguenti università hanno aderito alla Dichiarazione di Berlino durante il convegno di Messina (in ordine alfabetico per località): Bologna, Brescia, Calabria, Firenze, Foggia, Genova, Insubria, Lecce, Messina, Milano, Milano Bicocca, Milano Politecnico, Milano Vita-Salute San Raffaele, Modena, Molise, Napoli Federico II, Napoli L'Orientale, Napoli Partenope, Padova, Palermo, Parma, Piemonte Orientale, Roma LUMSA, Roma Tor Vergata, Roma III, Siena, Torino, Trieste, Trieste SISSA, Tuscia, Venezia IUAV, oltre all'Istituto Italiano di Medicina Sociale di Roma. (agg. 4.11.2004) Gli Atenei italiani per l'Open Access: verso l'accesso aperto alla letteratura di ricerca, Messina 4-5 novembre 2004, http://www.aepic.it/conf/index.php?cf=1 (sito consultato il 18 marzo 2005). Si veda l'elenco degli aderenti alla Dichiarazione di Berlino all'indirizzo http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin/signatories.html che viene aggiornato man mano pervengono nuove firme.

[24] Vincenzo Milanesi, Gli Atenei Italiani per l'Open Access: saluto introduttivo, in Gli Atenei..., cit., http://www.aepic.it/conf/viewpaper.php?id=48&cf=1

[25] Ibid.

[26] Ibid.

[27] Si riporta, parafrasata, la tabella dell'articolo John Willinsky, The nine flavours…, cit., 264.

[28] Stevan Harnad, Scholarly Skywriting and the Prepublication Continuum of Scientific Inquiry, "Psychological Science", 1 (1990), p. 342-343 (reprinted in "Current Contents", 45, November 11, 1991, p. 9-13), .

[29] Uso l'espressione tradotto alla lettera tra virgolette, con tutte le riserve che questa espressione comporta.

[30] Per il concetto di copyleft, si rinvia a Marco Marandola, Il nuovo diritto d'autore…, cit., p. 3-16. Si veda anche Simone Aliprandi, Copyleft & Opencontent, l'altra faccia del copyright, con i testi e i commenti delle principali licenze freesoftware, open source e Creative Commons, Lodi, PrimaOra, 2005, p. 35-36: Aliprandi evidenzia inoltre che alcuni membri della Free Software Foundation (FSF) riportavano provocatoriamente sui loro contributi la nota "copyleft all rights reversed, ovvero copyleft - tutti i diritti rovesciati" con una 'C' rovesciata invece del canonico "copyright (C) - all rights reserved" (cioè, "copyright - tutti i diritti riservati"). "Dopo tale annotazione venivano poi elencati (alla stregua di una licenza d'uso) tutte le libertà di cui l'utente era ufficialmente investito e veniva rimarcato l'obbligo di mantenerle intatte in futuro nei confronti degli altri utenti. A conti fatti, dunque, il copyleft consiste nel convertire le licenze d'uso, da decalogo degli obblighi dell'utente, in una sorta di "statuto" dei suoi diritti, intoccabili nel tempo e invariabili presso terzi".

[31] Si veda a questo proposito il contributo di Eugenio Pelizzari, Autori accademici e Open Archives: un'indagine presso l'Università degli studi di Brescia, "Biblioteche Oggi", novembre 2003, p. 37-51.

[32] All'inizio degli anni '70, il Dr Franz Ingelfinger annunciò che non avrebbe accettato nella rivista di cui era direttore, "The New England Journal of Medicine", nessun articolo che fosse già stato pubblicato in altra rivista. Questa norma è stata ben presto adottata da molte altre riviste, nonostante le critiche di molti studiosi che hanno messo in evidenza che questa norma limita la libera circolazione delle informazioni (Lawrence K. Altman, The Ingelfinger rule, embargoes, and journal peer review-part 1, "The Lancet", Volume 347, Issue 9012, 18 May 1996, Pages 1382-1386). Nel 2000 Stevan Harnad dimostra che le quattro ragioni per le quali la "regola di Ingelfinger" non aveva più ragione di essere. Si elencano le motivazioni della regola e le confutazioni di Harnad. 1) "public health must be health must be protected: only refereed research, reviewed and certified by the qualified specialists, should be made public". Non sono le riviste, ma gli autori e le istituzioni che garantiscono la qualità delle informazioni. 2) "The refereeing and certification system must be protected. Referees are a scarce resource, donating their valuable time for free. There is no justification for squandering their time on a paper that has already been publicised without certification, or one that has been certified and published by another journal". La qualità delle pubblicazioni deve essere garantita, ma non viene invalidata dal fatto che un articolo sia reso noto su Web. 3) "The journal's (and author's) priority and prestige must be protected: readers will not read or cite a journal whose contents have already appeared elsewhere". Il prestigio di un autore non è a rischio se il suo contributo viene pubblicato su web prima essere stato oggetto di peer review. Se lo fosse il rischio sarebbe dell'autore e non della rivista. 4) "The journal's revenue streams must be protected: subscribers will not subscribe to a journal whose contents have already appeared elsewhere. Without that revenue, the research cannot be refereed or published at all". Questa è la vera ragione della regola di Ingelfinger, ma ora, nell'era post Gutemberg. Sono possibili soluzioni diverse: gli autori possono effettuare self-archiving dei propri contributi su archivi distribuiti che garantiscono interoperabilità. Questo non toglie che ai periodici restano nicchie di mercato."Ingelfinger rule over-ruled", conclude Harnad (Stevan Harnad, Ingelfinger over-ruled, "The Lancet", Volume 356, Supplement 1, December 2000, Page S16). A marzo 2005 le opinioni di Harnad sono confermate dalle posizioni assunte da editori come Elsevier e ACS.

[33] ACS Guidelines for Authors: Notice to Authors of Papers (Revised January 2005) "J. Am. Chem. Soc.", Vol. 127, No. 1, 2005 25A https://paragon.acs.org/paragon/ShowDocServlet?contentId=paragon/menu_content/authorchecklist/ja_authguide.pdf

[34] Wendy Warr, Evaluation of an experimental..., cit., p. 363.

[35] American Chemical Society Broadens Access to its Articles: Conditions set for free Availability one Year after Publication, Released: March 7, 2005 http://pubs.acs.org/pressrelease/article_access.html#1 (sito consultato il 14 marzo 2005).

[36] http://www.sherpa.ac.uk/romeo.php. Si veda la policy di Elsevier all'indirizzo http://authors.elsevier.com/getting_published.html?dc=CI (sito consultato il 14 marzo 2005).

[37] Paola Gargiulo, Gli Atenei italiani per l'Open Access: verso l'accesso aperto alla letteratura di ricerca , Messina 4-5 novembre 2004, "AIDA Informazioni", 4 (2004), p. 88.

[38] DOAJ si trova all'indirizzo http://www.doaj.org/ (sito consultato il 18 marzo 2005).

[39] Stevan Harnad, For Whom the Gate Tolls? How and Why to Free the Refereed Research Literature Online Through Author/Institution Self-Archiving, Now, http://eprints.ecs.soton.ac.uk/8705/01/resolution.htm e in particolare cfr. il paragrafo 6. How to get around restrictive copyright legally ("Preprint+corrigenda Strategy"), cit. anche in Antonella De Robbio, Auto-archiviazione..., cit., "Bibliotime", VI, 3, novembre 2003, http://www.spbo.unibo.it/bibliotime/num-vi-3/derobbio.htm

[40] Ibid.

[41] Stevan Harnad, Self-Archive Unto Others as Ye Would Have them Self-Archive Unto You, "By self-archiving their papers in their own university's Eprint Archives, researchers not only make them openly accessible to all potential users worldwide (which is their only real goal in doing so), but they also create competition with the toll-access version sold by the journals in which the research appears. No one knows what effect that competition will have: The open-access version and the toll-access version might continue to co-exist indefinitely, with those whose universities can afford the toll-access version using that, but those who cannot using the open-access version. Or the open-access version may shrink the demand for the toll-access version, so the journals have to downsize, cut their costs, and become open-access journals". http://www.ecs.soton.ac.uk/~harnad/Temp/unto-others.html (sito consultato il 28 marzo 2005).

[42] Wendy Warr, Evaluation of an experimental..., cit., p. 368.

[43] http://amsacta.cib.unibo.it/autore_ente_accademico.html

[44] Stevan Harnad, Self-Archive Unto Others …, cit. "And that is what the journals have to keep on doing, because researchers cannot peer-review and certify their own work: Quality-control always has to be out-sourced to a reputable, neutral third party (between the researcher and the peer-reviewers)" http://www.ecs.soton.ac.uk/~harnad/Temp/unto-others.html . Si veda anche Stevan Harnad, Ingelfinger over-ruled, cit., Page S16 e le dichiarazioni del prof. Milanesi al convegno di Messina. Cito dall'abstract: "Non si tratta di mettere in discussione il modello della revisione fra pari o l'importanza dell'Impact Factor. È necessario garantire che i lavori che espongono i risultati delle ricerche, dopo essere stati sottoposti a referaggio, vengano resi disponibili ad accesso aperto e che vengano valutati al pari di quelli pubblicati secondo le modalità tradizionali ai fini concorsuali e dell'assegnazione dei finanziamenti" http://www.aepic.it/conf/viewpaper.php?id=48&cf=1 (sito consultato il 29 marzo 2005).

[45] Michel Loreau, Le fait que le modèle d'accès diffère ne change en rien le système de validation des travaux, intervista effettuata il 23.02.2005 e pubblicata sul sito dell'INIST http://www.inist.fr/openaccess/article.php3?id_article=76 (sito consultato il 29 marzo 2005).

[46] http://www.sherpa.ac.uk/romeo.php (sito consultato il 18 marzo 2005).

[47] Cfr. http://almadl.cib.unibo.it/ (sito consultato il 18 marzo 2005).

[48] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 27 aprile 2004 (cfr. anche http://www.parlamento.it/parlam/leggi/04106l.htm ) (sito consultato il 9.04.2005).

[49] University of Michigan Digital Library Production Service.

[50] OAIster riprende anche il termine harvester, ossia designa la funzione di raccogliere dati per il data provider e fornire dati al service provider. Tra i servizi di harvesting, limitandoci al contesto italiano, ricordiamo anche PLEIADI http://www.openarchives.it/pleiadi, piattaforma sviluppata e implementata da CILEA e CASPUR che permette harvesting, ossia ricerca federata sugli archivi aperti istituzionali italiani.

[51] OAIster: Background / Project Description "Our service reveals digital resources previously "hidden" from users behind web scripts" http://oaister.umdl.umich.edu/o/oaister/description.html (sito consultato il 18 marzo 2005).




«Bibliotime», anno VIII, numero 2 (luglio 2005)

Precedente Home Successiva


URL: http://static.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-viii-2/citti.htm