«Bibliotime», anno VIII, numero 2 (luglio 2005)


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Internet, l'informazione e Groucho Marx



Più volte, su queste colonne, sono state messe in luce le profonde trasformazioni intervenute nel mondo delle biblioteche, che hanno modificato in maniera significativa le funzioni da esse esercitate per millenni, e hanno dato origine a una diversa visione del loro ruolo e della loro attività. Allo stesso modo, è stato sottolineato come questa prospettiva si inserisca nel più vasto mutamento avvenuto in tutti i settori della società, dell'economia e della cultura, soprattutto in seguito all'avvento dei nuovi supporti dell'informazione e dei rilevanti effetti che essi hanno determinato per ciò che riguarda l'organizzazione e la trasmissione delle conoscenze.

Peraltro il coinvolgimento delle biblioteche non è limitato soltanto alla presenza e all'uso di sofisticati strumenti di raccolta, recupero e archiviazione dell'informazione, in grado di agevolare nella misura più ampia coloro che si rivolgono ad esse per finalità di studio e di ricerca. Per contro, ciò che si è avuto è stata un'accurata riflessione sul modo in cui vengono originate, gestite e organizzate non solo le informazioni, che le biblioteche trattano quotidianamente in virtù della loro specifica "mission", ma lo stesso sapere [1] che da queste informazioni prende vita [2].

Appare dunque inevitabile soffermarsi sui criteri con cui le conoscenze si vanno stratificando in una realtà che appare davvero multifome e composita, in quanto basata non solo sulla pluralità delle risorse informative a cui le biblioteche fanno riferimento, ma anche sulla novità e la diversità delle modalità conoscitive che, con frequenza crescente, entrano a far parte della realtà in cui viviamo.

Fra queste modalità, quella legata ad un accesso ampio e generale alle fonti documentarie è senz'altro una tra le più rilevanti: lo testimonia il saggio di Graziano Cecchinato che ospitiamo su questo numero di Bibliotime, nel quale l'autore affronta le numerose e complesse problematiche scaturite dall'avvento delle nuove tecnologie, e mette in luce gli inediti e innovativi criteri con cui le conoscenze vengono concepite, elaborate e trattate nell'attuale contesto digitale. E se a volte si può dissentire da alcune affermazioni dell'autore, l'ampiezza dell'indagine e la vastità delle tematiche messe in campo sono tali da fornire un'analisi davvero globale degli eventi e dei fenomeni che hanno luogo nell'odierno panorama informativo.

E di particolare rilievo appaiono le considerazioni dell'autore su quell'approccio, sempre più libero e aperto, che gli individui stanno sviluppando nei confronti delle fonti informative: un approccio che, a seconda dei casi, può assumere le forme di un quotidiano e indifferenziato sfruttamento delle risorse di Internet, o di un assai più chiaro e consapevole accesso a documenti decisamente rilevanti sotto il profilo conoscitivo, come accade a quegli studiosi che, con fiducia sempre maggiore, si rivolgono agli open archives.

Si tratta di una situazione che viene evidenziata, sia pur con varietà di accenti e di indirizzi tematici, anche nei contributi di Maurizio Zani e di Alessandra Citti: difatti, mentre il primo si sofferma sugli strumenti per la ricerca e la valutazione delle pubblicazioni scientifiche, il secondo ricapitola i momenti che hanno condotto non solo alla nascita di quei grandi insiemi documentari che sono gli open archives, ma all'affermarsi di una mentalità orientata ad un vero e proprio "accesso aperto" all'informazione ed alla conoscenza.

E se nel campo accademico e scientifico questa mentalità sembra - più o meno lentamente - farsi strada, occorre chiedersi in che modo il fenomeno si manifesta nel mondo dell'informazione digitale e delle risorse di Internet. Sappiamo infatti che la rete, fin dalle origini, si è caratterizzata per i suoi aspetti partecipativi e democratici, grazie ai quali si è arrivati a quell'incredibile stratificazione di dati e di notizie che oggi costituisce il ciberspazio. Ma sappiamo anche che è proprio questa incessante auto-alimentazione informativa ne rappresenta il limite più grave, dal momento che è assai difficile discriminare i siti utili e scientificamente rilevanti da quelli futili, inutili o persino dannosi, la cui presenza non costituisce certo un vantaggio per la comunità degli utenti, ma dà vita invece a un grave inquinamento informativo.

Non v'è dubbio che quello della valutazione delle risorse di rete sia uno dei temi più rilevanti del dibattito documentario recente; a ciò si aggiunge ora un elemento ancora più problematico, originato dalla presenza di una risorsa che, per sua natura, si configura come la quintessenza stessa dell'informazione e della conoscenza: ci riferiamo ovviamente all'enciclopedia, ma non ad una enciclopedia qualunque [3], bensì a quel particolare strumento, che risponde al nome di Wikipedia, che è disponibile in rete ed è utilizzabile da tutti. Diciamo utilizzabile in una doppia accezione: non solo perché, al pari di ogni risorsa di Internet, le voci di questa enciclopedia possono essere fruite dall'intera comunità degli utenti, ma anche perché sono gli stessi utenti, sulla base dei propri interessi e delle proprie capacità, che sono chiamati a comporre queste voci.

Siamo di fronte - e Cecchinato lo sottolinea con chiarezza - ad una prospettiva che porta alle estreme conseguenze la visione partecipativa e democratica propria di Internet, ma che allo stesso tempo innesca a un grave (e forse irrisolvibile) problema gnoseologico, legato all'assenza di qualsiasi verifica sulla serietà, attendibilità e veridicità delle informazioni incluse nella Wikipedia. Difatti, se è vero che l'autopubblicazione sul web è una pratica quanto mai diffusa, è altresì vero che le informazioni in tal modo disponibili si disperdono e per buona parte si annullano nel mare magnum della rete, rendendo per così dire indifferenziate - e di conseguenza depotenziate - le risorse a scarso valore conoscitivo. Invece, ciò che accade in una struttura così coerente, organica ed esplicitamente information-oriented com'è quella di Wikipedia, è che qualsiasi notizia riceve un crisma di serietà, assume un preciso rilievo informativo - quale che sia il suo intrinseco valore - per il solo fatto di essere accolta tra le sue voci; la conseguenza è dunque che tale notizia viene fruita con la massima naturalezza dagli utenti, i quali non sono portati a metterla in dubbio proprio perché essa origina dalla fonte conoscitiva per eccellenza, e cioè l'enciclopedia.

Così, se per implementare le conoscenze e contribuire allo sviluppo del sapere, siamo tentati di inviare un contributo a Wikipedia, forse è opportuno chiederci se siamo proprio noi le persone più titolate a farlo: e questo non per falsa modestia, ma semplicemente pensando che a nessuno piacerebbe avere informazioni meno serie e attendibili di quelle che è possibile (ed è giusto e doveroso) ottenere. Insomma, un po' come nel famoso aforisma di Groucho Marx: "non entrerei mai in un club che accettasse fra i suoi soci uno come me".


Michele Santoro


Note

[1] A causa dell'ambiguità che generalmente circonda questi concetti, non è semplice esprimere la differenza tra informazione e sapere; secondo molti studiosi tuttavia la conoscenza si distingue dall'informazione perché mette in opera capacità e competenze di natura cognitiva.

[2] Per una sintesi del più recente dibattito, specie nel nostro paese, si rinvia a Stefano Grilli, L'informazione è tutto? Curiosità vs interesse nell'uso della biblioteca, "Biblioteche oggi", 22 (2004), 7. p. 8-13.

[3] Sia essa su carta, su cd-rom o disponibile su Internet. Per una riflessione sull'idea e sulla funzione dell'enciclopedia nella realtà contemporanea si rinvia ai nostri La disarmonia prestabilita. Per un approccio ibrido alla conoscenza e ai suoi supporti, in La biblioteca ibrida. Verso un servizio informativo integrato, a cura di Ornella Foglieni, Milano, Editrice Bibliografica, 2003, p. 59-78; e Sulle spalle dei giganti. Riflessioni ex-post su una proposta di interpretazione, "Biblioteche oggi", 21 (2003), 1, p. 21-30.



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